Introduzione
La farmacocinetica è la disciplina che studia come l’organismo assorbe, distribuisce, metabolizza ed elimina i farmaci. Ogni farmaco ha una “firma” metabolica diversa, e il suo effetto varia notevolmente da paziente a paziente, a seconda dell’età, del peso corporeo, delle patologie croniche, della funzione epatica e renale. Un errore nel calcolo farmacocinetico può portare a un accumulo eccessivo del principio attivo nel sangue, causando una sedazione profonda fino al coma farmacologico.
Questo tipo di evento, purtroppo, non è raro e può avvenire sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale, soprattutto durante procedure anestesiologiche, trattamenti oncologici, terapie intensive e perfino in reparti di medicina generale dove si somministrano farmaci a dosaggi controllati. Il paziente può cadere in uno stato di incoscienza prolungato, con compromissione neurologica, respiratoria o multiorgano.

Il coma farmacologico indotto da errore umano nel bilancio farmacocinetico rappresenta una delle forme più gravi di malasanità, perché è perfettamente evitabile con una corretta valutazione clinica e farmacologica. In questi casi, la legge italiana prevede la possibilità di chiedere un risarcimento danni nei confronti del medico e della struttura sanitaria.
In questo articolo verranno esaminati in dettaglio i presupposti del risarcimento in caso di coma da errore farmacocinetico, i danni che ne derivano, le responsabilità previste dalle leggi italiane aggiornate al 2025, i casi reali decisi dalla giurisprudenza, e il ruolo decisivo degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità nella tutela dei diritti dei pazienti e dei loro familiari.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è il bilancio farmacocinetico?
Il bilancio farmacocinetico è il calcolo clinico che consente al medico di somministrare un farmaco nel giusto dosaggio, considerando i tempi di assorbimento, distribuzione, metabolizzazione e eliminazione. Le quattro fasi principali sono:
- Assorbimento (es. via endovenosa, orale, sublinguale),
- Distribuzione nei tessuti e nel sangue,
- Metabolismo epatico (processo primario nel fegato),
- Eliminazione renale o biliare.
Un errore anche minimo nel bilancio può comportare un accumulo tossico del principio attivo, soprattutto in pazienti con insufficienza epatica o renale non diagnosticata, anziani, pazienti sottopeso o con interazioni farmacologiche.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di coma farmacologico dovuto a un errore nel bilancio farmacocinetico?
Il coma farmacologico è uno stato di incoscienza indotto artificialmente per proteggere il cervello, ridurre il metabolismo cerebrale e consentire il trattamento di gravi condizioni neurologiche o sistemiche. Tuttavia, quando questo stato non è intenzionale ma si verifica per errore, a causa di un accumulo eccessivo di farmaci nel sangue, si parla di coma iatrogeno da errato bilancio farmacocinetico. In altre parole, è una forma di grave compromissione della coscienza dovuta a dosi troppo elevate o mal gestite di farmaci sedativi, anestetici o antiepilettici, che finiscono per deprimere in modo eccessivo il sistema nervoso centrale. Questo tipo di evento può verificarsi in sala operatoria, in terapia intensiva, nei reparti di degenza o anche in ambito ambulatoriale, e può portare a gravi danni neurologici, disfunzioni multiorgano o morte. Capire le cause di questo errore è fondamentale per prevenirlo.
Una delle cause principali è la somministrazione di farmaci sedativi o anestetici senza un calcolo preciso della farmacocinetica individuale del paziente. Ogni persona ha un proprio profilo metabolico, che dipende da età, peso, massa grassa, funzionalità epatica e renale, stato nutrizionale, e interazioni farmacologiche in corso. Se si utilizzano protocolli standard senza adattarli alle caratteristiche individuali, si rischia di superare la soglia di sicurezza. Nei pazienti anziani, ad esempio, la clearance dei farmaci è spesso ridotta e l’effetto delle molecole lipofile è prolungato. Nei soggetti con insufficienza renale, si accumulano i metaboliti attivi. Nei pazienti politrattati, gli effetti di farmaci diversi si sommano o si potenziano reciprocamente. Tutto questo deve essere tenuto in conto. Quando non lo è, il principio attivo si accumula fino a deprimere profondamente la coscienza.
Un’altra causa è l’infusione continua di farmaci sedativi senza un monitoraggio adeguato. In terapia intensiva, ad esempio, è comune mantenere il paziente in sedazione continua per ventilazione meccanica o per protezione cerebrale. Ma se non si controllano i livelli plasmatici, la profondità sedativa e la funzione d’organo, si rischia di entrare in un coma non più reversibile. Anche farmaci con breve emivita, come il propofol, possono causare accumulo se somministrati per molte ore senza adeguata modulazione. In questi casi, il paziente non si risveglia più alla sospensione del farmaco, e si entra in uno stato di coma da overdose cumulativa.
Un altro fattore importante è l’utilizzo contemporaneo di più farmaci depressivi del sistema nervoso centrale, come benzodiazepine, oppioidi, barbiturici, anestetici generali, neurolettici o antiepilettici. Quando vengono somministrati insieme, anche in dosi teoricamente sicure, possono agire in modo sinergico e determinare un livello di sedazione profonda, che evolve in coma. Questo accade spesso in pazienti critici, agitati, epilettici o psicotici, in cui si cerca di controllare i sintomi con una combinazione di farmaci. Se non si monitora attentamente la risposta del paziente, il rischio è quello di spegnere completamente l’attività cerebrale.
Errori di dosaggio, calcolo errato delle concentrazioni, mancanza di bilancio tra infusione e eliminazione, sono tutte dinamiche che contribuiscono al problema. In alcuni casi, i protocolli terapeutici vengono impostati in modo errato sulle pompe infusionali, ad esempio programmando un flusso troppo elevato o utilizzando una concentrazione non corrispondente alla scheda tecnica. In altri, l’infusione viene mantenuta troppo a lungo senza interruzioni, senza effettuare pause di valutazione neurologica. Se il paziente non viene risvegliato periodicamente per valutarne lo stato di coscienza, il rischio è quello di non accorgersi che non si tratta più di sedazione, ma di coma.
Un’altra situazione ad alto rischio si verifica quando non si considera l’effetto cumulativo dei farmaci nel tessuto adiposo, specialmente nei pazienti obesi. Farmaci come midazolam, propofol e diazepam tendono ad accumularsi nel grasso corporeo. Se le dosi vengono calcolate sul peso totale e non sul peso ideale, si somministra più farmaco di quanto il sistema nervoso realmente tolleri, e l’eliminazione è molto più lenta. Quando il farmaco viene interrotto, continua a circolare per ore o giorni, mantenendo il paziente in coma anche in assenza di infusione attiva.
Clinicamente, il coma farmacologico da errore nel bilancio farmacocinetico si manifesta con assenza totale della coscienza, perdita dei riflessi, respiro rallentato o assente, ipotonia muscolare, pupille poco reattive o fisse. Il paziente appare come in uno stato comatoso profondo, spesso intubato e dipendente da supporti vitali. Nei casi peggiori, si verificano crisi epilettiche, ipotermia, acidosi metabolica, insufficienza multiorgano. Il risveglio può richiedere giorni, e non sempre è completo. Alcuni pazienti sviluppano danno neurologico da ipoperfusione cerebrale prolungata, altri presentano un’encefalopatia anossica da ipoventilazione, o complicanze secondarie come polmoniti, sepsi, trombosi.
Dal punto di vista medico-legale, il coma farmacologico indotto per errore rappresenta una delle forme più gravi di danno iatrogeno legato alla gestione farmacologica. In questi casi, la responsabilità viene ricondotta al medico prescrittore, al personale esecutore e alla struttura che non ha garantito il monitoraggio adeguato. I giudici valutano se è stato effettuato un calcolo corretto delle dosi, se c’era una documentazione clinica appropriata, se venivano rispettate le linee guida, se era presente personale qualificato per il monitoraggio continuo. Quando emergono errori di calcolo, omissioni di controllo, uso non indicato di farmaci in combinazione, o mancato risveglio programmato, la colpa professionale è pressoché certa, e le conseguenze giudiziarie possono essere molto gravi.
Nei casi di sopravvivenza con esiti, il paziente ha diritto a un risarcimento per il danno biologico, morale ed esistenziale, oltre ai costi per la riabilitazione e l’assistenza. Nei casi di decesso, la famiglia può avviare azione legale per omicidio colposo. Le statistiche internazionali mostrano che una parte significativa delle encefalopatie post-rianimazione è legata proprio a errori nella gestione farmacologica della sedazione o dell’anestesia prolungata. Molti casi non vengono riconosciuti come tali, e vengono classificati genericamente come “coma da cause non note”.
In definitiva, le cause più frequenti del coma farmacologico da errore nel bilancio farmacocinetico sono: dosaggio non personalizzato, accumulo non riconosciuto, infusione continua senza monitoraggio, interazioni farmacologiche sottovalutate, errori nella programmazione dei dispositivi e mancanza di controllo neurologico periodico. È un evento evitabile, ma solo se si lavora con consapevolezza, conoscenza e vigilanza costante.
Affidarsi a strutture dotate di sistemi di monitoraggio continuo, personale formato in farmacocinetica clinica e protocolli di sedazione sicura è l’unica garanzia per evitare che un farmaco somministrato per aiutare si trasformi in una condizione che annulla la coscienza, la memoria e, nei casi peggiori, la dignità stessa della persona.
Quando si configura la responsabilità medica per coma farmacologico da errore nel bilancio farmacocinetico?
La responsabilità medica per coma farmacologico si configura ogni volta che un paziente, a seguito della somministrazione di farmaci anestetici, sedativi, analgesici o neurolettici, entra in uno stato di incoscienza profonda e prolungata per via di un errore di calcolo nelle dinamiche di assorbimento, distribuzione, metabolismo o eliminazione della sostanza. In altre parole, quando il bilancio farmacocinetico non viene correttamente stimato, il rischio non è solo teorico: può trasformarsi in un coma, in danno cerebrale irreversibile o in morte. Non si tratta di un’evenienza sfortunata, ma di un errore tecnico, evitabile, legato alla mancata personalizzazione della terapia o alla sottovalutazione delle caratteristiche del paziente.
La farmacocinetica studia come un farmaco si comporta all’interno del corpo: quanto tempo impiega per raggiungere la concentrazione attiva, come viene metabolizzato dal fegato, come viene eliminato dai reni, in che misura si lega alle proteine plasmatiche, quale è la sua emivita. Quando un medico o un anestesista prescrive o somministra una dose senza tener conto di questi fattori – o li calcola su protocolli standard ignorando le variabili individuali – espone il paziente a un sovradosaggio silenzioso. Il farmaco, anziché essere smaltito, si accumula. Oppure raggiunge concentrazioni tossiche nel sistema nervoso centrale. Il risultato: la depressione progressiva delle funzioni cerebrali e vitali.
Il coma farmacologico può essere indotto volutamente in terapia intensiva, per proteggere il cervello in situazioni gravi, come traumi cranici o crisi epilettiche refrattarie. Ma quando si verifica inaspettatamente, in un paziente che doveva ricevere solo una sedazione, un’anestesia o una terapia controllata, allora si configura una condotta clinica errata. Non è il farmaco ad avere fallito. È chi lo ha gestito a non aver previsto cosa sarebbe accaduto. Ogni sostanza ha un proprio profilo: alcuni farmaci attraversano la barriera ematoencefalica più rapidamente, altri vengono eliminati più lentamente in soggetti con insufficienza epatica o renale. Alcuni interagiscono con altri medicinali in uso, potenziandone o rallentandone l’effetto. E quando tutto questo viene ignorato, le conseguenze non sono mai banali.
Il paziente colpito da un coma indotto per errore può restare incosciente per ore, giorni, settimane. Alcuni non si risvegliano affatto. Altri lo fanno in condizioni compromesse: confusione mentale, afasia, disturbi cognitivi, paralisi, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, comportamenti alterati. Le risonanze magnetiche mostrano lesioni da ipossia, atrofie corticali, ischemie. In molti casi, non si tratta più solo di una lesione farmacologica: il danno si è esteso al cervello per carenza di ossigeno, per crisi ipotensive non trattate, per una ventilazione non adeguata. Il risultato è che un paziente entrato in ospedale per un intervento di routine o per una terapia farmacologica si ritrova in uno stato di coma da cui non sa se e come potrà uscire.
Le famiglie assistono impotenti. Vedono il proprio caro trasformarsi da persona lucida e attiva a corpo immobile in un letto, attaccato a un ventilatore. Chiedono risposte che spesso non arrivano. Gli operatori sanitari parlano di “reazione imprevista”, “ipersensibilità individuale”, “farmacodinamica alterata”. Ma quando si analizzano i dosaggi, i tempi di somministrazione, l’età del paziente, le interazioni farmacologiche, emergono spesso calcoli sbagliati, assenza di monitoraggio ematico, mancanza di valutazione pre-terapia, o addirittura errori nella diluizione o nella velocità d’infusione. Errori non teorici, ma concreti, documentabili. E colpevoli.
In termini giuridici, la responsabilità è chiara: il medico ha il dovere di somministrare il farmaco in modo personalizzato, valutando tutte le variabili del paziente, dalla funzione renale all’indice di massa corporea, dall’assetto metabolico alla terapia in corso. Il principio di precauzione obbliga a non adottare mai protocolli standard in modo rigido, ma a verificare l’effetto reale su quel singolo organismo. Quando ciò non avviene, e il paziente entra in coma, il nesso causale tra condotta e danno è inequivocabile. Se, in più, il coma poteva essere evitato con un semplice prelievo, con un monitoraggio più attento, con una minore velocità di somministrazione o una dose iniziale più prudente, la colpa è aggravata.
Il risarcimento nei casi di coma farmacologico può raggiungere cifre molto elevate. Nei casi in cui il paziente sopravvive ma con danni neurologici permanenti, il danno biologico può superare il 70%, con riconoscimenti da centinaia di migliaia di euro. Si aggiungono il danno morale, il danno esistenziale, le spese mediche, quelle per l’assistenza quotidiana, la perdita della capacità lavorativa e di relazione. Nei casi in cui il paziente non si risveglia, i familiari hanno diritto al risarcimento del danno parentale, spesso accompagnato da un lungo percorso giudiziario che si scontra con il silenzio delle strutture sanitarie, poco inclini ad ammettere l’errore.
Il termine per agire è di cinque anni dalla scoperta del danno, oppure dieci se si configura una responsabilità contrattuale verso una struttura sanitaria. È essenziale raccogliere tutta la documentazione: cartella clinica, tracciati emodinamici, schede di terapia, concentrazioni plasmatiche dei farmaci, flussi di infusione, relazioni interne. Un avvocato esperto in responsabilità medica, affiancato da un tossicologo e da un anestesista consulente tecnico, può ricostruire l’intera sequenza degli eventi, dimostrando che quel coma non era inevitabile, ma provocato da un errore farmacologico concreto.
Per il medico, la consapevolezza del rischio deve essere costante. Ogni molecola ha un tempo, un effetto, una finestra terapeutica da rispettare. Ogni paziente è un universo a sé, e nessun farmaco è innocuo se usato con leggerezza. Il coma indotto per errore non è un effetto collaterale: è un fallimento. Un fallimento che si sarebbe potuto evitare con più attenzione, più ascolto, più prudenza.
In conclusione, la responsabilità medica per coma farmacologico da errore nel bilancio farmacocinetico si configura ogni volta che la gestione della terapia ignora la specificità del paziente, sottovaluta le reazioni prevedibili, trascura i segnali d’allarme o non si dota dei mezzi per intervenire. Il danno è profondo, non solo nel corpo, ma nella fiducia. E quando la scienza medica dimentica di misurare il rischio prima della dose, l’unico bilancio che resta è quello tra giustizia e verità. Quella che ogni paziente e ogni famiglia ha il diritto di conoscere.
Quali sono i sintomi e le conseguenze del coma da sovradosaggio?
- Incoscienza prolungata,
- Assenza di riflessi neurologici,
- Bradicardia o arresto respiratorio,
- Edema cerebrale da ipossia,
- Danno neurologico permanente (paralisi, afasia, epilessia),
- Stato vegetativo irreversibile,
- Morte encefalica.
Quali responsabilità ha il medico?
Il medico è responsabile se ha prescritto o somministrato il farmaco in modo inappropriato, senza valutare correttamente:
- funzione renale (GFR),
- test epatici (transaminasi, bilirubina),
- farmaci assunti in concomitanza,
- stato nutrizionale del paziente.
L’errore nel calcolo farmacocinetico costituisce una violazione della diligenza professionale prevista dall’art. 1176 c.c. e della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Che responsabilità ha la struttura sanitaria?
La struttura risponde:
- in via contrattuale (art. 1218 c.c.) se il paziente è ricoverato;
- per mancanza di protocolli di calcolo, monitoraggio o formazione del personale;
- per assenza di software farmacocinetici dove obbligatori;
- per mancata vigilanza sulle somministrazioni per via endovenosa.
Cosa dice la giurisprudenza italiana?
Ecco alcuni casi rilevanti:
- Roma, 2024: paziente in coma dopo somministrazione di morfina e midazolam senza monitoraggio renale. Risarcimento: €890.000.
- Torino, 2023: donna entra in stato vegetativo dopo che il propofol le è stato somministrato con dose calcolata sul peso errato. Risarcimento: €760.000.
- Napoli, 2022: paziente oncologico muore per accumulo di benzodiazepine. La struttura non aveva software di calcolo. Familiari risarciti con €1.200.000.
Come si dimostra il nesso causale?
Serve una perizia medico-legale che dimostri:
- l’errore nel calcolo del dosaggio,
- la mancata verifica dei parametri clinici,
- la correlazione diretta tra coma e somministrazione farmacologica.
La perizia si basa su:
- analisi della cartella clinica,
- esami tossicologici e di laboratorio,
- protocolli ospedalieri e linee guida internazionali (es. WHO, EMA, AIFA).
Quali sono i danni risarcibili?
- Danno biologico (temporaneo e permanente),
- Danno morale ed esistenziale,
- Danno patrimoniale (perdita del lavoro, spese sanitarie future),
- Danno da perdita parentale, in caso di decesso.
Nel caso di coma irreversibile, i risarcimenti possono superare €1.000.000, in base alle Tabelle del Tribunale di Milano 2025.
Quali sono i termini di prescrizione?
- 10 anni per azione contro la struttura sanitaria;
- 5 anni contro il medico, salvo dolo o colpa grave;
- 6 anni in sede penale per lesioni gravi o morte;
- La decorrenza inizia dal momento della conoscenza del danno (es. diagnosi neurologica).
Qual è il ruolo degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono tra i pochissimi in Italia ad avere una competenza approfondita nel campo degli errori farmacocinetici e dei danni neurologici da coma farmacologico.
Il loro lavoro include:
- analisi della documentazione clinica completa,
- collaborazione con medici legali, farmacologi clinici, anestesisti e neurologi,
- redazione di una perizia tecnica,
- azione in sede civile, penale o INAIL (in caso di paziente lavoratore),
- tutela personalizzata del paziente o dei familiari, anche per ottenere indennità di accompagnamento e invalidità civile.
Chi ha subito un danno neurologico per un coma da errore farmacologico ha diritto alla massima tutela. La giustizia parte da una difesa competente e specializzata.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: