La leucemia è un tumore del sangue che colpisce il midollo osseo e le cellule ematopoietiche. Esistono diverse forme (acuta, cronica, linfoblastica, mieloide) con sintomi iniziali spesso sfumati e facilmente confondibili con patologie comuni come influenze, anemie o affaticamento cronico. Tuttavia, proprio per questa complessità, è essenziale che i medici riconoscano i segnali d’allarme e prescrivano tempestivamente esami ematici specifici.
Un errore nella diagnosi o un ritardo nell’invio allo specialista ematologo può comportare il rapido aggravarsi della malattia, con riduzione drastica delle possibilità di cura. Quando ciò accade a causa di negligenza, imperizia o imprudenza medica, il paziente ha diritto a ottenere un risarcimento per i danni subiti.

In questo articolo analizzeremo le cause principali della mancata diagnosi della leucemia, le normative aggiornate al 2025, i dati epidemiologici, i casi risarciti e il ruolo fondamentale degli avvocati esperti in malasanità oncologica per tutelare i diritti dei pazienti.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi della leucemia da parte di un medico?
La leucemia è una malattia del sangue che può colpire improvvisamente o svilupparsi lentamente, silenziosamente. Esistono diversi tipi — acuta o cronica, mieloide o linfoblastica — e ciascuna ha caratteristiche diverse. Tuttavia, c’è un dato comune che riguarda molti casi: la diagnosi, spesso, arriva tardi. Non sempre per colpa del paziente. Non sempre per colpa della malattia. Ma talvolta anche per colpa del medico, che non coglie in tempo i segnali, non collega i sintomi, non approfondisce quando dovrebbe. La mancata diagnosi di leucemia da parte del medico è un problema reale e più diffuso di quanto si creda. E le cause sono molteplici.
Uno dei motivi più frequenti è la banalizzazione dei sintomi iniziali, che sono generici, comuni e facilmente attribuibili ad altre condizioni. Il paziente si presenta con stanchezza persistente, pallore, perdita di peso, sudorazioni notturne, piccoli ematomi sulla pelle, febbricola, infezioni ricorrenti. Il medico, di fronte a questi sintomi, può pensare a una banale influenza, a uno stress da lavoro, a un calo di ferro, a un disturbo virale passeggero. E così prescrive qualche vitamina, qualche antinfiammatorio, forse un po’ di riposo. Ma il problema non passa. Anzi, peggiora. E ogni settimana che passa, la malattia avanza, indisturbata.
Un altro elemento è la mancata richiesta di esami del sangue completi al primo consulto. Spesso si limita la prescrizione a pochi parametri: emocromo, magari VES e PCR. Ma in molti casi, nemmeno l’emocromo viene valutato nel dettaglio. I globuli bianchi possono essere leggermente alterati, le piastrine un po’ basse, l’emoglobina sotto la norma. Ma se i valori non sono “drammatici”, il medico tende a rimandare, a consigliare di ripetere l’esame tra un mese. Invece proprio quei valori lievemente fuori norma possono essere i primi campanelli d’allarme della leucemia. Un emocromo anomalo, soprattutto se associato a sintomi clinici, dovrebbe essere seguito da esami più approfonditi: striscio periferico, dosaggio della LDH, eventuale aspirato midollare.
C’è poi la questione della visione frammentata del paziente. In un sistema sanitario dove si va di corsa, dove si lavora spesso “a compartimenti stagni”, può succedere che il medico di base non veda l’evoluzione complessiva del quadro clinico. Il paziente va una volta per la stanchezza. Un’altra per una gengivite. Un’altra ancora per dolori ossei. Ogni sintomo viene trattato come evento a sé stante. Ma è proprio la somma dei piccoli disturbi che dovrebbe far scattare il sospetto. Se manca una visione globale, se non si collega tutto in un quadro clinico coerente, la diagnosi rischia di slittare.
Un errore frequente è anche la sottovalutazione dell’anemia. L’emoglobina bassa, soprattutto nelle donne, viene spesso attribuita a cicli mestruali abbondanti, a carenze alimentari, a stress. Eppure, un’anemia improvvisa, in un adulto precedentemente sano, è sempre un segnale da non ignorare. Anche quando si pensa a una carenza di ferro, il medico dovrebbe chiedersi: perché si è sviluppata? Cosa c’è dietro? Se si limita a prescrivere integratori, senza indagare le cause, può ritardare la diagnosi anche di mesi.
Un altro problema è la tendenza a rassicurare troppo in fretta, soprattutto in pazienti giovani. Se un trentenne lamenta stanchezza o malessere generale, il medico può pensare che sia ansia, superlavoro, mancanza di sonno. Anche quando il paziente insiste nel dire che “non si sente normale”, che “ha qualcosa che non va”, può essere liquidato con una frase come “è tutto nella tua testa” o “sei solo stanco”. Questo atteggiamento rischia di zittire segnali importanti, e porta il paziente a sentirsi ignorato, a rimandare ulteriori consulti, a perdere fiducia.
Alcuni tipi di leucemia, come quelle croniche, progrediscono lentamente e non danno sintomi evidenti per mesi o anni. In questi casi, l’unico segno può essere un emocromo alterato. Se il medico non è abituato a leggere l’emocromo nel dettaglio, può ignorare un aumento progressivo dei globuli bianchi o un andamento anomalo dei linfociti. Altri ancora si affidano troppo al valore di riferimento del laboratorio, senza considerare che un valore “normale” può essere sospetto se ha subito una variazione significativa rispetto ai mesi precedenti.
C’è poi la scarsa familiarità con i segni ematologici specifici. Se il medico non ha una formazione approfondita in ematologia, può non riconoscere l’importanza di una pancitopenia (cioè la riduzione contemporanea di globuli rossi, bianchi e piastrine), o può pensare che una leucocitosi (aumento dei globuli bianchi) sia solo dovuta a un’infezione virale. Ma i segni della leucemia sono scritti nel sangue, spesso prima ancora che nel corpo. Basta saperli leggere.
Anche il sistema sanitario nel suo complesso può contribuire al ritardo. Il medico di base può voler approfondire, ma deve confrontarsi con liste d’attesa per una visita ematologica di tre mesi. Oppure chiede una consulenza ospedaliera urgente, ma non riceve risposta. O ancora, riceve un referto dubbio, ma non ha accesso diretto a un centro specialistico. Tutto questo crea una spirale di rallentamenti, rimpalli, confusione. E intanto, la malattia continua ad avanzare.
In certi casi, c’è anche un problema di comunicazione medico-paziente. Il medico non spiega chiaramente perché vuole fare altri esami. Il paziente non comprende la gravità della situazione. O, al contrario, il medico sottovaluta ciò che il paziente racconta, lo interrompe, non ascolta a fondo. Ma il corpo parla. E chi lo vive ogni giorno lo sente cambiare. Se il paziente dice “mi sento diverso”, bisogna credergli. Bisogna fidarsi di quell’intuizione. Perché nessun esame sostituisce l’ascolto.
Anche la routine e la pressione sul medico giocano un ruolo. In ambulatori sovraffollati, con tempi stretti e pazienti impazienti, è difficile fermarsi, riflettere, collegare i sintomi. Si tende a gestire tutto in modo rapido, quasi industriale. Ma la leucemia non si presenta con l’etichetta. Non si annuncia. Non urla. Si insinua piano. E richiede occhi attenti, mente lucida, capacità di osservazione clinica che vada oltre il sintomo più evidente.
La leucemia, se riconosciuta in tempo, si può curare. Esistono terapie mirate, trapianti, immunoterapie, farmaci che hanno cambiato la storia naturale della malattia. Ma per farle funzionare, serve prima di tutto una diagnosi precoce. Una diagnosi che parte dall’attenzione, dalla curiosità clinica, dalla capacità del medico di non fermarsi alla prima impressione. Ogni sintomo che dura troppo, ogni esame che non convince, ogni paziente che dice “non mi sento come prima” merita uno sguardo in più.
Ogni leucemia diagnosticata tardi è una battaglia più dura. Ogni dubbio non ascoltato è una porta chiusa. Ogni esame rimandato è un tempo prezioso che si perde. Ma ogni medico che osserva, ascolta, approfondisce con serietà, è una speranza in più per una diagnosi salvavita. E quella speranza, in molti casi, fa tutta la differenza.
Quanto è diffusa la diagnosi tardiva della leucemia?
Secondo i dati AIOM e AIL, nel 2024 in Italia sono stati diagnosticati oltre 8.700 nuovi casi di leucemia. Circa il 20-25% dei pazienti, secondo studi recenti, riceve una diagnosi in ritardo, quando la malattia è già in fase avanzata. Questo avviene soprattutto nei casi di leucemia mieloide acuta e leucemia linfoblastica acuta, dove il decorso può essere estremamente rapido.
La diagnosi precoce è fondamentale per accedere tempestivamente a trattamenti salvavita come chemioterapia, trapianto di midollo osseo o terapie biologiche innovative.
Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata di leucemia?
La responsabilità medica per diagnosi mancata di leucemia si configura quando il medico omette di riconoscere in tempo utile i segnali clinici, laboratoristici o strumentali che, secondo le conoscenze mediche disponibili, avrebbero dovuto orientarlo verso un sospetto ematologico, e questa omissione ha causato un danno concreto alla salute del paziente. La leucemia, in molte delle sue forme, può esordire con sintomi comuni, vaghi, talvolta sfumati, ma è proprio in questo contesto che la diligenza professionale fa la differenza. Quando il medico sottovaluta una condizione persistente di stanchezza, pallore, febbre, ematomi spontanei, infezioni ricorrenti o ingrossamento dei linfonodi senza attivare gli opportuni approfondimenti, il rischio di diagnosi tardiva aumenta sensibilmente.
I primi segni di leucemia, spesso presenti già nelle analisi del sangue, non possono essere ignorati. Una conta dei globuli bianchi alterata, una piastrinopenia inspiegabile, un’emoglobina persistentemente bassa o una VES elevata richiedono un approfondimento urgente, anche in pazienti giovani. Quando il medico, nonostante queste anomalie, si limita a trattare sintomaticamente con integratori, antibiotici o farmaci antinfiammatori, senza interrogarsi sulla causa sottostante, viene meno all’obbligo di attivare un percorso diagnostico adeguato.
La responsabilità si aggrava quando, in presenza di referti già indicativi, il medico non indirizza il paziente a una visita ematologica o a una consulenza specialistica. La leucemia può evolvere rapidamente. Ritardare di settimane o mesi l’invio a un centro ematologico può significare la differenza tra una terapia efficace e una condizione ormai compromessa. La mancata diagnosi in tempo utile riduce le possibilità di remissione, può compromettere la risposta alla chemioterapia e aumentare il rischio di complicanze infettive o emorragiche.
Anche l’errata interpretazione delle analisi rappresenta una fonte di responsabilità. Il medico che non riconosce l’importanza di un incremento dei linfociti atipici o che interpreta la leucopenia come un effetto collaterale transitorio di un farmaco, senza verificarne l’andamento nel tempo, espone il paziente a un rischio gravissimo. In molte vicende cliniche esaminate in sede giudiziaria, si riscontra una documentazione laboratoristica già fortemente sospetta, ma ignorata o non comunicata correttamente al paziente. In altri casi, i referti vengono consegnati senza alcun commento, rinviando a controlli generici o a nuovi esami che non arrivano mai.
La diagnosi mancata di leucemia non è quasi mai legata all’assenza di strumenti, ma alla mancanza di attenzione. Gli esami necessari sono spesso di base: emocromo, striscio periferico, VES, LDH, funzionalità epatica e renale. In presenza di dati alterati, un medico attento deve avviare senza indugio una valutazione ematologica con aspirato midollare, indispensabile per la conferma diagnostica. Quando tutto questo viene omesso, per negligenza, superficialità o sottovalutazione, la responsabilità professionale è pienamente configurabile.
Il danno non è soltanto clinico, ma anche esistenziale. Un paziente che avrebbe potuto iniziare un trattamento in fase precoce, con alte probabilità di remissione, si ritrova invece ad affrontare una malattia in stadio avanzato, con sintomi più gravi, ricoveri urgenti e minori possibilità terapeutiche. La giurisprudenza, in questi casi, riconosce non solo il danno biologico, ma anche la perdita di chance, ossia la concreta possibilità di migliorare la prognosi, rallentare la malattia o evitare complicanze. Anche se non si può provare con certezza che il paziente si sarebbe salvato, è sufficiente dimostrare che la diagnosi precoce avrebbe dato una reale opportunità.
Il medico di medicina generale ha un ruolo fondamentale. È lui il primo a ricevere il paziente che lamenta sintomi persistenti. Quando i disturbi vengono sistematicamente minimizzati o trattati in modo sintomatico per mesi, senza mai indagare in chiave ematologica, la responsabilità si estende anche all’intero sistema di presa in carico. In molte storie cliniche, i pazienti raccontano di aver consultato più volte il proprio medico senza mai ricevere l’indicazione per un emocromo, o ricevendola solo dopo insistenze o peggioramenti evidenti. Questa distanza tra il sintomo e l’azione rappresenta un vuoto di tutela che la legge non può tollerare.
Anche le strutture sanitarie rispondono quando la diagnosi mancata deriva da un difetto organizzativo. Referti mai letti, richieste di visita specialistica ignorate, appuntamenti rimandati oltre ogni soglia di sicurezza, errori nella comunicazione interna tra medici e reparti. Se il paziente ha eseguito gli esami in tempi congrui ma nessuno ha dato seguito agli esiti, o se è stato dimesso da un pronto soccorso senza valutazione ematologica nonostante sintomi sospetti, la responsabilità può estendersi alla direzione sanitaria.
Non c’è bisogno di eventi eclatanti per parlare di errore: basta un’omissione silenziosa, un valore fuori norma ignorato, una visita mai richiesta. In medicina, il tempo è un fattore clinico. Nella leucemia, il tempo è anche vita. Ogni giorno di ritardo può portare il paziente più vicino alla fase acuta, più lontano dalla risposta terapeutica, più esposto al rischio di infezioni fatali o crisi emorragiche.
Le consulenze medico-legali sono decisive per stabilire se il comportamento del medico sia stato conforme agli standard di diligenza richiesti. Il consulente esamina la sequenza temporale degli eventi, i valori degli esami, i referti disponibili e il comportamento adottato. Se riscontra che un altro medico, nella stessa situazione, avrebbe dovuto sospettare la leucemia, avviare accertamenti e indirizzare il paziente agli specialisti, allora la colpa sanitaria è evidente.
La leucemia, oggi, è una malattia in molti casi curabile. Ma per essere curata, deve essere riconosciuta. Quando un medico non vede ciò che era già scritto in un emocromo, quando non ascolta un sintomo che torna ogni settimana, quando non collega la febbre inspiegabile a un quadro ematologico alterato, allora l’errore non è solo clinico: è una violazione del dovere più elementare della professione, quello di proteggere la vita umana da ciò che si può ancora fermare.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017): disciplina la responsabilità civile, penale e amministrativa del personale sanitario;
- Art. 2043 Codice Civile: stabilisce l’obbligo di risarcimento per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 Codice Civile: regola la responsabilità per colpa grave del professionista in attività complesse;
- Art. 590 e 589 Codice Penale: prevedono la punibilità per lesioni o omicidio colposo in caso di errore medico.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Giovane paziente con sintomi sottovalutati per mesi, deceduto dopo diagnosi tardiva di leucemia acuta: risarcimento agli eredi di 1.200.000 euro;
- Donna di 50 anni con emocromo alterato ignorato per 6 mesi: risarcimento di 950.000 euro;
- Ritardo di oltre un anno nella diagnosi di leucemia mieloide cronica, progredita in forma acuta: risarcimento di 870.000 euro;
- Biopsia midollare non effettuata nonostante forte sospetto clinico: risarcimento di 790.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
In caso di leucemia non diagnosticata in tempo o diagnosticata in fase avanzata a causa di errori medici, è fondamentale:
- Contattare un avvocato esperto in malasanità oncologica, in grado di ricostruire l’intero iter clinico e individuare eventuali profili di responsabilità;
- Richiedere una perizia medico-legale ematologica, per stabilire se vi è stato un nesso causale tra ritardo e danno;
- Raccogliere tutta la documentazione sanitaria (esami, referti, cartelle cliniche, lettere di dimissione);
- Procedere con un’azione legale civile e, nei casi più gravi, anche penale.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano insieme a medici legali specializzati in ematologia per offrire una tutela efficace, rapida e orientata al risultato. L’obiettivo è sempre quello di garantire giustizia al paziente o ai suoi familiari.
Conclusione
La leucemia, se individuata precocemente, può essere curata con buoni risultati. Ma un errore diagnostico può compromettere la possibilità di salvezza, esporre a terapie più invasive o causare il decesso prematuro del paziente. Quando ciò accade per colpa medica, la legge riconosce il diritto al risarcimento.
Affidarsi a professionisti seri è il primo passo per ottenere giustizia. La malattia non si può cancellare, ma un errore può e deve essere riconosciuto. Se sospetti che la diagnosi della leucemia sia arrivata in ritardo, agisci subito: tutelare la tua salute è un tuo diritto.
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