In chirurgia, la sutura rappresenta una delle fasi più delicate e decisive dell’intervento. È il momento in cui il chirurgo richiude incisioni, anastomosi o aree operate, ristabilendo la continuità dei tessuti. Se la sutura è incompleta, errata o debole, può aprire la strada a una delle complicanze più serie: la formazione di una fistola.
Una fistola è una comunicazione anomala tra due organi interni (o tra un organo e l’esterno), che si sviluppa per colpa di una mancata tenuta del punto chirurgico. La sutura incompleta può provocare:
- Fistole intestinali
- Fistole anali
- Fistole enterocutanee
- Fistole urinarie o vescicali
- Fistole biliari o pancreatiche
Queste complicanze possono comparire giorni o settimane dopo l’operazione e compromettono gravemente la salute del paziente. Possono provocare infezioni gravi, dolore cronico, perdita di liquidi biologici, malnutrizione, prolungata ospedalizzazione e talvolta anche la necessità di una stomia temporanea o permanente.

Nel 2024, secondo i dati ufficiali della Società Italiana di Chirurgia (SIC), si stima che oltre 1.200 casi clinici abbiano sviluppato fistole a seguito di sutura incompleta o deiscente, con una media di 8 degenze prolungate per ogni complicanza. Di questi casi, più del 50% è stato oggetto di reclamo o richiesta risarcitoria da parte del paziente o dei familiari.
Quando l’errore deriva da imperizia o da una gestione negligente del decorso post-operatorio, si configura responsabilità medica. La legge italiana riconosce il diritto al risarcimento nei casi in cui una sutura incompleta causi una fistola che poteva essere evitata con l’uso della perizia, della prudenza e delle linee guida.
In questo articolo approfondiremo quando la sutura errata è risarcibile, quali sono i segnali di una fistola post-operatoria, cosa dice la legge, quali prove servono, quali sono gli importi riconosciuti e come interviene un avvocato esperto in risarcimento danni da malasanità chirurgica.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nella sutura incompleta che causa fistole?
La sutura chirurgica rappresenta uno dei momenti più delicati e cruciali di qualsiasi intervento, a prescindere dal distretto anatomico interessato. Che si tratti di un’anastomosi intestinale, di una sutura vescicale, pancreatica, esofagea, biliare o cutanea, l’obiettivo è sempre lo stesso: ricongiungere con precisione i margini tissutali per ristabilire la continuità, favorire la guarigione e prevenire perdite, infezioni o cedimenti strutturali. Quando questo obiettivo non viene raggiunto correttamente, il rischio più temuto è la formazione di una fistola. Una sutura incompleta o difettosa, infatti, può lasciare un passaggio anomalo, spesso microscopico, attraverso cui contenuti fisiologici o infetti si riversano in tessuti adiacenti, cavità sierose o verso l’esterno. Il risultato è un processo infiammatorio cronico che può evolvere in ascessi, infezioni profonde, peritonite, sepsi o cicatrici patologiche, con conseguenze anche molto gravi sulla salute del paziente e sull’esito complessivo dell’intervento.
Una delle cause più frequenti di suture incomplete è l’imperfetta apposizione dei margini tissutali. In molti interventi, soprattutto in ambito gastrointestinale o urologico, è fondamentale che le due estremità da unire siano ben vascolarizzate, di spessore omogeneo e mantenute in contatto in modo preciso, senza tensioni e senza difetti tecnici. Se il chirurgo non esegue la sutura con cura millimetrica, o se i tessuti non sono vitali (ad esempio ischemici, friabili o infiammati), anche una sutura apparentemente ben confezionata può cedere nei giorni successivi, dando origine a una fistola post-operatoria. Questo vale soprattutto per le anastomosi intestinali dopo resezione, dove il passaggio del contenuto enterico attraverso una breccia anche minima può causare infezioni gravissime, addome acuto, necessità di reintervento e, nei casi peggiori, morte del paziente.
Un’altra causa importante di sutura incompleta è l’utilizzo errato del materiale di sutura. Non tutti i fili sono uguali: variano per calibro, elasticità, resistenza alla trazione, velocità di riassorbimento e compatibilità con i tessuti. Utilizzare un filo troppo sottile in un’area ad alto rischio di tensione può portare alla rottura precoce del nodo o allo strappo dei tessuti. Usare un filo troppo rigido o mal calibrato può invece causare necrosi dei margini, con successiva apertura della sutura. Inoltre, la scelta del tipo di ago, della tecnica di passaggio e del numero di punti influisce in modo determinante sulla tenuta. Un punto di sutura troppo distante o troppo superficiale lascia una breccia che può fungere da punto di innesco per la formazione della fistola.
La tempistica e la condizione clinica del paziente sono altrettanto determinanti. Nei soggetti immunodepressi, malnutriti, diabetici, con anemia severa o in trattamento con corticosteroidi, la capacità di cicatrizzazione è fortemente compromessa. Anche una sutura tecnicamente corretta può non tenere se il tessuto non riceve il supporto biologico necessario per attivare la rigenerazione. In questi pazienti è molto più alta la probabilità che si formi una fistola enterica, urinaria o cutanea, soprattutto in zone sottoposte a stress meccanico, come il perineo, l’addome o le anastomosi viscerali. Inoltre, anche la presenza di infezioni locali, colonizzazione batterica o contaminazione intraoperatoria è un fattore di rischio enorme. Un’infezione non controllata degrada la tenuta della sutura e può portare alla deiscenza del sito operatorio, da cui prende origine la comunicazione patologica.
Un errore non infrequente è la sottovalutazione dei segnali di cedimento precoce della sutura. Dopo un intervento chirurgico, la comparsa di febbre, leucocitosi, dolore localizzato, secrezioni purulente o liquido enterico attraverso il drenaggio, deve sempre far sospettare una fistola in formazione. Se il sospetto viene ignorato o attribuito ad altre cause, si perde tempo prezioso. La fistola, nelle prime fasi, può essere contenuta, ma se non viene individuata tempestivamente, evolve verso una perdita persistente, un’infezione sistemica, una cavità ascessuale o un quadro di shock settico. Il ritardo nella diagnosi è spesso più grave del difetto tecnico iniziale, perché impedisce interventi correttivi mininvasivi o percutanei, rendendo necessario un nuovo intervento chirurgico esplorativo con aumento dei rischi per il paziente.
Un altro scenario critico è il cedimento parziale della sutura in aree ad alta pressione, come l’anastomosi tra stomaco e intestino o la sutura del pancreas, organo altamente enzimatico e fragile. Anche se la chiusura chirurgica è completa in apparenza, la pressione dei contenuti endoluminali o dei liquidi enzimatici può aprire una microfessura. In questo caso la fistola non si manifesta subito, ma si sviluppa lentamente, con fuoriuscita progressiva di materiale che può restare confinato o infiltrarsi in tessuti profondi. La localizzazione retroperitoneale di una fistola pancreatica o duodenale può renderla clinicamente silente per giorni, fino a provocare danni estesi e difficili da controllare.
L’errore umano legato alla fretta o alla distrazione nella fase finale dell’intervento è una delle cause più semplici e allo stesso tempo più pericolose. Spesso, nei lunghi interventi chirurgici, la fase conclusiva è vissuta con stanchezza, con minor attenzione, con il desiderio di chiudere rapidamente. È in quel momento che un punto lasciato incompleto, un nodo non serrato bene, una sutura non ispezionata a fondo, possono generare la falla da cui avrà origine una complicanza. È per questo che ogni sutura deve essere testata, irrigata, controllata e ispezionata con calma e metodo, perché un solo errore può costare giorni di sofferenza, terapie antibiotiche pesanti, rioperazioni o perfino una invalidità permanente.
Esistono poi fistole dovute a suture eseguite in presenza di tumori, radiazioni o tessuti necrotici, in cui la tenuta dei margini è impossibile sin dall’inizio. Nei pazienti oncologici, soprattutto quelli sottoposti a radioterapia addominale o pelvica, i tessuti sono fibrotici, fragili, scarsamente vascolarizzati. In questi casi, anche con le migliori tecniche, il rischio di deiscenza anastomotica e formazione di fistola è molto elevato. Non è raro che si formino comunicazioni tra retto e vagina, vescica e colon, intestino e cute, che poi richiedono derivazioni temporanee come colostomie o stomie urinarie per permettere la guarigione dei tessuti profondi.
Un fattore di rischio aggiuntivo è l’utilizzo di drenaggi mal posizionati, che possono interferire con la tenuta della sutura o favorire l’apertura di un piccolo difetto, trasformandolo in una via di uscita costante per i liquidi. Anche il contatto continuo con un tubo di drenaggio può impedire la cicatrizzazione corretta e mantenere attiva una comunicazione patologica, trasformando una microperdita contenuta in una fistola clinicamente manifesta, persistente e difficile da chiudere.
Una volta che la fistola si è instaurata, il trattamento può essere molto complesso. Alcune fistole guariscono con la nutrizione parenterale, il riposo intestinale e una terapia antibiotica mirata. Altre necessitano di drenaggio percutaneo guidato da ecografia o TAC. Nei casi più gravi, è inevitabile un nuovo intervento chirurgico per riparare la breccia, rimuovere i tessuti compromessi e confezionare una stomia temporanea per proteggere la nuova sutura. I tempi di guarigione sono lunghi, i rischi elevati e le conseguenze psicologiche sul paziente molto profonde.
Le statistiche indicano che le fistole post-operatorie da sutura incompleta si verificano in una percentuale variabile tra l’1 e il 10% degli interventi maggiori, con picchi fino al 20% in ambito oncologico-addominale. Le fistole anastomotiche intestinali, ad esempio, rappresentano una delle principali cause di mortalità chirurgica nei pazienti sottoposti a resezione intestinale, con una letalità che può raggiungere il 15-25% nei casi non diagnosticati precocemente. Le fistole pancreatiche, biliari o urinarie possono richiedere settimane di terapia e comportare un rischio elevato di infezioni sistemiche, malnutrizione, perdita di elettroliti e insufficienza multiorgano.
In conclusione, gli errori e le complicanze da sutura incompleta che causano fistole derivano da una molteplicità di fattori: tecnica chirurgica imperfetta, materiale inadeguato, tensioni eccessive, qualità tissutale scarsa, infezioni locali, gestione imprecisa del post-operatorio, ma anche da decisioni frettolose, sottovalutazione dei segnali di allarme e comunicazione clinica insufficiente. Ogni sutura richiede attenzione, pazienza, precisione. Ogni margine dev’essere valutato, ogni nodo testato, ogni rischio previsto. Perché chiude bene solo chi ha davvero imparato a rispettare i tessuti, a prevenire i cedimenti e a riconoscere in tempo quando qualcosa non sta andando come previsto.
Affidarsi a un chirurgo esperto, capace di prevedere le situazioni ad alto rischio, dotato delle competenze per correggere tempestivamente un difetto di sutura e accompagnato da un team in grado di gestire le complicanze precocemente, è l’unico modo per ridurre davvero il rischio di fistole e garantire una guarigione completa, sicura e dignitosa per ogni paziente.
Quando si configura la responsabilità medica per una sutura incompleta che causa fistole?
La responsabilità medica per una sutura incompleta che provoca la formazione di fistole si configura ogni volta che, a seguito di un intervento chirurgico, la chiusura inadeguata di un’anastomosi, di un viscere o di un piano tissutale porta alla fuoriuscita anomala di liquidi biologici e allo sviluppo di un tragitto patologico, con conseguenze gravi per la salute del paziente. Le fistole, nella pratica chirurgica, sono tra le complicanze più temute e più difficili da trattare. Possono formarsi nell’intestino, nel tratto biliare, nell’apparato urinario, in ambito ginecologico o nella chirurgia toracica, e comportano un carico notevole in termini di dolore, infezioni, difficoltà nella guarigione e danni permanenti. Quando la loro insorgenza è il risultato diretto di una sutura errata o incompleta, la responsabilità del chirurgo è evidente.
La sutura chirurgica, a seconda della sede e del tipo di tessuto coinvolto, richiede tecnica, attenzione, esperienza e valutazione dei carichi di tensione. Una sutura intestinale troppo debole, discontinua o mal orientata può aprirsi sotto la pressione fisiologica dei gas e dei liquidi. Una chiusura approssimativa dell’uretere, di una breccia gastrica o di una lesione del tenue può lasciar passare contenuti che, nel giro di poche ore, innescano processi infiammatori profondi e la formazione di una fistola. Una piccola imperfezione nell’atto chirurgico può trasformarsi in una complicanza devastante.
Le fistole possono essere esterne, cioè con sbocco sulla cute o su una ferita chirurgica, oppure interne, quando mettono in comunicazione due organi contigui. Possono drenare liquidi enterici, bile, urina, pus o sangue. Nella maggior parte dei casi, la loro presenza comporta un rallentamento della guarigione, la necessità di nutrizione parenterale, drenaggi prolungati, trattamenti antibiotici, radiografie, TAC, risonanze e – spesso – nuovi interventi chirurgici per la chiusura. Il paziente che si ritrova con una fistola vive un’esperienza lunga, faticosa, umiliante, e in molti casi segnata da dolore cronico, infezioni ricorrenti, difficoltà relazionali e perdita di fiducia nei confronti dei sanitari.
Una fistola può essere la conseguenza inevitabile di una situazione clinica complessa: nei pazienti oncologici, in quelli immunodepressi o in soggetti con gravi infezioni pregresse, il rischio di deiscenza di sutura è fisiologicamente più alto. Ma quando la fistola si verifica in assenza di questi fattori, oppure quando la sutura difettosa poteva essere evitata con una tecnica corretta, la responsabilità del chirurgo non è in discussione. Se, ad esempio, la breccia non era stata chiusa con un doppio strato, se i margini erano ischemici, se la tensione dei tessuti era stata sottovalutata, o se era stata utilizzata una sutura non adeguata al tipo di tessuto o alla pressione prevista, l’errore tecnico è concreto e inescusabile.
Il momento della chiusura chirurgica non è un dettaglio: è uno dei passaggi più delicati dell’intervento. La tentazione di accelerare, soprattutto nelle fasi finali di una lunga operazione, può portare a sottovalutare una piccola perdita, una zona mal vascolarizzata o un punto mal eseguito. Se il chirurgo, al termine della procedura, non effettua un controllo accurato della tenuta delle suture – ad esempio testando la tenuta idraulica, irrigando con soluzione sterile per verificare eventuali perdite, o posizionando un drenaggio vicino a zone critiche – sta mancando al proprio dovere di diligenza. Il paziente non può essere esposto a un rischio prevedibile solo per leggerezza o stanchezza dell’équipe.
Oltre all’errore tecnico, anche il ritardo nella diagnosi della fistola può costituire fonte autonoma di responsabilità. I segnali clinici sono spesso evidenti: febbre, leucocitosi, dolore localizzato, secrezione anomala dalla ferita, distensione addominale, alterazioni della diuresi o della funzione intestinale. Quando questi sintomi vengono ignorati, o quando la diagnosi viene rinviata per giorni, il paziente può sviluppare una sepsi, uno shock settico, una peritonite o una grave disidratazione. Se il chirurgo o il personale sanitario non riconosce il quadro clinico e non attiva tempestivamente gli esami diagnostici adeguati, sta contribuendo al peggioramento del danno, e ne risponde civilmente e – nei casi più gravi – anche penalmente.
Per accertare la responsabilità medica, è necessario dimostrare che la sutura era tecnicamente inadeguata o che la fistola si sarebbe potuta evitare con una condotta più prudente. I documenti fondamentali sono la cartella clinica, il referto operatorio, le immagini diagnostiche, la documentazione infermieristica post-operatoria, le relazioni dei medici interpellati successivamente, le fotografie delle ferite chirurgiche (se disponibili), i dati del laboratorio e le relazioni degli eventuali reinterventi. Se nella cartella clinica non sono annotate le condizioni della breccia, se non c’è traccia dei controlli sulla tenuta della sutura, o se mancano le descrizioni dei segni clinici sopraggiunti, l’assenza di documentazione si trasforma in un indizio di colpa.
Il paziente che subisce una fistola a causa di una sutura incompleta subisce una compromissione severa della qualità della vita. Non si tratta solo del dolore, della debolezza, dell’umiliazione di dover convivere con una fuoriuscita continua di liquidi biologici, ma anche del disagio sociale, della difficoltà a lavorare, della dipendenza da presìdi, delle limitazioni nell’alimentazione, nella mobilità e nella sfera affettiva. Alcune fistole richiedono mesi di trattamenti, cicli di antibiotici, controlli periodici, cure complesse. Altre, purtroppo, non si risolvono mai completamente e lasciano esiti funzionali permanenti.
Il risarcimento per danni da fistola è spesso molto elevato, soprattutto quando il danno biologico permanente è alto, quando il decorso è stato lungo e doloroso, e quando il paziente ha perso reddito, autonomia o dignità personale. Si risarciscono il danno biologico temporaneo e permanente, il danno morale, il danno esistenziale, le spese mediche, le terapie, i farmaci, gli spostamenti, le consulenze specialistiche e – nei casi più gravi – la necessità di assistenza domiciliare o infermieristica continuativa.
Il giudice, in sede civile, si avvale sempre di un consulente tecnico d’ufficio che deve valutare se l’evento era evitabile, se la sutura era adeguata, se i controlli sono stati corretti, se la gestione della complicanza è stata tempestiva. Le perizie medico-legali in questi casi sono dettagliate e approfondite, perché la responsabilità spesso si distribuisce su più momenti: l’atto chirurgico, la gestione post-operatoria, l’organizzazione del reparto, la disponibilità dei mezzi diagnostici.
Il termine per promuovere l’azione legale è di cinque anni per la responsabilità extracontrattuale, ma può arrivare a dieci se l’azione viene promossa contro la struttura sanitaria con cui è stato stipulato un contratto di cura. È consigliabile agire quanto prima, richiedere una copia integrale della cartella clinica, farsi assistere da un avvocato esperto in responsabilità sanitaria e da un medico legale che possa esaminare tutta la documentazione e redigere una perizia preliminare.
Dal punto di vista del chirurgo, la prevenzione è l’unico scudo. Questo significa dedicare tempo alla chiusura delle brecce, scegliere i materiali adeguati, eseguire controlli sulla tenuta della sutura, monitorare attentamente il decorso post-operatorio e rispondere con prontezza a ogni segnale clinico di anomalia. Una sutura ben fatta può salvare una vita. Una sutura incompleta può distruggerla.
In conclusione, la responsabilità medica per una sutura incompleta che causa fistole si configura ogni volta che la chiusura del tessuto è stata eseguita senza perizia, o quando i segnali di una deiscenza sono stati ignorati o sottovalutati. La chirurgia non si esaurisce con il gesto tecnico: continua con la vigilanza, con l’umiltà di dubitare, con la tempestività nel correggere gli errori. Perché a pagare il prezzo, sempre, è il paziente. E quando quel prezzo è una fistola, non può esserci spazio per il silenzio.
Quali sono i segnali che indicano la formazione di una fistola?
- Perdita di materiale fecale, urinario o biliare dalla ferita
- Secrezioni anomale persistenti dalla sutura
- Dolore addominale, febbre, leucocitosi
- Gonfiore localizzato, infezioni e arrossamenti
- Diarrea cronica, malassorbimento, calo ponderale
È sempre colpa del chirurgo?
Non sempre. Ma la responsabilità si configura quando:
- La sutura non è stata eseguita secondo le linee guida
- Non sono stati effettuati test di tenuta intraoperatori (es. test idrico)
- Non è stato diagnosticato per tempo il cedimento della sutura
- Il paziente è stato dimesso prematuramente o non monitorato correttamente
- Non sono stati somministrati antibiotici profilattici
Cosa dice la legge italiana in merito?
Il paziente danneggiato può agire legalmente secondo:
- Art. 1218 Codice Civile – responsabilità contrattuale del medico o struttura
- Art. 2043 Codice Civile – illecito civile
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che impone il rispetto delle linee guida e dell’obbligo informativo
Secondo la Cassazione, la struttura sanitaria deve dimostrare di aver rispettato le regole dell’arte (Cass. Civ. Sez. III, sentenza n. 18392/2017).
Il consenso informato protegge il medico?
No. Il consenso ha valore solo se:
- Descrive i rischi specifici legati alla chirurgia eseguita
- Informa sulla possibilità di fistole, deiscenze, infezioni
- È rilasciato dopo colloquio personalizzato, non con un modulo precompilato
Se manca un consenso valido, il paziente ha diritto al risarcimento anche se l’intervento era tecnicamente corretto.
Quali sono i danni risarcibili?
- Danno biologico permanente (es. stomia definitiva, insufficienza d’organo)
- Danno estetico (cicatrici secondarie, fistole cutanee)
- Danno morale e psichico (sofferenza, isolamento)
- Danno patrimoniale (spese mediche, assenza dal lavoro, invalidità)
- Danno da perdita di chance per diagnosi tardiva o errata terapia
Quanto si può ottenere come risarcimento?
Esempi recenti:
- Milano, 2023 – fistola enterocutanea con stomia definitiva → €124.000
- Firenze, 2024 – fistola vescico-vaginale post isterectomia → €98.000
- Roma, 2023 – deiscenza anastomotica con shock settico → €113.000
- Bari, 2024 – fistola biliare cronica dopo colecistectomia → €92.000
Come si dimostra che la sutura è stata eseguita male?
- Cartella clinica completa, con referti e diari chirurgici
- Relazione del chirurgo operatore
- Esami diagnostici (TAC addome, ecografie, fistolografia)
- Perizia medico-legale con chirurgo specialista
- Documentazione di ricoveri successivi, reinterventi, complicanze
Entro quanto tempo si può agire?
- 10 anni per responsabilità contrattuale
- 5 anni per illecito extracontrattuale
- I termini decorrono dalla scoperta del danno, non dalla data dell’intervento
Cosa fare subito in caso di sospetta fistola?
- Fotografare le fuoriuscite di materiale
- Conservare tutti i referti, lettere di dimissione, prescrizioni
- Chiedere una consulenza medica specialistica
- Non firmare documenti di dimissione senza informazione
- Contattare un avvocato esperto in malasanità chirurgica
Perché rivolgersi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Perché la fistola post-operatoria non è una complicanza da sottovalutare. È una sofferenza che può durare anni, con conseguenze gravi sulla qualità della vita, sul corpo e sulla psiche.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità:
- Lavorano con chirurghi, gastroenterologi e medici legali esperti
- Ricostruiscono l’evento con analisi tecnica e documentale
- Sanno quali linee guida sono state violate
- Ottengono risarcimenti completi, anche per danni futuri
- Agiscono anche contro strutture pubbliche e ASL
Se hai subito una fistola per una sutura incompleta, non sei tu il colpevole. Non devi “convivere” con l’errore di qualcun altro. Hai diritto alla verità, al rispetto, al risarcimento.
Contatta oggi stesso gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità. Perché nessuno dovrebbe subire danni da un intervento chirurgico mal gestito.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: