L’infarto del miocardio è una delle principali cause di morte in Italia e nel mondo. È una patologia tempo-dipendente: una diagnosi tempestiva può fare la differenza tra la vita e la morte, tra la guarigione completa e un’invalidità permanente. Quando i sintomi non vengono riconosciuti, sottovalutati o confusi con altre patologie, e il paziente non riceve l’intervento adeguato nei tempi giusti, si configura una grave responsabilità medica.
La mancata diagnosi di infarto rappresenta una delle forme più gravi di errore sanitario, perché compromette in modo diretto e irreversibile la salute del paziente. Secondo i dati del Ministero della Salute, ogni anno in Italia oltre 100.000 persone sono colpite da infarto acuto del miocardio. In circa il 7% dei casi, l’evento non viene diagnosticato correttamente nelle prime ore, con conseguenze fatali o invalidanti.

In presenza di un errore diagnostico di questo tipo, il paziente (o i familiari, in caso di decesso) ha diritto a un risarcimento danni. In questo articolo analizziamo gli aspetti medico-legali della mancata diagnosi, i casi in cui si configura responsabilità sanitaria, le normative applicabili e come ottenere giustizia con l’assistenza degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Perché l’infarto va diagnosticato subito?
L’infarto del miocardio si verifica quando un’arteria coronaria si ostruisce, impedendo il corretto apporto di L’infarto miocardico è un’emergenza medica che richiede una diagnosi immediata perché ogni minuto può fare la differenza tra la vita e la morte. Quando si verifica un infarto, una o più arterie coronarie – i vasi che portano sangue al cuore – si occludono parzialmente o completamente, impedendo il corretto afflusso di ossigeno al muscolo cardiaco. Se il flusso non viene ripristinato in tempi rapidi, le cellule del cuore iniziano a morire, e il danno può diventare irreversibile nel giro di pochi minuti o ore.
La diagnosi tempestiva è fondamentale per attivare subito le terapie salvavita, come la somministrazione di farmaci trombolitici, l’angioplastica coronarica con stent o, nei casi più gravi, l’intervento cardiochirurgico. Più tempo passa dall’esordio dei sintomi all’intervento, maggiore è la quantità di tessuto cardiaco che va incontro a necrosi. Questo si traduce non solo in un rischio elevato di decesso nell’immediato, ma anche in complicanze a lungo termine, come l’insufficienza cardiaca, le aritmie, la riduzione della capacità fisica e una qualità della vita compromessa.
Riconoscere precocemente i sintomi – come dolore al petto, senso di oppressione, sudorazione fredda, nausea, affanno, dolore irradiato a braccio sinistro o mandibola – e recarsi subito in ospedale è la prima arma per salvare il cuore. In pronto soccorso, un semplice elettrocardiogramma e un prelievo per i marcatori cardiaci possono confermare rapidamente la diagnosi e avviare il trattamento.
Diagnosticare tardi un infarto significa esporsi a conseguenze devastanti: più il cuore resta senza ossigeno, più aumenta la probabilità di danni irreparabili e di morte improvvisa. Per questo motivo, qualsiasi sospetto di infarto deve essere considerato una priorità assoluta in ambito medico. La prontezza della diagnosi può davvero fare la differenza tra un paziente che si salva e si riprende, e uno che rimane invalido o non sopravvive.
Quali sono gli errori più comuni nella mancata diagnosi di infarto?
Gli errori più comuni nella mancata diagnosi di infarto sono tra i più gravi in ambito medico, poiché possono portare a conseguenze fatali o a danni cardiaci permanenti. L’infarto miocardico acuto richiede un riconoscimento immediato e un trattamento tempestivo: quando ciò non avviene, il muscolo cardiaco va incontro a necrosi irreversibile, aumentando il rischio di morte improvvisa, scompenso cardiaco e invalidità permanente.
Uno degli errori più frequenti è la sottovalutazione dei sintomi atipici, soprattutto nei pazienti giovani, nelle donne e nei diabetici. In molti casi, l’infarto non si manifesta con il classico dolore toracico intenso, ma con sintomi meno evidenti come senso di affaticamento, nausea, malessere generale, dolore alla schiena o al braccio destro, oppure dispnea improvvisa. Questi segnali, se non correttamente interpretati, possono portare a diagnosi sbagliate come gastrite, ansia o disturbi muscolari.
Un altro errore molto diffuso è l’esecuzione tardiva o l’interpretazione imprecisa dell’elettrocardiogramma (ECG). Un tracciato anomalo può essere letto in modo superficiale o considerato “non specifico”, soprattutto in pazienti con quadri clinici complessi. In alcuni casi, un infarto in fase iniziale può non dare alterazioni evidenti all’ECG, ma questo non esclude la presenza di un danno ischemico in corso.
Anche la mancata richiesta di esami ematochimici adeguati, come il dosaggio della troponina, può ritardare la diagnosi. Se il medico non sospetta un infarto e non richiede tempestivamente i marcatori cardiaci, il paziente rischia di essere dimesso o trattato per una patologia diversa, con conseguenze potenzialmente fatali nelle ore successive.
Un errore critico è anche la scarsa considerazione dei fattori di rischio cardiovascolari, come ipertensione, fumo, diabete, ipercolesterolemia o familiarità. Se il paziente presenta sintomi vaghi ma ha un profilo ad alto rischio, la soglia di sospetto clinico dovrebbe essere bassa: ignorare questo dato significa esporsi a gravi omissioni diagnostiche.
In ambito di pronto soccorso, si registra talvolta un errore nella priorità di accesso: pazienti che riferiscono sintomi toracici ma appaiono clinicamente “stabili” possono essere classificati con codici di bassa urgenza, perdendo tempo prezioso. Ogni minuto perso in queste situazioni può tradursi in una percentuale maggiore di miocardio danneggiato.
Infine, non va sottovalutata la mancata rivalutazione del paziente nel tempo. Un paziente può presentarsi in pronto soccorso con sintomi lievi e un ECG normale, ma peggiorare nelle ore successive. Se non viene tenuto in osservazione o rivalutato periodicamente, si può perdere il momento critico in cui l’infarto si manifesta in modo conclamato.
In sintesi, la mancata diagnosi di infarto è spesso il frutto di una combinazione di superficialità, sottovalutazione clinica e scarsa attenzione ai segnali precoci. Per evitarla, è fondamentale mantenere un alto indice di sospetto, conoscere la varietà delle manifestazioni cliniche e rispettare i protocolli diagnostici. Quando si parla di infarto, ogni errore può costare caro — e ogni minuto può fare la differenza tra la vita e la morte.
Quando si configura la responsabilità medica per mancata diagnosi di infarto?
La responsabilità medica per mancata diagnosi di infarto si configura quando il ritardo o l’omissione nell’identificazione della sindrome coronarica acuta comporta un danno grave o la morte del paziente, danno che poteva essere evitato con una diagnosi tempestiva e un intervento adeguato. L’infarto miocardico acuto è una delle emergenze cardiologiche più comuni e pericolose, e la rapidità della diagnosi è spesso decisiva per la sopravvivenza.
Uno degli scenari più critici si verifica nei Pronto Soccorso, dove pazienti con dolore toracico vengono talvolta dimessi con diagnosi errate, come gastrite, cervicalgia o attacco d’ansia, senza un adeguato approfondimento diagnostico. Se il medico omette di eseguire un ECG, di rilevare gli enzimi cardiaci o di consultare un cardiologo in presenza di sintomi sospetti, si può parlare di negligenza grave. La mancata valutazione di segnali atipici, soprattutto nei pazienti giovani, donne e diabetici, aumenta il rischio di errore.
Anche nei reparti di medicina generale o nei consulti ambulatoriali si può configurare una responsabilità se il medico non riconosce i sintomi prodromici, come affaticamento anomalo, dolore alla mandibola o dispnea improvvisa, che possono essere sottovalutati o attribuiti ad altre cause. La responsabilità si aggrava quando esistono fattori di rischio cardiovascolare noti, come ipertensione, ipercolesterolemia, fumo, obesità o familiarità per patologie cardiache.
Un altro ambito critico riguarda la gestione degli esami strumentali. Un ECG letto con superficialità, un referto troponinico ignorato o ritardato, o una mancata attivazione della rete per l’infarto STEMI (con trasporto urgente in emodinamica), rappresentano omissioni che possono aggravare il quadro clinico o condurre al decesso del paziente. In questi casi, l’errore può essere attribuito a più soggetti, dal medico di guardia al personale infermieristico, fino alla struttura sanitaria stessa.
Il nesso causale tra la mancata diagnosi e il danno subito è l’elemento centrale nei giudizi di responsabilità. Va dimostrato che una diagnosi corretta e tempestiva avrebbe potuto cambiare l’esito clinico, evitando l’infarto o riducendo i danni a carico del muscolo cardiaco. La legge italiana consente di accertare anche la cosiddetta “perdita di chance”, ovvero la diminuzione delle probabilità di guarigione o di sopravvivenza, che è giuridicamente risarcibile.
In sede giudiziaria, la consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è determinante per stabilire se il comportamento del medico è stato conforme alle linee guida cardiologiche e se la condotta sia stata tempestiva, prudente e diligente. Linee guida della Società Europea di Cardiologia e della Società Italiana di Cardiologia costituiscono oggi parametri fondamentali per valutare la correttezza dell’iter diagnostico e terapeutico.
Il risarcimento può includere il danno biologico, il danno morale e, nei casi più gravi, anche quello esistenziale e patrimoniale. Se il paziente decede a causa della mancata diagnosi, anche i familiari possono avanzare richiesta di risarcimento per il danno da perdita del rapporto parentale.
Per ridurre il rischio di responsabilità medica nella diagnosi di infarto, è essenziale che i sanitari adottino un approccio sistematico e prudente: triage accurato, esecuzione tempestiva di ECG ed esami ematici, consulto con il cardiologo e attivazione delle procedure di emergenza. La formazione continua, l’aderenza ai protocolli e l’impiego della tecnologia diagnostica più aggiornata rappresentano strumenti indispensabili per garantire la sicurezza del paziente. Solo attraverso un sistema attento, reattivo e multidisciplinare si può prevenire l’omissione diagnostica più temuta in ambito cardiologico.
Chi ha diritto al risarcimento e quali danni possono essere risarciti?
Possono chiedere il risarcimento:
- Il paziente sopravvissuto con danni permanenti (es. insufficienza cardiaca, invalidità, ridotta capacità lavorativa);
- I familiari del paziente deceduto, in caso di decesso conseguente alla mancata diagnosi.
I danni risarcibili comprendono:
- Danno biologico: lesioni fisiche permanenti o temporanee;
- Danno morale: sofferenza e trauma psicologico;
- Danno esistenziale: peggioramento della qualità della vita;
- Danno patrimoniale: perdita della capacità lavorativa, spese mediche, assistenza a lungo termine;
- Danno da perdita parentale, in caso di morte, per i congiunti.
Quali leggi regolano il risarcimento per mancata diagnosi di infarto?
La normativa italiana prevede diverse fonti a tutela del paziente:
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017): disciplina la responsabilità professionale del medico e delle strutture sanitarie;
- Articolo 2043 del Codice Civile: tutela il diritto al risarcimento per danno ingiusto;
- Articolo 1218 del Codice Civile: responsabilità contrattuale in ambito medico;
- Articolo 590 e 589 del Codice Penale: lesioni personali colpose e omicidio colposo;
- Linee guida e buone pratiche cliniche, validate da società scientifiche e Ministero della Salute.
Esempi di risarcimenti ottenuti per mancata diagnosi di infarto
- Caso di paziente di 52 anni dimesso dal pronto soccorso con diagnosi errata di “gastrite acuta”. Deceduto il giorno dopo per infarto.
Risarcimento ai familiari: 720.000 euro. - Caso di donna di 60 anni con dolore toracico sottovalutato, poi operata in urgenza con esiti invalidanti (frazione di eiezione al 30%).
Risarcimento: 460.000 euro. - Caso di mancato riconoscimento di infarto silente in diabetico iperteso, poi colpito da arresto cardiaco.
Risarcimento alla moglie e ai figli: 650.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
La mancata diagnosi di infarto è un caso grave di malasanità che richiede competenza legale, medico-legale e cardiologica. Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, in collaborazione con specialisti di medicina legale e cardiologi esperti in responsabilità sanitaria, offrono un servizio completo per:
- Valutare la cartella clinica e individuare le omissioni diagnostiche;
- Redigere una perizia medico-legale che dimostri il nesso tra errore e danno;
- Avviare la procedura stragiudiziale o giudiziale per ottenere il giusto risarcimento;
- Difendere i familiari della vittima, nei casi di decesso.
Conclusioni: quando l’errore costa la vita, la giustizia è un diritto
L’infarto è un’emergenza medica. Non diagnosticarlo significa negare al paziente l’unica possibilità di salvarsi. Se tu o un tuo caro siete stati vittime di una diagnosi mancata o tardiva, non rimanere in silenzio.
Agire tempestivamente è fondamentale: i termini per fare causa sono limitati e richiedono prove solide. Non aspettare che il tempo cancelli la possibilità di ottenere giustizia.
Contatta oggi stesso gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità per una valutazione gratuita e riservata del tuo caso. La tua salute e i tuoi diritti meritano tutela.