Introduzione: quando il bisturi taglia dove non dovrebbe
Ogni intervento chirurgico è un atto tecnico delicato. Richiede precisione, attenzione e rispetto delle strutture anatomiche. Ogni millimetro conta, ogni margine è una frontiera tra ciò che va rimosso e ciò che deve essere preservato. Quando il chirurgo sbaglia e asporta tessuti sani che non dovevano essere toccati, si entra nel territorio della responsabilità sanitaria.
Non stiamo parlando di semplici complicanze. L’errata resezione di tessuto sano è un errore che può compromettere in modo permanente l’equilibrio anatomico e funzionale del paziente. Può comportare l’asportazione ingiustificata di porzioni di organi, nervi, muscoli, ghiandole, oppure strutture vitali come ureteri, porzioni di intestino o segmenti vascolari non malati.

Le conseguenze possono essere devastanti: invalidità, stomia, infertilità, incontinenza, dolore cronico, deficit motori, alterazioni estetiche o anche la morte.
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sugli Errori in Sanità (Ministero della Salute), nel triennio 2021–2024 sono stati segnalati in Italia oltre 520 casi documentati di asportazione ingiustificata di tessuti o organi sani durante interventi chirurgici. Di questi, il 73% ha portato a una causa civile o penale per responsabilità medica, e in più del 60% dei casi il danno è stato riconosciuto come evitabile.
In questo articolo, risponderemo alle domande che contano: Quando un intervento può considerarsi errato? Quali tutele prevede la legge? Come si ottiene un risarcimento? Quali sono le prove necessarie? E soprattutto, come interviene l’avvocato specializzato in danni da malasanità per tutelare il paziente?
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nell’errata resezione di tessuto sano durante un intervento chirurgico?
Durante qualsiasi intervento chirurgico, uno degli obiettivi fondamentali è quello di rimuovere il tessuto patologico lasciando integre, per quanto possibile, le strutture sane circostanti. Questo principio guida vale sia per le chirurgie oncologiche, sia per quelle ricostruttive, vascolari, addominali, ginecologiche, otorinolaringoiatriche o ortopediche. Tuttavia, nonostante l’evoluzione delle tecniche operatorie, degli strumenti e dell’imaging pre- e intraoperatorio, l’errata resezione di tessuto sano continua a rappresentare una delle complicanze più gravi e spesso evitabili, in grado di compromettere irreversibilmente l’integrità anatomica e funzionale del paziente. L’errore può verificarsi in modo macroscopico, quando viene rimosso un intero organo o un suo segmento che doveva essere conservato, oppure in forma più subdola, attraverso la resezione di porzioni di tessuto apparentemente compromesse ma in realtà sane. Comprendere le cause più frequenti di questo tipo di errore è fondamentale per prevenirlo e per tutelare i diritti e la salute dei pazienti.
Una delle prime cause è l’errata valutazione intraoperatoria dell’estensione del tessuto patologico, spesso legata a una scarsa accuratezza nella delimitazione dei margini. In ambito oncologico, ad esempio, la rimozione di un tumore solido prevede la resezione del tumore stesso più un margine di tessuto apparentemente sano per garantire radicalità oncologica. Tuttavia, in mancanza di mezzi di controllo adeguati come la biopsia estemporanea, il colorante per i linfatici o l’ecografia intraoperatoria, il chirurgo può eccedere nella resezione per timore di lasciare residui tumorali. Questo eccesso di cautela può però tradursi nella rimozione ingiustificata di organi, nervi, vasi, fasce muscolari, segmenti intestinali, porzioni di polmone o di ghiandole che non erano compromessi, causando danni permanenti.
In alcuni casi, la causa dell’errore risiede nella presenza di aderenze o distorsioni anatomiche che alterano i rapporti normali tra le strutture. In pazienti già operati, con processi infiammatori cronici, traumi o patologie infiltrative, i piani anatomici possono risultare completamente sovvertiti. Un tratto di intestino può aderire al retroperitoneo, un’ansa può mascherare un’uretere, il nervo sciatico può trovarsi inglobato in tessuti fibrotici. Se il chirurgo non riesce a riconoscere chiaramente le strutture sane, può rimuoverle involontariamente o sacrificarle per facilitare l’accesso alla zona malata. La perdita dell’orientamento topografico è una delle condizioni più pericolose in chirurgia, soprattutto quando si lavora in profondità, in spazi ristretti o con visibilità limitata.
Un’altra causa frequente è l’utilizzo di strumenti chirurgici poco selettivi, come bisturi a lama larga, pinze a energia termica o dispositivi ad ultrasuoni, che possono causare danni collaterali anche in mani esperte. Quando si utilizzano queste tecnologie in prossimità di strutture nobili, anche pochi millimetri di errore possono compromettere un nervo, un dotto escretore, una mucosa o un vaso sanguigno. Se l’intervento viene eseguito in laparoscopia o robotica, il campo visivo ristretto e la mancanza di feedback tattile aumentano ulteriormente il rischio. In questi casi, la resezione non è sempre evidente sul momento e può essere riconosciuta solo dopo ore o giorni, quando il paziente sviluppa deficit funzionali, emorragie, infezioni o fistole.
Molti errori derivano anche da una pianificazione preoperatoria incompleta o inadeguata. Se non viene eseguita una corretta mappatura dell’organo da trattare, se non sono state discusse in équipe le varianti anatomiche del paziente, o se mancano esami di imaging aggiornati, il chirurgo potrebbe trovarsi a prendere decisioni improvvisate durante l’intervento. Questo accade spesso nelle urgenze chirurgiche, ma anche in elezione quando manca un confronto multidisciplinare. Il risultato è che, per prudenza o per difficoltà operative, si decide di resecare “un po’ di più”, ma senza un reale beneficio clinico. In alcuni casi si rimuovono organi del tutto sani (come ovaie, testicoli, tiroide, colecisti o reni) solo perché si sospetta che possano essere fonte di problemi futuri, senza una diagnosi certa o una necessità immediata.
Esistono situazioni ancora più gravi in cui viene resecato un organo sbagliato, a causa di scambio di cartelle, errori di lateralità o mancanza di marcatura preoperatoria. Sono eventi rari ma non inesistenti: l’asportazione del rene sinistro al posto del destro, la resezione della tiroide sana, la colectomia su un lato errato del colon, la lobectomia polmonare sul lato opposto. Questi errori derivano quasi sempre da una carenza sistemica nella gestione del paziente, dall’assenza di checklist preoperatorie o dal mancato confronto con il paziente stesso in fase di consenso informato.
Un’altra dinamica da considerare è la pressione che il chirurgo può subire per accorciare i tempi operatori, soprattutto in contesti ad alto carico di lavoro, con lunghe liste di attesa o scarsa disponibilità di sala. In queste condizioni, può essere più facile procedere con una resezione ampia, rapida, che garantisca una chiusura sicura, piuttosto che optare per una tecnica conservativa che richiede più tempo e più attenzione. Questo tipo di mentalità “difensiva”, a volte anche inconsapevole, contribuisce all’eliminazione di tessuto sano, con conseguenze che emergono solo nel post-operatorio, quando il paziente manifesta disfunzioni digestive, neurologiche, ormonali o motorie che prima non aveva.
Dal punto di vista clinico, le complicanze derivanti da un’errata resezione di tessuto sano possono essere devastanti. La perdita di un segmento intestinale può comportare malassorbimento, diarrea cronica, anemia. L’asportazione di una ghiandola endocrina sana può determinare uno squilibrio ormonale duraturo. La resezione di un nervo può causare paralisi, perdita di sensibilità, dolore cronico. L’asportazione di una porzione polmonare, renale o epatica sana può compromettere la funzione respiratoria, urinaria o metabolica del paziente. A questi danni fisici si aggiungono le conseguenze psicologiche: depressione, rabbia, sfiducia nella medicina, ritiro sociale.
Sul piano medico-legale, l’errata resezione di tessuto sano rappresenta uno degli eventi più gravi e frequentemente risarciti in sede giudiziaria, proprio perché considerato ampiamente evitabile. La responsabilità professionale è quasi sempre riconosciuta quando l’intervento è stato eseguito su una sede sbagliata, quando è stato omesso il confronto con esami diagnostici recenti, quando non sono state eseguite le verifiche preoperatorie o quando la resezione eccedente non era giustificata da documentata necessità clinica. Il risarcimento può essere molto elevato, specie nei casi di invalidità permanente, perdita della fertilità, compromissione neurologica o amputazione non necessaria.
Le statistiche internazionali mostrano che fino al 15% delle resezioni chirurgiche maggiori può comportare la rimozione non necessaria di tessuto sano, in forme più o meno gravi. Il dato è probabilmente sottostimato, poiché in molti casi l’errore viene riconosciuto solo dopo settimane o mesi, oppure viene gestito senza denuncia per mancanza di consapevolezza da parte del paziente.
In definitiva, gli errori e le complicanze legate all’errata resezione di tessuto sano derivano da valutazioni intraoperatorie imprecise, carenze nella pianificazione, uso inappropriato degli strumenti, errori sistemici di comunicazione, fretta, insicurezza, scarsa conoscenza delle varianti anatomiche, gestione difensiva dell’atto chirurgico. Nessun intervento chirurgico può dirsi ben riuscito se ha prodotto un danno permanente che poteva essere evitato con più attenzione, più ascolto, più prudenza.
Affidarsi a chirurghi esperti, dotati di sensibilità anatomica e di senso della misura, a strutture sanitarie organizzate con protocolli di sicurezza condivisi, e a percorsi diagnostici chiari è oggi l’unico modo per ridurre il rischio di resezioni inutili o dannose. Perché togliere ciò che non è malato non è solo un errore tecnico: è una violazione profonda del corpo, della fiducia e del diritto alla salute di ogni paziente.
Quando si configura la responsabilità medica per errata resezione di tessuto sano?
La responsabilità medica per errata resezione di tessuto sano si configura ogni volta che, durante un intervento chirurgico, il medico asporta indebitamente una parte di organo, struttura anatomica o porzione di tessuto che non era malata, né sospetta, né compromessa, causando un danno permanente, funzionale o estetico al paziente. Tagliare oltre il dovuto, rimuovere in modo eccessivo o errato un’area sana del corpo, non è mai un atto neutro. È un errore tecnico che trasforma un intervento terapeutico in un gesto lesivo, una violazione del principio di proporzionalità che deve sempre guidare ogni azione medica.
L’errore può avvenire in molti ambiti: nella chirurgia oncologica, dove si può asportare più tessuto del necessario in assenza di reali indicazioni; nella chirurgia plastica, dove un’incisione eccessiva può compromettere il risultato estetico o la simmetria del volto o del corpo; nella chirurgia ginecologica o urologica, dove la rimozione non indicata di tessuti funzionali può incidere sulla fertilità o sulla continenza; nella chirurgia addominale, dove un tratto intestinale sano può essere reciso per errore tecnico o per confusione anatomica. In tutti questi casi, non è la malattia a guidare il bisturi, ma l’errore del medico.
L’errata resezione può derivare da una mappatura incompleta, da un errore di identificazione intraoperatoria, da scarsa esperienza, da distrazione, o dalla fretta di concludere un intervento. Ma a volte deriva anche da un atto intenzionale, basato su una decisione arbitraria, non condivisa con il paziente, non necessaria, non documentata. Quando il chirurgo decide di allargare i margini di resezione, o di asportare una struttura “per sicurezza”, senza che vi sia un rischio imminente, si pone fuori dalle regole della buona pratica medica. Il corpo del paziente non è terreno di sperimentazione né può essere oggetto di scelte unilaterali prive di giustificazione clinica e di consenso informato.
Le conseguenze possono essere gravi e irreversibili. Un rene rimosso per errore, una corda vocale recisa durante una tiroide sana, una ghiandola mammaria amputata oltre la neoplasia, una parte del viso sacrificata per un margine chirurgico errato, un testicolo sano tolto per confusione con quello patologico. Ogni organo asportato senza necessità è un danno irreparabile. Il paziente non perde solo un pezzo di sé, ma anche la fiducia nella medicina, il diritto all’integrità fisica, la dignità personale. E le ripercussioni non sono solo mediche: sono relazionali, lavorative, psicologiche, profonde.
Il medico ha il dovere di rispettare la proporzionalità tra ciò che cura e ciò che compromette. Non può spingersi oltre il necessario. Se l’intervento prevede margini di incertezza, deve fermarsi, confrontarsi, adottare misure conservative, attendere l’esito di un esame istologico estemporaneo. Non può sostituirsi alla volontà del paziente. Il consenso informato, in questo ambito, diventa fondamentale: deve essere specifico, dettagliato, aggiornato. Il paziente ha diritto a sapere con esattezza quale parte del suo corpo potrà essere rimossa, in quali condizioni, con quali margini. Se il modulo è generico, se il medico ha agito al di fuori dei limiti concordati, o se ha deciso autonomamente in corso di intervento, la responsabilità è aggravata.
Anche quando la rimozione avviene con intenti cautelativi – ad esempio per allargare i margini oncologici – il chirurgo deve avere prove obiettive della necessità. Se non esiste una documentazione fotografica, un verbale operatorio dettagliato, un’esame istologico che giustifichi l’estensione della resezione, la difesa in giudizio diventa estremamente fragile. E nei casi in cui la resezione abbia colpito strutture nobili, l’assenza di prove stringenti fa pendere il giudizio verso la responsabilità piena. Il principio di conservazione dell’integrità corporea non può mai essere subordinato a una valutazione discrezionale non supportata da elementi clinici validi.
Il danno provocato da una resezione ingiustificata di tessuto sano può essere molto serio. A seconda dell’organo coinvolto, può comportare l’infertilità, la perdita di una funzione sensoriale o motoria, una compromissione estetica importante, un dolore cronico, una limitazione funzionale permanente. In alcuni casi, il paziente deve sottoporsi a interventi ricostruttivi, a protesizzazioni, a lunghe terapie riabilitative, oppure deve accettare una condizione definitiva di disabilità. In altri casi, l’errata resezione genera danni psicologici profondi: ansia, depressione, disturbo post-traumatico, rifiuto della propria immagine corporea.
Dal punto di vista giuridico, il paziente ha il diritto di ottenere un risarcimento completo per il danno subito. Il giudice, con l’ausilio di un consulente tecnico, valuta la condotta del chirurgo, l’appropriatezza dell’intervento, la documentazione clinica disponibile, il rispetto del consenso informato, la presenza di un nesso causale tra l’errore e il danno. Quando si accerta che la resezione era evitabile o non indicata, la responsabilità è piena. Se inoltre è stato violato il diritto all’autodeterminazione, con un intervento eseguito senza autorizzazione consapevole, si aggiunge un danno ulteriore, di tipo morale e costituzionale.
Il risarcimento comprende tutte le voci previste: danno biologico, danno morale, danno esistenziale, danno estetico, spese mediche sostenute e future, perdita di reddito, necessità di assistenza. Nei casi più gravi, con invalidità permanente e irreversibile, si possono superare anche i duecentomila euro. E se il paziente ha perso la possibilità di avere figli, o di condurre una vita affettiva normale, o di continuare la propria attività lavorativa, il danno patrimoniale si somma al danno umano in modo rilevante.
Il termine per agire è di cinque anni dalla consapevolezza del danno, oppure dieci se si configura responsabilità contrattuale. È essenziale agire tempestivamente, acquisire tutta la cartella clinica, ottenere una consulenza medico-legale indipendente, affidarsi a un legale esperto. La ricostruzione dei fatti va fatta con precisione, dimostrando che la parte del corpo asportata era sana, che la decisione chirurgica non era giustificata, e che il paziente non era stato correttamente informato.
Dal lato del medico, la prevenzione dell’errore passa dalla precisione diagnostica, dall’aderenza alle linee guida, dall’umiltà di fermarsi quando non vi è certezza. La chirurgia non è un gesto di potere sul corpo, ma un atto di servizio. Ogni taglio ha una responsabilità. E ogni tessuto sano tolto senza motivo è una colpa incisa non solo sulla carne del paziente, ma sulla coscienza di chi ha agito.
In conclusione, la responsabilità medica per errata resezione di tessuto sano si configura ogni volta che il gesto chirurgico travalica la necessità, ignora il consenso, viola l’integrità corporea. La medicina deve curare, non mutilare. E quando il bisturi taglia ciò che era sano, ciò che era intatto, ciò che non doveva essere toccato, la giustizia deve intervenire per ricostruire non solo il corpo, ma la dignità ferita del paziente.
Quali possono essere le conseguenze per il paziente?
L’asportazione non necessaria di tessuto sano può causare:
- Deficit funzionali irreversibili
- Necessità di reinterventi o trattamenti protesici
- Cicatrici deturpanti
- Perdita di fertilità o funzionalità sessuale
- Incontinenza urinaria o fecale
- Dolore cronico neuropatico
- Shock psicologico, depressione, disturbi d’ansia
- Perdita della qualità della vita e dell’autonomia
Quando si configura la responsabilità medica?
La responsabilità è chiara quando:
- L’intervento non corrisponde a quanto autorizzato nel consenso
- L’organo/tessuto rimosso non era compromesso
- Le linee guida non prevedevano l’estensione della resezione
- Non è stato eseguito un esame istologico intraoperatorio
- Il paziente non è stato correttamente informato
- Il danno era prevedibile e prevenibile
Cosa dice la legge in Italia?
La responsabilità medica è regolata da:
- Art. 1218 Codice Civile – inadempimento dell’obbligazione contrattuale
- Art. 2043 Codice Civile – illecito civile
- Legge n. 24/2017 (Gelli-Bianco) – obbligo di rispetto di linee guida, aggiornamento professionale e trasparenza
Il paziente non ha l’onere della prova dell’errore, ma deve solo dimostrare il danno. Sarà il medico a dover dimostrare di aver agito correttamente.
Il consenso informato protegge il medico?
Solo in parte. Il consenso è valido se:
- Il paziente ha ricevuto informazioni chiare, complete e specifiche
- L’informazione è personalizzata, non generica
- L’intervento è stato eseguito nei limiti del consenso firmato
- Non ci sono state manovre chirurgiche non previste senza reale urgenza
Un intervento non autorizzato equivale a violazione del diritto all’autodeterminazione, ed è risarcibile anche a prescindere dal risultato.
Quali sono i danni risarcibili?
- Danno biologico (perdita di funzionalità, invalidità permanente)
- Danno estetico (deformità, esiti cicatriziali)
- Danno morale (sofferenza interiore, ansia, umiliazione)
- Danno patrimoniale (spese mediche, perdita di lavoro, protesi, fisioterapia)
- Danno esistenziale (impatto sulla vita sociale, familiare, affettiva)
- Danno da perdita di chance (per esempio, perdita della fertilità in età fertile)
Esempi di casi reali
- Roma, 2023 – asportazione completa dell’utero in giovane paziente con polipo benigno → risarcimento di €175.000
- Milano, 2024 – resezione di porzione intestinale sana durante laparotomia esplorativa → €92.000
- Napoli, 2023 – rimozione del testicolo sano per errore di referto → €134.000
- Torino, 2024 – nervo sciatico tagliato per scambio con massa tumorale → €168.000
Come si dimostra che è stato commesso un errore?
- Acquisizione integrale della cartella clinica
- Referti operatori e documentazione fotografica intraoperatoria
- Risultati istologici post-operatori
- Consenso informato firmato (va confrontato con l’intervento eseguito)
- Perizia medico-legale chirurgica
- Documentazione di esiti permanenti, invalidità, riabilitazione
Quanto tempo c’è per agire?
- 10 anni dalla scoperta del danno per responsabilità contrattuale
- 5 anni per responsabilità extracontrattuale (in caso di danno subito da privati non contrattualizzati)
- In caso di decesso, i familiari hanno diritto a risarcimento entro 10 anni
Cosa fare subito se sospetti un errore?
- Richiedi subito la cartella clinica completa e autenticata
- Fatti visitare da uno specialista indipendente
- Conserva tutti i referti, fotografie, lettere di dimissione
- Non firmare nulla senza consiglio legale
- Rivolgiti a un avvocato esperto in malasanità chirurgica
Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Perché una resezione sbagliata non è solo un danno fisico: è un atto invasivo contro la tua dignità. È un’azione che segna il corpo e la vita. Che può toglierti la possibilità di avere figli, di lavorare, di camminare, di sorridere, di vivere come prima.
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