Nel contesto dell’assistenza sanitaria, la tempestività nell’esecuzione degli esami diagnostici urgenti è determinante per salvare la vita del paziente o evitare gravi danni irreversibili. In molte situazioni, come nel sospetto di infarto, ictus, embolia, rottura d’organo o infezioni sistemiche, ogni minuto perso può compromettere il quadro clinico e peggiorare in modo esponenziale la prognosi. L’efficacia della diagnosi precoce non dipende solo dalla competenza clinica del medico, ma anche dalla rapidità con cui viene attivato il percorso diagnostico.

Un ritardo nella richiesta, nell’esecuzione o nell’interpretazione di un esame urgente può configurare una responsabilità sanitaria se il paziente subisce un danno evitabile. Purtroppo non sono rari i casi in cui pazienti restano in attesa per ore o giorni prima di eseguire una TAC, una risonanza magnetica o un esame del sangue urgente, con conseguenze devastanti: diagnosi tardive, trattamenti inadeguati, complicazioni evitabili e persino decessi.
Il diritto al risarcimento in caso di danno da ritardo diagnostico è pienamente riconosciuto dall’ordinamento italiano. Il paziente ha il diritto di ottenere un risarcimento per il danno biologico, morale, esistenziale e patrimoniale, compresi i costi per cure future e le perdite di chance terapeutiche.
In questo articolo analizziamo le cause più comuni di ritardo negli esami diagnostici, le patologie più colpite, i riferimenti normativi aggiornati al 2025, i casi reali con risarcimenti ottenuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati nella responsabilità sanitaria da ritardo diagnostico.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni del ritardo nell’esecuzione di esami diagnostici urgenti, quando imputabile a colpa medica?
Gli esami diagnostici urgenti rappresentano strumenti essenziali per identificare condizioni cliniche acute e potenzialmente letali. Dal punto di vista clinico, la loro tempestiva esecuzione consente non solo di formulare una diagnosi rapida, ma anche di impostare immediatamente il trattamento, evitando peggioramenti irreversibili. Un ritardo ingiustificato in questo processo, specie se si traduce in un peggioramento clinico o nella perdita di una finestra terapeutica utile, può costituire un errore medico vero e proprio. Quando il tempo è determinante, diagnosticare tardi equivale a non curare.
Una delle cause più frequenti del ritardo è la sottovalutazione della gravità del quadro clinico. Un paziente che si presenta con dolore toracico, dispnea, alterazioni neurologiche improvvise o addome acuto richiede esami diagnostici immediati. Tuttavia, se il medico interpreta i sintomi come ansia, gastrite, influenza o dolore muscolare senza approfondire con esami di primo livello, si crea una falsa rassicurazione clinica. Il tempo passa, il paziente peggiora e si arriva alla diagnosi troppo tardi, quando le possibilità terapeutiche si sono ridotte.
L’assenza di protocolli operativi aggiornati o il mancato rispetto di quelli esistenti è un’altra fonte strutturale di ritardo. In molte strutture sanitarie, esistono percorsi fast track per l’ictus, l’infarto, la sepsi, la tromboembolia, ma se questi non vengono attivati prontamente, o se il personale non è formato per riconoscere i criteri di attivazione, il paziente resta inserito nel flusso ordinario. In questo modo, anche un esame urgente come una TC encefalo o un ECG può essere eseguito con ore di ritardo.
Un’altra causa frequente è la cattiva gestione dei tempi e delle priorità all’interno del pronto soccorso. I pazienti vengono spesso valutati in base al codice di triage assegnato. Ma se il triage è stato effettuato in modo superficiale, o se il codice viene mantenuto nonostante un peggioramento clinico, gli esami non vengono richiesti con urgenza. Il paziente resta in attesa, anche se sta peggiorando. E spesso, quando viene chiamato per eseguire l’esame, è troppo tardi per cambiare il corso della malattia.
I ritardi possono derivare anche dalla disorganizzazione logistica del servizio di diagnostica per immagini o di laboratorio. In assenza di corsie preferenziali per gli esami urgenti, un’angio-TC per sospetta embolia polmonare può dover attendere la disponibilità del tecnico, della macchina o del radiologo. Se il medico non insiste, non segnala la priorità o non attiva il canale di urgenza, l’esame viene trattato come uno qualunque. E un embolo continua a crescere.
Il ritardo può anche essere generato da errori nella comunicazione tra i reparti. Il medico del pronto soccorso può aver richiesto l’esame, ma se la richiesta non viene trasmessa correttamente al servizio diagnostico, o se il tecnico non è informato del livello di urgenza, il paziente non viene chiamato in tempo. A volte, la richiesta resta nel sistema informatico senza che nessuno se ne accorga. Il paziente peggiora nella sala d’attesa o in barella.
La scarsa chiarezza nella compilazione delle richieste è un altro fattore sottovalutato. Se il medico non specifica la dicitura “urgente”, “immediato” o “prioritario”, oppure non allega i dati clinici che giustifichino l’urgenza, l’esame viene declassato. Il tecnico radiologo o il personale di laboratorio non possono fare valutazioni cliniche autonome: si fidano della richiesta. E se questa è ambigua, tutto rallenta.
I ritardi possono anche essere legati a fattori strutturali, come la carenza di personale o di apparecchiature. Ma anche in questi casi, è dovere del medico segnalare in modo attivo e documentato la necessità clinica dell’esame, e attivare, se necessario, il trasferimento in altro presidio. Non farlo equivale ad accettare un ritardo che può risultare fatale. Nessun vincolo organizzativo giustifica l’inazione.
Un altro errore comune è la mancata rivalutazione del paziente in attesa dell’esame. Spesso il quadro evolve mentre il paziente è in attesa: una semplice dispnea diventa insufficienza respiratoria, un dolore addominale diventa peritonite, una cefalea si trasforma in coma. Se nessuno controlla i parametri vitali, se nessuno rivaluta la priorità della richiesta, il paziente può andare incontro a un danno irreversibile prima ancora che l’esame venga eseguito.
I pazienti con difficoltà comunicative o condizioni particolari sono spesso quelli più a rischio. Anziani con demenza, soggetti stranieri, persone con disabilità cognitiva, pazienti non verbali: se i sintomi non vengono espressi chiaramente o vengono minimizzati, l’urgenza viene fraintesa. In questi casi, è fondamentale basarsi su parametri oggettivi e non sulla sola narrazione dei sintomi.
Le conseguenze di un ritardo nell’esecuzione di un esame urgente possono essere gravissime. Ritardare una TC in caso di sospetto ictus può significare perdere la finestra terapeutica per la trombolisi. Rimandare un’angio-TC in un sospetto di TEP può comportare un arresto cardiaco. Ignorare una troponina elevata può significare non trattare un infarto. E rimandare un’ecografia in un addome acuto può portare alla rottura di un organo.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura quando il ritardo era evitabile, l’urgenza era riconoscibile, e le linee guida non sono state rispettate. Non è necessario che il danno sia inevitabile per stabilire la colpa: basta che ci sia stata una mancanza di diligenza nella gestione del tempo clinico. E in medicina d’urgenza, il tempo è parte integrante della cura.
Anche la documentazione ha un ruolo centrale nella valutazione della responsabilità. Se la richiesta è stata compilata in modo ambiguo, se non sono indicate le motivazioni cliniche, se non è presente alcuna segnalazione del peggioramento, la difesa diventa estremamente debole. Ogni esame urgente deve essere documentato con data, ora, motivazione clinica, codice di priorità, tempi di esecuzione e refertazione.
La formazione del personale, la chiarezza dei protocolli e la collaborazione tra servizi sono strumenti indispensabili per prevenire questi errori. Nessuna tecnologia può sostituire la consapevolezza clinica. Nessun software può correggere una richiesta ambigua. E nessuna organizzazione può funzionare senza comunicazione.
In conclusione, ritardare un esame urgente non è solo un errore organizzativo: è un errore clinico, con un impatto diretto sulla vita del paziente. È un tempo sprecato, un’occasione persa, un danno spesso irreversibile. E quando tutto si sarebbe potuto evitare con una riga scritta meglio, con una telefonata in più, con un gesto in meno rimandato, l’errore diventa inaccettabile.
Ogni minuto senza diagnosi è una terapia mancata. Ogni paziente in attesa di un esame urgente è una persona sospesa. Ogni urgenza dimenticata è una vita che si allontana. E la medicina non può permettersi di rincorrere il tempo. Deve saperlo prevedere. E rispettare. Sempre.
Quali patologie risentono maggiormente di un ritardo diagnostico?
- Infarto miocardico;
- Ictus ischemico o emorragico;
- Sepsi e infezioni sistemiche;
- Rottura di aneurisma;
- Occlusione intestinale;
- Perforazione d’organo;
- Embolia polmonare.
Quando si configura la responsabilità medica per ritardo nell’esecuzione di esami diagnostici urgenti?
Nel contesto della medicina d’urgenza e dell’assistenza ospedaliera, il tempo è un fattore determinante. Le decisioni diagnostiche non possono essere scollegate dalla variabile temporale, soprattutto quando si ha a che fare con patologie tempo-dipendenti come infarti, ictus, embolie, sepsi, emorragie interne, traumi maggiori e occlusioni acute. Il ritardo nell’esecuzione di esami diagnostici urgenti, in questi contesti, può compromettere gravemente l’esito clinico e, se evitabile, costituire una responsabilità medico-sanitaria pienamente configurabile.
Il principio alla base di questa responsabilità è che ogni paziente ha diritto a un percorso diagnostico adeguato e tempestivo, in particolare quando la sua condizione clinica indica un rischio concreto e imminente. Se un esame — sia esso una TAC, un’ecografia urgente, un esame del sangue, un ECG o una risonanza — è indicato in base alle linee guida e al quadro clinico, il suo rinvio ingiustificato può determinare la perdita della cosiddetta “finestra terapeutica”, ovvero del momento in cui l’intervento clinico può fare la differenza tra la guarigione e il danno permanente.
Una delle cause più comuni del ritardo è la sottovalutazione della gravità clinica. Quando i sintomi vengono interpretati come banali o non indicativi di una condizione urgente, l’esame necessario viene rimandato, inserito in una lista ordinaria o semplicemente non prescritto. Questo accade, ad esempio, nei pazienti con dolore toracico considerato “muscoloscheletrico”, con dispnea attribuita a “ansia”, o con confusione mentale inquadrata come “delirio senile”. Se l’errore di valutazione iniziale porta a posticipare esami come ECG, TAC torace, esami ematochimici o angio-TC, il rischio di danno è altissimo.
Il sovraccarico organizzativo e la carenza di risorse diagnostiche rappresentano un’altra causa frequente, ma non sempre scriminante. In molte strutture, gli esami diagnostici urgenti sono limitati a determinati orari o dipendono dalla disponibilità del personale tecnico e radiologico. Tuttavia, la giurisprudenza tende a considerare che l’urgenza clinica debba prevalere sull’organizzazione ordinaria. In caso di reale rischio per il paziente, l’ospedale ha l’obbligo di garantire l’accesso all’esame, anche ricorrendo a turni straordinari, richieste interospedaliere o trasferimenti protetti.
Un altro aspetto critico è l’inadeguata comunicazione tra i professionisti. Capita spesso che un medico richieda un esame con urgenza, ma l’indicazione non venga correttamente trasmessa al servizio radiologico o al laboratorio. Oppure che un referto venga prodotto ma non letto in tempi utili. Il ritardo non è sempre nella macchina diagnostica, ma nel flusso informativo. E quando l’urgenza si perde tra la burocrazia, è la clinica a pagare il prezzo.
Il mancato uso dei canali di priorità per gli esami urgenti è un errore sistemico. Le strutture sanitarie dispongono di codici specifici per segnalare la criticità di un esame (es. “urgente entro 1 ora”, “entro 6 ore”, “entro 24 ore”). Se chi prescrive l’esame non utilizza correttamente questi strumenti, oppure non comunica verbalmente la necessità di urgenza, l’esame viene trattato come ordinario, con tempi incongruenti rispetto al bisogno clinico.
Nei casi pediatrici, traumatologici o neurologici, il tempo diagnostico è ancora più critico. Un ritardo nella TAC in un trauma cranico, nell’ecografia addominale in un sospetto di addome acuto, o nella RMN in un bambino con segni neurologici acuti può comportare esiti devastanti. Se il medico non motiva il ritardo, non documenta i tentativi di ottenere l’esame o non valuta alternative praticabili, la responsabilità clinica diventa difficile da escludere.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica per ritardo diagnostico si basa su tre elementi fondamentali: condotta colposa, nesso causale e danno evitabile. La condotta colposa è rappresentata dal mancato rispetto delle linee guida, dalla scarsa prontezza nella gestione clinica o dall’omissione nell’attivazione del percorso diagnostico corretto. Il nesso causale viene valutato in base alla probabilità che, se l’esame fosse stato eseguito per tempo, l’intervento terapeutico avrebbe potuto evitare il danno. Il danno, infine, deve essere reale, documentabile e riconducibile al ritardo come causa diretta o concausale.
Il ritardo nella refertazione rappresenta un’ulteriore responsabilità. In molti casi, l’esame viene eseguito in tempo ma il referto non è disponibile nei tempi clinicamente rilevanti. Se un’aneurisma, un’embolia o un infarto intestinale risultano visibili nelle immagini ma vengono descritti ore dopo, o addirittura il giorno seguente, la colpa non ricade solo sul medico prescrittore, ma anche sul radiologo e sull’intero sistema informativo.
Il medico ha il dovere di vigilare sull’intero percorso diagnostico. Non basta richiedere l’esame: è necessario accertarsi che venga eseguito nei tempi dovuti, che il referto venga letto, interpretato e tradotto in azione terapeutica. L’omessa sorveglianza o l’eccessiva fiducia nei meccanismi automatici costituiscono una violazione del dovere di diligenza.
Anche la responsabilità della struttura sanitaria è rilevante, soprattutto quando l’organizzazione impedisce la diagnosi tempestiva. Carenze di personale, turni sottodimensionati, apparecchiature non funzionanti, assenza di protocolli per i codici tempo-dipendenti sono tutte condizioni che, se documentate, determinano una responsabilità oggettiva della direzione sanitaria. Il paziente non può pagare con la salute i limiti della struttura.
La documentazione è determinante nei casi giudiziari. Ogni passaggio del percorso diagnostico urgente deve essere tracciato: ora della richiesta, motivo dell’urgenza, ora di esecuzione, ora di refertazione, ora di presa visione. Se anche uno solo di questi elementi manca, la linea difensiva diventa debole. Un esame fatto ma non letto è come un esame mai fatto.
La giurisprudenza italiana ha già affrontato numerosi casi in cui il ritardo nell’esecuzione o nell’interpretazione di un esame ha causato danni irreversibili. L’emorragia cerebrale non diagnosticata in tempo, l’infarto intestinale visto troppo tardi, la sepsi non riconosciuta per una procalcitonina refertata dopo ore, sono solo alcuni esempi in cui i tribunali hanno accertato la responsabilità del medico e della struttura per colpa grave.
La prevenzione del ritardo passa per il rafforzamento dei percorsi clinici strutturati, la formazione del personale, l’integrazione digitale tra reparti, e soprattutto per una cultura clinica centrata sulla priorità assistenziale. Ogni medico deve chiedersi se l’esame è necessario, quando è necessario, e quali rischi si corrono a non eseguirlo subito.
In conclusione, la responsabilità medica per ritardo nell’esecuzione di esami diagnostici urgenti si configura quando il bisogno clinico è evidente, ma non viene tradotto in azione diagnostica tempestiva, con conseguente danno evitabile al paziente. È una forma di colpa tanto più grave quanto più semplice era l’esame da ottenere, quanto più chiaro era il sospetto clinico, quanto più prevedibile era l’evoluzione.
Ogni minuto perso tra la prescrizione e l’esecuzione può diventare un organo compromesso. Ogni ora di attesa è un’occasione mancata di intervento. Ogni giorno senza diagnosi è un passo verso l’irrecuperabile. E nella medicina moderna, dove gli strumenti esistono e funzionano, il tempo perso è solo responsabilità. Umana, clinica e giuridica.
Quali leggi regolano la responsabilità in questi casi?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), che disciplina la sicurezza delle cure e la responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 c.c., responsabilità per fatto illecito e danno ingiusto;
- Art. 2236 c.c., per colpa grave del professionista;
- Art. 589 c.p. per omicidio colposo;
- Art. 590 c.p. per lesioni personali colpose.
Quali sono i casi reali di risarcimento per ritardo diagnostico?
- Infarto diagnosticato dopo 5 ore di attesa per ECG e enzimi cardiaci: danno miocardico permanente, risarcimento di 980.000 euro;
- Ictus non trattato per ritardo nella TC cerebrale: risarcimento di 1.200.000 euro per danno neurologico;
- Paziente con peritonite atteso per oltre 8 ore prima di eseguire l’ecografia: risarcimento di 950.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
Il paziente vittima di ritardo diagnostico deve rivolgersi a un avvocato specializzato in responsabilità medica, capace di:
- Ricostruire i tempi e la cronologia dell’errore;
- Dimostrare il nesso causale tra ritardo e danno subito;
- Richiedere una perizia medico-legale specialistica;
- Intraprendere l’azione legale civile o penale;
- Gestire la trattativa con la struttura sanitaria e le compagnie assicurative.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano con rigore giuridico e supporto di medici legali, specialisti e radiologi, per offrire al paziente una tutela solida, precisa e orientata al risultato.
Un ritardo in diagnosi può segnare la vita di un paziente. Il diritto alla salute è inviolabile: farlo rispettare è possibile. Ma servono competenza, tempestività e una difesa legale ben costruita.
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