Endocardite Infettiva Non Diagnosticata E Risarcimento Danni

L’endocardite infettiva è un’infezione grave delle valvole cardiache o dell’endocardio, causata generalmente da batteri (come lo Staphylococcus aureus, lo Streptococcus viridans) che entrano nel sangue e colonizzano le strutture del cuore. È una patologia potenzialmente letale, con un alto tasso di mortalità se non viene diagnosticata e trattata tempestivamente con antibiotici mirati o, nei casi più gravi, con un intervento cardiochirurgico.

Il problema più frequente è che i sintomi dell’endocardite sono subdoli e facilmente scambiabili per altre malattie: febbre, astenia, dolori muscolari, perdita di peso, soffi cardiaci o segni cutanei possono essere interpretati come influenza, infezioni urinarie o patologie reumatiche. Se il medico non considera l’ipotesi infettiva e non prescrive gli accertamenti necessari, il rischio di complicanze neurologiche, emboliche o di morte improvvisa è elevatissimo.

Quando la mancata diagnosi è riconducibile a negligenza, imperizia o imprudenza, il paziente o i suoi familiari hanno diritto a un risarcimento per i danni biologici, morali ed economici subiti.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di endocardite infettiva da parte di un medico?

L’endocardite infettiva è una condizione rara ma gravemente invalidante, caratterizzata da un’infezione del rivestimento endocardico del cuore, in particolare delle valvole cardiache, naturali o protesiche. Nonostante l’aumento delle conoscenze cliniche e l’affinamento dei criteri diagnostici, l’endocardite continua ad essere una delle infezioni più frequentemente misconosciute in fase precoce, anche da medici esperti, specialmente quando si presenta in forme subacute, atipiche o con manifestazioni extra-cardiache predominanti. Le ragioni di questo ritardo diagnostico sono molteplici e coinvolgono vari livelli: clinico, laboratoristico, decisionale, e cognitivo.

Una delle cause principali della mancata diagnosi è la notevole eterogeneità della presentazione clinica. A differenza di altre infezioni acute, l’endocardite può esordire in maniera subdola, con febbricola intermittente, astenia, sudorazione notturna, perdita di peso o dolori articolari. Sintomi che facilmente vengono attribuiti a condizioni comuni come infezioni virali, sindromi da fatica cronica, malattie reumatiche o neoplasie occulte. Se il paziente è anziano, polipatologico o in trattamento cronico con farmaci antiinfiammatori o immunosoppressori, questi segni vengono ulteriormente confusi con un quadro degenerativo, oncologico o autoimmune. Il medico può trascurare il cuore come sede primaria del problema, concentrandosi su ipotesi alternative.

Un altro elemento chiave è la mancata considerazione dei fattori di rischio specifici per endocardite, soprattutto in pazienti senza patologie valvolari note. L’infezione endocardica viene tradizionalmente associata a soggetti con valvulopatie congenite, valvole protesiche o pregressi interventi cardiaci. Tuttavia, oggi i profili di rischio si sono ampliati: tossicodipendenti per via endovenosa, pazienti emodializzati, portatori di dispositivi intravascolari (pacemaker, defibrillatori, cateteri venosi centrali), o con infezioni odontogene non trattate costituiscono categorie ad alto rischio. Se questi elementi non vengono rilevati durante l’anamnesi, il sospetto clinico non si attiva.

Un’altra causa significativa è rappresentata dalla fiducia eccessiva in emoculture negative o non tempestivamente eseguite. L’endocardite infettiva può essere a coltura negativa in circa il 5-20% dei casi, specialmente quando il paziente ha assunto antibiotici empirici prima della raccolta dei campioni. In alcuni casi, l’agente eziologico è un microrganismo a crescita lenta o difficile da isolare (Coxiella, Bartonella, funghi, HACEK). Se il medico non dispone delle informazioni microbiologiche e non ripete le emoculture in modo appropriato, può abbandonare prematuramente l’ipotesi infettiva. Una coltura negativa non esclude la diagnosi: è la persistenza della febbre, la flogosi sistemica e i segni d’organo che devono guidare l’approfondimento.

Frequentemente l’endocardite viene confusa con infezioni focali in altre sedi, a causa delle sue manifestazioni emboliche o immunologiche. Infarti splenici, emboli cerebrali, glomerulonefriti, lombalgie da spondilodiscite infettiva o manifestazioni cutanee tipo petecchie o lesioni di Janeway possono far sospettare un’origine infettiva extra-cardiaca. Se il medico non collega tali manifestazioni tra loro o non approfondisce con esami cardiaci, l’endocardite rimane una diagnosi non considerata. Inoltre, le complicanze emboliche cerebrali, in assenza di segni cardiaci evidenti, possono indurre il neurologo a orientarsi verso ictus non cardioembolico, soprattutto in assenza di fibrillazione atriale o altre aritmie note.

Una criticità diffusa è la mancata auscultazione attenta o la sottovalutazione di un soffio cardiaco. In molti casi di endocardite, compare un soffio nuovo o la modifica di un soffio preesistente, ma la rilevazione può essere difficoltosa in ambienti rumorosi o in pazienti con torace difficile da esplorare. Talvolta, anche in presenza di un soffio evidente, se il paziente è febbrile e non tossisce o non ha dolore toracico, si pensa più facilmente a una bronchite o a una polmonite. Un soffio cardiaco, in un paziente febbrile senza causa apparente, deve sempre far sospettare endocardite, indipendentemente dall’età.

Un’altra causa della mancata diagnosi è l’interpretazione limitata dell’ecocardiografia transtoracica, specialmente nelle fasi iniziali. Le vegetazioni endocardiche possono non essere visibili o apparire di dimensioni inferiori ai criteri diagnostici. Se l’esame è negativo e il sospetto clinico non è elevato, il medico può erroneamente concludere che non si tratti di endocardite. In realtà, l’ecocardiografia transesofagea ha una sensibilità nettamente superiore e dovrebbe essere eseguita in tutti i casi dubbi. L’errore più comune è quello di fermarsi al primo esame negativo, senza richiedere l’esame più accurato.

Alcuni medici, in contesti non specialistici, non applicano correttamente i criteri di Duke modificati, che rappresentano lo standard per la diagnosi di endocardite. Questi criteri richiedono l’integrazione di segni clinici, microbiologici e strumentali. Se il medico non conosce o non utilizza questi parametri in modo sistematico, la diagnosi si basa su intuizioni e non su un metodo strutturato, con un conseguente aumento del rischio di errore. Il mancato riconoscimento della diagnosi deriva spesso da una medicina “a vista” piuttosto che da una medicina fondata sull’integrazione dei dati.

Un altro ostacolo è la sottovalutazione della febbre persistente senza focus chiaro, soprattutto in pazienti dimessi recentemente da un ricovero. La cosiddetta “febbre da dimissione” viene spesso trattata con antibiotici empirici, senza indagare adeguatamente le possibili origini. Se non si esegue una valutazione accurata del cuore, emoculture in triplice serie e imaging cardiaco, si rischia di perdere la finestra diagnostica utile. Molti casi di endocardite vengono riconosciuti solo dopo settimane di febbre mal controllata, quando ormai si sono verificate complicanze emboliche o valvolari.

La presenza di comorbidità o condizioni che giustificano in parte i sintomi rende ancora più difficile identificare l’endocardite. Pazienti oncologici con febbre, pazienti emodializzati con flogosi, soggetti diabetici con anemia e astenia vengono gestiti come se l’endocardite fosse un’eventualità remota. Se il medico non ha un alto livello di attenzione nei confronti dei pazienti fragili, l’infezione del cuore può non essere presa in considerazione fino a quando non si manifestano i danni strutturali, come l’insufficienza valvolare acuta, la rottura di corde tendinee, o l’ascesso anulare.

Infine, la mancanza di comunicazione tra specialisti e tra medico curante e ospedale può ritardare l’individuazione del quadro. In alcuni casi, l’endocardite viene sospettata in ambito ambulatoriale, ma non approfondita con urgenza. In altri casi, la presenza di febbre in corso di ricovero viene interpretata come complicanza settica secondaria, senza valutare l’endocardio. Il paziente può essere sottoposto a trattamenti antibiotici empirici prolungati, senza mai raggiungere una diagnosi certa. Ogni giorno perso in assenza di terapia mirata aumenta il rischio di complicanze irreversibili.

In conclusione, la mancata diagnosi di endocardite infettiva è spesso il risultato di una catena di errori: sottovalutazione clinica, interpretazione incompleta degli esami, mancanza di conoscenza dei criteri diagnostici e scarsa integrazione delle informazioni. L’endocardite richiede un approccio metodico, sospetto precoce e decisioni rapide. Ogni paziente con febbre persistente e fattori di rischio deve essere considerato un potenziale caso di endocardite fino a prova contraria. Solo così è possibile prevenire le complicanze emboliche, valvolari e settiche che trasformano un’infezione curabile in una patologia devastante. La diagnosi tempestiva dipende dalla capacità del medico di guardare oltre l’evidenza superficiale e collegare sintomi distanti in un’unica sindrome coerente. In una malattia così subdola e proteiforme, l’attenzione ai dettagli può fare la differenza tra guarigione e danno permanente.

Quanto è pericolosa un’endocardite non diagnosticata?

L’endocardite è una patologia a rapida evoluzione: se non trattata correttamente, può portare a:

  • Insufficienza valvolare acuta con scompenso cardiaco;
  • Ictus ischemici da emboli infetti;
  • Ascessi miocardici, fistole, perforazioni valvolari;
  • Sepsi sistemica, shock settico e morte;
  • Necessità di intervento cardiochirurgico d’urgenza, con rischio operatorio elevato;
  • Esiti neurologici e cognitivi permanenti, anche nei sopravvissuti.

La mortalità dell’endocardite infettiva può superare il 30% se la diagnosi viene ritardata.

Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata di endocardite infettiva da parte di un medico?

La responsabilità medica per diagnosi mancata di endocardite infettiva si configura quando il medico, pur in presenza di segni clinici, fattori di rischio noti e risultati di laboratorio suggestivi, omette di sospettare e accertare tempestivamente l’infezione endocardica, determinando un ritardo nel trattamento antibiotico mirato o nell’intervento chirurgico necessario, con conseguenze gravi per il paziente. L’endocardite infettiva è una patologia subdola, spesso caratterizzata da un esordio insidioso, ma potenzialmente letale se non riconosciuta precocemente. L’identificazione del quadro clinico nelle sue fasi iniziali è cruciale per migliorare la prognosi e prevenire le complicanze sistemiche.

L’infezione colpisce l’endocardio, tipicamente le valvole cardiache, e può insorgere su tessuto valvolare nativo o su protesi valvolari, nonché in pazienti con cardiopatie congenite, precedenti episodi di endocardite, impianti intracardiaci o cateteri venosi centrali. Tuttavia, può verificarsi anche in pazienti senza evidenti patologie cardiovascolari pregresse. I sintomi iniziali sono spesso aspecifici: febbre persistente, sudorazioni notturne, calo ponderale, malessere generale, artralgie. In una fase successiva compaiono i segni più tipici, come soffi cardiaci nuovi o modificati, lesioni emboliche periferiche, segni cutanei caratteristici (petecchie, lesioni di Janeway, noduli di Osler, macchie di Roth), segni neurologici da embolia cerebrale, alterazioni della funzionalità renale o splenomegalia.

Il medico che non inquadra questi sintomi nel contesto di una possibile infezione endocardica, e si limita a trattare la febbre con antipiretici o antibiotici generici senza indicazione precisa, agisce in modo non conforme alla diligenza professionale richiesta. L’endocardite va sempre sospettata in presenza di febbre persistente in pazienti con protesi valvolari, dispositivi endovascolari, storia di uso di droghe per via endovenosa, e nei soggetti con batteriemia da microrganismi notoriamente associati, come streptococchi del gruppo viridans, stafilococchi, enterococchi, candida.

Gli esami ematochimici possono fornire segni indiretti: leucocitosi o leucopenia, aumento della VES e della PCR, anemia normocitica, positività delle emocolture. In particolare, l’omessa esecuzione delle emocolture in un paziente con febbre persistente costituisce una grave lacuna nel percorso diagnostico. Le linee guida internazionali raccomandano almeno tre emocolture separate prima di iniziare la terapia antibiotica empirica, salvo urgenze cliniche. Se l’antibioticoterapia viene avviata senza aver identificato l’agente patogeno e senza una valutazione ecocardiografica, la possibilità di individuare tempestivamente l’endocardite si riduce drasticamente.

L’ecocardiografia, transtoracica o transesofagea, è l’esame cardine per la conferma diagnostica. Essa consente di visualizzare vegetazioni valvolari, ascessi, perforazioni, deiscenze protesiche e altri segni di infezione attiva. Il medico che, pur in presenza di emocolture positive e sintomi compatibili, non richiede tempestivamente un’ecografia cardiaca, o non interpreta correttamente i risultati disponibili, viola il principio di appropriatezza diagnostica e terapeutica. Il ritardo nell’identificazione delle vegetazioni può determinare embolie cerebrali, infarti splenici, scompenso cardiaco acuto o sepsi refrattaria.

Anche il mancato riconoscimento delle complicanze emboliche può configurare responsabilità. In molti casi, l’endocardite si manifesta per la prima volta con un evento ischemico cerebrale, renale o splenico. Se, in presenza di ictus ischemico, febbre e anemia, non si considera la possibile origine infettiva endocardica, e non si dispone un’indagine ecocardiografica o emocolturale, la diagnosi viene posticipata a quadro ormai evoluto. Ogni giorno di ritardo nella diagnosi incide negativamente sulla prognosi e sulla possibilità di contenere la diffusione dell’infezione.

La responsabilità si estende anche al monitoraggio inadeguato di pazienti già in trattamento antibiotico per presunte infezioni urinarie, respiratorie o sistemiche. Se la febbre persiste oltre le 48-72 ore e il medico non rivaluta il quadro clinico con nuovi esami o non prende in considerazione la possibilità di una endocardite occulta, si configura una condotta omissiva in violazione del dovere di sorveglianza. L’infezione endocardica, infatti, può simulare infezioni comuni e rispondere parzialmente agli antibiotici, mascherando temporaneamente i sintomi ma non arrestando il danno valvolare.

Nei pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca o con valvole protesiche recenti, la responsabilità diventa ancor più grave. Se la febbre post-operatoria viene considerata una “febbre da riassorbimento” senza alcuna indagine mirata, e l’endocardite viene riconosciuta solo in fase avanzata, con distacco protesico o scompenso acuto, il ritardo diagnostico è difficilmente giustificabile. Lo stesso vale per i pazienti con dispositivi intracardiaci: pacemaker, defibrillatori, cateteri per emodialisi. In questi casi, ogni febbre va trattata come potenzialmente infettiva, e l’indagine sull’endocardio è imprescindibile.

In sede medico-legale, la responsabilità si accerta sulla base del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento dannoso. Non è necessario dimostrare che il paziente si sarebbe salvato con certezza, ma che una diagnosi più tempestiva avrebbe aumentato le possibilità di sopravvivenza, ridotto le complicanze o evitato il peggioramento del quadro clinico. Il concetto di perdita di chance è pienamente applicabile: ogni giorno senza diagnosi è una chance in meno per il paziente.

Le consulenze tecniche valutano la cronologia degli eventi, la documentazione clinica, gli esami eseguiti e non richiesti, la coerenza con le linee guida internazionali e con la buona pratica clinica. Quando emerge che un altro medico, nella stessa situazione, avrebbe sospettato l’endocardite, richiesto le emocolture o avviato l’ecocardiografia, la colpa si configura per negligenza, imperizia o imprudenza, a seconda del caso.

L’endocardite infettiva non è una diagnosi che si fa facilmente, ma è una diagnosi che non può essere ignorata. Quando i segni sono presenti, e l’occasione diagnostica viene mancata, il danno che ne deriva non è solo biologico: è la conseguenza evitabile di un’omissione. E in medicina, quando si poteva sapere, e non si è voluto sapere, la responsabilità supera la soglia dell’errore e diventa colpa professionale.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità medica;
  • Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile, che regola la colpa del professionista per attività complesse;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale, che sanzionano le lesioni e l’omicidio colposo in ambito sanitario.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Endocardite non riconosciuta in giovane paziente con febbre e dolori muscolari, deceduto per embolia cerebrale: risarcimento agli eredi di 1.350.000 euro;
  • Paziente trattato per influenza per oltre due settimane, ricoverato in shock settico per endocardite avanzata: risarcimento di 1.100.000 euro;
  • Ritardo diagnostico di 10 giorni con danno valvolare irreversibile e necessità di sostituzione protesica: risarcimento di 970.000 euro;
  • Endocardite con complicanze neurologiche (ictus e afasia) in paziente con valvola meccanica: risarcimento di 1.200.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

Se hai subito un danno grave o un familiare è deceduto a causa di endocardite infettiva non diagnosticata, è fondamentale:

  • Affidarti a un avvocato specializzato in responsabilità sanitaria, con esperienza nei casi infettivologici e cardiologici;
  • Richiedere una perizia medico-legale, con il supporto di un infettivologo e di un cardiologo;
  • Ricostruire l’intero percorso clinico: esami effettuati, omissioni, tempi, referti;
  • Avviare un’azione legale civile (e se necessario penale) per ottenere il giusto risarcimento.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano con un’équipe composta da infettivologi, cardiologi legali e medici legali per offrire una tutela completa e rigorosa.

Conclusione

L’endocardite infettiva è una malattia rara, ma gravissima. Se viene diagnosticata in tempo, può essere curata con successo. Ma quando un errore medico ne impedisce il riconoscimento e il trattamento tempestivo, il prezzo può essere la vita stessa o un’esistenza segnata da disabilità permanenti.

La legge riconosce il diritto alla verità e al risarcimento. Se sospetti che un caso di endocardite sia stato gestito in modo scorretto, agisci subito: è un tuo diritto ottenere giustizia.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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