Tumore Ovarico Non Diagnosticato E Risarcimento Danni

Il tumore ovarico è una delle neoplasie ginecologiche più pericolose per la donna, perché spesso asintomatico o con sintomi sfumati nelle fasi iniziali. Tuttavia, se identificato precocemente, può essere trattato efficacemente con chirurgia e chemioterapia, migliorando significativamente le possibilità di guarigione.

Quando sintomi come gonfiore addominale, dolore pelvico, senso di sazietà precoce, alterazioni del ciclo mestruale o urinario vengono sottovalutati dal medico curante o dallo specialista, e non si procede con gli esami necessari, il tumore può diffondersi rapidamente nell’addome o a distanza, riducendo drasticamente le chance di sopravvivenza.

Se la diagnosi mancata o ritardata è riconducibile a negligenza, imperizia o imprudenza, la paziente – o i suoi familiari – ha diritto a un risarcimento per i danni subiti. In questo articolo esaminiamo le cause più comuni, la legge applicabile, i dati clinici, i casi concreti di risarcimento e le modalità per tutelare i propri diritti in sede legale.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi del tumore ovarico da parte di un medico?

Il tumore ovarico è uno dei tumori femminili più insidiosi e difficili da diagnosticare in fase precoce. Non perché non dia sintomi, ma perché i sintomi che dà sono vaghi, comuni, spesso confusi con disturbi banali, legati al ciclo, alla digestione, alla menopausa o allo stress. Anche i medici, talvolta, non riescono a cogliere per tempo la gravità di certi segnali e finiscono per rassicurare troppo presto o scegliere percorsi diagnostici incompleti. Il risultato è che, in moltissimi casi, la diagnosi di carcinoma ovarico arriva quando la malattia è già avanzata, con metastasi nel peritoneo, ascite, dolore cronico e compromissione dello stato generale. Una malattia che si poteva sospettare prima, ma che non è stata vista nel momento giusto.

Una delle cause principali della mancata diagnosi è l’aspecificità dei sintomi iniziali. Il tumore ovarico non si presenta con un segnale chiaro, come una massa palpabile o una perdita ematica evidente. Piuttosto, si manifesta con gonfiore addominale persistente, senso di pienezza anche dopo pasti leggeri, dolore pelvico intermittente, urgenza o frequenza urinaria, cambiamenti nel transito intestinale, stanchezza. Sintomi che ogni donna ha provato almeno una volta nella vita per cause assolutamente normali. E proprio per questo, vengono sottovalutati. Il medico, davanti a questi disturbi, pensa subito a cause gastrointestinali, funzionali, ormonali o psicosomatiche. Propone un antiacido, una dieta, un integratore, un controllo a distanza. Intanto il tumore cresce.

Un altro errore comune è l’affidamento eccessivo all’ecografia transvaginale. Questo esame, pur essendo uno degli strumenti migliori per visualizzare ovaie e utero, può non rilevare le masse piccole o le lesioni infiltranti. Se l’ecografia è negativa, il medico tende a escludere il tumore. Ma un’ecografia negativa non basta. Se i sintomi persistono, bisogna andare avanti: esami del sangue, marcatori tumorali come il CA-125, TAC addome-pelvi, e talvolta anche una risonanza. Affidarsi a un solo strumento diagnostico è un rischio, soprattutto in presenza di segnali d’allarme non spiegabili.

Una causa frequente è la sovrastima dell’età e della familiarità come fattori discriminanti. È vero che il tumore ovarico colpisce più spesso le donne in postmenopausa e che esiste una predisposizione genetica (mutazioni BRCA1 e BRCA2), ma questo non significa che il tumore non possa manifestarsi in donne giovani o senza familiarità oncologica. Molti medici, se vedono una donna giovane con dolore pelvico e gonfiore, pensano a endometriosi, cisti funzionali o sindrome dell’ovaio policistico. Invece, dovrebbero tenere aperta anche l’ipotesi oncologica, soprattutto se i disturbi non migliorano.

Il linguaggio medico troppo rassicurante è un altro fattore determinante. Frasi come “è solo stress”, “sarà il colon irritabile”, “non c’è nulla di preoccupante” possono spegnere l’attenzione della paziente e rallentare il percorso verso una diagnosi corretta. Una donna che si sente sminuita nei suoi sintomi smette di cercare aiuto, si convince che sta esagerando, che è tutto nella sua testa. Ma il tumore ovarico, proprio perché non dà sintomi eclatanti, ha bisogno di medici che sappiano ascoltare anche i segnali più lievi.

Spesso viene sottovalutata anche l’importanza dell’anamnesi familiare completa. Se una donna ha avuto parenti strette con tumore alla mammella o all’ovaio, dovrebbe essere considerata a rischio e sottoposta a controlli più accurati. Ma nella pratica, molti medici si limitano a chiedere: “Casi di tumori in famiglia?”, senza approfondire quali, in che età, e con quale evoluzione. Senza questa ricostruzione precisa, non si identificano i soggetti ad alto rischio e non si attivano i percorsi di prevenzione mirata.

C’è poi l’errata interpretazione dei marcatori tumorali. Il CA-125 è un esame del sangue che può essere elevato in caso di tumore ovarico, ma anche in molte condizioni benigne come endometriosi, ciclo mestruale, fibromi o infezioni pelviche. Viceversa, può essere normale anche nelle prime fasi della malattia. Molti medici si affidano a questo dato come se fosse un semaforo rosso o verde, ma non è così. Il valore va interpretato insieme al quadro clinico, all’età della paziente, alla durata e progressione dei sintomi. Nessun esame isolato può escludere una patologia seria.

Un’altra causa importante è la frammentazione dei percorsi diagnostici. La donna che lamenta gonfiore e dolore addominale va spesso dal medico di base, poi dal gastroenterologo, poi dal ginecologo, magari anche da un nutrizionista o uno psicologo. Ognuno si occupa di una parte del problema. Ma nessuno guarda il quadro completo. E se il medico curante non si assume la responsabilità di coordinare le informazioni, di collegare i sintomi, di chiedersi “e se fosse qualcosa di più serio?”, la diagnosi si perde tra mille visite e zero risposte.

Anche il tempo è un nemico. Molti medici adottano un approccio attendista, sperando che i disturbi passino da soli. In alcuni casi, consigliano di “monitorare” i sintomi per settimane, anche quando sono persistenti. Ma nel tumore ovarico il tempo gioca contro. La neoplasia può diffondersi rapidamente nella cavità peritoneale, senza dare metastasi visibili ma compromettendo organi vitali. Ogni mese perso è un’opportunità in meno di intervenire in tempo.

Alcuni tumori ovarici si manifestano con sintomi apparentemente lontani dalla ginecologia. Dolore alla schiena, difficoltà a respirare, gonfiore alle gambe, stitichezza ostinata. Sono tutti segnali che, se non inquadrati nel contesto, vengono trattati come problematiche isolate. Solo una visione d’insieme, una sintesi clinica attenta, può far scattare il sospetto. Se il medico si ferma al sintomo e non guarda la paziente nella sua globalità, la diagnosi rischia di slittare.

Ci sono poi barriere culturali e sociali. Alcune donne tendono a minimizzare i sintomi per senso del dovere, perché mettono prima la famiglia, il lavoro, gli altri. Altre non si sentono legittimate a chiedere un secondo parere. In questo scenario, il medico ha un ruolo fondamentale nel validare le sensazioni della paziente, nel prendere sul serio ciò che lei percepisce, anche se non appare grave. La fiducia si costruisce nell’ascolto.

Infine, la mancanza di percorsi di screening efficaci rende il tumore ovarico ancora più difficile da intercettare. A differenza del tumore al seno o al collo dell’utero, non esiste un programma di screening nazionale per le ovaie. La diagnosi si basa sui sintomi e sul giudizio clinico. E se il giudizio è incerto, la malattia resta nascosta.

Il tumore ovarico si può curare, ma solo se viene scoperto in tempo. Per questo servono medici attenti, che non liquidano i sintomi come se fossero normali. Servono ascolto, esperienza, capacità di collegare ciò che è vago e costruire un sospetto fondato. Serve fare una domanda in più, non una in meno. Ordinare un esame in più, non in meno. Servono tempi giusti, percorsi chiari, linguaggio onesto.

Ogni tumore scoperto tardi è un’occasione persa. Ma ogni medico che ascolta, che approfondisce, che agisce per tempo, può fare la differenza tra un intervento risolutivo e una battaglia lunga e difficile. La medicina migliore è quella che non si accontenta di una spiegazione semplice. Che guarda in profondità. Che prende sul serio. Anche e soprattutto quando i sintomi sembrano piccoli. Perché dietro quei piccoli segnali, a volte, si nasconde una grande verità da svelare in tempo.

Quanto è diffusa la diagnosi tardiva del tumore ovarico?

Nel 2024, secondo AIOM, in Italia sono stati diagnosticati circa 5.100 nuovi casi di tumore ovarico. Di questi, oltre il 70% viene identificato quando è già in stadio III o IV, ovvero con metastasi al peritoneo, al fegato o ai polmoni. Questo dato evidenzia quanto sia fondamentale un approccio diagnostico attento, soprattutto in presenza di segnali clinici persistenti.

Le possibilità di sopravvivenza a 5 anni superano il 90% negli stadi iniziali, ma scendono sotto il 40% in caso di diagnosi tardiva.

Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata del tumore ovarico?

La responsabilità medica per diagnosi mancata del tumore ovarico si configura quando il medico, pur trovandosi di fronte a sintomi persistenti e compatibili con una neoplasia ginecologica, non attiva un adeguato percorso diagnostico e ritarda, senza giustificazione, l’identificazione della patologia. Il carcinoma ovarico è tra i tumori più insidiosi del panorama oncologico femminile: non dà sintomi specifici nelle fasi iniziali, e spesso viene scoperto solo quando ha già superato la pelvi e coinvolto il peritoneo. Proprio per questo motivo, il sospetto clinico precoce rappresenta l’unica vera difesa. Quando un medico minimizza, rassicura senza approfondire, o attribuisce quei sintomi a disturbi funzionali, può essere ritenuto responsabile per la diagnosi tardiva.

Il tumore ovarico si manifesta spesso con segnali vaghi: gonfiore addominale, senso di peso al basso ventre, aumento del girovita, dolore pelvico, irregolarità mestruali, cambiamenti dell’alvo, bisogno frequente di urinare, stanchezza inspiegabile, calo dell’appetito. Sintomi che, presi singolarmente, potrebbero far pensare a sindrome premestruale, colon irritabile o semplici squilibri ormonali. Ma quando una donna li riferisce da settimane o mesi, quando nota che il proprio corpo cambia senza motivo, l’ascolto attivo del medico fa la differenza tra un sospetto salvavita e un errore fatale.

Molti casi di diagnosi mancata derivano da visite superficiali. Se il medico non esegue un’ecografia pelvica transvaginale, non prescrive un dosaggio del CA-125, o non indirizza la paziente al ginecologo, sta omettendo un’azione clinica dovuta. Il CA-125 non è un marker infallibile, ma associato a ecografia e sintomi può indicare la necessità di ulteriori accertamenti. In molte storie cliniche, il tumore è stato inizialmente trattato come cisti ovarica funzionale, endometriosi o distensione intestinale, e la diagnosi è arrivata solo quando i dolori sono diventati invalidanti o il ventre si è gonfiato per la presenza di ascite.

Il medico ha il dovere di cogliere l’anomalia nella persistenza. Se una donna si presenta più volte lamentando sempre le stesse sensazioni, o se il dolore aumenta, i disturbi gastrointestinali peggiorano, le mestruazioni si fanno irregolari o scompaiono, il medico non può limitarsi a cambiare terapia o attendere che “passi da sola”. In questi casi, anche la sola attesa può diventare colposa. Il tempo, in oncologia ovarica, è una variabile determinante. Quando si arriva alla diagnosi, il tumore si trova in stadio III o IV nel 75% dei casi, con percentuali di sopravvivenza che si abbassano drasticamente. Una diagnosi anche solo qualche mese prima può fare la differenza tra un intervento curativo e una procedura palliativa.

La responsabilità per diagnosi mancata non grava solo sul medico di base, ma anche sul ginecologo. In alcuni casi, la visita ginecologica viene effettuata, ma in modo sommario, senza l’uso dell’ecografo transvaginale, senza manovre bimanuali complete, senza considerare i sintomi extra-pelvici che pure possono indicare una massa in accrescimento. Il professionista che esclude frettolosamente una neoplasia, pur in presenza di segnali d’allarme, o che rassicura la paziente con frasi come “è tutto normale” o “sarà stress”, viene meno al principio della medicina prudente, che impone di escludere prima le ipotesi più gravi.

Le strutture sanitarie possono essere chiamate in causa nei casi in cui il ritardo diagnostico sia dovuto a disorganizzazione, attese troppo lunghe per ecografie, TAC o risonanze, mancata trasmissione dei referti, errori nei sistemi di prenotazione o nei passaggi tra medico e specialista. Se una paziente segnala i sintomi, accede al sistema, ma nessuno la prende realmente in carico, il danno non è solo clinico: è sistemico. Il diritto alla diagnosi tempestiva fa parte del diritto alla salute e deve essere garantito dall’intera filiera sanitaria.

Il danno causato dalla diagnosi tardiva del tumore ovarico è grave e, spesso, irreversibile. Nelle forme iniziali, la chirurgia radicale può portare alla guarigione o a una lunga sopravvivenza libera da malattia. Ma se la diagnosi avviene in stadio avanzato, la paziente va incontro a cicli chemioterapici pesanti, interventi demolitivi, rischio di recidive rapide, compromissione della fertilità e della qualità di vita. Anche se la morte non si verifica immediatamente, il prezzo fisico ed emotivo pagato dalla paziente è altissimo.

La giurisprudenza ha ormai consolidato il concetto di perdita di chance, che consente il risarcimento del danno anche quando non si può provare con assoluta certezza che la diagnosi tempestiva avrebbe garantito la guarigione. Basta dimostrare che quella diagnosi anticipata avrebbe aumentato significativamente le possibilità di sopravvivenza o migliorato la qualità della vita. I periti, nei casi giudiziari, analizzano gli esami trascurati, le tempistiche mancate, le visite inconcludenti, e stabiliscono se un altro medico, nella stessa situazione, avrebbe potuto fare di più e meglio.

La responsabilità si estende anche alla comunicazione medica. Troppe donne riferiscono di non essere state ascoltate, di aver avuto la sensazione di essere considerate “ipocondriache”, di aver ricevuto risposte evasive o minimizzanti. Questo approccio non solo ritarda la diagnosi, ma dissuade la paziente dal tornare, la fa sentire inopportuna, la isola nel proprio corpo che cambia senza spiegazione. Quando il medico chiude la porta al dubbio, chiude anche la porta alla diagnosi. La responsabilità, in questi casi, è anche relazionale.

Il tumore ovarico è uno dei più letali proprio perché silenzioso. Ma silenzioso non vuol dire invisibile. I segnali ci sono, e se vengono riferiti con insistenza, è dovere del medico interpretarli, cercare, dubitare. Quando questo non accade, e la diagnosi arriva tardi, con metastasi addominali diffuse, dolore cronico e interventi ormai solo palliativi, la colpa non è della malattia, ma del tempo che si poteva usare meglio. E il tempo che si poteva usare meglio, in medicina, si chiama responsabilità.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che regola la responsabilità sanitaria in ambito civile e penale;
  • Art. 2043 Codice Civile, che riconosce il diritto al risarcimento per fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile, sulla responsabilità del professionista per colpa grave;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale, che puniscono le lesioni colpose e l’omicidio colposo derivanti da errore medico.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente trattata per cisti ovariche per 18 mesi, senza ecografia approfondita: risarcimento di 1.000.000 euro;
  • Massa ovarica segnalata in ecografia ignorata per oltre un anno: tumore diagnosticato in fase IV: risarcimento agli eredi di 1.200.000 euro;
  • CA-125 elevato trascurato, con diagnosi corretta solo dopo 9 mesi: risarcimento di 890.000 euro;
  • Dolore pelvico sottovalutato, nessun invio al ginecologo oncologo: risarcimento di 950.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

Se sei stata vittima di diagnosi tardiva di tumore ovarico o se una tua familiare è deceduta a causa di un errore medico, è fondamentale:

  • Rivolgerti a un avvocato specializzato in malasanità oncologica, capace di analizzare il percorso clinico;
  • Ottenere una perizia medico-legale ginecologica-oncologica, per accertare la responsabilità e quantificare il danno;
  • Dimostrare il nesso causale tra la condotta medica e l’evoluzione della malattia;
  • Avviare un’azione legale per ottenere il giusto risarcimento.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con ginecologi oncologi, medici legali e specialisti in bioetica, per garantire una tutela efficace, rapida e completa.

Conclusione

Il tumore ovarico è una malattia che può essere affrontata con successo se riconosciuta in tempo. Ma quando una diagnosi mancata o un errore medico negano questa possibilità, il danno è non solo fisico, ma anche morale e familiare.

Se hai dubbi su come è stata gestita la tua diagnosi, non restare in silenzio. La legge ti riconosce il diritto alla verità e al risarcimento. Affidati a chi ha l’esperienza per accompagnarti in questo percorso.

La giustizia è un tuo diritto. Il risarcimento, un dovere dello Stato.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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