Mancato Utilizzo Del Defibrillatore Automatico E Risarcimento Danni

Il defibrillatore automatico esterno (DAE) è uno strumento salvavita, progettato per intervenire tempestivamente in caso di arresto cardiaco improvviso causato da aritmie maligne come la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare senza polso. In questi casi, ogni minuto di ritardo nella defibrillazione riduce le possibilità di sopravvivenza del 7-10%. Dopo 8-10 minuti senza intervento, il danno cerebrale diventa irreversibile.

Il mancato utilizzo del defibrillatore, quando presente e disponibile, rappresenta un errore gravissimo. Non si tratta solo di un’omissione tecnica, ma di una violazione del dovere di assistenza in emergenza, con conseguenze che possono includere danni neurologici permanenti o il decesso del paziente.

L’uso del DAE è oggi regolato da normative precise, che prevedono l’obbligo di dotazione in molte strutture pubbliche e private, nonché corsi di formazione per il personale sanitario e non. Inoltre, è attivo un registro nazionale dei defibrillatori per garantire la tracciabilità e la tempestiva localizzazione dei dispositivi.

In questo articolo analizzeremo le situazioni più comuni in cui il DAE non viene utilizzato, i danni conseguenti, le leggi aggiornate al 2025, i risarcimenti riconosciuti in Italia e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

In quali casi è fondamentale usare subito il defibrillatore?

  • Arresto cardiaco in ambiente ospedaliero o extraospedaliero con testimoni;
  • Presenza di perdita di coscienza improvvisa, assenza di polso e respiro;
  • Sospetto di aritmia ventricolare o collasso cardio-circolatorio improvviso;
  • All’interno di palestre, scuole, stadi, centri commerciali o mezzi pubblici;
  • In pronto soccorso, sale d’attesa, ambulanze e reparti di degenza.

Quali sono le cause più frequenti del mancato utilizzo del defibrillatore automatico (DAE) in situazioni di arresto cardiaco improvviso?

Ogni minuto conta. Ogni secondo può fare la differenza tra la vita e la morte. Nell’arresto cardiaco improvviso, la sopravvivenza dipende quasi sempre dalla rapidità con cui si interviene. Ma la realtà, in molti casi, racconta un’altra storia: una storia fatta di esitazioni, disinformazione, paura di sbagliare, e soprattutto mancato uso di uno strumento tanto semplice quanto salvavita: il defibrillatore automatico esterno. Il DAE, progettato per essere utilizzato anche da chi non ha competenze sanitarie, è presente in migliaia di luoghi pubblici in Italia, ma resta inutilizzato in troppe occasioni. E quando non viene usato, la possibilità di salvare una vita scende sotto il 10%.

Una delle prime cause del mancato utilizzo è la mancata consapevolezza della sua esistenza e accessibilità. In molti luoghi pubblici il DAE c’è, ma è nascosto, mal segnalato, chiuso in armadi non identificabili o posizionato lontano dai punti di passaggio. Chi si trova di fronte a una persona che collassa e smette di respirare, spesso non sa nemmeno che un defibrillatore è lì, a pochi metri. Nessun cartello visibile, nessuna indicazione chiara, nessun addetto preparato. E intanto, mentre si cerca aiuto, il cervello della persona in arresto entra in sofferenza irreversibile già dopo 4-5 minuti.

Un altro motivo è la paura di utilizzarlo. Anche quando qualcuno individua il defibrillatore, molti esitano. Temono di fare danni, di non saperlo usare, di peggiorare la situazione, o addirittura di avere conseguenze legali. Non sanno che il DAE è progettato per essere sicuro: non scarica energia se non rileva un’aritmia defibrillabile, guida l’utente con comandi vocali, e non richiede alcuna capacità tecnica. Ma la paura è più forte dell’informazione. E così si aspetta l’arrivo del 118, anche se il tempo necessario ai soccorsi per raggiungere il paziente può essere fatale.

Una causa non trascurabile è la mancanza di formazione e cultura dell’emergenza. Nonostante le campagne istituzionali e le leggi regionali, l’educazione all’uso del DAE non è ancora diffusa in modo capillare. Pochi cittadini hanno ricevuto corsi di primo soccorso, e tra chi li ha frequentati, molti non si sentono sicuri o aggiornati. Persino in alcuni contesti scolastici, sportivi o aziendali, dove il defibrillatore è obbligatorio, non c’è una cultura organizzativa che preveda esercitazioni, simulazioni, protocolli chiari in caso di arresto cardiaco. E così, anche dove la legge impone la presenza del DAE, manca la prontezza per usarlo davvero.

Un altro aspetto critico è la sottovalutazione dei segni dell’arresto cardiaco. Il paziente che si accascia a terra, che ha spasmi, che non risponde, che ha un respiro irregolare o che sembra “dormire”, viene spesso interpretato come svenuto, in coma etilico, in crisi epilettica o semplicemente confuso. Nessuno controlla il respiro, nessuno verifica lo stato di coscienza, nessuno chiama immediatamente i soccorsi. Se manca la consapevolezza che quei segni sono compatibili con un arresto cardiaco, nessuno penserà di prendere un defibrillatore. E intanto i minuti passano.

Il problema riguarda anche il personale sanitario non specificamente formato all’emergenza extraospedaliera. In alcuni studi medici, ambulatori, RSA o cliniche, il DAE è presente ma inutilizzato. Non viene controllato, non si sa dove si trova la chiave, non si è mai fatto un test di accensione. Alcuni operatori, per timore, preferiscono attendere l’ambulanza, anche quando si trovano accanto al paziente che ha perso conoscenza. Il tempo viene riempito da manovre incomplete, da confusione, da telefonate. Ma il cuore in fibrillazione ventricolare ha bisogno solo di una cosa: una scarica precoce.

Le responsabilità organizzative sono spesso alla base di questa inefficienza. In molte strutture pubbliche, il DAE è stato installato “per legge” ma non è stato inserito in un piano di emergenza. Non c’è un referente, non ci sono simulazioni, non c’è un piano d’azione. Persino in grandi centri commerciali, aeroporti, impianti sportivi, può capitare che l’unica persona formata sia assente, o che nessuno sappia dove sia il defibrillatore in quel momento. E l’emergenza, per definizione, non aspetta.

Un’altra criticità riguarda i casi di arresto cardiaco in casa, che rappresentano la maggioranza. Nelle abitazioni private, i DAE non sono quasi mai presenti. E i vicini, i familiari, i passanti non hanno mezzi né competenze per intervenire. In questi casi, se il 118 non arriva entro 8-10 minuti, le possibilità di sopravvivenza sono quasi nulle. Eppure, in alcune città, esistono progetti di mappatura dei DAE, con app che indicano il più vicino, e volontari pronti a intervenire prima dell’ambulanza. Ma se queste reti non sono attive, se i cittadini non le conoscono, il defibrillatore resta uno strumento potenziale, non reale.

Dal punto di vista medico-legale, il mancato uso del defibrillatore quando disponibile può configurare una responsabilità grave. Se si dimostra che il DAE era presente, accessibile, funzionante, e che il paziente era in arresto cardiaco defibrillabile, il non utilizzo può essere considerato un’omissione. I tribunali chiedono se i presenti fossero stati formati, se la struttura avesse protocolli interni, se l’addestramento fosse stato eseguito correttamente. E se l’uso del DAE avrebbe aumentato significativamente le probabilità di sopravvivenza, il nesso causale tra omissione e danno è forte.

In conclusione, il defibrillatore automatico è una delle più grandi rivoluzioni della medicina d’urgenza moderna. Ma funziona solo se viene usato. Serve cultura, formazione, visibilità, esercitazioni, responsabilità diffusa. Serve che ogni cittadino sappia cos’è un DAE, dove si trova, come si usa. Serve che non ci sia più paura, ma prontezza. Serve che il tempo tra il collasso e la scarica sia ridotto al minimo. Perché la vita, in quell’istante, è appesa a una decisione: prendere il defibrillatore o aspettare. E chi aspetta troppo a lungo, spesso non ha più tempo per agire.

Quando si configura la responsabilità medica per mancato utilizzo del defibrillatore automatico?

Il defibrillatore semiautomatico (DAE) rappresenta uno degli strumenti salvavita più efficaci e immediati nella gestione dell’arresto cardiaco improvviso. La sua disponibilità, semplicità d’uso e potenziale di successo rendono il DAE una risorsa indispensabile non solo in ambito ospedaliero, ma anche nei luoghi pubblici, negli impianti sportivi, nei mezzi di soccorso e negli ambienti sanitari a bassa intensità. Quando un paziente in arresto cardiaco non viene trattato con defibrillazione tempestiva nonostante la presenza del dispositivo, si configura una responsabilità grave, clinica e giuridica, che può comportare esiti fatali.

L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nei paesi industrializzati. Il tempo è il fattore decisivo: ogni minuto che passa senza defibrillazione le probabilità di sopravvivenza si riducono del 7-10%. Dopo dieci minuti, il danno cerebrale è spesso irreversibile. L’efficacia della rianimazione cardiopolmonare (RCP) da sola è limitata se non seguita dalla defibrillazione precoce, che è l’unica terapia efficace nei ritmi defibrillabili, come fibrillazione ventricolare e tachicardia ventricolare senza polso.

La responsabilità si configura con chiarezza quando il defibrillatore era disponibile, funzionante, e non è stato utilizzato nei tempi previsti. In molte strutture sanitarie e socio-sanitarie (RSA, ambulatori, centri sportivi, studi medici), il DAE è presente ma viene dimenticato, ignorato o non utilizzato per mancanza di formazione o per incertezza sulla dinamica dell’evento. Non esiste alcuna giustificazione plausibile per l’omissione dell’uso del defibrillatore, quando un paziente presenta perdita di coscienza, assenza di respiro e polso.

Il DAE è progettato per essere utilizzato anche da personale non medico, con istruzioni vocali che guidano passo per passo. L’argomento dell’“incertezza diagnostica” non regge, poiché è lo stesso dispositivo ad analizzare il ritmo e decidere se la scarica è indicata o meno. Se il DAE viene collegato ma non attivato, o se non viene neppure applicato, la colpa si configura come grave negligenza. L’eventuale timore di errore è superato dalla normativa vigente, che tutela l’operatore anche laico quando agisce in emergenza.

In ambito ospedaliero o pre-ospedaliero, il mancato utilizzo del defibrillatore, in presenza di personale formato, è ancora più grave. Le linee guida ACLS (Advanced Cardiovascular Life Support) e BLS-D (Basic Life Support and Defibrillation) sottolineano con forza che la defibrillazione precoce è l’intervento cardine per aumentare la sopravvivenza. L’intervallo tra l’arresto e la prima scarica deve essere il più breve possibile. Ogni minuto di ritardo senza una giustificazione documentata può essere oggetto di accertamento medico-legale.

L’errore può anche consistere nella mancanza di formazione. Se il personale presente non era in grado di utilizzare il defibrillatore, o non conosceva la sua localizzazione, o non sapeva accenderlo, la responsabilità ricade sull’ente gestore o sulla direzione sanitaria. La legge impone a tutte le strutture pubbliche e private l’obbligo di formare adeguatamente il personale, di posizionare il DAE in luoghi visibili e accessibili, e di garantirne la manutenzione.

La giurisprudenza italiana ha già affrontato diversi casi in cui il mancato uso del defibrillatore ha portato a morte evitabile. In molti di essi, i giudici hanno ribadito che la presenza del DAE comporta l’obbligo di utilizzo in caso di sospetto arresto cardiaco, e che la mancata attivazione rappresenta un’omissione rilevante sul piano penale e civile. La Corte di Cassazione ha più volte richiamato il principio del “dovere di garanzia” da parte di chi opera in contesti assistenziali: garantire la vita e l’integrità del paziente significa anche intervenire con tutti i mezzi disponibili e riconosciuti come efficaci.

La documentazione clinica e la cronologia degli eventi diventano fondamentali per la ricostruzione dell’accaduto. In caso di decesso, si verifica se il DAE era disponibile, dove era collocato, se era funzionante, chi era presente, se i soccorsi sono stati attivati, quanto tempo è passato dalla perdita di coscienza alla defibrillazione (o alla sua mancata attuazione), e se vi erano persone formate BLS-D sul posto. La mancanza di tracciabilità, di testimoni e di verbali chiari è spesso considerata indizio di responsabilità.

Un ulteriore aspetto riguarda la mancata manutenzione del defibrillatore. Se al momento dell’emergenza il DAE non si accende, ha le piastre scadute, la batteria scarica, o non è disponibile nel luogo previsto, la responsabilità è dell’ente che ne ha la custodia. Il semplice possesso del dispositivo non basta: deve essere costantemente controllato, testato, aggiornato. Anche il posizionamento in luoghi non accessibili (armadi chiusi a chiave, piani non segnalati, distanze eccessive) può costituire un ostacolo alla tempestività e quindi un comportamento colposo.

Anche il paziente che sopravvive può subire un danno grave a causa del mancato uso del defibrillatore. Se l’arresto viene risolto tardivamente con RCP manuale ma senza defibrillazione nei primi minuti, il soggetto può riportare encefalopatia anossica, deficit cognitivi, danni motori o neurologici irreversibili. In tal caso, la responsabilità sanitaria non si esaurisce con la mancata morte, ma si estende all’intero danno da invalidità evitabile.

La prevenzione è l’unica strategia efficace per evitare questi errori. Ogni struttura sanitaria, scolastica, sportiva o pubblica deve garantire che il DAE sia presente, accessibile, visibile, funzionante e che vi sia almeno un operatore formato sempre presente. I corsi di BLS-D devono essere aggiornati e ripetuti nel tempo, e le simulazioni interne possono ridurre i tempi di risposta. La gestione del defibrillatore non è un fatto tecnico, ma una cultura della sicurezza.

In conclusione, la responsabilità medica per mancato utilizzo del defibrillatore automatico si configura ogniqualvolta, in presenza di arresto cardiaco e disponibilità del dispositivo, non venga attivata la procedura di defibrillazione nei tempi utili, senza giustificazione clinica, tecnica o organizzativa valida. È una responsabilità che riguarda il singolo operatore, ma anche l’intera organizzazione, la direzione, e il sistema di prevenzione.

Ogni minuto non usato è una vita che si allontana. Ogni scarica mancata è un’opportunità sprecata. Ogni defibrillatore non attivato è un silenzio che pesa. Perché nella catena della sopravvivenza, non agire quando si può, è scegliere – anche senza volerlo – di non salvare.

Quando si configura la responsabilità medica o organizzativa?

  • Il DAE era presente, ma non utilizzato in tempo utile;
  • Il personale non è intervenuto tempestivamente o non era addestrato;
  • Non è stato attivato il protocollo d’emergenza;
  • Il dispositivo era guasto, scarico o mal posizionato;
  • Il paziente è deceduto o ha riportato danni evitabili se defibrillato.

Quali leggi si applicano?

  • Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), sulla sicurezza delle cure;
  • Legge 116/2021, sull’obbligo di dotazione DAE nei luoghi pubblici e sportivi;
  • Art. 2043 c.c., per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 589 e 590 c.p., omicidio e lesioni colpose;
  • Raccomandazioni del Ministero della Salute e del 118 (aggiornate al 2025).

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?

  • Uomo 51enne colpito da arresto in palestra, defibrillatore presente ma non usato: risarcimento di 3.000.000 euro per danni morali e biologici ai familiari;
  • Donna ricoverata per dolori toracici, collasso non defibrillato in reparto: risarcimento di 2.500.000 euro;
  • Studente di 16 anni deceduto per arresto cardiaco durante l’ora di educazione fisica: DAE presente ma inutilizzabile: risarcimento di 3.600.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere giustizia?

In caso di morte o gravi danni da mancato uso del defibrillatore, è necessario rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in responsabilità sanitaria e organizzativa in emergenze cardiologiche.

La tutela comprende:

  • Verifica della presenza e funzionalità del DAE;
  • Ricostruzione dei tempi di intervento e delle chiamate al 118;
  • Collaborazione con cardiologi, anestesisti, rianimatori e medici legali;
  • Analisi della formazione del personale e dei protocolli interni;
  • Azione civile e penale per ottenere il risarcimento completo dei danni.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano con esperti in medicina d’urgenza, cardiologia e medicina legale, garantendo una difesa fondata sulle norme più attuali e sulla ricostruzione dettagliata dell’evento critico.

Il DAE è uno strumento che salva vite. Non usarlo, quando se ne ha la possibilità, significa negare una chance vitale. E questo, legalmente, è un errore che deve essere risarcito.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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