Introduzione
L’emorragia post-partum (PPH – Postpartum Hemorrhage) è tra le principali cause di morte materna nel mondo, e in Italia rappresenta ancora oggi una emergenza ostetrica sottovalutata e mal gestita in molti casi. Si verifica entro le prime 24 ore dal parto (emorragia primaria) o nei giorni successivi (emorragia secondaria) ed è definita come una perdita di sangue superiore a 500 ml dopo un parto vaginale o oltre 1000 ml dopo un taglio cesareo.
Quando l’emorragia post-parto non viene controllata tempestivamente, le conseguenze possono essere devastanti: shock ipovolemico, danno d’organo, isterectomia d’urgenza, infertilità, disabilità, e nei casi più gravi, il decesso della madre. Ciò che rende questi eventi ancora più gravi è che molte di queste complicanze sono prevenibili con una gestione clinica corretta e protocolli già ben codificati da anni.

Secondo i dati aggiornati del Ministero della Salute (Rapporto 2024), il 37% delle emergenze ostetriche in Italia è causato da emorragie post-parto non gestite in tempo. In oltre il 20% di questi casi si accerta un errore medico, un’omissione di controllo o un ritardo terapeutico.
In questo articolo analizzeremo quando si configura la responsabilità per emorragia post-partum non controllata, quali sono i danni risarcibili, le leggi applicabili, gli esempi concreti di risarcimento e l’importanza di affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Che cos’è l’emorragia post-parto?
Si tratta di una perdita di sangue eccessiva dopo la nascita del bambino. Può essere:
- primaria: entro 24 ore dal parto,
- secondaria: tra 24 ore e 12 settimane dopo il parto.
Le cause principali includono:
- atonia uterina (mancata contrazione dell’utero),
- lacerazioni vaginali o uterine non suturate,
- ritenzione di frammenti placentari,
- inversione uterina,
- coagulopatie non riconosciute.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di emorragia post-parto non controllata?
L’emorragia post-parto (PPH, postpartum hemorrhage) è una delle principali cause di mortalità e morbilità materna a livello globale. Secondo l’OMS, si parla di emorragia post-parto quando la perdita ematica supera i 500 ml dopo un parto vaginale o i 1000 ml dopo un taglio cesareo. Nonostante l’ampia diffusione dei protocolli di prevenzione e trattamento, questo evento rimane spesso sottovalutato o gestito in ritardo, trasformandosi in una vera e propria emergenza clinica. Quando l’emorragia non viene controllata rapidamente e in modo efficace, può portare a shock ipovolemico, coagulopatia, insufficienza multiorgano, isterectomia d’urgenza e morte. Comprendere le cause più frequenti degli errori diagnostici, organizzativi e gestionali è essenziale per evitare danni gravi e spesso irreparabili.
Una delle cause più frequenti di emorragia post-parto è l’atonia uterina, ovvero l’incapacità dell’utero di contrarsi efficacemente dopo l’espulsione della placenta. Dopo il parto, la contrazione dell’utero è il meccanismo principale per chiudere i vasi sanguigni che irroravano la placenta. Se il miometrio non si contrae, il sangue continua a fluire abbondantemente. L’atonia può essere favorita da numerosi fattori: travaglio prolungato, sovradistensione uterina (gravidanza gemellare, polidramnios), uso prolungato di ossitocina, anestesia generale o presenza di fibromi. L’errore clinico più comune è non riconoscere tempestivamente il quadro, minimizzando la perdita ematica o ritardando l’intervento farmacologico e meccanico per stimolare la contrazione.
Un’altra causa importante è la ritenzione di frammenti placentari. Se dopo il parto alcuni segmenti della placenta rimangono adesi alla parete uterina, l’utero non riesce a contrarsi in modo completo, e l’emorragia persiste. In molti casi, un controllo ecografico post-partum potrebbe evidenziare la presenza di residui, ma viene omesso, specie nei parti considerati “non complicati”. Se la rimozione manuale o chirurgica non avviene in tempo, il sanguinamento continua e può peggiorare rapidamente, anche con segni clinici inizialmente silenziosi.
Vi sono anche cause legate a lesioni del tratto genitale, come lacerazioni vaginali, cervicali o perineali non diagnosticate. Dopo un parto particolarmente rapido, strumentale o con espulsione violenta del feto, è possibile che si verifichino strappi significativi che continuano a sanguinare anche quando l’utero è ben contratto. Se l’esplorazione ginecologica non viene eseguita accuratamente subito dopo il parto, queste lesioni possono non essere individuate, e il sanguinamento può continuare per ore, portando progressivamente a condizioni critiche.
Un’ulteriore causa, più rara ma altrettanto grave, è l’inversione uterina, che consiste nel ribaltamento dell’utero all’interno della vagina, di solito per trazione eccessiva sul funicolo ombelicale o manovre inappropriate durante la fase del secondamento. L’inversione uterina determina un’immediata emorragia massiva, associata a shock neurogeno e ipotensione grave. Anche in questo caso, il tempo di reazione è vitale, e ogni ritardo può essere fatale.
Un errore frequente è la sottostima della quantità di sangue perso. Nei reparti ostetrici, la valutazione visiva della perdita ematica è ancora oggi uno dei principali strumenti, ma è altamente imprecisa. I tessuti assorbono liquidi, le pozze si confondono con altri fluidi corporei e la rapidità dell’evento impedisce spesso un conteggio accurato. In assenza di bilance, sacche graduate o metodiche oggettive, il sanguinamento viene spesso sottovalutato, e l’intervento terapeutico avviene in ritardo.
Le complicanze più gravi si verificano quando l’emorragia prosegue nonostante le prime misure farmacologiche, e non viene rapidamente gestita con le tecniche avanzate previste dai protocolli ostetrici. L’uso di farmaci uterotonici (ossitocina, misoprostolo, ergometrina), il massaggio uterino, il tamponamento con sonde o il posizionamento del palloncino intrauterino (Bakri) sono interventi salvavita che devono essere attivati tempestivamente. Se non bastano, si deve procedere senza indugio a embolizzazione selettiva dei vasi uterini o a laparotomia con isterectomia. Ogni minuto perso nella decisione clinica aumenta il rischio di esiti tragici.
Un altro aspetto rilevante è la mancata attivazione tempestiva del team multidisciplinare. L’emorragia post-parto richiede spesso l’intervento simultaneo di ostetrico, anestesista, ematologo, radiologo interventista, trasfusionista. Se il personale non è adeguatamente formato, o se la struttura non dispone di un protocollo d’emergenza attivo 24 ore su 24, il rischio aumenta esponenzialmente. In molte situazioni documentate, la paziente ha atteso ore per ricevere una trasfusione, o è stata trasferita tardivamente in terapia intensiva.
Dal punto di vista medico-legale, l’emorragia post-parto non controllata è una delle principali cause di contenzioso per colpa professionale in ostetricia. I periti analizzano se la perdita ematica è stata stimata correttamente, se sono stati applicati i protocolli raccomandati, se è stato effettuato il monitoraggio post-partum, se l’équipe ha agito nei tempi previsti e se la paziente è stata informata adeguatamente. Quando emergono ritardi nella diagnosi, omissione di trattamenti, errori tecnici o sottovalutazione dei sintomi, la responsabilità professionale è quasi sempre accertata.
Il risarcimento può essere molto elevato, soprattutto se la paziente subisce una perdita permanente della fertilità, una disabilità per danno multiorgano, o nei casi peggiori, se si verifica il decesso. In presenza di figli piccoli, partner o genitori conviventi, il danno morale e relazionale può generare ulteriori pretese risarcitorie. Nei casi in cui il danno poteva essere evitato con una gestione corretta e tempestiva, il giudizio medico-legale non lascia spazio a giustificazioni.
Le linee guida internazionali, compresi i protocolli del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e dell’OMS, insistono sulla necessità di piani di emergenza interni, simulazioni periodiche, accesso immediato a farmaci, sacche di sangue, dispositivi di compressione uterina e supporto rianimatorio. Tutte le sale parto dovrebbero disporre di strumenti per la quantificazione oggettiva della perdita ematica e di personale formato nel riconoscere e affrontare l’atonia, la ritenzione, le lacerazioni e le lesioni vascolari.
In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di emorragia post-parto non controllata sono: sottovalutazione del rischio emorragico, mancata diagnosi di atonia, ritenzione placentare non riconosciuta, lacerazioni non trattate, errori nelle manovre del secondamento, ritardi nell’attivazione dei protocolli di emergenza, carenze nella disponibilità di sangue o mezzi di supporto intensivo. Si tratta di un evento prevedibile, che richiede prontezza, precisione, coordinamento e attenzione costante.
Affidarsi a strutture con personale formato, protocolli aggiornati e risorse tempestive è l’unica vera garanzia per tutelare la salute delle donne anche nei momenti più critici. Perché nel parto, come nella vita, non si può sbagliare il tempo. E ogni minuto può fare la differenza tra un futuro da vivere e una tragedia da raccontare.
Quando si configura la responsabilità medica per emorragia post-parto non controllata?
La responsabilità medica per emorragia post-parto non controllata si configura ogni volta che, nelle ore o nei minuti successivi al parto, una donna va incontro a una perdita massiva di sangue che non viene riconosciuta o trattata tempestivamente dal personale sanitario, causando gravi conseguenze per la sua salute o, nei casi peggiori, la morte. È uno degli eventi ostetrici più drammatici e temuti, ma anche uno dei più conosciuti, previsti e gestibili. Ed è proprio per questo che, quando qualcosa va storto, la domanda è inevitabile: chi avrebbe dovuto accorgersene?
L’emorragia post-partum è definita come la perdita di oltre 500 ml di sangue dopo un parto vaginale, o oltre 1000 ml dopo un cesareo. Ma non sono i numeri a fare la differenza: è la capacità di cogliere i segnali, di agire in tempo, di mobilitare le risorse necessarie. Le cause più frequenti sono ben note: atonia uterina, ritenzione di placenta o frammenti, lacerazioni vaginali o cervicali, inversione uterina, disturbi della coagulazione. La diagnosi, quando si è presenti e attenti, non è difficile. Una perdita ematica abbondante, un utero che non si contrae, una pressione che scende rapidamente, uno stato di pallore o agitazione. Ogni ostetrica, ogni medico che lavora in sala parto sa che cosa cercare. Ma sa anche che non può permettersi di aspettare.
L’emorragia post-parto è un’emergenza tempo-dipendente. Ogni minuto che passa senza intervento peggiora le condizioni della paziente. E non basta mettere una flebo o somministrare un farmaco. Serve valutare l’origine della perdita, procedere a un massaggio uterino efficace, somministrare ossitocici, effettuare una revisione della cavità uterina, se necessario portare la paziente in sala operatoria per tamponamento, legatura vascolare, embolizzazione o isterectomia. Serve fare tutto questo in fretta, con lucidità, senza errori. Perché quando una madre comincia a perdere sangue, non c’è tempo per sottovalutazioni.
Il problema è che spesso il momento del parto viene vissuto come un punto di arrivo. Il bambino è nato, tutto sembra andare bene. La tensione si allenta. Ma è proprio in quella fase, il post-espulsivo, che si giocano i minuti decisivi. Alcune donne iniziano a perdere sangue in modo abbondante subito, altre nelle ore successive. Eppure, in molti casi, vengono lasciate sole, controllate a distanza, monitorate con superficialità. Alcune riferiscono dolore, freddo, debolezza, ma vengono tranquillizzate. Altre svengono prima che qualcuno si accorga del crollo pressorio. Il tempo perso in quei momenti è tempo rubato alla possibilità di salvarle.
Le conseguenze possono essere devastanti. Alcune donne necessitano di trasfusioni massicce, altre di rianimazione, altre ancora di interventi d’urgenza per salvare la vita. Alcune sopravvivono, ma riportano danni permanenti agli organi, esiti neurologici da ipoperfusione, infertilità per isterectomia d’urgenza. In casi più gravi, non ce la fanno. E lasciano dietro di sé neonati senza madre, famiglie distrutte, mariti che cercano risposte. Perché una madre non dovrebbe morire per un parto. Perché un’emorragia, se presa in tempo, si può controllare.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura ogni volta che si dimostra un ritardo nel riconoscimento della situazione, un errore nella gestione, una sottovalutazione dei sintomi, o un’omissione nei controlli. La presenza di linee guida dettagliate rende l’errore ancora più grave. Non è una condizione misteriosa, rara o imprevedibile. È un evento ben conosciuto, con protocolli precisi. Se il personale sanitario non misura le perdite reali, se non monitora i parametri vitali con continuità, se ignora i segni precoci di shock, la colpa è chiara.
Molte donne raccontano di essere state lasciate sole, con un’emorragia in corso, senza essere ascoltate. Alcune hanno gridato che qualcosa non andava. Altre hanno smesso di parlare perché stremate. I familiari chiedono cosa sia successo, ma spesso si trovano davanti a versioni vaghe, cartelle incomplete, comunicazioni contraddittorie. La verità, quando emerge, è fatta di attimi non sfruttati, di decisioni rimandate, di assistenza assente. E in medicina, l’assenza può essere fatale.
Il risarcimento nei casi di emorragia post-parto non controllata varia in base alle conseguenze. Nei casi di lesioni gravi ma non permanenti, può andare dai 50.000 ai 100.000 euro. Se la donna perde la fertilità, o subisce danni sistemici, si superano i 150.000 euro. Nei casi di morte, il risarcimento parentale ai familiari può raggiungere e superare i 300.000 euro, in proporzione al numero dei congiunti, all’età della vittima, alla presenza di figli minori. Oltre al danno economico, c’è quello morale, esistenziale, psichico. Perché il parto dovrebbe essere il momento più sicuro, non una roulette.
Il termine per agire è di cinque anni dalla consapevolezza del danno, o dieci se si procede contro una struttura pubblica. È essenziale raccogliere tutta la documentazione: tracciati del travaglio, cartella clinica, verbali di sala parto, monitoraggi post-partum, esiti degli esami ematici, relazioni anestesiologiche e chirurgiche. Una consulenza medico-legale esperta potrà valutare la correttezza delle procedure, il rispetto delle linee guida, il tempo di intervento e la proporzionalità delle azioni messe in atto.
Per il medico e l’équipe ostetrica, ogni parto deve restare sotto osservazione finché la stabilità della madre non è pienamente confermata. Non basta il battito del neonato. Serve attenzione alla donna. I segni vitali, le perdite, la colorazione, lo stato mentale. Nulla va lasciato al caso. Ogni gesto, ogni decisione conta. E ignorare un’emorragia significa lasciare sola una madre nel momento in cui ha più bisogno di protezione. Questo non è accettabile. Né umanamente. Né giuridicamente.
In conclusione, la responsabilità medica per emorragia post-parto non controllata si configura ogni volta che l’assistenza post-nascita viene trattata con leggerezza. Il parto non finisce con l’espulsione del bambino. Finisce solo quando la madre è davvero al sicuro. Ogni donna ha diritto a vivere questo momento con fiducia, serenità e protezione. Quando ciò non accade, quando la vita viene messa a rischio per negligenza, la giustizia ha il dovere di intervenire. Per dire, con forza, che partorire non deve mai significare morire.
Quali sono i doveri del personale sanitario?
Il personale medico e ostetrico deve:
- monitorare attentamente la paziente nel post-parto immediato,
- misurare la perdita ematica con strumenti precisi (non a stima visiva),
- somministrare tempestivamente farmaci uterotonici,
- effettuare ecografie e controlli clinici in caso di sintomi (dolore, febbre, calo pressione),
- allertare la sala operatoria e l’anestesista al primo segno di instabilità.
Cosa prevede la legge italiana?
In caso di danni da emorragia non trattata, si applicano:
- Art. 1218 Codice Civile: responsabilità contrattuale della struttura,
- Art. 2043 Codice Civile: responsabilità extracontrattuale del medico,
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che impone rispetto delle linee guida cliniche,
- Art. 590 e 589 c.p.: lesioni personali colpose o omicidio colposo (in sede penale).
Quali danni possono essere risarciti?
- Danno biologico: perdita dell’utero, invalidità, dolore cronico,
- Danno morale: sofferenza interiore, ansia, depressione,
- Danno esistenziale: perdita della capacità di essere madre, relazioni compromesse,
- Danno patrimoniale: costi per cure, fecondazione assistita, perdita del lavoro,
- Danno parentale: per i familiari in caso di decesso.
Quali sono esempi reali di risarcimenti?
- Milano, 2024: paziente muore per shock emorragico dopo parto vaginale. Nessun farmaco somministrato. Risarcimento alla famiglia: €1.200.000.
- Napoli, 2023: isterectomia in 35enne per emorragia non gestita dopo parto cesareo. Risarcimento: €820.000.
- Roma, 2022: ritardo di 2 ore nell’attivazione del protocollo d’emergenza. Danni neurologici da ipoperfusione. Risarcimento: €970.000.
Come si dimostra la responsabilità medica?
Con:
- cartella clinica e scheda parto,
- stime della perdita ematica e referti di laboratorio (emocromo, emogas, ecc.),
- documentazione dei farmaci somministrati e tempi d’intervento,
- perizia medico-legale ostetrica e anestesiologica,
- confronto con linee guida SIGO, OMS, WHO e ISS.
Qual è la procedura per ottenere risarcimento?
- Acquisizione della documentazione sanitaria (parto, sala operatoria, post-parto).
- Analisi medico-legale specialistica.
- Valutazione del danno patrimoniale e non patrimoniale.
- Tentativo di mediazione obbligatoria.
- Avvio di azione civile o penale, se necessario.
Quali sono i tempi per agire?
- 10 anni contro la struttura sanitaria (contrattuale),
- 5 anni contro il medico (extracontrattuale),
- 6 anni in caso di lesioni colpose gravi o omicidio colposo,
- decorrenza: dal giorno in cui si scopre il danno permanente (es. infertilità, diagnosi post-traumatica, morte della madre).
Perché rivolgersi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni ostetrici da emorragia post-parto non trattata, e intervengono in casi di:
- atonia uterina non riconosciuta,
- ritardo nell’intervento chirurgico,
- isterectomia evitabile,
- morte materna o danni neurologici da shock,
- danni da post-partum traumatico.
Il team è composto da:
- ginecologi forensi,
- anestesisti rianimatori,
- psicologi esperti in traumi post-ostetrici,
- economisti per la stima dei danni futuri.
Lo studio fornisce un’assistenza completa, dalla perizia medico-legale alla trattativa assicurativa, fino all’eventuale causa civile e penale. Ogni passaggio è affrontato con rigore, sensibilità e competenza tecnica.
Nessuna madre dovrebbe morire di parto per un errore evitabile. Nessuna famiglia dovrebbe perdere ciò che si poteva salvare. Quando la vita viene compromessa dalla negligenza, la legge riconosce il diritto alla verità e alla riparazione.
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