Danno Visivo Da Farmaco E Risarcimento Danni

Alcuni farmaci, se non correttamente prescritti, monitorati o somministrati, possono provocare danni gravi alla vista, talvolta irreversibili. Il danno può interessare la cornea, la retina, il nervo ottico o generare disturbi visivi permanenti. Si parla in questi casi di tossicità oculare da farmaco.

Quando il danno visivo è causato da un errore nella scelta, nel dosaggio, nella durata della terapia o nella mancata sorveglianza medica, può configurarsi una responsabilità sanitaria. Il paziente ha allora diritto a un risarcimento per il danno subito, soprattutto se si dimostra che il danno era prevedibile ed evitabile.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni del danno visivo da farmaco, quando imputabile a colpa medica?

Il danno visivo da farmaco rappresenta una forma subdola e spesso evitabile di iatrogenesi. A differenza delle complicanze chirurgiche o delle omissioni diagnostiche, l’effetto tossico di un principio attivo sulla funzione visiva può manifestarsi lentamente, senza segnali d’allarme immediati, oppure in modo acuto e irreversibile. Quando il medico non riconosce il rischio, non informa il paziente, non monitora correttamente la terapia o ignora i primi sintomi riferiti, si configura una responsabilità clinica che può portare a esiti gravemente invalidanti, fino alla cecità. Le molecole potenzialmente neurotossiche o retinotossiche sono numerose, e la prevenzione del danno richiede conoscenze aggiornate, attenzione ai protocolli e comunicazione puntuale tra medico e paziente.

Una delle classi farmacologiche più implicate è quella degli antimicrobici, in particolare gli antitubercolari come l’etambutolo e l’isoniazide. L’etambutolo è noto per la sua tossicità a carico del nervo ottico, che può manifestarsi con neurite ottica retrobulbare, alterazioni del campo visivo (in particolare scotomi centrali) e disfunzione della visione cromatica. Il rischio è dose-dipendente, ma può verificarsi anche con dosi standard in soggetti predisposti o in caso di insufficienza renale. Se il paziente non viene sottoposto a controlli periodici della vista, o se i primi disturbi visivi vengono ignorati o minimizzati, la perdita può diventare irreversibile. L’obbligo medico non si limita alla prescrizione: comprende la sorveglianza continua.

Anche alcuni antibiotici, come la linezolid, sono stati associati a neuropatia ottica, specialmente nei trattamenti prolungati. Questo farmaco, utilizzato contro infezioni multiresistenti, richiede un monitoraggio visivo ogni poche settimane. Se il medico non conosce la tossicità potenziale, o se dimentica di informare il paziente sui sintomi da riferire (visione offuscata, alterazioni del colore, dolore retrobulbare), il danno può avanzare fino all’atrofia ottica bilaterale.

I farmaci antiepilettici e alcuni psicofarmaci possono essere tossici per la retina o per il nervo ottico. Il vigabatrin, ad esempio, è noto per causare una costrizione progressiva del campo visivo, anche in assenza di sintomi centrali. Se il trattamento è prolungato oltre i limiti raccomandati senza eseguire campi visivi regolari, il danno può non essere più recuperabile. Anche farmaci come la clorpromazina, se usati a lungo, possono depositarsi a livello corneale e retinico, alterando la trasparenza e la percezione visiva.

La tossicità retinica della clorochina e dell’idrossiclorochina è ben documentata, soprattutto nei trattamenti cronici per lupus o artrite reumatoide. Questi farmaci possono provocare una maculopatia “a occhio di bue”, con perdita della visione centrale irreversibile. Il danno si sviluppa lentamente ma progredisce anche dopo la sospensione. Le linee guida internazionali raccomandano un controllo oculistico di base entro il primo anno e follow-up annuali con esami come OCT, autofluorescenza e microperimetria. Se il medico non prescrive questi controlli o se ignora i primi sintomi, la lesione può avanzare fino a compromettere definitivamente la funzione visiva.

Anche farmaci cardiovascolari possono causare danni visivi, diretti o indiretti. L’amiodarone, ad esempio, può provocare microdepositi corneali e neuropatie ottiche. La sua tossicità è cumulativa e va valutata attentamente nei pazienti anziani. Una ridotta attenzione al dosaggio, alla durata della terapia e ai sintomi oculari può determinare una compromissione progressiva della vista.

Alcuni agenti chemioterapici possono causare tossicità oculare diretta o provocare ischemie retiniche o ottiche per effetto secondario. Il metotrexato ad alte dosi, il cisplatino e il paclitaxel sono associati a disturbi della visione che vanno da offuscamento a diplopia, fino a neuropatie ottiche bilaterali. In questi casi, la presenza di altri effetti collaterali sistemici può far perdere di vista il sintomo visivo, che viene attribuito a debolezza o affaticamento anziché indagato come segnale d’allarme.

L’abuso o l’uso inappropriato di corticosteroidi può determinare glaucoma e cataratta, due cause importanti di danno visivo progressivo. La somministrazione prolungata, soprattutto per via topica o sistemica, senza controlli del tono oculare, può favorire un aumento cronico della pressione intraoculare. Se non viene monitorata con tonometria regolare, la degenerazione del nervo ottico da ipertono oculare può insorgere in modo silenzioso ma permanente. Anche la cataratta da steroidi, se non riconosciuta in tempo, può portare a un calo visivo severo e non sempre completamente reversibile.

L’uso improprio di farmaci vasoattivi, come i derivati dell’ergot o alcuni decongestionanti nasali simpaticomimetici, è stato correlato a ischemie del nervo ottico o alla retina. Se il paziente presenta fattori predisponenti (come ipotensione notturna, diabete o vasculopatie), il rischio aumenta e la responsabilità medica si estende anche alla valutazione del profilo individuale del rischio.

L’intossicazione da alcol metilico (metanolo), spesso legata a ingestione accidentale o a prodotti adulterati, è un’emergenza tossicologica che colpisce selettivamente il nervo ottico. Se il medico di pronto soccorso non riconosce i segni precoci — nausea, vomito, acidosi metabolica, visione offuscata — e non attiva immediatamente il protocollo antidotico con etanolo o fomepizolo, la cecità bilaterale può svilupparsi in poche ore e diventare permanente. In questi casi, il tempo è essenziale, e l’omissione diagnostica rappresenta una colpa clinica diretta.

Anche i contraccettivi orali, in rare circostanze, possono essere associati a trombosi venose retiniche, in particolare in pazienti con mutazioni trombofiliche non note o con storia di emicrania con aura. Se il medico prescrive estroprogestinici senza indagare la familiarità per eventi trombotici o senza escludere altri fattori di rischio, la comparsa di un danno visivo ischemico può essere considerata evitabile.

La mancata informazione del paziente sul potenziale rischio oculare di alcuni trattamenti è una delle violazioni più frequenti del consenso informato. Non basta prescrivere un farmaco: è necessario avvertire l’assistito delle possibili conseguenze visive, dei segni precoci da monitorare, della necessità di controlli periodici. Se il paziente non è stato correttamente istruito, è improbabile che segnali al medico i primi sintomi (visioni sfocate, fotofobia, alterazione dei colori), e il danno può avanzare inosservato.

L’assenza di un piano di follow-up programmato è spesso il punto debole nella gestione del rischio visivo da farmaco. Alcuni medici considerano la prescrizione un atto conclusivo, dimenticando che la sorveglianza fa parte integrante della responsabilità clinica. Nei casi più gravi, il paziente non viene mai richiamato o rivalutato, nonostante l’utilizzo cronico di molecole a rischio o in presenza di segni clinici compatibili con una tossicità emergente.

In conclusione, il danno visivo da farmaco imputabile a colpa medica è un evento grave e, nella maggior parte dei casi, prevedibile e prevenibile. L’informazione chiara, il monitoraggio costante, la conoscenza farmacologica e la tempestività nel riconoscere i sintomi sono le uniche vere barriere tra una terapia efficace e una perdita irreversibile della vista.

Ogni paziente ha il diritto di sapere quali rischi corre. Ogni goccia che entra nell’occhio può portare cura o danno. Ogni parola omessa è un’occasione mancata per prevenire la cecità. Perché la medicina, prima di curare, deve proteggere. E la vista è troppo preziosa per essere sacrificata al silenzio di un bugiardino non letto o di un controllo mai fatto.

Quando si configura la responsabilità medica per danno visivo da farmaco

La responsabilità medica per danno visivo da farmaco si configura quando la perdita parziale o totale della funzione visiva è riconducibile all’utilizzo di un medicinale che era controindicato, somministrato in dose eccessiva, prescritto senza adeguato monitoraggio o mantenuto in terapia nonostante l’emergere di sintomi oculari sospetti. Molti farmaci sistemici e topici sono noti per la loro potenziale tossicità oculare: alcuni agiscono direttamente sul nervo ottico, altri sulla retina, sul cristallino o sulla pressione intraoculare. Quando questi effetti avversi si manifestano e non vengono intercettati in tempo, la colpa non è del farmaco, ma di chi lo ha gestito senza la dovuta cautela.

Tra i medicinali maggiormente coinvolti figurano gli antitubercolari (etambutolo, isoniazide), gli antimalarici come l’idrossiclorochina, alcuni antibiotici, gli steroidi topici e sistemici, gli antiepilettici, i farmaci chemioterapici e gli agenti biologici. In tutti questi casi, la letteratura medica ha già documentato i possibili effetti collaterali oculari, che possono includere neurite ottica, maculopatia, glaucoma secondario, cataratta precoce o alterazioni corneali. Il medico ha l’obbligo giuridico e deontologico di conoscere queste interazioni e di adattare la terapia al profilo di rischio del paziente.

L’errore più frequente è la mancata sorveglianza durante trattamenti prolungati. Se un paziente assume un farmaco noto per la sua tossicità retinica per mesi o anni, come nel caso dell’idrossiclorochina, e non viene sottoposto a controlli del campo visivo, OCT maculare, autofluorescenza o ERG multifocale, il rischio di maculopatia tossica aumenta esponenzialmente. Se il danno visivo si manifesta e i controlli erano assenti o inadeguati, la responsabilità è diretta, perché la prevenzione era non solo possibile, ma doverosa.

Anche i cortisonici sistemici e locali, utilizzati per patologie reumatologiche, dermatologiche o respiratorie, sono farmaci ad alto rischio. Un uso prolungato, soprattutto senza protezione oculare o senza misurazioni periodiche della pressione intraoculare, può causare glaucoma secondario o cataratta sottocapsulare posteriore. Se il paziente presenta calo visivo, dolori oculari, fotofobia o altri sintomi oculari e questi vengono ignorati, attribuiti ad altre cause o trattati con semplice sospensione del farmaco senza follow-up, l’omissione diagnostica si configura come colpa clinica.

In altri casi, il danno è causato da interazioni farmacologiche note, che aumentano il rischio di tossicità. Ad esempio, la somministrazione combinata di antibiotici aminoglicosidici e diuretici dell’ansa in pazienti con insufficienza renale può compromettere la barriera emato-retinica o influenzare la perfusione del nervo ottico. Se il medico non valuta il profilo clinico del paziente, non adatta le dosi o non sospende il trattamento al primo segno di complicanza, il danno visivo è la conseguenza diretta di un trattamento sproporzionato rispetto alla condizione clinica.

Una responsabilità specifica si configura anche in ambito anestesiologico e rianimatorio. Pazienti sedati per periodi prolungati, in posizione prona o in ventilazione meccanica, possono sviluppare neuropatie ottiche ischemiche o sindromi da ipoperfusione oculare. Alcuni farmaci utilizzati in queste situazioni, se non gestiti con equilibrio, possono accentuare i danni microvascolari. Se non vengono attuati protocolli di protezione visiva, lubrificazione oculare, prevenzione del drying corneale o monitoraggio dell’ossigenazione, il danno è prevedibile e imputabile a una gestione negligente del rischio.

Esistono inoltre casi documentati di danno visivo causato da farmaci oftalmici stessi, soprattutto colliri cortisonici non monitorati, anestetici topici usati impropriamente o sostanze prescritte senza valutazione oculistica. Se un collirio viene prescritto da un medico non oculista, senza una diagnosi chiara, o se viene mantenuto in terapia per settimane senza controllo, il rischio di tossicità corneale, glaucoma o cheratopatia è elevato. Il danno, in questo caso, non è da imputare al farmaco, ma all’assenza di una reale indicazione clinica.

Dal punto di vista medico-legale, il danno visivo da farmaco viene valutato alla luce del nesso causale tra la condotta terapeutica e l’evento avverso. Non è necessario dimostrare che il medico abbia agito con dolo o negligenza grave, ma che non abbia rispettato gli standard minimi di prudenza, aggiornamento e sorveglianza previsti per quel trattamento. Il concetto di prevedibilità del rischio è centrale: più il rischio era conosciuto, più il medico doveva essere attento a prevenirlo.

Le consulenze tecniche valutano le prescrizioni, i dosaggi, la durata della terapia, i controlli eseguiti, i referti oftalmologici e la documentazione informativa. Se risulta che il paziente non è mai stato informato del possibile rischio visivo, o se non gli sono stati consigliati controlli specifici, il consenso informato è viziato, e la responsabilità si estende anche sotto il profilo informativo.

Il danno da farmaco è uno dei più difficili da accettare per il paziente: chi assume una terapia per curare una patologia cronica non può immaginare che quella stessa cura possa costargli la vista. Quando il calo visivo è improvviso, inaspettato e permanente, e soprattutto quando si scopre che era evitabile, non si parla più solo di danno biologico, ma di una profonda frattura nella relazione di fiducia con la medicina.

La perdita della vista per effetto collaterale farmacologico è rara, ma nota, documentata e prevenibile. E quando la prevenzione non avviene per disattenzione, mancato aggiornamento o superficialità nella gestione clinica, la responsabilità diventa evidente, perché non è il farmaco ad aver fallito: è chi lo ha prescritto senza proteggere il paziente.

Quali sono le conseguenze?

Le lesioni da farmaco possono portare a:

  • Perdita progressiva della vista;
  • Danni permanenti alla retina, al nervo ottico o alla macula;
  • Visione alterata, offuscata o con zone cieche;
  • Difficoltà a leggere, guidare, lavorare, muoversi autonomamente;
  • Depressione, perdita di autonomia, peggioramento della qualità della vita.

In alcuni casi, il danno può essere bilaterale e portare a cecità legale o totale.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria;
  • Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 1218 e 1228 Codice Civile, per responsabilità contrattuale di medici e strutture sanitarie;
  • Art. 2236 Codice Civile, per attività medico-specialistiche complesse;
  • Art. 590 Codice Penale, per lesioni personali colpose da errore sanitario.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente trattata per artrite reumatoide con idrossiclorochina per 10 anni, senza controlli: sviluppa maculopatia bilaterale e cecità legale → risarcimento di 1.450.000 euro;
  • Giovane trattato con isotretinoina, sviluppa secchezza oculare cronica e danni corneali: risarcimento di 980.000 euro;
  • Anziano con glaucoma trattato con cortisonici sistemici per mesi senza visita oculistica, con grave peggioramento visivo: risarcimento di 1.100.000 euro;
  • Neurite ottica da etambutolo non diagnosticata in tempo: risarcimento di 1.200.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

In caso di danno visivo da farmaco, è fondamentale:

  • Rivolgersi a un avvocato esperto in responsabilità medica oculistica;
  • Richiedere una perizia medico-legale, con il supporto di oculisti, farmacologi e neurologi forensi;
  • Raccogliere tutta la documentazione: prescrizioni, esami visivi, referti, visite, cartella clinica;
  • Dimostrare il nesso causale tra la terapia errata e il danno visivo;
  • Avviare un’azione legale per ottenere il giusto risarcimento per danno biologico, morale, esistenziale ed economico.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano con medici legali e specialisti oftalmologi, per garantire tutela concreta, rigorosa e personalizzata.

Conclusione

Un farmaco può curare, ma può anche provocare danni gravissimi se gestito in modo superficiale. Quando ciò avviene ai danni della vista, le conseguenze sono spesso permanenti.

Se hai perso la vista o subito un danno visivo per una terapia sbagliata o mal controllata, chiedi giustizia. Il diritto alla salute è tutelato dalla legge: verità, risarcimento e dignità sono un tuo diritto.

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