La trombosi venosa profonda (TVP) è una condizione grave che consiste nella formazione di un coagulo di sangue in una vena profonda, in genere degli arti inferiori. Se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può evolvere in embolia polmonare, una delle principali cause di morte evitabile in ambito ospedaliero. La diagnosi precoce e l’immediata somministrazione di terapia anticoagulante possono salvare la vita del paziente e prevenire complicazioni permanenti.

La mancata diagnosi di una trombosi venosa profonda rappresenta un errore medico rilevante, soprattutto quando il paziente presenta sintomi chiari: dolore localizzato, gonfiore, arrossamento e aumento della temperatura dell’arto. In molti casi, il personale sanitario sottovaluta questi segnali o non dispone in tempi adeguati esami diagnostici fondamentali come l’ecocolordoppler venoso.
Un ritardo diagnostico può portare alla migrazione del trombo nei polmoni, causando embolia, insufficienza respiratoria acuta, danni cerebrali da ipossia o morte improvvisa. La responsabilità medica si configura quando il mancato intervento tempestivo dipende da negligenza, imperizia o imprudenza da parte del medico o della struttura sanitaria.
In questo articolo verranno analizzate le principali cause della mancata diagnosi di trombosi venosa profonda, le patologie correlate, i riferimenti normativi aggiornati al 2025, esempi concreti di risarcimenti ottenuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati in responsabilità sanitaria per eventi tromboembolici.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti di mancata diagnosi di trombosi venosa profonda?
La trombosi venosa profonda (TVP) è una patologia subdola, potenzialmente letale, spesso sottovalutata nella pratica clinica quotidiana. Si tratta della formazione di un coagulo di sangue, il cosiddetto trombo, all’interno di una vena profonda, generalmente degli arti inferiori, ma non esclusivamente. Quando non viene riconosciuta e trattata tempestivamente, la TVP può evolvere in un’embolia polmonare, complicanza gravissima che può portare anche alla morte improvvisa. Eppure, ogni anno in Italia si contano migliaia di casi di diagnosi mancate o ritardate di trombosi venosa profonda, con esiti che variano dalla cronicizzazione della malattia venosa al decesso del paziente. Comprendere le cause più frequenti di questi errori diagnostici è essenziale per migliorare la qualità dell’assistenza e salvare vite umane.
Il primo grande errore che si registra nella mancata diagnosi di TVP è la sottovalutazione dei sintomi iniziali, spesso aspecifici e facilmente confondibili con disturbi meno gravi. Un gonfiore improvviso a una gamba, un senso di pesantezza, un dolore simile a quello di uno stiramento muscolare o una leggera tumefazione possono essere scambiati per problemi ortopedici, traumi lievi o infiammazioni locali. Questo accade soprattutto nei pazienti giovani, attivi, in buona salute generale, per i quali il sospetto di una trombosi sembra improbabile. Eppure, la trombosi non è una malattia esclusiva degli anziani o dei grandi invalidi. Colpisce anche pazienti giovani dopo lunghi viaggi, interventi chirurgici minori, o persino donne in terapia anticoncezionale. Il mancato riconoscimento precoce di questi segnali rappresenta uno dei punti deboli più frequenti nella catena diagnostica.
Un altro errore significativo è l’assenza di una corretta valutazione del rischio trombotico. Esistono scale di valutazione validate a livello internazionale, come il punteggio di Wells o il Geneva Score, che consentono al medico di stimare la probabilità clinica di una trombosi. Tuttavia, questi strumenti vengono ancora oggi usati in modo disomogeneo nei pronto soccorso italiani e nelle strutture territoriali. La mancata adozione di queste linee guida impedisce di individuare i pazienti a rischio e conduce a errori di selezione nell’uso degli esami strumentali. In pratica, pazienti con alto rischio vengono dimessi senza approfondimenti, mentre altri a basso rischio vengono sottoposti inutilmente a esami costosi o invasivi.
Gli errori si amplificano ulteriormente quando il quadro clinico si presenta in modo atipico. Ad esempio, in alcuni casi la TVP si manifesta solo con dolore toracico, dispnea o tachicardia, perché il primo segno visibile è già l’embolia polmonare. Se il medico non collega questi sintomi a una possibile trombosi agli arti inferiori, la diagnosi rischia di arrivare tardi, quando l’embolia si è già manifestata. In questi casi, il problema non è solo la TVP non diagnosticata, ma anche l’assenza di una cultura clinica integrata, capace di correlare sintomi apparentemente lontani tra loro. A volte, l’unico indizio è una lieve differenza di circonferenza tra le due gambe, oppure un dolore inguinale non spiegabile con cause ortopediche. Ignorare questi segni può essere fatale.
Una causa assai frequente di errore è legata all’interpretazione dei valori di laboratorio, in particolare del D-dimero. Questo esame, largamente utilizzato per escludere la trombosi, ha un’elevata sensibilità ma una bassa specificità. Ciò significa che un D-dimero negativo può escludere con una certa sicurezza la presenza di trombosi nei pazienti a basso rischio, ma un valore elevato non è di per sé diagnostico, poiché può aumentare in numerose condizioni infiammatorie o post-traumatiche. Il problema è che in molti casi si considera il D-dimero come un test decisivo, senza integrarlo con l’esame clinico e i criteri pre-test. Questo porta a due errori opposti: da un lato, pazienti a rischio con D-dimero negativo vengono trascurati; dall’altro, pazienti con D-dimero lievemente alterato vengono sottoposti a ecocolordoppler inutili o addirittura a TAC con contrasto, con rischi non trascurabili.
Non va dimenticata la frequente inadeguatezza dell’anamnesi. Capita spesso che il medico non indaghi a fondo sulla storia clinica del paziente, trascurando elementi fondamentali come un precedente episodio di trombosi, un recente intervento chirurgico, un’immobilizzazione prolungata, una gravidanza, una terapia ormonale o la presenza di neoplasie. Questi fattori aumentano in modo esponenziale il rischio trombotico, e la loro omissione nell’anamnesi può portare a una sottovalutazione drastica del quadro clinico. Il tempo dedicato al colloquio con il paziente è sempre più ridotto, soprattutto nei contesti di emergenza, ma in questi casi pochi minuti in più possono davvero salvare una vita.
Vi sono poi errori legati alla scarsa tempestività nell’esecuzione dell’ecocolordoppler, che è l’esame diagnostico di riferimento per identificare una trombosi venosa profonda. In molte strutture sanitarie, specialmente nelle ore notturne o nei giorni festivi, non è disponibile un ecografista esperto o il servizio di diagnostica vascolare è sospeso. Questo ritardo costringe il medico a decidere sulla base della sola clinica, o a rinviare il paziente con l’indicazione di fare l’esame il giorno successivo. In questo lasso di tempo, il trombo può progredire e distaccarsi, provocando un’embolia polmonare. Rimandare l’ecocolordoppler, in presenza di un sospetto fondato, è uno degli errori più gravi e più frequenti.
Anche nella medicina di base si registrano molti errori legati alla TVP non diagnosticata. Il medico di famiglia può trovarsi di fronte a un paziente con gamba gonfia, calda e dolente. Se attribuisce questi sintomi a una semplice flebite superficiale o a un’infiammazione muscolare, senza indirizzare il paziente a una valutazione vascolare urgente, rischia di sottovalutare un evento potenzialmente letale. Questo accade spesso quando il medico è poco aggiornato sui protocolli o quando manca un coordinamento efficiente con i servizi diagnostici del territorio.
Un’altra categoria di errori riguarda i pazienti ospedalizzati. In ospedale, soprattutto nei reparti di degenza chirurgica, ortopedica o oncologica, il rischio di trombosi è elevatissimo. Tuttavia, in molti casi non vengono attuate misure di profilassi efficaci, come la somministrazione di eparina a basso peso molecolare o l’uso di calze elastiche a compressione graduata. Questo avviene per dimenticanza, per sottovalutazione o per il timore di complicanze emorragiche. In realtà, esistono protocolli ben precisi per la gestione del rischio trombotico, adattabili al singolo paziente. La mancata attivazione di queste misure non solo espone il paziente a un rischio evitabile, ma costituisce una delle cause più frequenti di contenzioso medico-legale.
Nel contesto ginecologico e ostetrico, la diagnosi mancata di trombosi è particolarmente pericolosa. Le donne in gravidanza o nel puerperio sono fisiologicamente più esposte al rischio trombotico per via delle modificazioni ormonali e della compressione meccanica dell’utero sulle vene pelviche. Tuttavia, molti sintomi della TVP vengono erroneamente interpretati come disturbi fisiologici della gravidanza, come il gonfiore alle gambe o la stanchezza. Quando questi segnali non vengono adeguatamente valutati, si rischia di lasciare una trombosi non trattata che può trasformarsi in embolia polmonare anche letale.
Un discorso a parte merita la trombosi in pazienti oncologici. I tumori solidi, così come le neoplasie ematologiche, sono tra le principali cause di ipercoagulabilità. Eppure, la trombosi è spesso l’ultimo dei pensieri nei pazienti in terapia oncologica, dove l’attenzione è rivolta alla progressione del tumore, agli effetti collaterali della chemio, agli aspetti nutrizionali. Quando insorge una trombosi, viene spesso diagnosticata in ritardo o trattata con dosaggi inadeguati. In alcuni casi, i sintomi trombotici vengono attribuiti alla malattia tumorale stessa, generando un errore di attribuzione che ritarda la terapia salvavita.
In sintesi, la mancata diagnosi di trombosi venosa profonda è un problema diffuso, trasversale a tutti i contesti della medicina, e ha origine da una combinazione di fattori: sottovalutazione dei sintomi, mancato utilizzo di scale di rischio, difficoltà organizzative, carenza di formazione specifica e barriere burocratiche. L’esito di questi errori non è solo clinico, ma anche legale: sempre più pazienti si rivolgono alla giustizia per ottenere un risarcimento per danni evitabili legati alla mancata diagnosi. E i tribunali riconoscono che una TVP non diagnosticata rappresenta una negligenza se il medico non ha attivato gli strumenti previsti dalle linee guida.
Per evitare questi errori, serve un cambiamento culturale e organizzativo. Serve formare i medici a riconoscere i segnali della trombosi in ogni contesto clinico, garantire la disponibilità degli esami strumentali anche nei turni di notte e nei festivi, rafforzare la medicina territoriale con percorsi di urgenza vascolare rapidi ed efficaci, e soprattutto, insegnare ai pazienti stessi a riconoscere i sintomi sospetti e a richiedere assistenza immediata. La TVP è un killer silenzioso, ma riconoscerla in tempo può fare la differenza tra la vita e la morte.
Quali sono gli errori più comuni nella diagnosi?
- Mancata valutazione dei fattori di rischio del paziente;
- Assenza di richiesta di ecocolordoppler nonostante i sintomi;
- Ritardi nella presa in carico al pronto soccorso;
- Sottovalutazione di dolore e gonfiore agli arti;
- Trattamento sintomatico senza indagine sulle cause.
Quando si configura la responsabilità medica per mancata diagnosi di trombosi venosa profonda?
La trombosi venosa profonda (TVP) rappresenta una condizione clinica tempo-dipendente in cui si forma un coagulo di sangue all’interno di una vena profonda, generalmente degli arti inferiori. La complicanza più temibile della TVP non trattata è l’embolia polmonare, una delle principali cause di morte prevenibile in ambito ospedaliero. La diagnosi precoce è essenziale per iniziare immediatamente la terapia anticoagulante, ridurre il rischio di embolia, prevenire la sindrome post-trombotica e migliorare la prognosi generale. Quando il medico non riconosce tempestivamente la trombosi, o non attiva il corretto iter diagnostico e terapeutico, si configura una responsabilità sanitaria a pieno titolo.
La TVP può presentarsi con un quadro clinico sfumato o aspecifico: gonfiore monolaterale a un arto inferiore, dolore alla palpazione del polpaccio, arrossamento, senso di calore, aumento della circonferenza dell’arto interessato, comparsa di edemi in pazienti immobilizzati, post-chirurgici o oncologici. Se questi segni non vengono riconosciuti, valutati o correttamente approfonditi, la finestra terapeutica può chiudersi e la prognosi del paziente peggiorare rapidamente.
Una delle cause principali di mancata diagnosi è la sottovalutazione dei sintomi iniziali. In molti casi, il paziente lamenta un dolore vago alla gamba, spesso attribuito a problematiche ortopediche come strappi muscolari, tendiniti, artrosi o esiti post-traumatici. Se il medico non esegue un’anamnesi approfondita — tenendo conto dei fattori di rischio trombotico come interventi chirurgici recenti, immobilizzazione, gravidanza, patologie neoplastiche, terapia ormonale, obesità o familiarità — il sospetto clinico non si attiva, e l’occasione diagnostica viene persa.
La mancata esecuzione di esami diagnostici adeguati è un altro elemento critico. Il test più indicato per confermare il sospetto di TVP è l’ecocolordoppler venoso degli arti inferiori. Nei pazienti a rischio intermedio-alto, secondo le scale di Wells, l’indicazione all’ecografia è immediata e non dovrebbe mai essere rimandata a valutazioni successive o ambulatoriali, soprattutto in contesto d’urgenza. Il ritardo nell’esecuzione di questo esame, o il mancato accesso allo specialista, rappresenta un’omissione che può avere conseguenze gravi e irreversibili.
Anche l’uso scorretto del D-dimero può portare a diagnosi mancate. Questo marcatore ematico è utile nei pazienti a basso rischio clinico per escludere la trombosi. Tuttavia, nei pazienti a medio o alto rischio secondo la stratificazione di Wells, un D-dimero negativo non è sufficiente a escludere la diagnosi. Se il medico si affida a questo parametro senza considerare il quadro complessivo, può rinunciare erroneamente all’ecografia e dimettere il paziente in modo inappropriato.
Il ritardo nella prescrizione della terapia anticoagulante costituisce un altro aspetto centrale della responsabilità medica. Nei casi in cui la diagnosi è già sospettata o probabile, le linee guida raccomandano di iniziare il trattamento anticoagulante in attesa della conferma strumentale, per ridurre il rischio di embolia polmonare. Se il paziente rimane scoperto per ore o giorni senza alcuna protezione, e successivamente sviluppa un’embolia, l’errore clinico si trasforma in danno prevedibile.
Anche la dimissione frettolosa da pronto soccorso, senza approfondimenti o istruzioni per un follow-up stretto, è una causa documentata di errori. Il paziente che presenta dolore e gonfiore a un arto, ma che viene dimesso senza nemmeno una diagnosi differenziale, corre il rischio di peggiorare a casa, sviluppare embolia o tornare in ospedale solo quando il quadro clinico è già drammaticamente compromesso.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica si configura quando si dimostra che il clinico non ha rispettato le linee guida per il sospetto e la diagnosi di TVP, e che tale condotta ha causato un danno al paziente, evitabile con un’azione diligente. Le linee guida internazionali — come quelle dell’American College of Chest Physicians — e i protocolli regionali in Italia stabiliscono chiaramente le modalità di approccio al paziente con sospetta trombosi: valutazione clinica, utilizzo della scala di Wells, dosaggio del D-dimero, esecuzione dell’ecodoppler e inizio precoce della terapia.
La documentazione clinica è spesso il primo elemento analizzato in caso di contenzioso. Se la cartella non riporta i segni rilevati all’ingresso, i valori dei parametri vitali, il ragionamento clinico che ha escluso la TVP, l’eventuale spiegazione per la mancata richiesta di ecodoppler o per la non somministrazione di eparina, l’onere della prova ricade sul medico, che deve dimostrare di aver agito correttamente. In mancanza di documentazione, si presume che l’errore sia avvenuto.
Anche le strutture sanitarie possono essere chiamate a rispondere in solido con i medici coinvolti. La mancata disponibilità di ecodoppler h24, l’assenza di protocolli diagnostico-terapeutici o la mancata formazione del personale sui rischi trombotici in particolari categorie di pazienti costituiscono una colpa organizzativa. Se il medico ha operato in un contesto strutturalmente carente, la responsabilità è condivisa tra professionista e struttura.
La giurisprudenza italiana ha riconosciuto in più occasioni la responsabilità medica per mancata diagnosi di TVP, soprattutto quando l’omissione diagnostica ha condotto a embolia polmonare. Il ritardo nella diagnosi è ritenuto tanto più grave quanto più il paziente presentava fattori di rischio evidenti e sintomi classici. In molti casi, la morte improvvisa del paziente è stata ritenuta evitabile con un trattamento anticoagulante precoce, a fronte di un sospetto clinico ragionevole.
L’elemento della prevedibilità gioca un ruolo decisivo. La trombosi venosa profonda è una condizione ampiamente studiata, con fattori di rischio noti e un protocollo di diagnosi standardizzato. Il medico non può giustificare l’errore con la complessità del caso o con la rarità della malattia. La diagnosi può essere difficile solo quando il sospetto non viene neppure preso in considerazione.
La prevenzione dell’errore passa da un’attenta anamnesi, dalla conoscenza dei criteri di stratificazione del rischio e dalla disponibilità di strumenti diagnostici tempestivi. Ogni paziente con dolore o gonfiore agli arti inferiori, soprattutto se presenta fattori predisponenti, deve essere considerato un potenziale portatore di TVP fino a prova contraria. In caso di dubbio, si inizia il trattamento e si procede con gli esami.
In conclusione, la responsabilità medica per mancata diagnosi di trombosi venosa profonda si configura quando il clinico non riconosce i segni suggestivi, non utilizza gli strumenti di valutazione raccomandati, non attiva il percorso diagnostico indicato e non somministra la terapia anticoagulante nei tempi richiesti. È una colpa che si può trasformare in tragedia, perché spesso silenziosa fino all’evento acuto, ma perfettamente evitabile.
Ogni gamba gonfia è una domanda. Ogni sintomo trascurato è una possibilità perduta. Ogni embolia sviluppata da una TVP non riconosciuta è una responsabilità che pesa. E la medicina, in questi casi, non deve solo sapere cosa fare: deve sapere quando farlo. Perché con la TVP, ciò che salva è il tempo. E il tempo è nelle mani di chi visita.
Quali norme regolano il risarcimento?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017);
- Art. 2043 c.c. per danno ingiusto;
- Art. 2236 c.c. per responsabilità del medico in casi complessi;
- Art. 589 e 590 c.p. per morte o lesioni personali da errore medico.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?
- Embolia polmonare fatale in giovane paziente post-chirurgico non valutato: risarcimento agli eredi di 1.200.000 euro;
- Paziente con TVP sottovalutata e invalidità permanente: risarcimento di 890.000 euro;
- Caso di ritardo diagnostico in donna gravida: danno neurologico da ipossia, risarcimento di 1.050.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere tutela legale?
È essenziale affidarsi a avvocati competenti nella gestione di casi di malasanità legata a trombosi ed embolie, capaci di:
- Analizzare la cronologia clinica e i protocolli applicati;
- Ottenere consulenze medico-legali specialistiche;
- Accertare il nesso causale tra errore e danno;
- Condurre la trattativa o l’azione legale per ottenere il risarcimento.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, con il supporto di angiologi, internisti, anestesisti e medici legali, offrono un approccio tecnico, preciso e risolutivo per ottenere giustizia e riparazione economica per le vittime di diagnosi mancate o ritardate di TVP.
Quando la diagnosi è troppo tardi, è fondamentale che la legge intervenga con un risarcimento adeguato. La competenza legale può riportare dignità e sicurezza ai pazienti danneggiati.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: