Le crisi epilettiche rappresentano una delle emergenze neurologiche più frequenti, e richiedono un trattamento preciso, tempestivo e personalizzato. Errori nella gestione delle crisi, come la somministrazione di farmaci non adeguati, il ritardo nel trattamento o la mancata identificazione della causa scatenante, possono comportare gravi conseguenze neurologiche, danni cerebrali permanenti, stato epilettico prolungato e persino la morte.
Un trattamento inappropriato di una crisi epilettica può essere causato da negligenza clinica, imperizia nella scelta dei farmaci o nella loro posologia, oppure dalla sottovalutazione del quadro clinico da parte del personale sanitario. In pronto soccorso, nei reparti ospedalieri o nelle strutture residenziali, la gestione delle crisi deve attenersi a protocolli ben precisi, aggiornati ai più recenti standard terapeutici e neurologici.

Quando il trattamento non è adeguato e causa un peggioramento del quadro clinico o lesioni irreversibili, il paziente ha diritto a un risarcimento. La legge italiana tutela i soggetti danneggiati da condotte sanitarie errate, e consente loro di ottenere il riconoscimento del danno biologico, morale, esistenziale e delle spese mediche connesse.
In questo articolo verranno analizzati gli errori più frequenti nella gestione delle crisi epilettiche, le responsabilità sanitarie, le leggi aggiornate fino al 2025, esempi concreti di risarcimento ottenuto e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, tra i maggiori esperti in danni neurologici da errore medico.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti del trattamento inappropriato delle crisi epilettiche?
Il trattamento delle crisi epilettiche rappresenta una delle sfide più complesse e delicate della medicina d’urgenza, della neurologia e, in generale, dell’assistenza sanitaria integrata. Nonostante l’epilessia sia una delle patologie neurologiche più diffuse – si stima che in Italia colpisca circa 500.000 persone – gli errori nella gestione delle crisi sono ancora oggi tra i più frequenti e sottovalutati. Questi errori non si limitano alla fase acuta, ma si estendono anche al trattamento cronico, alla gestione farmacologica, alla diagnosi iniziale, alla valutazione del rischio e al supporto post-crisi. Gli effetti possono essere drammatici: recidive evitabili, stati di male epilettico non controllati, effetti collaterali gravi da farmaci mal gestiti, disabilità progressiva e, nei casi più estremi, morte improvvisa.
Uno dei primi e più gravi errori si verifica già in fase diagnostica, quando una crisi epilettica viene interpretata come altro. Una sincope, un attacco di panico, una crisi psicogena non epilettica, un episodio ipoglicemico possono simulare, per modalità e sintomi, una crisi convulsiva generalizzata. Se il medico non ha una formazione adeguata o non dispone di dati obiettivi come un EEG, può attribuire il sintomo a una condizione errata e trattare il paziente con farmaci anticonvulsivanti inutili, o peggio ancora, non somministrarli affatto quando invece sarebbero fondamentali. Questo accade spesso nei pronto soccorso e nelle strutture di primo intervento, dove il tempo è poco e l’anamnesi spesso frammentaria.
Un altro errore critico riguarda la gestione farmacologica in fase acuta. In presenza di una crisi epilettica prolungata, o di uno stato di male epilettico, l’intervento deve essere rapido e basato su protocolli precisi: benzodiazepine in prima linea, seguite, se necessario, da farmaci antiepilettici ad azione più duratura come fosfenitoina, valproato o levetiracetam. Tuttavia, nella pratica clinica, i tempi di somministrazione sono spesso troppo lunghi, i dosaggi errati, o vengono utilizzati farmaci non indicati in quella fase. In alcuni casi si somministra una sola dose e si aspetta di “vedere cosa succede”, invece di proseguire con il trattamento sequenziale raccomandato. Nei casi più gravi, si trascura l’indicazione all’intubazione e alla sedazione profonda, ritardando il trasferimento in terapia intensiva. Ogni minuto perso in queste fasi può tradursi in danni neurologici permanenti.
La mancanza di monitoraggio post-crisi è un altro snodo critico. Una volta terminata la crisi, molti pazienti vengono osservati per qualche ora e poi dimessi, anche senza una diagnosi definitiva. Se non vengono eseguiti un EEG, una neuroimaging e una valutazione neurologica approfondita, il rischio è di dimettere una persona con una forma epilettica non ancora diagnosticata e senza terapia, esponendola a una seconda crisi nelle ore o nei giorni successivi. Questo accade frequentemente nei casi di prima crisi, specialmente se il paziente ha avuto un recupero completo in tempi brevi. Ma il fatto che una crisi sia autolimitata non significa che non sia grave. Una singola crisi epilettica può essere il primo segnale di un’epilessia grave, o di una lesione cerebrale sottostante.
Errori altrettanto frequenti si verificano nel trattamento cronico dell’epilessia. Uno dei più comuni è l’uso di farmaci non adatti alla forma epilettica del paziente. Esistono numerose sindromi epilettiche, ognuna delle quali risponde in modo diverso ai vari principi attivi. Utilizzare un farmaco inadatto, come la carbamazepina in certe forme generalizzate idiopatiche, può non solo risultare inefficace, ma addirittura peggiorare le crisi. Questo errore è spesso conseguenza di una classificazione imprecisa della sindrome, o di una prescrizione basata solo su criteri generici, senza personalizzazione. Anche i dosaggi errati, la mancata valutazione della farmacoresistenza, l’interazione con altri farmaci assunti dal paziente sono tra le cause principali di fallimento terapeutico.
La scarsa aderenza alla terapia, spesso interpretata come una colpa del paziente, è in molti casi invece il risultato di una cattiva comunicazione medico-paziente. Le terapie antiepilettiche, soprattutto nei giovani e negli anziani, possono provocare sonnolenza, disturbi dell’umore, calo cognitivo, variazioni di peso, cefalea. Se il paziente non viene informato correttamente su questi effetti, se non ha un piano di gestione delle crisi chiaro, o se non si sente supportato, tenderà a sospendere autonomamente la terapia, oppure a prenderla in modo irregolare. In altre situazioni, il farmaco viene sospeso su indicazione medica troppo presto, senza monitoraggio EEG, o senza considerare il rischio di recidiva. La gestione cronica dell’epilessia richiede continuità, fiducia, adattamento costante del piano terapeutico.
Anche la gestione dell’epilessia nelle donne in età fertile è terreno fertile per errori. Alcuni farmaci antiepilettici, come il valproato, sono fortemente teratogeni e devono essere evitati o utilizzati solo con estrema cautela. Tuttavia, molte donne continuano a riceverli anche in età fertile, senza contraccezione efficace o senza essere state adeguatamente informate. Altre pazienti, temendo effetti sul feto, sospendono autonomamente la terapia in gravidanza, con conseguenze pericolose sia per loro che per il bambino. La corretta gestione dell’epilessia in gravidanza è complessa e richiede una pianificazione attenta, che troppo spesso non viene offerta.
Una categoria particolarmente vulnerabile è rappresentata dai pazienti fragili: anziani, disabili, persone con disturbi psichiatrici o cognitivi. In queste fasce di popolazione, l’epilessia è spesso sottodiagnosticata, o mal gestita. Le crisi vengono interpretate come “episodi confusionali”, o “sintomi comportamentali”, e il trattamento viene affidato a farmaci sedativi piuttosto che a terapie specifiche. Anche il monitoraggio dei livelli plasmatici dei farmaci, fondamentale in soggetti con insufficienza renale, epatica o politerapia, viene spesso trascurato. Gli anziani, in particolare, hanno un rischio elevatissimo di effetti collaterali e di interazioni farmacologiche, ma ricevono spesso gli stessi protocolli dei giovani adulti, senza personalizzazione.
Un altro errore ricorrente è la gestione inadeguata delle crisi nei luoghi pubblici, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Nonostante l’epilessia sia una patologia diffusa, la preparazione delle persone che assistono alla crisi è spesso assente. Il paziente viene contenuto fisicamente in modo improprio, esposto a traumi, lasciato solo o trattato come soggetto “pericoloso”. In alcune scuole, gli insegnanti non sono formati e non sanno come intervenire; in alcuni ambienti lavorativi, i datori di lavoro non adottano misure di sicurezza o addirittura discriminano i lavoratori epilettici. Questi aspetti non sono solo errori assistenziali, ma anche sociali, culturali e giuridici.
Dal punto di vista medico-legale, il trattamento inappropriato delle crisi epilettiche è tra gli errori più gravi perché è altamente tracciabile. I protocolli sono chiari, i farmaci indicati sono codificati, i tempi di intervento sono stabiliti. Quando una crisi non viene gestita in modo corretto, o un trattamento è somministrato in maniera errata, la responsabilità medica è facilmente dimostrabile, soprattutto se da quell’errore è derivato un danno neurologico, una caduta traumatica, una recidiva evitabile o un decesso. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i contenziosi legati alla gestione impropria dell’epilessia, proprio perché si tratta di una patologia nota, studiata e per la quale gli standard di cura sono universalmente riconosciuti.
In conclusione, gli errori nel trattamento delle crisi epilettiche non derivano dalla complessità della patologia, ma dalla semplificazione con cui viene affrontata. Dalla fretta nei pronto soccorso, dall’inerzia nella gestione cronica, dalla disattenzione verso le varianti cliniche, dalla cattiva comunicazione con il paziente. Ma l’epilessia è una condizione che richiede precisione, continuità, personalizzazione. È un equilibrio sottile tra farmacologia, neurologia, psicologia, assistenza e comprensione. Rispettarlo è un dovere clinico, ma anche umano. Perché dietro ogni crisi c’è una persona che ha bisogno di fiducia, sicurezza e cura. E ogni errore è un’occasione mancata per restituirle dignità e libertà.
Quando si configura la responsabilità medica per trattamento inappropriato di crisi epilettiche?
Le crisi epilettiche rappresentano una condizione neurologica acuta che, se non trattata correttamente e con tempestività, può condurre a gravi complicanze neurologiche, danni cerebrali permanenti o morte. Si tratta di eventi parossistici improvvisi, che richiedono un’attenta valutazione clinica e, in alcuni casi, un intervento farmacologico immediato. La responsabilità medica per il trattamento inappropriato di crisi epilettiche si configura ogniqualvolta la condotta del medico si discosti dalle buone pratiche cliniche, ritardando o omettendo il trattamento, somministrando farmaci non indicati o non adeguati al tipo di crisi, oppure gestendo male lo stato post-critico.
Il primo elemento da considerare è la corretta identificazione della crisi. Una diagnosi errata o superficiale può condurre a trattamenti inadeguati, pericolosi o del tutto inutili. Le crisi epilettiche possono manifestarsi in molteplici forme: convulsioni tonico-cloniche, crisi focali motorie, assenze, automatismi, alterazioni dello stato di coscienza. In contesto d’urgenza, il riconoscimento clinico si basa sull’anamnesi (quando possibile), sull’osservazione dell’evento e su parametri neurologici immediati. Se il medico non riconosce la natura epilettica dell’evento e lo interpreta erroneamente come attacco psicogeno, sincope, overdose o crisi isterica, l’omissione terapeutica può peggiorare l’evoluzione clinica del paziente.
Il trattamento farmacologico delle crisi attive è tempo-dipendente. Nei casi di stato epilettico (crisi persistente o serie di crisi senza recupero della coscienza), le linee guida indicano la somministrazione di benzodiazepine (come diazepam, lorazepam, midazolam) entro i primi 5-10 minuti. Se non vi è risposta, si passa rapidamente ad antiepilettici di seconda linea (fenitoina, levetiracetam, valproato). Il ritardo nella somministrazione o l’uso di dosi non terapeutiche rappresentano errori gravi, poiché il rischio di danno cerebrale aumenta con la durata dell’attività epilettica.
La somministrazione di farmaci non indicati o inadeguati alla tipologia di crisi è un altro esempio di condotta colposa. Alcuni farmaci possono aggravare specifiche forme di epilessia, come le crisi miocloniche o le assenze atipiche. Se il medico somministra un antiepilettico controindicato o un farmaco con profilo farmacocinetico inappropriato per la situazione clinica, compromette l’efficacia del trattamento e può causare tossicità o peggioramento neurologico.
Anche la mancata protezione del paziente durante la crisi può avere conseguenze medico-legali. Se durante una crisi convulsiva il paziente cade, si ferisce, si morde la lingua gravemente, o presenta inalazione di contenuti gastrici per mancanza di protezione delle vie aeree, si configura una responsabilità legata all’omissione delle misure assistenziali minime. Il trattamento non è solo farmacologico, ma anche ambientale e protettivo.
La gestione inadeguata del post-ictus è un’altra area critica. Il paziente, dopo una crisi, può presentare confusione, amnesia, deficit neurologici transitori, e deve essere monitorato attentamente. Se viene lasciato incustodito, non idratato, non sottoposto a controllo elettrocardiografico e neurologico, e sviluppa complicanze secondarie come arresto respiratorio, traumi, ipoglicemia non riconosciuta o persistenza di crisi subcliniche, la condotta medica è chiaramente inadeguata.
Il mancato ricovero in terapia intensiva o in neurologia in presenza di stato epilettico refrattario è un altro elemento frequente di contenzioso. Quando una crisi convulsiva non risponde ai primi farmaci e si prolunga oltre i 30 minuti, il trattamento deve continuare in ambiente intensivo, con supporto respiratorio, infusione continua di sedativi e monitoraggio EEG. La permanenza in pronto soccorso senza adeguate cure può portare a danni permanenti o decesso. L’omessa attivazione di un team neurologico o anestesiologico in tali casi è configurabile come colpa grave.
Il medico è responsabile anche della mancata prescrizione di esami urgenti, come TAC cranica, EEG, esami tossicologici, glicemia, elettroliti. In un paziente con prima crisi epilettica, la ricerca di cause scatenanti (traumi, tumori, encefaliti, intossicazioni, disturbi metabolici) è parte integrante della buona pratica. Se questi esami vengono rimandati senza motivo, e la causa rimane misconosciuta con danni successivi, l’omissione diagnostica è evidente.
La responsabilità può derivare anche dalla dimissione precoce. In pazienti con crisi epilettica recente, il medico deve valutare attentamente la stabilità neurologica, il supporto familiare, la disponibilità di terapia domiciliare e le istruzioni per un follow-up specialistico. Dimettere un paziente senza informarlo dei rischi, senza prescrivere un piano terapeutico, o senza garantire un primo accesso neurologico, può causare recidive gravi, incidenti o lesioni evitabili.
Il consenso informato è centrale nella gestione dell’epilessia. Il paziente, o il tutore legale nei casi indicati, deve essere informato sui rischi della patologia, sulle possibili interazioni farmacologiche, sulla necessità di adesione terapeutica e sui comportamenti da evitare (guida, sport pericolosi, alcol). L’omessa comunicazione può portare a conseguenze cliniche, ma anche giuridiche, qualora il paziente incorra in eventi avversi prevenibili per mancata informazione.
Anche la struttura sanitaria può essere responsabile per carenze organizzative. La mancanza di farmaci d’emergenza pronti all’uso, l’assenza di neurologi reperibili, la carenza di personale formato al primo intervento in caso di crisi, la non disponibilità di monitoraggi EEG o di letti di terapia intensiva sono tutte condizioni che espongono la struttura a una responsabilità organizzativa, oltre a quella del singolo operatore.
La documentazione medica è il fulcro probatorio. Deve contenere l’orario dell’inizio della crisi, la descrizione dell’evento, la terapia somministrata (farmaco, dose, via e orario), le condizioni post-ictali, il monitoraggio eseguito, la motivazione di ogni scelta terapeutica e l’eventuale decisione di dimettere o ricoverare il paziente. In assenza di documentazione, il medico non potrà dimostrare la correttezza della propria condotta.
La giurisprudenza italiana ha riconosciuto in numerosi casi la responsabilità per gestione inadeguata di crisi epilettiche, soprattutto quando il danno neurologico permanente o la morte si sarebbero potuti evitare con una condotta tempestiva e appropriata. Le sentenze sottolineano l’importanza dell’agire immediato, del rispetto delle linee guida neurologiche, della continuità terapeutica e del monitoraggio post-critico.
La prevenzione dell’errore richiede una formazione specifica, la standardizzazione delle procedure d’emergenza, la disponibilità dei farmaci d’uso immediato, la presenza di neurologi di riferimento e la diffusione di protocolli condivisi. È essenziale che ogni pronto soccorso e ogni reparto abbia un piano di gestione delle crisi epilettiche, validato e aggiornato.
In conclusione, la responsabilità medica per trattamento inappropriato di crisi epilettiche si configura quando l’intervento è tardivo, non rispetta le indicazioni scientifiche, ignora il tipo di crisi, sottovaluta le condizioni post-evento o si interrompe senza un follow-up adeguato. È una responsabilità che ha a che fare non solo con la tempestività del gesto, ma con la qualità dell’assistenza neurologica in ogni sua fase.
Ogni secondo di crisi non controllata è un attacco al cervello. Ogni farmaco sbagliato è una protezione mancata. Ogni paziente lasciato solo dopo una crisi è una fiducia tradita. Perché nell’epilessia, il confine tra danno e guarigione si gioca nei primi minuti. E la responsabilità, come la terapia, non può mai essere interrotta.
Quali leggi regolano la responsabilità?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017);
- Art. 2043 c.c., danno ingiusto;
- Art. 2236 c.c., colpa medica in casi complessi;
- Art. 589 e 590 c.p., lesioni e omicidio colposo in ambito sanitario.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in casi reali?
- Giovane adulto con crisi non trattata in tempo, sviluppa danno encefalico: risarcimento di 1.500.000 euro;
- Paziente epilettico con errori ripetuti nella terapia ospedaliera, peggioramento clinico e invalidità permanente: risarcimento di 1.200.000 euro;
- Caso di stato epilettico non riconosciuto in PS, con decesso del paziente: risarcimento agli eredi di 1.800.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
Un errore nella gestione di una crisi epilettica richiede un’azione legale supportata da professionisti con competenze specifiche in responsabilità neurologica. È fondamentale rivolgersi a avvocati esperti in danni da mancata diagnosi o trattamento inappropriato, capaci di:
- Valutare la documentazione medica e i protocolli d’urgenza adottati;
- Collaborare con neurologi, epilettologi, anestesisti e medici legali;
- Dimostrare il nesso tra errore clinico e danno neurologico;
- Avviare un contenzioso fondato, in sede civile e/o penale;
- Ottenere il risarcimento per danni biologici, morali, esistenziali e patrimoniali.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità mettono a disposizione una rete di specialisti tecnici e legali, per costruire una difesa rigorosa e ottenere giustizia per chi ha subito un danno evitabile.
L’epilessia è una patologia che può essere controllata con cure adeguate. Quando l’errore medico ne compromette il trattamento, la legge prevede un risarcimento pieno e proporzionato. La tutela legale è essenziale per restituire dignità e sicurezza al paziente.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: