Errato Posizionamento di Drenaggi Chirurgici e Risarcimento Danni

Introduzione: quando un gesto tecnico apparentemente semplice causa un danno grave

I drenaggi chirurgici sono dispositivi inseriti nel corpo dopo un intervento per consentire la fuoriuscita di fluidi come sangue, siero, linfa o pus. Il loro utilizzo è previsto in numerose chirurgie, tra cui quelle addominali, toraciche, ortopediche, ginecologiche e maxillo-facciali. Si tratta di un’operazione che, pur essendo di routine, richiede estrema attenzione, competenza tecnica e monitoraggio continuo.

L’inserimento di un drenaggio non corretto può trasformarsi in una complicanza seria, dolorosa, invalidante o addirittura mortale. Quando il drenaggio è posizionato troppo in profondità, in una sede anatomica errata, oppure se non viene rimosso nei tempi corretti o viene dislocato senza controllo, può causare:

  • Lesioni di organi interni
  • Fistole, perforazioni intestinali o vescicali
  • Emorragie, infezioni gravi e sepsi
  • Aderenze post-operatorie o dolore cronico
  • Compromissione di anastomosi chirurgiche

Secondo l’Associazione Italiana di Chirurgia (AIC), nel 2024 si sono verificati oltre 650 casi documentati di complicanze da errato posizionamento o gestione di drenaggi chirurgici negli ospedali italiani, il 60% dei quali ha richiesto un secondo intervento chirurgico correttivo. Di questi, circa 300 pazienti hanno avviato una causa legale contro medici o strutture sanitarie.

La giurisprudenza, ormai consolidata, riconosce la responsabilità del medico in caso di uso inappropriato o gestione negligente dei drenaggi, considerando questo errore come una violazione della regola dell’arte chirurgica.

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio quando il posizionamento di un drenaggio è considerato errato, quali sono le conseguenze mediche e legali, cosa prevede la normativa aggiornata al 2025, come si dimostra il danno e come agisce un avvocato esperto in risarcimenti da malasanità chirurgica.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nell’errato posizionamento di drenaggi chirurgici?

Il drenaggio chirurgico è una procedura fondamentale in moltissimi interventi, impiegata per evacuare liquidi, sangue, siero, pus o gas da cavità anatomiche che, in seguito a chirurgia o infezione, possono accumulare materiale patologico. Serve a prevenire infezioni, deiscenze di ferita, raccolte sierose o emorragiche, e a monitorare eventuali complicanze post-operatorie. Esistono molti tipi di drenaggi: passivi, attivi, a circuito chiuso o aperto, temporanei o a lungo termine. Nonostante si tratti di un atto apparentemente routinario, il posizionamento di un drenaggio comporta una responsabilità chirurgica precisa, e quando effettuato in modo errato può determinare complicanze anche gravi, alcune delle quali evitabili con attenzione e tecnica. Comprendere quali sono le cause più frequenti dell’errato posizionamento di drenaggi chirurgici è essenziale per medici, pazienti e operatori sanitari che vogliano migliorare l’assistenza e ridurre i rischi post-operatori.

Una delle principali cause di complicanze legate al drenaggio è la scelta inappropriata del tipo di drenaggio. Ogni intervento richiede un tipo specifico di drenaggio, che deve tener conto del tipo di liquido da evacuare, della posizione anatomica, della durata prevista del drenaggio e del rischio infettivo. Usare un drenaggio passivo dove sarebbe necessario uno attivo a pressione negativa, oppure posizionare un tubo rigido dove servirebbe un drenaggio delicato, può causare danni ai tessuti, infezioni o ostruzione precoce del sistema. L’errore può essere anche di segno opposto: l’impiego di un drenaggio troppo sottile in un’area con rischio emorragico elevato può portare a raccolte inespulse e infezioni post-operatorie.

Un altro errore frequente è l’inserimento del drenaggio in una sede anatomica non corretta, spesso dovuto a un’insufficiente conoscenza della topografia chirurgica o a una manovra affrettata nel post-intervento. Se il drenaggio non raggiunge esattamente il punto dove è prevedibile che si accumuli il liquido da evacuare, la sua funzione sarà vanificata. Peggio ancora, se il tubo viene posizionato troppo superficialmente, può drenare solo siero sottocutaneo, ignorando ematomi profondi o raccolte purulente localizzate. Se invece viene inserito troppo in profondità, può perforare un organo o lesionare vasi sanguigni, creando una nuova complicanza anziché prevenirla. L’intestino, i vasi epigastrici, le anse adiacenti alla ferita, la pleura e perfino la vescica sono strutture che possono essere danneggiate da un drenaggio inserito con tecnica imprecisa.

La fase di fissaggio esterno del drenaggio rappresenta un altro momento critico. Se il tubo non viene fissato in modo stabile alla cute con punti di sutura o sistemi di ancoraggio adeguati, può sfilarsi accidentalmente durante i movimenti del paziente. Questo evento, spesso sottovalutato, può esporre a due rischi gravi: il primo è la perdita di funzione del drenaggio stesso, che smette di svolgere la sua azione evacuativa; il secondo è la contaminazione del tragitto fistoloso, che diventa una porta d’ingresso per batteri e infezioni. Inoltre, una fuoriuscita improvvisa può causare l’aspirazione d’aria o la caduta del contenuto nel tessuto sottostante, provocando un’infiammazione sterile o una complicanza infettiva.

Un errore tecnico non infrequente è la mancata verifica del funzionamento del drenaggio subito dopo il posizionamento. Il chirurgo deve controllare che il tubo non sia piegato, ostruito, annodato o troppo corto, e che il circuito sia a tenuta in caso di drenaggi attivi. Un tubo mal posizionato può aspirare aria, collassare sotto pressione negativa, o semplicemente non drenare nulla. In questi casi, il rischio è duplice: da un lato, il medico potrebbe essere indotto a credere che il sito sia asciutto, quando in realtà si stanno accumulando liquidi in profondità; dall’altro, il materiale non evacuato può infettarsi, provocare ascessi, riaprire la ferita o determinare una sindrome da compartimento locale.

Molte complicanze derivano anche dall’errata tempistica nella rimozione del drenaggio. Un drenaggio lasciato troppo a lungo può infettarsi, favorire la colonizzazione batterica retrograda, creare un’infiammazione cronica locale, o perfino causare la formazione di una fistola persistente. Al contrario, una rimozione troppo precoce può portare alla formazione di sieromi, ematomi o raccolte post-operatorie. La rimozione deve essere decisa valutando la quantità e la qualità del materiale drenato, le condizioni cliniche del paziente e i parametri ematochimici. In mancanza di un protocollo condiviso, la decisione può diventare arbitraria e causare più danni che benefici.

Una complicanza severa, anche se rara, è la lesione vascolare durante il posizionamento del drenaggio, che può avvenire quando il tubo viene spinto meccanicamente in zone ricche di vasi, come la pelvi, il sottocute addominale o l’ascella. Il risultato può essere la formazione di un ematoma massivo, la compressione di strutture nervose adiacenti o perfino la necessità di un nuovo intervento chirurgico per controllare l’emorragia. Anche in questo caso, la responsabilità è nella fase di inserimento: un gesto maldestro o non guidato può diventare causa di complicanze tanto gravi quanto il problema che il drenaggio voleva prevenire.

Un’altra criticità diffusa è l’utilizzo di drenaggi in assenza di indicazione clinica, per automatismo o eccesso di precauzione. Alcuni chirurghi, per prassi o timore, posizionano sempre un drenaggio, anche in interventi in cui non vi è reale necessità. In queste situazioni, il drenaggio diventa un corpo estraneo inutile, che può infettarsi, ostacolare la guarigione o semplicemente causare dolore e disagio al paziente. Ogni drenaggio comporta un rischio: va dunque usato con criterio, solo quando la bilancia rischio-beneficio è a favore della sua presenza.

Tra le cause più subdole di errore vi è la disconnessione del drenaggio dal sistema di raccolta, che può avvenire accidentalmente durante il trasporto, la movimentazione del paziente o durante procedure di igiene. Se il circuito viene interrotto, si perde la pressione negativa (nei sistemi attivi), si espone il paziente a contaminazione ambientale e si rischia l’aspirazione di aria nel sito operatorio, con possibili complicanze respiratorie se il drenaggio è toracico, o infezioni locali se è addominale. È fondamentale che tutto il personale sanitario sia formato sulla gestione dei drenaggi e che il controllo delle connessioni venga effettuato regolarmente.

Una fonte di complicazioni ricorrente è la comunicazione inadeguata tra sala operatoria e reparto, che porta alla gestione errata del drenaggio nel post-operatorio. Se il personale di reparto non riceve indicazioni precise sulla sede, sul tipo, sulla funzione e sulla durata del drenaggio, può commettere errori nella sua manutenzione, nella rilevazione dei dati o nella rimozione. A volte, la mancata annotazione della profondità del tubo o della sua origine anatomica rende impossibile capire se il drenaggio sia ancora correttamente posizionato o se si sia spostato.

Anche il paziente, se non informato correttamente, può contribuire al problema. Il drenaggio è un corpo estraneo visibile, fastidioso, fonte di ansia. Se il paziente non è adeguatamente istruito sul suo significato, sulla sua funzione e sul comportamento da adottare, può tirarlo accidentalmente, muoverlo, manipolarlo o addirittura rimuoverlo da solo, convinto che sia un dispositivo temporaneo privo di importanza. Questo comportamento, purtroppo non raro, può causare infezioni, apertura della ferita chirurgica, dolore intenso e necessità di reintervento.

Le complicanze più gravi, legate all’errato posizionamento o gestione del drenaggio, possono arrivare a determinare sepsi, ascessi profondi, perforazioni viscerali, fistole croniche, infezioni della ferita chirurgica, dolore neuropatico e necessità di reinterventi. Nei casi più estremi, si sono registrati anche decessi da infezione generalizzata in pazienti fragili nei quali il drenaggio non ha funzionato o è stato mal gestito. In ambito medico-legale, la documentazione relativa al posizionamento, funzionamento e rimozione del drenaggio è spesso oggetto di contestazioni quando si verifica un esito avverso.

Le statistiche cliniche evidenziano che, sebbene l’uso del drenaggio sia pratica diffusa e generalmente sicura, fino al 10-15% dei pazienti possono presentare complicanze legate al drenaggio, soprattutto se lasciato in sede oltre le 72-96 ore. Le infezioni locali sono le più frequenti, seguite da dislocamenti accidentali e ostruzioni del tubo. Le complicanze maggiori, come le lesioni vascolari o viscerali, sono rare ma gravissime, e quasi sempre correlate a errori tecnici in fase di posizionamento.

In definitiva, gli errori e le complicanze da errato posizionamento dei drenaggi derivano da una combinazione di fattori tecnici, organizzativi e comunicativi: scelta sbagliata del dispositivo, inserimento impreciso, fissaggio inadeguato, mancanza di verifica funzionale, rimozione intempestiva, uso non indicato, cattiva comunicazione tra operatori e assenza di istruzioni chiare al paziente. Nessun drenaggio dovrebbe essere considerato un dettaglio secondario. Ogni tubo inserito nel corpo di un paziente è una responsabilità clinica a tutti gli effetti.

Affidarsi a team chirurgici preparati, formare costantemente il personale, dotarsi di protocolli chiari, spiegare tutto al paziente e monitorare quotidianamente l’efficienza del drenaggio: sono questi i pilastri di una gestione sicura, che riduce al minimo i rischi e massimizza i benefici di uno strumento che, se usato bene, può salvare vite. Ma se trascurato, può fare esattamente il contrario.

Quando si configura la responsabilità medica per errato posizionamento di drenaggi chirurgici?

La responsabilità medica per il posizionamento errato di drenaggi chirurgici si configura ogni volta che, in seguito a un intervento chirurgico, il drenaggio posizionato in modo scorretto, superficiale, troppo profondo, in sede non indicata o non fissato adeguatamente, causa un danno evitabile al paziente, compromette il decorso post-operatorio o ritarda la diagnosi di una complicanza. Il drenaggio, strumento fondamentale nella chirurgia moderna, ha la funzione di evacuare liquidi, sangue o materiale purulento dalla sede operatoria, prevenendo raccolte, infezioni, sieromi e favorendo la corretta cicatrizzazione dei tessuti. Quando però viene utilizzato senza la dovuta perizia o vigilanza, può diventare esso stesso causa di infezione, emorragia, sofferenza tissutale o lesione viscerale.

Non esiste una chirurgia complessa che possa fare a meno del drenaggio nei casi indicati. Ma proprio per la sua diffusione e apparente semplicità, il suo impiego viene talvolta sottovalutato. In molte procedure addominali, toraciche, ginecologiche, ortopediche o ricostruttive, il drenaggio ha un ruolo cruciale non solo nella prevenzione delle raccolte ma anche nella possibilità di individuare tempestivamente eventuali complicanze: perdite ematiche, linforragie, fistole anastomotiche, infezioni profonde. Un drenaggio posizionato male può non svolgere questa funzione, mascherando un quadro che peggiora lentamente fino a diventare acuto, oppure provocare esso stesso un danno anatomico.

Il dovere del chirurgo è duplice: posizionare correttamente il drenaggio secondo le indicazioni della procedura e monitorarne scrupolosamente l’andamento nelle ore e nei giorni successivi all’intervento. Se questo non avviene, la responsabilità medica si configura per negligenza o imperizia. Un drenaggio che perfora un organo, che non viene fissato e si sposta, che fuoriesce prematuramente, o che viene rimosso senza le necessarie precauzioni, può causare complicanze gravi, sepsi, peritoniti, lesioni nervose o tissutali, fino alla necessità di reintervento chirurgico.

I casi documentati di posizionamento errato includono drenaggi inseriti troppo in profondità che hanno lesionato anse intestinali, drenaggi toracici che hanno lacerato pleure o pericardio, drenaggi addominali che hanno inciso vasi con conseguente ematoma o emorragia interna. In altri casi ancora, il drenaggio è stato posizionato in sede corretta ma non collegato a un sistema chiuso di raccolta, favorendo l’ingresso di batteri e lo sviluppo di infezioni profonde. In molti pazienti il drenaggio viene lasciato in sede troppo a lungo, provocando reazioni da corpo estraneo, aderenze, irritazioni cutanee o decubiti. Altri ancora, a causa di una rimozione affrettata, hanno sviluppato versamenti che si sarebbero potuti evitare con una gestione più attenta.

Uno degli errori più frequenti riguarda la sorveglianza post-operatoria. Il drenaggio non è un oggetto statico, ma un indicatore clinico in continua evoluzione. Il personale sanitario ha il dovere di registrare la quantità e la qualità del materiale drenato, annotare eventuali variazioni, segnalare la comparsa di pus, sangue vivo, aria o alterazioni sospette. Se queste modifiche passano inosservate o vengono banalizzate, si perde l’occasione di diagnosticare precocemente un’emorragia, una perforazione, una deiscenza di sutura. Quando l’errore non è nel gesto tecnico, ma nell’inerzia successiva, la responsabilità è comunque pienamente configurabile.

Il consenso informato, anche se spesso trascurato in relazione al drenaggio, deve invece essere completo e personalizzato. Il paziente deve sapere che dopo l’intervento chirurgico potrebbe essere necessario un drenaggio, che questo strumento comporta dei rischi specifici, che la sua gestione è parte integrante della convalescenza, e che eventuali segni di infezione o dolore improvviso devono essere segnalati con urgenza. Se il paziente non è stato avvisato, oppure se il drenaggio è stato posizionato senza adeguata spiegazione, la mancata informazione rappresenta un ulteriore elemento di responsabilità.

Il danno provocato da un drenaggio chirurgico mal posizionato può essere molto serio. Si va dalle infezioni profonde all’ascesso retroperitoneale, dalla formazione di raccolte non drenate alla comparsa di emorragie non intercettate, fino a situazioni più gravi come perforazioni intestinali, fistole cutanee, o addirittura lesioni del sistema nervoso periferico se il drenaggio è stato collocato in modo traumatico in prossimità di nervi. Il danno estetico non va sottovalutato: cicatrici da decubito, retrazioni cutanee, iperpigmentazioni, necrosi locali, tutte conseguenze di una gestione impropria.

Il paziente che subisce un danno può chiedere il risarcimento, ma dovrà dimostrare che l’evento lesivo è collegato in modo diretto e causale al posizionamento o alla gestione errata del drenaggio. Le prove fondamentali sono la cartella clinica con i dettagli dell’intervento, le annotazioni infermieristiche sul drenaggio, i referti radiologici che documentano la sede e la funzionalità del dispositivo, le consulenze successive, i referti chirurgici in caso di reintervento, e naturalmente le fotografie o la documentazione del danno estetico o funzionale. Se il drenaggio non è stato descritto in modo chiaro in cartella, o se le annotazioni sono approssimative o contraddittorie, la responsabilità della struttura sanitaria viene aggravata dalla cattiva tenuta della documentazione clinica.

Nel corso di un’azione civile, sarà il giudice a nominare un consulente tecnico d’ufficio, generalmente un chirurgo o un medico legale, che valuterà se il posizionamento del drenaggio era indicato, se è avvenuto con la corretta tecnica, se la sede era appropriata, se la vigilanza clinica è stata diligente e se la complicanza poteva essere evitata con una condotta differente. La CTU prende in considerazione anche la condotta della struttura sanitaria, del personale di reparto, e del chirurgo in caso di dimissione anticipata o mancata diagnosi post-operatoria.

Il danno risarcibile può comprendere l’invalidità biologica temporanea o permanente, le sofferenze fisiche, i disagi psicologici, le limitazioni nella vita quotidiana, l’impossibilità di lavorare, le spese mediche sostenute e le future terapie o interventi necessari per correggere il danno. Un drenaggio mal posizionato può sembrare un errore minimo, ma le sue conseguenze sono tutt’altro che trascurabili. Alcuni pazienti, per una lesione da drenaggio, hanno affrontato settimane di ospedale, interventi correttivi, infezioni sistemiche, o hanno riportato danni neurologici, viscerali o estetici permanenti.

Il termine per avviare un’azione legale è di cinque anni dal momento in cui il paziente ha avuto consapevolezza del danno, oppure dieci anni se si configura una responsabilità contrattuale con la struttura sanitaria. È fondamentale agire con prontezza, raccogliere tutta la documentazione, affidarsi a un avvocato specializzato e richiedere una consulenza medico-legale che valuti l’entità del danno e la sua relazione con l’errore clinico.

Dal punto di vista del medico e del personale sanitario, la prevenzione è l’unica strategia sicura. Significa conoscere bene l’anatomia del paziente, scegliere il drenaggio adatto, posizionarlo con precisione, fissarlo correttamente, annotarne ogni variazione e rimuoverlo solo quando è clinicamente opportuno. Il drenaggio non è un dettaglio tecnico: è una responsabilità clinica a tutti gli effetti. Ogni centimetro fuori posto può diventare un centimetro di sofferenza.

In conclusione, la responsabilità medica per errato posizionamento di drenaggi chirurgici si configura ogni volta che il loro impiego determina un danno evitabile, aggravato da mancanze di controllo, documentazione, comunicazione o tempestività. L’atto chirurgico non finisce con l’ultima sutura: continua nel monitoraggio, nella vigilanza, nella presenza attenta che fa la differenza tra un paziente che guarisce e uno che subisce.

Quali sono gli errori medici più frequenti?

  • Scelta di tipo o calibro di drenaggio inappropriato
  • Assenza di controllo radiologico post-inserimento
  • Mancanza di tracciatura nel diario clinico
  • Uso di drenaggi anche quando non indicati
  • Dislocazione traumatica durante manovre infermieristiche
  • Rimozione precoce con raccolta sierosa non risolta

Quali sono le complicanze più comuni?

  • Perforazione di anse intestinali o vescica
  • Ascessi e sepsi da infezione retrograda
  • Fistole enterocutanee o colecisto-cutanee
  • Dolore cronico da compressione nervosa
  • Necrosi dei tessuti adiacenti
  • Aderenze post-operatorie e occlusione intestinale

Cosa prevede la legge in caso di errore con i drenaggi?

La responsabilità medica è regolata da:

  • Art. 1218 Codice Civile – responsabilità contrattuale
  • Art. 2043 Codice Civile – illecito civile
  • Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che obbliga il rispetto delle linee guida cliniche

Un errato posizionamento o gestione del drenaggio è considerato una condotta imperita e colposa, se ha causato un danno che era evitabile con una corretta esecuzione tecnica.

Il consenso informato può escludere la colpa?

No. Anche se il paziente firma un consenso informato, il medico non è esonerato da responsabilità se commette un errore tecnico. Il consenso ha valore solo se:

  • Descrive anche i rischi connessi all’uso del drenaggio
  • È stato spiegato oralmente
  • Informa il paziente sulle possibili complicanze e sulla gestione post-operatoria

Quali danni si possono ottenere in risarcimento?

  • Danno biologico permanente (es. fistola, aderenze, invalidità)
  • Danno estetico (esiti cicatriziali, stomie)
  • Danno morale (sofferenza, paura, ansia)
  • Danno patrimoniale (spese mediche, fisioterapia, giorni lavorativi persi)
  • Danno da perdita di chance in caso di diagnosi tardiva del malfunzionamento

Alcuni esempi di risarcimento riconosciuto

  • Torino, 2023 – drenaggio intestinale errato con peritonite → €92.000
  • Roma, 2024 – dislocazione drenaggio e infezione settica → €76.000
  • Napoli, 2023 – danno permanente al nervo femorale → €64.000
  • Milano, 2024 – fistola addominale post-drenaggio → €85.000

Come si dimostra l’errore nel posizionamento?

  1. Acquisizione della cartella clinica e diario infermieristico
  2. Esami diagnostici post-operatori (TAC, RX, ecografie)
  3. Valutazione tramite perizia medico-legale
  4. Relazione specialistica (chirurgo, infettivologo, radiologo)
  5. Documentazione di eventuali reinterventi correttivi

Quando si può agire legalmente?

  • Entro 10 anni se si agisce per responsabilità contrattuale
  • Entro 5 anni per responsabilità extra-contrattuale
  • Il termine parte dal momento in cui il danno si manifesta, non da quando è stato commesso

Cosa fare subito se si sospetta un danno da drenaggio?

  • Richiedere subito la documentazione clinica
  • Farsi visitare da uno specialista esterno
  • Fotografare segni cutanei, ferite o infezioni
  • Non firmare nulla senza prima consultare un avvocato
  • Contattare un medico legale per perizia preliminare

Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Perché non si tratta di un errore qualunque. L’errato posizionamento di un drenaggio chirurgico non è un dettaglio trascurabile, ma un grave errore procedurale che può comportare danni permanenti.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità:

  • Collaborano con chirurghi, radiologi e medici legali esperti
  • Sanno ricostruire tecnicamente l’errore anche quando la cartella è lacunosa
  • Preparano una documentazione inoppugnabile per mediazione o processo
  • Ottengono risarcimenti completi, anche per danni futuri e psicologici
  • Possono agire anche contro ASL, ospedali e cliniche private

Il tuo dolore, le complicanze, la cicatrice che non guarisce, non sono sfortuna. Sono danni risarcibili.

La giustizia non è solo vendetta. È riparazione, dignità, verità.

Affidati agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità. Ti accompagneranno con competenza, rigore e determinazione. Perché chi ha subito un errore merita una voce forte, preparata, libera.

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