Colite Ulcerosa Non Diagnosticata E Risarcimento Danni

La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica intestinale (MICI) che colpisce il colon e il retto, caratterizzata da infiammazione persistente della mucosa intestinale, che può causare ulcerazioni, sanguinamento, diarrea cronica, dolori addominali, anemia e perdita di peso.

Diagnosticare tempestivamente la colite ulcerosa è fondamentale per avviare trattamenti farmacologici mirati e prevenire complicanze come megacolon tossico, perforazioni, emorragie, stenosi o la degenerazione tumorale. Tuttavia, la malattia può essere scambiata per disturbi funzionali come sindrome del colon irritabile, gastroenteriti o patologie emorroidarie. Quando la diagnosi viene ritardata o completamente mancata per errore medico, il paziente può subire danni biologici gravi e permanenti.

In questi casi, se l’omissione è dovuta a negligenza, imperizia o imprudenza, il paziente ha diritto al risarcimento dei danni subiti, anche morali e patrimoniali.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di colite ulcerosa?

La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, a decorso fluttuante e di eziologia non ancora completamente definita, che interessa esclusivamente la mucosa del colon e del retto. Si caratterizza per un’infiammazione continua e diffusa, che inizia dal retto e può estendersi in modo retrogrado a tutto il colon. Nonostante i progressi nella comprensione della patogenesi e nella disponibilità di test diagnostici, la diagnosi di colite ulcerosa può essere ancora oggi ritardata o misconosciuta, soprattutto nelle fasi iniziali o nei casi a bassa attività di malattia. Le ragioni di questi ritardi sono molteplici e riguardano sia la presentazione clinica che la gestione del percorso diagnostico.

Una delle cause principali della mancata diagnosi è la sovrapposizione dei sintomi con quelli di patologie gastrointestinali funzionali, come la sindrome dell’intestino irritabile (IBS). Il paziente con colite ulcerosa iniziale può lamentare diarrea, urgenza evacuativa, dolori addominali crampiformi e meteorismo: sintomi comuni, spesso attribuiti a disordini benigni e non infiammatori. Se non è presente sangue macroscopico nelle feci, o se i sintomi sono fluttuanti, il medico può erroneamente rassicurare il paziente senza richiedere esami specifici, rinviando di fatto la diagnosi. Questo è particolarmente frequente nei pazienti giovani, nei quali si tende a evitare procedure invasive come la colonscopia, soprattutto in prima istanza.

Un altro fattore critico è la sottovalutazione dell’ematochizia lieve o intermittente, spesso riferita come “strie di sangue” sulla carta igienica o nelle feci. In molti contesti ambulatoriali, questa manifestazione viene rapidamente attribuita a patologie emorroidarie o ragadi anali, specialmente in assenza di dolore intenso o febbre. Tuttavia, la presenza di sangue nelle feci, anche modesta, richiede sempre una valutazione coloproctologica o endoscopica in tempi ragionevoli, soprattutto se accompagnata da modificazioni dell’alvo o perdita di peso. Quando questa valutazione viene omessa o ritardata, la colite può progredire silenziosamente verso forme più estese.

La normalità degli esami ematici nelle fasi iniziali rappresenta un’altra fonte di errore diagnostico. In alcuni casi, la VES, la PCR, l’emocromo e gli indici biochimici possono risultare normali, soprattutto se la malattia è in fase lieve o localizzata. Se il medico si affida esclusivamente ai dati di laboratorio e non integra la clinica con test più specifici — come la calprotectina fecale — il sospetto di malattia infiammatoria cronica può non essere preso in considerazione. Va ricordato che i markers infiammatori sistemici hanno una sensibilità limitata nelle forme distali di colite ulcerosa.

Una delle criticità più importanti riguarda l’uso non sistematico dei test di primo livello, come l’esame coprocolturale completo e la ricerca di calprotectina nelle feci. Molti pazienti con diarrea cronica vengono trattati con diete empiriche, fermenti lattici, antidiarroici o disinfettanti intestinali senza una diagnosi chiara. In questo modo si cronicizza un quadro che, in realtà, ha un’origine infiammatoria, ma che viene gestito come se fosse funzionale. La calprotectina è un indicatore altamente sensibile di infiammazione mucosale e rappresenta uno strumento utile per discriminare tra IBS e IBD. Tuttavia, non è sempre prescritta nei percorsi diagnostici iniziali, o viene trascurata nei soggetti a basso rischio percepito.

L’età del paziente può indurre bias diagnostici significativi. Sebbene la colite ulcerosa esordisca più frequentemente tra i 15 e i 35 anni, può manifestarsi anche in età avanzata. Nei pazienti oltre i 60 anni, la diarrea ematica o la perdita di peso vengono più spesso attribuite a neoplasie del colon o a ischemia intestinale, e solo in seconda battuta si prende in considerazione una malattia infiammatoria cronica. Questo orientamento può determinare la richiesta prioritaria di colonscopia per sospetto oncologico, ma senza biopsie mirate per IBD o senza considerazione del quadro clinico complessivo. Viceversa, nei soggetti molto giovani si tende a posticipare l’approfondimento endoscopico, sottovalutando la possibilità di una patologia cronica già in atto.

Un altro motivo di mancata diagnosi è l’assenza di un’anamnesi familiare indagata correttamente. La familiarità per malattie infiammatorie croniche intestinali è un fattore di rischio noto, ma spesso non viene esplorato con attenzione. Se un familiare di primo grado è affetto da colite ulcerosa o morbo di Crohn, la probabilità che il paziente ne sia a sua volta colpito aumenta in modo significativo. Tuttavia, se il medico non approfondisce la storia familiare e non considera l’aspetto genetico, può perdere un’importante indicazione per l’esecuzione tempestiva della colonscopia.

Nel contesto del primo contatto medico, in particolare nelle cure primarie e nei pronto soccorso, la gestione dei sintomi gastrointestinali tende spesso a essere sintomatica piuttosto che eziologica. Il paziente con diarrea o dolore addominale riceve terapia empirica, indicazioni dietetiche e rassicurazione. Se non è presente febbre alta o segni di disidratazione acuta, raramente si programma un follow-up strutturato. In questo modo, i sintomi persistono e si cronicizzano, ma il percorso diagnostico viene interrotto finché non compaiono segni allarmanti, come anemia, calo ponderale marcato o riacutizzazioni importanti.

Anche la presenza di patologie concomitanti può rendere più difficile il riconoscimento precoce della colite ulcerosa. Nei pazienti con diagnosi pregressa di sindromi ansioso-depressive, fibromialgia o dispepsia funzionale, i sintomi intestinali vengono spesso attribuiti a somatizzazioni o disturbi psicosomatici. Questo pregiudizio cognitivo può ritardare la diagnosi anche di mesi o anni, soprattutto se il paziente si è già sottoposto a numerosi controlli risultati “nella norma”. Tuttavia, la colite ulcerosa è una malattia dinamica e può manifestarsi inizialmente con lesioni minime non visibili se non tramite biopsia mirata.

Infine, la disponibilità limitata di colonscopia in tempi rapidi nei servizi pubblici rappresenta una barriera logistica rilevante. Se il medico non classifica il caso come prioritario, la lista d’attesa può ritardare di molti mesi l’esecuzione dell’esame, durante i quali il paziente continua a peggiorare. Anche quando la colonscopia viene eseguita, la mancata esecuzione di biopsie sistematiche può precludere la diagnosi, soprattutto nei casi con mucosa solo lievemente eritematosa o in assenza di lesioni macroscopiche evidenti.

In conclusione, la mancata diagnosi di colite ulcerosa è spesso il risultato di un’interazione complessa tra presentazione clinica atipica, interpretazioni semplificate, percorsi diagnostici non completi e accesso ritardato agli esami chiave. È fondamentale mantenere un alto livello di sospetto in tutti i casi di diarrea persistente, ematochizia, urgenza evacuativa e dolore addominale cronico, anche se i sintomi sembrano lievi o fluttuanti. La corretta interpretazione dei segni clinici, l’uso precoce di biomarcatori fecali e il ricorso tempestivo alla colonscopia con biopsie multiple restano i pilastri per una diagnosi tempestiva ed efficace.

Ogni mese di ritardo aumenta il rischio di complicanze, la probabilità di estensione della malattia e l’eventualità di un’escalation terapeutica più aggressiva. La colite ulcerosa è una malattia cronica, ma la diagnosi non deve esserlo. Un medico attento può fare la differenza tra un controllo precoce e una riacutizzazione pericolosa. E la prima visita è sempre il momento decisivo.

Quanto è pericolosa una colite ulcerosa non diagnosticata?

Se non riconosciuta e gestita per tempo, la colite ulcerosa può causare:

  • Ulcere profonde e sanguinamento intestinale grave;
  • Anemia cronica e malnutrizione;
  • Megacolon tossico, emergenza medica potenzialmente fatale;
  • Perforazione del colon con peritonite;
  • Stenosi intestinali, con necessità di resezione chirurgica;
  • Adenocarcinoma del colon, specialmente nei casi con infiammazione non controllata per anni.

Inoltre, una diagnosi tardiva spesso comporta terapie più aggressive, ospedalizzazioni, peggioramento della qualità della vita e invalidità permanente.

Quando si configura la responsabilità medica?

La responsabilità medica per diagnosi mancata di colite ulcerosa si configura quando il medico non riconosce tempestivamente i segni clinici caratteristici della malattia, omette di prescrivere gli accertamenti diagnostici necessari oppure interpreta in modo inadeguato i dati clinici e laboratoristici, determinando un ritardo nella diagnosi e, di conseguenza, un peggioramento della condizione del paziente. La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD) che colpisce la mucosa del colon e del retto, con un decorso tipicamente intermittente ma potenzialmente invalidante e, nei casi non trattati, gravemente complicato. Il riconoscimento precoce è determinante per avviare una terapia adeguata, ridurre il rischio di recidive e prevenire danni permanenti alla mucosa colica.

La sintomatologia più comune comprende diarrea persistente, spesso ematica, dolore addominale crampiforme, tenesmo rettale, urgenza evacuativa e, nei casi più avanzati, perdita di peso, anemia e segni sistemici di flogosi. Quando questi sintomi vengono trascurati, attribuiti a sindrome del colon irritabile, a forme infettive transitorie o a situazioni psicosomatiche senza approfondimento diagnostico, si verifica un’omissione clinica rilevante che può ritardare la diagnosi per mesi o anni.

Il primo passo per escludere o confermare la colite ulcerosa, in presenza di diarrea persistente con sangue, è l’esecuzione di esami ematochimici, ricerca di marcatori infiammatori fecali (calprotectina, lattoferrina), coprocolture e, in caso di alterazioni significative, la colonscopia con biopsie multiple. La mancata prescrizione di tali esami, soprattutto in presenza di sintomi cronici o ricorrenti, costituisce una violazione del principio di accuratezza diagnostica. È necessario che il medico, di fronte a un paziente con sintomi intestinali persistenti, adotti un approccio differenziale completo e tempestivo.

Il ritardo nella diagnosi comporta conseguenze concrete. Nelle fasi iniziali, la colite ulcerosa può essere trattata efficacemente con farmaci aminosalicilati e, nei casi moderati, con corticosteroidi, immunosoppressori o farmaci biologici. Se la malattia progredisce senza terapia, la mucosa colica può subire danni irreversibili, con comparsa di ulcere profonde, perdita di compliance intestinale, megacolon tossico, perforazione, o neoplasie coliche. Il danno biologico da mancata diagnosi non è teorico ma strutturale, e comporta spesso interventi chirurgici demolitivi evitabili se la patologia fosse stata trattata precocemente.

Uno dei profili di responsabilità più frequenti riguarda l’errata interpretazione della sintomatologia da parte del medico di base o del primo curante. In pazienti giovani con diarrea ricorrente e dolore addominale, il sospetto ricade troppo spesso su forme funzionali o infettive, senza esplorare l’ipotesi organica infiammatoria. Se il quadro clinico viene gestito solo con farmaci sintomatici, probiotici o antidiarroici, e il paziente peggiora nel tempo, la responsabilità professionale si fonda sulla mancata applicazione del principio di esclusione progressiva delle diagnosi gravi.

Anche in ambito ospedaliero la diagnosi può essere mancata o ritardata. Se un paziente accede in pronto soccorso con ematochezia, astenia e disidratazione e viene dimesso senza indagini endoscopiche o con una generica diagnosi di “gastroenterite”, l’omissione diagnostica è ancor più grave. L’endoscopia, in presenza di diarrea con sangue, è lo strumento diagnostico insostituibile, e la sua assenza in un paziente sintomatico rappresenta una lacuna clinica ingiustificabile, specie se la sintomatologia è presente da giorni o settimane.

Il rischio medico-legale aumenta quando la mancata diagnosi determina un peggioramento clinico con ospedalizzazione in condizioni d’urgenza, shock ipovolemico, complicanze settiche o indicazione a colectomia. Nei casi in cui, a posteriori, si evidenzia che la diagnosi poteva essere posta prima, la responsabilità del medico si estende dalla sola omissione all’effetto dannoso concretamente verificatosi. Il ritardo diagnostico, in questi casi, non è solo un errore: è una violazione dell’obbligo di diligenza.

Nei minori, la situazione è ancora più delicata. Bambini e adolescenti con sintomi intestinali cronici, calo ponderale, anemia o ritardo di crescita devono essere attentamente valutati per escludere malattie infiammatorie croniche intestinali. L’omissione di un indirizzo gastroenterologico pediatrico o la gestione domiciliare prolungata senza approfondimenti specialistici può configurare una grave responsabilità, anche in assenza di danni permanenti. Nel paziente in età evolutiva, la diagnosi tempestiva di IBD è essenziale per evitare danni irreversibili allo sviluppo somatico e psicologico.

In ambito giuridico, la responsabilità per diagnosi tardiva si fonda sul concetto di “perdita di chance”. Non è necessario provare che il paziente sarebbe guarito con certezza se diagnosticato in tempo, ma che avrebbe avuto concrete possibilità di evitare complicanze, limitare l’aggressività terapeutica o vivere un decorso meno invalidante. Le consulenze tecniche ricostruiscono la cronologia dei sintomi, gli accessi sanitari, gli esami richiesti o omessi, la qualità della documentazione clinica e la coerenza con le linee guida nazionali e internazionali.

La documentazione è un elemento centrale per la valutazione della responsabilità. Se la cartella clinica non riporta l’iter diagnostico seguito, le motivazioni per le scelte terapeutiche o il contenuto del colloquio medico-paziente, l’omissione documentale diventa un ulteriore elemento di colpa, soprattutto quando le decisioni si sono discostate dalla buona pratica clinica. La tutela del paziente passa anche attraverso la tracciabilità delle scelte mediche effettuate.

La colite ulcerosa, se ben gestita, può essere compatibile con una buona qualità di vita. Ma quando non viene riconosciuta, curata o seguita adeguatamente, evolve verso forme severe, con impatto negativo sulla salute fisica e mentale del paziente, sull’autonomia personale, sulla sfera lavorativa e affettiva. In medicina, la tempestività è spesso la prima forma di terapia. E quando il tempo viene perso per errori evitabili, la responsabilità non è solo clinica, ma anche giuridica.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria;
  • Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile, che regola la responsabilità del professionista per attività complesse;
  • Art. 1218 Codice Civile, per responsabilità contrattuale della struttura sanitaria;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale, per lesioni e omicidio colposo da errore medico.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente trattato per “colon irritabile” per oltre due anni, poi sottoposto a colectomia per colite ulcerosa avanzata: risarcimento di 980.000 euro;
  • Diagnosi mancata in giovane donna con sintomi e anemia grave, poi sviluppato megacolon tossico: risarcimento di 1.100.000 euro;
  • Ritardo di 14 mesi nella diagnosi con comparsa di adenocarcinoma del colon: risarcimento di 1.300.000 euro;
  • Paziente con sintomi intestinali ignorati in PS, ricoverato in urgenza per perforazione: risarcimento di 950.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

Se sei stato vittima di una diagnosi tardiva o mancata di colite ulcerosa, è importante:

  • Rivolgerti a un avvocato esperto in malasanità gastroenterologica, in grado di ricostruire le responsabilità;
  • Affidarti a una perizia medico-legale specialistica, per dimostrare il nesso causale tra errore e danno;
  • Raccogliere tutta la documentazione medica: referti, esami ematici e fecali, colonscopie, cartelle cliniche;
  • Avviare un’azione legale per ottenere il risarcimento per le sofferenze, i costi sostenuti e l’invalidità permanente.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con gastroenterologi, medici legali e periti specialisti per garantire una tutela completa, competente e incisiva.

Conclusione

La colite ulcerosa è una malattia cronica che può essere tenuta sotto controllo solo se diagnosticata per tempo. Quando il ritardo è causato da superficialità o errore medico, le conseguenze possono essere gravi, permanenti e ingiuste.

Se pensi che la tua diagnosi sia arrivata tardi o sia stata gestita male, non rimanere in silenzio. Hai il diritto di sapere la verità e, se c’è stato un errore, di ottenere il giusto risarcimento.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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