La cirrosi epatica è una condizione cronica e progressiva del fegato, caratterizzata dalla sostituzione del tessuto epatico normale con tessuto cicatriziale (fibrosi), che compromette in modo grave la funzionalità dell’organo. È l’esito finale di molte malattie epatiche croniche non curate adeguatamente, tra cui epatite B, epatite C, abuso cronico di alcol, steatosi epatica (NAFLD/NASH), malattie autoimmuni o metaboliche.
Una diagnosi precoce di cirrosi è fondamentale per rallentare la progressione, impostare una terapia adeguata, monitorare le complicanze e prevenire l’evoluzione verso scompenso epatico, encefalopatia, emorragie digestive, ascite, carcinoma epatocellulare e decesso.

Quando la diagnosi viene ritardata o completamente mancata a causa di negligenza, imperizia o imprudenza, il paziente può subire danni gravissimi e ha diritto a un risarcimento per malasanità, come previsto dalla legge.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di cirrosi epatica?
La cirrosi epatica è l’esito finale di numerose malattie croniche del fegato, caratterizzata da una progressiva fibrosi epatica e dalla formazione di noduli rigenerativi che alterano l’architettura normale dell’organo, determinando compromissione funzionale e rischio di complicanze gravi come l’ipertensione portale, l’encefalopatia epatica, il sanguinamento da varici esofagee e lo sviluppo di epatocarcinoma. Nonostante sia una patologia nota da secoli e ampiamente descritta nei testi di medicina interna, la diagnosi di cirrosi può sfuggire per lunghi periodi, soprattutto nelle sue fasi iniziali e compensate. Le ragioni di questa sottodiagnosi sono diverse e riguardano sia la biologia silente della malattia che i limiti nella valutazione clinica, laboratoristica e strumentale.
Una delle principali cause della mancata diagnosi è la natura asintomatica della cirrosi in fase compensata. I pazienti possono non avvertire alcun disturbo per anni, o manifestare solo sintomi vaghi come stanchezza cronica, malessere, gonfiore postprandiale o lievi alterazioni dell’alvo. Tali sintomi vengono facilmente attribuiti ad altre cause, come stress, anemia, sindrome dispeptica funzionale o colon irritabile. Senza segni obiettivi evidenti, il medico può non sospettare una patologia epatica sottostante, specialmente se il paziente non presenta un’anamnesi epatologica nota.
Un’altra causa comune è la sottovalutazione dei fattori di rischio, come l’abuso cronico di alcol, le infezioni da virus dell’epatite B e C, la steatosi epatica non alcolica (NAFLD/NASH), le epatopatie autoimmuni, metaboliche o genetiche. Il paziente può non riferire spontaneamente un uso eccessivo di alcolici, oppure può considerare la steatosi come un reperto benigno e senza implicazioni. Se il medico non indaga attivamente e in modo sistematico la storia clinica e sociale del paziente, l’identificazione di un fegato a rischio può avvenire solo quando la malattia è già in fase avanzata.
Anche i test di laboratorio standard possono risultare fuorvianti. La funzione epatica può essere mantenuta per molto tempo anche in presenza di fibrosi avanzata. I valori di transaminasi possono essere normali o lievemente elevati, la bilirubina può restare nel range, l’albumina e l’INR possono alterarsi solo in fase scompensata. Inoltre, l’alterazione isolata delle piastrine (trombocitopenia) è spesso attribuita ad altre cause (farmaci, deficit nutrizionali, patologie ematologiche) senza collegarla all’ipertensione portale incipiente. Se non viene richiesta un’ecografia addominale, la cirrosi può rimanere del tutto silente.
Una criticità fondamentale riguarda l’interpretazione dell’ecografia addominale. Sebbene l’esame ecografico possa mostrare un fegato irregolare, disomogeneo, con profili lobulati e segni indiretti di ipertensione portale (splenomegalia, inversione del flusso portale, ascite minima), molti referti si limitano a descrizioni poco specifiche, come “fegato steatosico”, “aspetto disomogeneo” o “segni compatibili con epatopatia cronica”, senza suggerire approfondimenti. In assenza di una chiara indicazione clinica o di una consulenza epatologica, questi rilievi vengono spesso trascurati.
Un altro problema è la mancata esecuzione di metodiche non invasive per la valutazione della fibrosi, come la Fibroscan (elastografia epatica), il Fib-4 score o l’APRI index. Questi strumenti permettono di identificare la fibrosi epatica significativa anche in pazienti asintomatici con esami apparentemente normali. Tuttavia, non fanno ancora parte della routine in molti contesti ambulatoriali. Il medico che non integra questi dati nel suo ragionamento clinico può rassicurare il paziente anche in presenza di segni iniziali di fibrosi avanzata.
Nei pazienti con diagnosi nota di epatite B o C, la mancata diagnosi di cirrosi può dipendere da un monitoraggio discontinuo, da un errato senso di sicurezza in seguito a trattamenti antivirali riusciti, o dalla perdita del follow-up. È ormai noto che anche i pazienti con HCV eradicato o HBV cronicamente soppressi possono sviluppare cirrosi, soprattutto se già presentavano un danno epatico significativo. L’assenza di viremia non equivale a guarigione anatomica del fegato. La fibrosi può progredire o stabilizzarsi, ma solo un’adeguata sorveglianza può determinarlo.
In pazienti con malattia metabolica (obesità, diabete mellito, dislipidemia, sindrome metabolica), la steatosi epatica viene spesso sottovalutata, anche quando è associata ad alterazioni delle transaminasi. La NAFLD può progredire in NASH e infine in cirrosi senza mai dare sintomi specifici. Se non viene attuata una strategia di screening mirata nei soggetti a rischio, l’identificazione della cirrosi avverrà solo al momento di una complicanza clinica, come un sanguinamento digestivo, una encefalopatia epatica o una massa epatica sospetta.
Talvolta, l’attenzione clinica viene distratta dalla presenza di comorbidità che giustificano i sintomi. Un paziente con stanchezza, edema, disturbi del sonno o anemia può essere inquadrato come cardiopatico, nefropatico o affetto da sindrome depressiva. Il fegato, se non evidenzia alterazioni evidenti, viene escluso dall’indagine. Anche la presenza di ascite o fluttuazioni dell’INR in un paziente anziano può essere attribuita a una cardiopatia congestizia o a un uso eccessivo di anticoagulanti. Senza una visione globale, il fegato continua a essere un organo silenzioso, invisibile, e dunque dimenticato.
La diagnosi può essere ritardata anche per pregiudizi clinici legati all’età o al sesso. Nei pazienti giovani non si pensa a una patologia cronica di fegato, mentre nelle donne, soprattutto in assenza di alcol o virus, si tende a escludere il rischio epatologico. Tuttavia, le epatiti autoimmuni, la colangite biliare primitiva e la steatoepatite metabolica possono colpire proprio queste categorie, in modo subdolo ma progressivo. La mancata applicazione dei test autoimmuni o la mancata biopsia epatica in casi selezionati può compromettere il riconoscimento della patologia in tempo utile.
Un’altra barriera è rappresentata da una comunicazione inefficace tra medico di medicina generale e specialisti. Il paziente può ricevere esami alterati senza che vi sia una spiegazione adeguata o un indirizzamento preciso verso il gastroenterologo o l’epatologo. Se manca un sistema integrato di gestione delle epatopatie croniche, la cirrosi continua a svilupparsi lentamente, ma in modo costante, fino a manifestarsi con complicanze acute non più reversibili.
Infine, l’accesso limitato a esami di secondo livello e a percorsi dedicati può ritardare l’inquadramento diagnostico. In molte realtà territoriali, l’elastografia non è disponibile, i tempi di attesa per ecografia o visita epatologica sono lunghi, e il paziente resta in carico al medico di base, che può non disporre di strumenti per decidere se e quando approfondire. La priorità viene data ai sintomi acuti, trascurando i segni silenziosi ma progressivi della malattia cronica.
In conclusione, la mancata diagnosi di cirrosi epatica è raramente un errore isolato: è quasi sempre il risultato di un processo lento e multifattoriale, fatto di omissioni, sottovalutazioni, preconcetti e ritardi sistemici. La malattia si sviluppa in silenzio, ma l’osservatore attento può intercettarla. Basta leggere oltre le transaminasi, ascoltare oltre i sintomi vaghi, chiedere oltre le risposte rassicuranti. Ogni paziente con fattori di rischio deve essere considerato potenzialmente cirrotico fino a prova contraria.
La cirrosi non è una diagnosi solo da ospedale: è una diagnosi da fare in ambulatorio, in tempo utile per prevenire le sue complicanze e migliorare la prognosi. Solo attraverso un approccio proattivo, integrato e consapevole, è possibile interrompere il silenzio del fegato prima che diventi irreversibile. Perché in epatologia, come in tutta la medicina, la diagnosi precoce non è un dettaglio: è il punto da cui dipende tutto il resto.
Quanto è pericolosa una cirrosi epatica non diagnosticata?
Una cirrosi epatica non riconosciuta e non trattata può evolvere in:
- Scompenso epatico acuto, con insufficienza metabolica grave;
- Emorragie digestive da varici esofagee o gastriche;
- Encefalopatia epatica, con confusione mentale, coma e morte;
- Ascite refrattaria e sindrome epatorenale;
- Carcinoma epatocellulare, spesso inoperabile alla diagnosi;
- Trapianto di fegato in emergenza, non sempre disponibile.
Nei pazienti cirrotici non monitorati, la mortalità è elevata e può essere significativamente ridotta con una diagnosi precoce e un piano terapeutico mirato.
Quando si configura la responsabilità medica?
La responsabilità medica per diagnosi mancata di cirrosi epatica si configura quando il medico, pur in presenza di elementi clinici, anamnestici o laboratoristici suggestivi, non approfondisce adeguatamente il quadro epatico, omettendo gli accertamenti necessari o ritardando l’avvio del monitoraggio e della presa in carico specialistica, determinando un’evoluzione silente e dannosa della patologia. La cirrosi rappresenta lo stadio finale di molte epatopatie croniche e, se non identificata e gestita in tempo, può evolvere in complicanze gravi come ipertensione portale, varici esofagee, encefalopatia epatica, ascite refrattaria o carcinoma epatocellulare. La diagnosi precoce incide direttamente sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita del paziente.
I segni iniziali della malattia possono essere sfumati: astenia, lieve dolore o pesantezza in ipocondrio destro, nausea, alterazioni dell’alvo, prurito cutaneo, epatomegalia. Nei soggetti con fattori di rischio noti – alcolismo cronico, epatite B o C, obesità con steatosi epatica, malattie autoimmuni epatiche, emocromatosi, Wilson, deficit di alfa-1-antitripsina – il sospetto clinico dovrebbe nascere già alla prima visita. Ignorare questi elementi di rischio e non impostare un’indagine laboratoristica e strumentale adeguata costituisce una grave omissione.
Gli esami ematochimici possono mostrare alterazioni precoci: aumento delle transaminasi, inversione del rapporto AST/ALT, iperbilirubinemia, ipoalbuminemia, allungamento dell’INR, piastrinopenia. Questi elementi, se presenti, richiedono l’esecuzione di un’ecografia addominale e, nei casi dubbi, elastografia epatica, fibroscan, o esami più avanzati come la risonanza magnetica epatica. Non richiedere alcuna indagine strumentale, nonostante valori epatici alterati persistenti o progressivi, equivale a rinunciare alla diagnosi.
La colpa medica si concretizza anche quando il paziente è seguito per epatopatia nota ma mai rivalutato nella sua progressione. Se l’inquadramento iniziale non viene aggiornato nel tempo, oppure il monitoraggio non rispetta i protocolli previsti, il clinico può non accorgersi del passaggio da una fibrosi compensata a una cirrosi scompensata. In questi casi, la mancata diagnosi non è solo un’omissione iniziale, ma anche una carenza nel follow-up, che ha consentito alla malattia di avanzare fino a uno stadio non più reversibile.
Un errore particolarmente grave è attribuire i segni clinici a cause generiche senza escludere l’eziologia epatica. L’ascite può essere scambiata per ritenzione idrica, l’astenia per stress o depressione, l’ipertransaminasemia per effetto farmacologico. Se il medico non indaga la funzionalità epatica, non chiede esami virologici, autoimmunitari o metabolici, si rende responsabile di un’interpretazione superficiale e priva di metodo clinico.
Anche in pronto soccorso, la responsabilità può emergere. Un paziente con epistassi, varici sanguinanti, confusione mentale o stato soporoso che non viene sottoposto a dosaggio dell’ammoniemia, ecografia, valutazione epatologica urgente, viene gestito in modo incompleto. Se la diagnosi di cirrosi giunge solo dopo episodi acuti come encefalopatia, peritonite batterica spontanea, emorragia digestiva o coma epatico, è evidente che le occasioni diagnostiche precedenti sono state mancate. E ciò può avere conseguenze medico-legali rilevanti.
Nel contesto ambulatoriale, la mancata diagnosi si verifica anche per la scarsa integrazione tra medico di base e specialisti. Se il paziente presenta alterazioni croniche degli esami del fegato, ma non viene mai inviato a una valutazione epatologica, oppure se viene segnalato un quadro di steatosi epatica importante e il medico non attiva un percorso di approfondimento, l’omissione si traduce in perdita di tempo utile per rallentare o arrestare la fibrosi epatica.
La sorveglianza per epatocarcinoma rappresenta un altro ambito critico. Quando la diagnosi di cirrosi non è mai stata formalizzata, il paziente non entra nei protocolli di screening periodico, e il tumore epatico viene diagnosticato solo in fase avanzata. In questi casi, la responsabilità non è solo per la mancata diagnosi di cirrosi, ma per la mancata attivazione della sorveglianza oncologica. Non riconoscere la malattia epatica significa interrompere un’intera catena di prevenzione.
In ambito medico-legale, la responsabilità si fonda sul principio della “perdita di chance”. Il paziente non deve dimostrare che sarebbe guarito, ma che una diagnosi più tempestiva avrebbe permesso di rallentare l’evoluzione della malattia, prevenire complicanze o evitare una morte prematura. Le consulenze tecniche valutano la storia clinica, i fattori di rischio noti, gli esami effettuati o omessi, la documentazione prodotta e l’aderenza del medico alle linee guida. Se risulta che la diagnosi poteva essere posta anche mesi o anni prima, ma non lo è stata per negligenza o imperizia, la responsabilità è pienamente configurabile.
La documentazione clinica, come sempre, è elemento centrale. Se il paziente ha riferito sintomi compatibili o è stato segnalato come a rischio, e nulla risulta in cartella, il comportamento del medico appare privo di razionalità clinica. In sede giudiziaria, ciò che non è tracciato equivale a non essere stato fatto.
La cirrosi epatica è una condizione cronica, ma non necessariamente irreversibile nelle fasi iniziali. Esistono farmaci, interventi sullo stile di vita e strategie di sorveglianza che possono modificarne la storia naturale. Tuttavia, tutto dipende dal momento in cui la diagnosi viene posta. Quando viene scoperta troppo tardi, con complicanze già in atto, il paziente perde l’occasione di ricevere cure efficaci e tempestive. E quella perdita, in medicina, può tradursi in responsabilità giuridica.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità medica e la sicurezza delle cure;
- Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 Codice Civile, per responsabilità in ambito di prestazioni specialistiche complesse;
- Art. 1218 Codice Civile, per responsabilità contrattuale della struttura sanitaria;
- Art. 590 e 589 Codice Penale, per lesioni personali colpose e omicidio colposo.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Paziente con epatite cronica mai monitorato, diagnosticata cirrosi solo alla comparsa di ascite: risarcimento di 1.000.000 euro;
- Ritardo di 3 anni nella diagnosi in soggetto alcolista con esami alterati ignorati: risarcimento di 950.000 euro;
- Cirrosi diagnosticata tardivamente con sviluppo di carcinoma epatico non operabile: risarcimento agli eredi di 1.300.000 euro;
- Paziente con diabete e obesità mai sottoposto a ecografia epatica, deceduto per scompenso terminale: risarcimento di 1.100.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
Se sei stato vittima di una diagnosi tardiva o mancata di cirrosi epatica, oppure se un tuo familiare è deceduto per scompenso non riconosciuto in tempo, puoi tutelare i tuoi diritti rivolgendoti a:
- Un avvocato esperto in malasanità e responsabilità medica epatologica;
- Un medico legale e un epatologo forense, per esaminare la documentazione clinica e accertare l’errore;
- Una rete di consulenti tecnici capaci di ricostruire il nesso tra l’errore medico e il danno subito.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano con un team multidisciplinare composto da medici legali, epatologi, radiologi e infettivologi, per offrire una tutela giuridica completa, precisa ed efficace.
Conclusione
La cirrosi epatica è una malattia cronica che può essere gestita e rallentata, ma solo se diagnosticata per tempo. Quando un errore medico impedisce il riconoscimento della malattia, e la patologia evolve senza controlli, le conseguenze possono essere tragiche.
La legge tutela il paziente danneggiato. Se pensi di essere stato vittima di una diagnosi mancata o di un monitoraggio insufficiente, agisci oggi: il risarcimento è un tuo diritto, non un favore.
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