Necrosi Tissutale per Chiusura Vascolare Errata e Risarcimento Danni

Introduzione: quando un vaso chiuso male uccide il tessuto (e la fiducia)

La medicina moderna ha reso la chirurgia sempre più precisa, mini-invasiva, tecnologica. Eppure, esistono ancora errori che non dovrebbero accadere. Uno tra i più gravi è la chiusura vascolare errata, un errore tecnico che può causare necrosi tissutale, cioè la morte di una parte del corpo a causa del mancato afflusso di sangue. Un errore evitabile, ma che continua a colpire.

Chiudere in modo errato un’arteria o una vena significa impedire la circolazione a valle. Le cellule non ricevono più ossigeno, si danneggiano, muoiono. In pochi minuti, i tessuti cominciano a deteriorarsi. In poche ore, si sviluppa la necrosi. In pochi giorni, il paziente può ritrovarsi con amputazioni, asportazioni, danni permanenti o addirittura con la vita in pericolo.

Parliamo di errori in interventi vascolari, oncologici, ortopedici, ginecologici. Parliamo di interventi dove un nodo stretto nel punto sbagliato può significare la perdita di un arto, la necrosi del colon, l’infarto intestinale, la paralisi, la setticemia.

Secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati al 2024, si stima che ogni anno in Italia vengano segnalati oltre 500 casi di necrosi tissutale da chiusura vascolare errata. Circa il 65% di questi eventi si verifica in contesti chirurgici potenzialmente sicuri, ma nei quali si verificano negligenze nell’identificazione dei vasi, nella legatura o nell’uso di clips, suture e stapler.

In questo articolo vedremo quando una necrosi è causata da un errore chirurgico, quali responsabilità legali esistono, cosa dice la legge aggiornata al 2025, quali danni si possono chiedere in risarcimento e come ottenere giustizia affidandosi a un avvocato realmente competente in casi di malasanità chirurgica.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nella necrosi tissutale dovuta a chiusura vascolare errata durante un intervento chirurgico?

Durante un intervento chirurgico, la gestione dei vasi sanguigni rappresenta uno degli aspetti tecnici più delicati e cruciali. Ogni organo e tessuto del corpo umano dipende da un corretto apporto di sangue per mantenere vitalità, ossigenazione e capacità di guarigione. Quando, per errore, un’arteria o una vena viene legata, clampata, coagulata o recisa senza che ve ne sia indicazione, o quando un vaso fondamentale viene danneggiato o chiuso in modo improprio, il flusso ematico verso un determinato distretto può interrompersi. Questo comporta l’insorgenza di ischemia, e, se non corretta tempestivamente, di necrosi tissutale. Si tratta di una delle complicanze più gravi della chirurgia, perché può colpire muscoli, visceri, nervi, lembi cutanei o interi organi, portando alla perdita funzionale, a infezioni profonde e, nei casi estremi, all’amputazione o alla morte del paziente. Capire le cause più frequenti di questo tipo di errore è essenziale per prevenire danni irreversibili e per migliorare la qualità degli interventi chirurgici.

Una delle prime cause è rappresentata dalla scarsa conoscenza delle varianti anatomiche vascolari. Non tutti i pazienti presentano un sistema vascolare “classico” come rappresentato nei manuali di anatomia. Le varianti nell’origine, decorso o ramificazione delle arterie e delle vene sono comuni e possono confondere anche il chirurgo esperto, soprattutto in distretti ad alta complessità come il fegato, il rene, l’intestino o il collo. Se il chirurgo identifica erroneamente un vaso collaterale come principale, oppure non riconosce che una determinata arteria è l’unica fonte di irrorazione per un’area critica, può procedere con una legatura pensando di non compromettere la vascolarizzazione. In realtà, questa scelta tecnica errata può tradursi in ischemia acuta del tessuto a valle, che va in necrosi nel giro di poche ore.

Un secondo errore ricorrente è la legatura o la coagulazione di vasi troppo vicini a un’area chirurgica, per evitare il sanguinamento intraoperatorio. Questo accade spesso per “sicurezza” e per avere un campo operatorio più asciutto. Tuttavia, l’eccessiva cautela può determinare un sacrificio vascolare non necessario. Se si chiudono arterie o vene prima che siano state identificate alternative efficaci per il flusso sanguigno, si crea un’ischemia da ipoperfusione. I tessuti, non più alimentati dal sangue, vanno incontro a ipossia, acidosi, sofferenza cellulare e, infine, a morte. Nella chirurgia plastica e ricostruttiva, ad esempio, la necrosi di un lembo cutaneo o muscolare per sacrificio di vasi perforanti è una delle complicanze più frequenti e frustranti.

Una delle situazioni più gravi riguarda la chiusura accidentale di un vaso maggiore durante la sutura finale, quando, per errore, una pinzatura o un punto coinvolge anche la parete vascolare. Questo errore può passare inosservato perché inizialmente non provoca sanguinamento evidente. Ma nel post-operatorio, quando il tessuto downstream non riceve più sangue, si manifestano rapidamente i segni clinici di necrosi: dolore violento, pallore, edema, deficit neurologici, febbre, alterazioni dell’equilibrio metabolico e infezione. Se non si interviene subito per rimuovere l’occlusione o ripristinare il flusso, il danno diventa irreversibile.

Un altro errore tecnico importante è la lesione termica da dispositivi ad alta energia, come bisturi elettrici, laser o pinze ad ultrasuoni. Questi strumenti, se usati in prossimità di strutture vascolari, possono danneggiare in modo invisibile l’endotelio o le pareti arteriose, creando una stenosi progressiva o una trombosi secondaria. Il vaso non si chiude subito, ma la sua capacità di mantenere il flusso si riduce nel tempo, fino al collasso. Questo effetto, chiamato “ustione vascolare a distanza”, è ben noto in chirurgia laparoscopica, dove la limitata visibilità e l’assenza di tattilità aumentano il rischio di danni indiretti. La necrosi tissutale che ne consegue può manifestarsi a distanza di ore o giorni, quando il paziente è già in reparto, e spesso viene riconosciuta solo quando la lesione è ormai avanzata.

Molto spesso, la necrosi tissutale si verifica anche per mancanza di monitoraggio intraoperatorio e post-operatorio della perfusione dei tessuti. Oggi esistono dispositivi, come i doppler intraoperatori, gli indocianine green per la perfusione visiva o le microsonde, che permettono di verificare il flusso ematico nei lembi e negli organi. Tuttavia, non tutte le strutture sanitarie sono dotate di queste tecnologie, oppure il loro utilizzo viene trascurato per mancanza di tempo, esperienza o cultura del controllo. Quando si esegue una resezione o una ricostruzione senza valutare il risultato emodinamico in tempo reale, si rischia di chiudere vasi critici o di non accorgersi che una regione è già ischemica.

Un’altra circostanza ad alto rischio è la chirurgia su pazienti con vasculopatie croniche, come arteriosclerosi, diabete o arteriopatia periferica. In questi pazienti, anche la chiusura di un vaso apparentemente collaterale può causare una catastrofe vascolare, perché le arterie residue non sono in grado di compensare il flusso mancante. Il chirurgo deve conoscere bene il profilo vascolare del paziente, e adattare la propria tecnica per minimizzare il sacrificio vascolare. Quando questo non avviene, la necrosi di tessuti ischemici preesistenti si accelera, con formazione di ulcere, deiscenze, fistole e infezioni.

In campo ginecologico, urologico e colo-rettale, sono noti numerosi casi in cui la chiusura errata di arterie pelviche o di rami mesenterici ha determinato necrosi intestinale o vescicale, con quadri clinici molto gravi. La compromissione della perfusione può provocare la perdita di interi segmenti di organi, con necessità di reintervento, stomia, rimozione dell’organo necrotico o addirittura morte. Le conseguenze cliniche sono tanto più gravi quanto più tardiva è la diagnosi dell’ischemia.

Dal punto di vista medico-legale, la necrosi tissutale da chiusura vascolare errata è considerata un errore tecnico grave e quasi sempre evitabile, che configura responsabilità professionale per imperizia chirurgica. Le perizie valutano se il vaso chiuso fosse realmente sacrificabile, se esistevano alternative tecniche, se erano disponibili strumenti di valutazione della perfusione, se sono stati eseguiti controlli adeguati, se il danno poteva essere evitato con maggiore attenzione. In molti casi, il risarcimento per il paziente è elevato, soprattutto se la necrosi ha comportato amputazioni, danni funzionali, disabilità permanenti o la perdita di un organo. In casi estremi, la conseguenza della necrosi è la morte del paziente per sepsi o shock settico, con responsabilità penale oltre che civile.

Le statistiche indicano che le necrosi tissutali chirurgiche da errore vascolare avvengono in circa l’1-2% degli interventi ad alta complessità, ma la percentuale aumenta nei pazienti fragili, nei pazienti oncologici e in quelli sottoposti a chirurgia d’urgenza. I distretti più frequentemente colpiti sono i lembi ricostruttivi, l’intestino, le estremità periferiche, il rene, il fegato e le anse intestinali a valle di anastomosi mal perfuse.

In definitiva, gli errori e le complicanze nella necrosi tissutale da chiusura vascolare errata derivano da una conoscenza anatomica incompleta, da eccessiva fretta, da scarso utilizzo delle tecnologie di controllo vascolare, da disattenzione al contesto clinico del paziente e da sottovalutazione dei segni precoci di ischemia. La chirurgia moderna offre gli strumenti per evitare tutto questo. Ma per funzionare, richiede metodo, precisione e umiltà. Ogni vaso ha una funzione, ogni struttura serve a mantenere in vita il tessuto che alimenta. Chiudere un vaso per errore non è solo un problema tecnico: è un’azione che si ripercuote su cellule, organi, funzioni e sull’intera vita del paziente.

Affidarsi a chirurghi esperti, a strutture attrezzate e a protocolli accurati di verifica vascolare è l’unico modo per ridurre al minimo queste complicanze. Perché, in chirurgia, la precisione non è un’opzione: è un dovere.

Quando si configura la responsabilità medica per necrosi tissutale causata da una chiusura vascolare errata?

La responsabilità medica per necrosi tissutale causata da una chiusura vascolare errata si configura ogni volta che, durante un intervento chirurgico o una procedura invasiva, un’arteria o una vena viene occlusa in modo improprio, provocando l’interruzione del flusso sanguigno verso un distretto corporeo e determinando la morte cellulare dei tessuti coinvolti. La necrosi non è mai una complicanza banale: è l’esito estremo e irreversibile dell’assenza di ossigeno e nutrimento. Quando accade a causa di un errore tecnico, è anche il simbolo più evidente della perdita di controllo in sala operatoria, della rottura dell’equilibrio tra precisione chirurgica e tutela dell’integrità del corpo del paziente.

Durante molte operazioni, il chirurgo si trova a dover isolare, pinzare, legare o sezionare vasi sanguigni per accedere all’area patologica, controllare il sanguinamento o rimuovere tessuti malati. È un passaggio critico, che richiede grande attenzione, perfetta conoscenza dell’anatomia e capacità di riconoscere varianti vascolari individuali. Una clamp mal posizionata, un’arteria confusa con un’altra, una legatura troppo prossima a una biforcazione possono determinare un’interruzione del flusso sanguigno non voluta. Se il chirurgo non si accorge dell’errore, o lo sottovaluta, il danno inizia a maturare subito dopo la chiusura della ferita, quando i tessuti cominciano a soffrire e, infine, a morire.

La necrosi tissutale causata da una chiusura vascolare errata non è mai un fatto casuale. È l’effetto diretto di un atto chirurgico mal eseguito, o non verificato, o gestito con eccessiva superficialità. Il danno può manifestarsi poche ore dopo l’intervento con dolore acuto, cianosi, alterazioni della sensibilità, ma anche con ritardo, quando la sofferenza cellulare si trasforma in lesione visibile, ulcerazione, infezione o distacco del tessuto necrotico. Nei casi più gravi, il paziente può perdere un arto, una parte del volto, una porzione di parete addominale, un segmento intestinale, una struttura genitale, un lembo cutaneo o muscolare destinato a ricostruzione.

La diagnosi si basa sull’osservazione clinica, sugli esami ematochimici, sulla valutazione vascolare mediante ecocolordoppler o angio-TAC. Quando viene individuata una necrosi da ischemia chirurgica, la prima domanda che ci si pone è se il danno fosse prevedibile e prevenibile. Spesso la risposta è sì. Esistono infatti procedure di controllo intraoperatorio per verificare la perfusione dei tessuti: colorazione, pulsazione, test termici, flussimetria. Inoltre, il chirurgo ha l’obbligo di mantenere costante l’attenzione sulla tenuta delle anastomosi vascolari e sull’eventuale compressione da parte di ematomi o garze mal posizionate. Se questi passaggi vengono omessi, il danno che ne deriva è una responsabilità diretta.

La necrosi comporta conseguenze funzionali, estetiche e psicologiche molto gravi. Nei distretti periferici può portare all’amputazione di dita, piedi, mani. Nella chirurgia plastica può compromettere un lembo ricostruttivo o l’esito di un intervento estetico. Nell’addome può provocare fistole, deiscenze, infezioni profonde. Nei genitali, nei glutei, nelle aree mammarie, può lasciare ferite devastanti, con esiti cicatriziali deturpanti. Ma al di là della lesione visibile, ciò che colpisce è l’esperienza vissuta dal paziente: la scoperta che un’area del suo corpo è andata in necrosi non per colpa della malattia, ma per un errore umano, un gesto tecnico mal calcolato, una scelta operatoria sbagliata.

Il dolore, l’odore, la vista della pelle nera e morta, la paura di un’infezione generalizzata, l’ansia per il futuro, l’angoscia per l’aspetto fisico sono tutti elementi che lasciano un’impronta profonda. I trattamenti sono spesso lunghi, invasivi, dolorosi. Richiedono sbrigliamento chirurgico, medicazioni, degenze prolungate, terapia antibiotica, ricostruzioni successive. Alcuni pazienti vengono sottoposti a interventi multipli per mesi, senza garanzia di ripristinare la funzionalità o l’estetica originaria. Altri devono imparare a convivere con una parte del corpo che non sarà mai più quella di prima.

Dal punto di vista giuridico, la necrosi tissutale da errata chiusura vascolare è un caso esemplare di colpa medica. Il danno è oggettivo, evidente, documentabile. Il nesso causale è spesso chiaro. La responsabilità si accerta attraverso la ricostruzione tecnica dell’intervento: cosa è stato legato, cosa è stato lasciato, se la resezione era corretta, se la sutura vascolare era sicura, se l’anatomia era stata valutata con attenzione. I periti medico-legali analizzano la cartella clinica, il referto operatorio, la documentazione fotografica, i tracciati intraoperatori. Quando emerge che il vaso chiuso non doveva essere toccato, o che la perfusione del tessuto non è stata verificata, la responsabilità è diretta.

Il risarcimento, in questi casi, può essere molto elevato. Include il danno biologico temporaneo e permanente, il danno estetico, il danno morale, il danno esistenziale, il costo delle cure successive, la perdita di opportunità lavorative, il disagio sociale. Nei casi più gravi, con amputazioni o deturpazioni visibili, la cifra può superare i duecentomila euro. Se il paziente è giovane, attivo, con aspettative di vita lunga e impatto psicosociale importante, il valore del danno si moltiplica. Quando invece il danno ha causato una perdita di funzione che compromette l’autonomia personale, la vita relazionale o la sessualità, il risarcimento comprende anche la perdita della qualità della vita.

Il termine per agire è, come sempre, di cinque anni dalla conoscenza del danno, oppure dieci se si tratta di responsabilità contrattuale. È fondamentale agire con tempestività: richiedere la cartella clinica completa, conservare la documentazione fotografica, raccogliere le testimonianze, affidarsi a un avvocato esperto in responsabilità sanitaria, incaricare un consulente tecnico di parte che possa individuare l’origine della lesione e dimostrare la correlazione con l’errore operatorio.

Per il medico, l’unica strada per evitare questo tipo di errore è l’attenzione costante, la prudenza, il rispetto della complessità anatomica. Ogni vaso ha una funzione. Ogni ramo vascolare può alimentare una zona che sembra marginale ma non lo è. Un nodo di troppo può spegnere la vita di un tessuto. E con essa, la fiducia del paziente, la sua integrità, la sua dignità. Il bisturi è uno strumento di precisione, non di approssimazione. E la chirurgia, quando non rispetta i confini del necessario, si trasforma in aggressione.

In conclusione, la responsabilità medica per necrosi tissutale da chiusura vascolare errata si configura ogni volta che la lesione è il risultato diretto di un errore tecnico evitabile, di una mancanza di verifica, di una scelta affrettata. Il danno non è solo fisico: è una perdita di futuro, di immagine, di fiducia. Ed è per questo che la giustizia deve intervenire, per restituire al paziente almeno una parte di ciò che l’errore gli ha tolto.

Quali sono i sintomi della necrosi tissutale?

  • Dolore intenso e ingravescente
  • Colorazione violacea o nera della cute o della mucosa
  • Perdita di sensibilità o movimento
  • Gonfiore, febbre, segni di infezione
  • In alcuni casi: perforazione intestinale, peritonite, sepsi

Quali interventi presentano il rischio maggiore?

  • Bypass vascolari
  • Resezioni intestinali
  • Isterectomie e ooforectomie
  • Prostatectomie radicali
  • Interventi di ernia inguinale
  • Chirurgia laparoscopica (se la visione è alterata)
  • Chirurgia plastica ricostruttiva

Quando si configura la responsabilità del chirurgo?

La responsabilità è piena quando:

  • Non sono state rispettate le linee guida chirurgiche
  • È stato chiuso un vaso non indicato
  • È mancato il controllo della vascularizzazione del tessuto residuo
  • L’evento era evitabile con maggiore attenzione
  • La complicanza è stata sottovalutata o diagnosticata tardi

La responsabilità è contrattuale se il paziente è ricoverato in struttura pubblica o privata convenzionata, extracontrattuale per prestazioni occasionali.

Cosa prevede la legge italiana?

La normativa di riferimento è:

  • Art. 1218 Codice Civile – responsabilità per inadempimento dell’obbligazione
  • Art. 2043 Codice Civile – risarcimento per danno ingiusto
  • Legge n. 24/2017 (Gelli-Bianco) – responsabilità sanitaria, obbligo di aggiornamento e adesione alle buone pratiche cliniche

Il medico e la struttura devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Il paziente deve dimostrare solo l’esistenza del danno e il nesso con l’intervento.

Il consenso informato può giustificare l’errore?

Assolutamente no. Il consenso:

  • Non autorizza l’errore tecnico
  • Non può coprire la negligenza o imperizia
  • È valido solo se specifico, comprensibile e firmato in modo consapevole
  • È giuridicamente inefficace in caso di violazione delle regole mediche

Quali danni si possono chiedere in risarcimento?

  • Danno biologico permanente (amputazioni, perdita di organi, invalidità)
  • Danno estetico (deformazioni, cicatrici estese, necrosi cutanea visibile)
  • Danno morale (dolore psichico, vergogna, ansia)
  • Danno patrimoniale (spese sanitarie, mancato guadagno, ausili)
  • Danno esistenziale (perdita di autonomia, relazioni, qualità della vita)

Esempi di casi realmente risarciti

  • Milano, 2023 – amputazione gamba per chiusura arteria femorale durante bypass → €265.000
  • Napoli, 2024 – necrosi colica con stomia permanente dopo legatura errata → €198.000
  • Firenze, 2023 – necrosi cute e muscoli coscia in paziente ortopedico → €122.000
  • Roma, 2024 – perdita testicolo per errata chiusura vascolare → €97.000

Come si dimostra che è stato commesso un errore?

  1. Acquisizione cartella clinica completa
  2. Referti operatori e schede anestesiologiche
  3. Relazione di imaging (TAC, ecografie, RX vascolari)
  4. Documentazione fotografica post-operatoria (in caso di necrosi visibile)
  5. Perizia medico-legale chirurgica e vascolare
  6. Dossier di follow-up, reinterventi, esiti invalidanti

Quanto tempo si ha per agire legalmente?

  • 10 anni dalla scoperta del danno per responsabilità contrattuale
  • 5 anni per responsabilità extracontrattuale
  • In caso di decesso, i familiari hanno diritto entro 10 anni al risarcimento

Cosa fare subito se si sospetta una necrosi da errore medico?

  • Documentare visivamente (foto, video)
  • Richiedere copia integrale della cartella clinica
  • Farsi valutare da uno specialista non legato alla struttura
  • Non firmare nulla senza parere legale
  • Contattare un avvocato esperto in malasanità

Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Perché un vaso chiuso male è un colpo che segna la carne, ma anche la fiducia. Quando il tuo corpo smette di ricevere sangue perché qualcuno ha stretto il punto sbagliato, non puoi far finta che sia andata così per caso.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità:

  • Collaborano con chirurghi vascolari, infettivologi e radiologi forensi
  • Studiano ogni dettaglio tecnico dell’intervento
  • Dimostrano la colpa con perizie solide e documenti oggettivi
  • Ottenendo risarcimenti anche senza arrivare a giudizio

Il tuo corpo non meritava di perdere una parte di sé per un errore umano. Se hai subito una necrosi, un’amputazione, un danno vascolare evitabile, non restare in silenzio.

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