Ictus Ischemico Non Diagnosticato E Risarcimento Danni

L’ictus ischemico è una patologia neurologica grave e tempo-dipendente: si verifica quando un coagulo o un’ostruzione impedisce il flusso di sangue a una parte del cervello, provocando la morte dei tessuti cerebrali. Riconoscerlo e intervenire entro le prime ore è essenziale per limitare i danni e, in molti casi, salvare la vita del paziente.

Esistono protocolli internazionali e linee guida precise per la diagnosi rapida e l’accesso immediato alla trombolisi o trombectomia, ma se i sintomi vengono trascurati, scambiati per ansia, ipoglicemia, labirintite o attacco transitorio, il trattamento può arrivare troppo tardi. In questi casi, se il mancato intervento tempestivo è causato da errore medico, il paziente – o i familiari in caso di decesso o grave disabilità – hanno diritto a un risarcimento danni.

In questo articolo analizzeremo le cause più frequenti della mancata diagnosi dell’ictus ischemico, le normative aggiornate al 2025, i dati clinici, i casi reali di risarcimento e le strategie per ottenere giustizia legale.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di ictus ischemico da parte di un medico?

L’ictus ischemico è una delle emergenze neurologiche più gravi e più frequenti, responsabile di invalidità permanenti e, in moltissimi casi, di decesso. Si verifica quando un coagulo di sangue o una placca blocca il flusso sanguigno in un’area del cervello, privandola dell’ossigeno necessario. Ma non sempre si presenta in modo eclatante. Non sempre arriva con una paralisi evidente o una perdita di coscienza. A volte i sintomi sono sottili, transitori, strani. E in questi casi, anche il medico può sbagliare. Perché se l’ictus è difficile da riconoscere nei pazienti, è ancora più difficile da riconoscere in tempo.

Una delle cause principali della mancata diagnosi è la varietà e l’ambiguità dei sintomi neurologici. Un ictus non è solo una faccia storta o un braccio che non si muove. Può iniziare con una vertigine improvvisa, una difficoltà a parlare, un senso di confusione, una perdita dell’equilibrio, un offuscamento della vista, un formicolio a una parte del corpo. Se il sintomo è isolato, o se scompare dopo pochi minuti, viene spesso sottovalutato. Soprattutto nei giovani o nei pazienti senza fattori di rischio evidenti, il medico può attribuirlo allo stress, a un calo di pressione, a una crisi d’ansia. Ma l’ictus ischemico non colpisce solo gli anziani o i cardiopatici: può verificarsi anche in soggetti sani, senza preavviso.

Una delle insidie più grandi è rappresentata dagli ictus a esordio atipico. Se il paziente non ha la classica emiparesi o la perdita del linguaggio, ma manifesta sintomi più subdoli, come una perdita improvvisa della coordinazione, un’alterazione dell’attenzione o un senso di disorientamento, è facile che venga erroneamente valutato come un caso psichiatrico, metabolico o posturale. In molti pronto soccorso, i pazienti che arrivano confusi ma senza deficit motori vengono inseriti in percorsi secondari, non neurologici. E se non viene fatta subito una TAC o una risonanza, si perde la finestra temporale per intervenire.

Un altro errore frequente è la confusione tra TIA (attacco ischemico transitorio) e altre condizioni non ischemiche. Il TIA è un campanello d’allarme potentissimo: è un episodio ischemico reversibile, in cui i sintomi durano pochi minuti o al massimo un’ora, per poi regredire completamente. Ma non per questo va trascurato. Se il medico non lo riconosce come un evento ischemico cerebrale, non avvia gli esami giusti, non chiede un’eco TSA, una risonanza o una consulenza neurologica urgente, perderà l’occasione di prevenire un ictus vero e proprio, che potrebbe arrivare nei giorni successivi.

Anche il tempo è un nemico. I sintomi dell’ictus ischemico devono essere riconosciuti e trattati entro poche ore. Se il paziente arriva in ritardo, il medico può sentirsi con le mani legate. Ma troppo spesso è proprio il medico di prima linea a far perdere tempo, scegliendo un approccio attendista, prescrivendo esami ambulatoriali, o non allertando subito il neurologo. Quando la diagnosi arriva, la finestra terapeutica si è già chiusa. E il cervello, nel frattempo, ha già perso cellule che non torneranno più.

C’è poi la questione degli ictus “silenti” o “minori”, che provocano sintomi sfumati e temporanei. Una mano che si addormenta per dieci minuti. Una parola mancata. Un piccolo squilibrio. Se il paziente non insiste, se il medico non ascolta a fondo, il sintomo viene archiviato. Ma a volte quello è l’unico segnale che il cervello sta soffrendo. La mancata attenzione a questi episodi minimi può fare la differenza tra un intervento precoce e un danno irreversibile.

Anche l’eccessivo affidamento su esami diagnostici normali nelle fasi iniziali può trarre in inganno. Una TAC cerebrale eseguita nelle prime ore può non mostrare lesioni visibili, soprattutto nei casi di ischemia cerebrale lieve o profonda. Se il medico si ferma alla TAC normale e conclude che “non c’è niente”, senza proseguire con una risonanza encefalo o senza valutare il quadro clinico nel suo insieme, commette un errore potenzialmente fatale. L’ictus è una diagnosi clinica prima ancora che radiologica.

Un’altra causa della mancata diagnosi è legata alla mancanza di cultura neurologica diffusa tra i medici non specialisti. La formazione in neurologia, in molti percorsi universitari, è ridotta a poche lezioni. Nella pratica ambulatoriale, non sempre si ha la capacità o la confidenza per valutare i riflessi, i movimenti oculari, la simmetria del viso o la forza muscolare con sistematicità. Così, capita che un paziente venga dimesso con la dicitura “tutto nella norma”, anche quando un esame neurologico attento avrebbe rilevato qualcosa di anomalo. Un semplice test della marcia o un’esplorazione dei nervi cranici, se eseguiti bene, possono cambiare la diagnosi.

Ci sono poi gli errori dovuti a pregiudizi sull’età o sul profilo clinico del paziente. Se una donna di 35 anni accusa vertigini e nausea, è più probabile che venga inviata dal ginecologo o dal gastroenterologo, piuttosto che dal neurologo. Se un uomo con diabete accusa confusione mentale, si pensa subito a un’ipoglicemia. Se il paziente ha una storia psichiatrica, si attribuisce tutto a un disturbo dell’umore. Ma il cervello non si cura dei nostri pregiudizi: se va in sofferenza, parla. E bisogna saperlo ascoltare, anche se la voce non è quella che ci aspettiamo.

Una parte di responsabilità può anche dipendere dal sistema organizzativo. Non tutti i pronto soccorso sono dotati di neurologi H24. In alcune strutture, la risonanza non è disponibile in urgenza. In altre, non esistono percorsi rapidi per l’analisi doppler o per l’inizio della trombolisi. I medici, allora, fanno quello che possono con ciò che hanno. Ma se il sistema non li supporta, anche il medico più attento rischia di perdere la possibilità di salvare il cervello di un paziente.

Infine, esiste un’altra causa più sottile: la paura di sbagliare in eccesso. Ordinare una risonanza d’urgenza, chiedere una consulenza neurologica, somministrare trombolitici: tutto questo comporta rischi, costi, responsabilità. Alcuni medici, soprattutto se non pienamente sicuri, preferiscono evitare, temporeggiare, rimandare. Ma con l’ictus ischemico il tempo è cervello. E ogni minuto di esitazione può tradursi in milioni di neuroni persi.

L’ictus ischemico si può curare. Si può prevenire. Si può contenere. Ma solo se viene riconosciuto subito. Ogni episodio di linguaggio confuso, ogni alterazione improvvisa della sensibilità, ogni segno neurologico anche minimo deve essere considerato un’emergenza finché non venga escluso un evento ischemico. Non bisogna aspettare che il paziente cada a terra. Basta che dica una parola sbagliata. Basta che cammini strano. Basta che dica “mi sento strano”. E lì, il medico deve agire. Non domani. Subito.

Ogni ictus non diagnosticato in tempo è un’occasione persa per salvare il cervello. Ogni paziente non ascoltato è un rischio che non si può permettere. Ogni errore di valutazione è un danno che resta. Ma ogni sospetto preso sul serio, ogni TAC richiesta con urgenza, ogni decisione tempestiva è una vita restituita. Una voce che torna a parlare. Un braccio che torna a muoversi. Un sorriso che torna simmetrico. La medicina è anche questo: saper cogliere l’attimo prima che sia troppo tardi. Con l’ictus ischemico, quell’attimo fa tutta la differenza.

Quanto è importante una diagnosi tempestiva?

Nel caso di ictus ischemico, ogni minuto conta. Si stima che per ogni minuto in cui il cervello resta privo di ossigeno, vengano perse circa 1,9 milioni di cellule neuronali. Il trattamento tempestivo può:

  • Ripristinare il flusso sanguigno (trombolisi);
  • Rimuovere fisicamente il trombo (trombectomia);
  • Prevenire danni cerebrali permanenti;
  • Ridurre o azzerare la disabilità residua;
  • Salvare la vita del paziente.

Un errore diagnostico o un ritardo nei soccorsi può quindi trasformare un episodio reversibile in disabilità neurologica grave o morte.

Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata di ictus ischemico da parte di un medico?

La responsabilità medica per diagnosi mancata di ictus ischemico si configura quando il medico, trovandosi di fronte a sintomi compatibili con un evento cerebrovascolare acuto, non attiva tempestivamente il percorso diagnostico- terapeutico necessario, determinando un ritardo che compromette la salute del paziente in modo grave, permanente o addirittura irreversibile. L’ictus ischemico rappresenta un’emergenza tempo-dipendente: ogni minuto perso equivale alla morte di milioni di neuroni. Di conseguenza, la mancata diagnosi nelle prime ore si traduce non solo in un danno biologico, ma in una responsabilità clinica e giuridica.

I sintomi iniziali sono noti, studiati, ampiamente divulgati: improvvisa perdita di forza a un lato del corpo, difficoltà a parlare, alterazione della vista, deviazione della bocca, instabilità motoria, confusione mentale, mal di testa violento e improvviso. Non sono segnali rari, né ambigui. Il medico che li sottovaluta o li interpreta come ansia, labirintite, crisi ipoglicemica o cefalea tensiva senza procedere immediatamente con una valutazione neurologica, commette un errore diagnostico potenzialmente devastante.

Uno dei comportamenti colposi più frequenti è il mancato invio del paziente in pronto soccorso con codice di massima priorità. Quando il quadro clinico lascia anche solo intuire la possibilità di un evento ischemico cerebrale in atto, il medico – sia esso di base, della guardia medica o del triage – deve immediatamente attivare la procedura per il sospetto ictus, con segnalazione al centro stroke più vicino. Ogni ora di attesa riduce drasticamente la possibilità di somministrare la trombolisi sistemica o di eseguire una trombectomia meccanica. Quando la finestra temporale viene superata per negligenza, la responsabilità medica è pienamente configurabile.

Altro errore grave è quello di effettuare una visita sommaria. Se il medico non esegue prove motorie, non valuta il linguaggio, non chiede di sorridere, sollevare le braccia o camminare, rinuncia a raccogliere indizi fondamentali. Nei casi documentati, non è raro che il paziente venga mandato a casa con una prescrizione ansiolitica, mentre in realtà è in corso un attacco ischemico transitorio, un TIA, che prelude a un ictus vero e proprio. Il TIA è l’occasione mancata per prevenire il danno: se ignorato, il passaggio verso l’evento maggiore è solo questione di ore o giorni.

La mancata prescrizione immediata di una TAC encefalo senza contrasto, o la sua esecuzione tardiva, è uno degli snodi più ricorrenti nelle azioni per responsabilità medica. La TAC, nelle primissime fasi, può essere normale, ma serve a escludere un’emorragia cerebrale e a confermare l’indicazione alla trombolisi. Anche quando il referto è apparentemente negativo, la decisione clinica deve essere guidata dalla presentazione neurologica e dai parametri vitali. Il medico che attende il risultato senza valutare l’idoneità alla terapia o che banalizza un quadro neurologico in evoluzione, interrompe di fatto il percorso salva-vita.

Esiste una responsabilità anche per omesso monitoraggio. Se il paziente viene ricoverato con sospetto ictus e non viene costantemente sorvegliato per l’evoluzione dei sintomi, la diagnosi può arrivare troppo tardi, quando ormai il quadro è esteso e irreversibile. In queste situazioni, il problema non è tanto l’errore iniziale, ma la cecità clinica successiva. L’ictus può iniziare in modo sfumato e peggiorare in poche ore. Quando un peggioramento neurologico non viene notato, o viene considerato normale, la responsabilità coinvolge tutto il team assistenziale.

Anche il medico di base può essere chiamato a rispondere, se non riconosce segnali precoci riferiti dal paziente nei giorni precedenti: debolezza transitoria, difficoltà di linguaggio, instabilità o visione sdoppiata. Quando questi episodi vengono archiviati come cervicalgie o stress, e il paziente subisce un ictus senza aver mai fatto accertamenti vascolari o neurologici, si configura una responsabilità per mancata prevenzione. Non è accettabile che una persona con fattori di rischio evidenti – ipertensione, fibrillazione atriale, diabete, fumo – venga trascurata davanti a segnali neurologici anche minimi.

La giurisprudenza ha stabilito che il danno da diagnosi mancata di ictus ischemico è risarcibile anche sotto forma di perdita di chance. Non serve provare che il paziente sarebbe guarito, ma basta dimostrare che, con una diagnosi tempestiva, avrebbe avuto migliori possibilità di recupero, minori deficit neurologici o minore invalidità. Nei casi in cui la trombolisi non viene nemmeno considerata, o viene esclusa senza motivazione, il danno può estendersi anche alla dignità della persona, privata della possibilità di essere curata.

Le consulenze tecniche sono fondamentali per ricostruire la catena degli eventi. Il perito valuta l’orario dei sintomi, la documentazione clinica, i referti, la tempistica di accesso, la decisione medica e l’eventuale omissione diagnostica. Anche l’organizzazione della struttura può essere oggetto di indagine: se il medico ha operato in un contesto privo di un protocollo per la gestione dell’ictus, o se il trasferimento al centro specializzato è stato ritardato da mancanze logistiche, la responsabilità si estende all’intero sistema sanitario.

Il paziente colpito da ictus ischemico ha diritto alla tempestività, alla competenza e alla continuità assistenziale. Quando viene lasciato a casa, o fatto attendere su una barella per ore, o visitato in modo superficiale, subisce un danno che va oltre la patologia: viene privato della possibilità di lottare ad armi pari. La legge protegge questo diritto attraverso la responsabilità medica. Non diagnosticare un ictus quando è possibile farlo non è solo un errore clinico: è una colpa che pesa sulla vita intera di chi sopravvive con un danno che poteva essere evitato.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (n. 24/2017): disciplina la responsabilità sanitaria e rafforza la tutela del paziente;
  • Art. 2043 Codice Civile: responsabilità per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile: responsabilità del professionista in ambito tecnico specialistico;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale: lesioni e omicidio colposo per negligenza medica.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente con afasia acuta e ptosi palpebrale dimesso senza TAC: risarcimento di 1.250.000 euro per danno neurologico permanente;
  • Ictus non diagnosticato per 7 ore in PS, mancata trombolisi: risarcimento di 1.000.000 euro;
  • Ritardo nell’esecuzione della risonanza, paziente con paralisi sinistra irreversibile: risarcimento di 950.000 euro;
  • Caso di decesso in giovane età per mancata attivazione codice ictus: risarcimento agli eredi di 1.400.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

In caso di ictus ischemico non diagnosticato o trattato con ritardo, è indispensabile:

  • Rivolgersi a un avvocato esperto in malasanità neurologica, con esperienza specifica nei casi di urgenze cerebrovascolari;
  • Richiedere una perizia medico-legale neurologica, per ricostruire il percorso diagnostico e accertare il nesso causale;
  • Raccogliere tutta la documentazione medica (referti, accessi in PS, cartelle cliniche, tracciati, consulenze);
  • Avviare un’azione civile (o penale, nei casi più gravi) per ottenere il risarcimento del danno subito dal paziente o dalla famiglia.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con neurologi forensi, esperti di stroke unit e medici legali, per offrire una tutela professionale completa, con attenzione alla parte umana oltre che giuridica.

Conclusione

Un ictus ischemico non riconosciuto in tempo può cambiare per sempre la vita di una persona. Se ciò è accaduto per colpa di un errore medico, non è solo un destino sfortunato: è un torto giuridicamente riconoscibile e risarcibile.

Se tu – o un tuo familiare – avete subito un danno neurologico da diagnosi tardiva o omessa, agite subito: tutelare i propri diritti è un dovere verso sé stessi e verso la verità.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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