Infezione Post-IVG e Risarcimento Danni

Introduzione

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), regolata in Italia dalla Legge n. 194 del 1978, è una procedura medica sicura e monitorata, eseguibile farmacologicamente o chirurgicamente entro le tempistiche previste. Tuttavia, come ogni atto sanitario, non è esente da rischi, e tra le complicanze più gravi c’è l’infezione post-operatoria. Quando questa infezione non viene prevenuta, diagnosticata o curata correttamente, può comportare danni permanenti alla salute della donna, fino alla sterilità, sepsi o morte.

La responsabilità medico-sanitaria sorge quando l’infezione post-IVG è conseguenza diretta di un errore, negligenza o omissione da parte del medico o della struttura sanitaria. Ad esempio: uso di strumenti contaminati, igiene non rispettata in sala operatoria, mancata prescrizione di antibiotici in pazienti a rischio, assenza di controlli post-intervento o sottovalutazione di sintomi d’allarme.

Secondo il Ministero della Salute (dati 2024), meno dell’1% delle IVG effettuate in Italia comporta infezioni gravi, ma il 30% di queste poteva essere evitato con maggiore attenzione e tempestività clinica. La Corte di Cassazione, in più sentenze, ha confermato che anche in caso di interventi “di routine”, come l’IVG, sussiste piena responsabilità sanitaria in presenza di danni prevenibili.

In questo articolo analizzeremo in dettaglio quando un’infezione post-IVG dà luogo a un risarcimento, quali sono le condotte mediche errate, cosa prevede la legge, quali danni si possono ottenere e il ruolo degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Che cos’è un’infezione post-IVG?

È un’infezione dell’apparato genitale femminile che si manifesta dopo l’interruzione di gravidanza, dovuta a:

  • contaminazione intraoperatoria (sterilità carente),
  • aborto incompleto (residui embrionali),
  • perforazione uterina con contaminazione batterica,
  • mancata profilassi antibiotica,
  • assenza di controlli post-operatori.

Può presentarsi come:

  • endometrite (infezione dell’endometrio),
  • salpingite (tuba uterina),
  • pelvic inflammatory disease (PID),
  • sepsi (infezione sistemica potenzialmente mortale).

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di infezione post-IVG (interruzione volontaria di gravidanza)?

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è un intervento sanitario che, se eseguito correttamente e in ambiente sicuro, presenta un rischio molto basso di complicanze. Tuttavia, come qualsiasi procedura invasiva, non è esente da rischi, e tra le complicanze più gravi vi è l’infezione dell’apparato genitale, dell’endometrio o, nei casi più gravi, la sepsi. Quando l’infezione post-IVG non viene riconosciuta in tempo o non è gestita con le dovute precauzioni, può evolvere in quadri clinici severi che compromettono la salute della paziente in modo permanente, talvolta irreversibile. Nei casi estremi, l’infezione sistemica può provocare anche il decesso. Individuare le cause più frequenti di errore e omissione è quindi essenziale per prevenire danni evitabili.

Una delle cause principali è la mancata profilassi antibiotica prima dell’intervento. In molte strutture sanitarie, l’abitudine di somministrare antibiotici preventivi viene applicata solo parzialmente o in base a protocolli non uniformi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e numerose linee guida internazionali raccomandano una copertura antibiotica profilattica almeno nei casi di IVG chirurgica, proprio per ridurre il rischio di infezione pelvica, endometrite o batteriemia. Quando questa profilassi non viene somministrata, o viene ritardata, si espone la paziente a un rischio evitabile.

Un’altra causa frequente è la presenza di infezioni vaginali o cervicali preesistenti non diagnosticate prima della procedura. La IVG – sia chirurgica sia farmacologica – comporta modificazioni importanti del canale cervicale e dell’ambiente uterino. Se la paziente presenta già una vaginosi batterica, una cervicite da clamidia o una candida attiva, e queste non vengono trattate, l’interruzione può facilitare la risalita dei batteri nell’utero. Anche infezioni asintomatiche possono creare un ambiente favorevole alla proliferazione microbica post-intervento. La mancata esecuzione di tamponi vaginali o cervicali nei giorni precedenti l’intervento rappresenta quindi una delle criticità più comuni.

Un errore che si verifica talvolta è la rimozione incompleta del materiale gestazionale, cioè quando, dopo un’IVG chirurgica, residui embrionali o placentari restano all’interno della cavità uterina. Questi tessuti, se non evacuati completamente, possono necrotizzarsi, diventando terreno ideale per la proliferazione batterica. Questo è particolarmente rischioso in IVG oltre le 10-12 settimane, quando il materiale è più voluminoso. Se il controllo ecografico post-intervento non viene eseguito o viene sottovalutato, il quadro può evolvere in endometrite o ascesso uterino.

Anche nel caso dell’IVG farmacologica, le infezioni non sono rare. Sebbene il trattamento con mifepristone e misoprostolo sia generalmente sicuro, la completa espulsione del materiale deve essere confermata, e la paziente deve essere istruita a riconoscere i segni di allarme. In assenza di follow-up, o se i sintomi vengono minimizzati, un’infezione può essere scambiata per una “normale conseguenza del farmaco”, con ritardi pericolosi nella diagnosi. L’autogestione dell’espulsione in contesto domiciliare, se non supportata da un’adeguata sorveglianza medica, espone la donna a rischi potenzialmente gravi.

Dal punto di vista clinico, i sintomi iniziali dell’infezione post-IVG possono essere sfumati: febbre lieve, perdite vaginali maleodoranti, dolore addominale, astenia, sanguinamento anomalo. Tuttavia, nel giro di poche ore, il quadro può evolvere in febbre alta, brividi, addome dolente e contratto, tachicardia, ipotensione, segni di peritonite. Nei casi peggiori, la paziente entra in sepsi, con rischio concreto di shock settico e insufficienza multiorgano.

La tempestività della diagnosi è fondamentale. Quando una donna si presenta al pronto soccorso con febbre e dolori dopo un’IVG, l’infezione deve essere sospettata immediatamente. Gli esami ematici devono includere emocromo, PCR, procalcitonina, emocolture, e deve essere eseguita un’ecografia pelvica per valutare eventuali raccolte. Quando ciò non viene fatto, oppure viene attribuita la sintomatologia a un “normale decorso post-intervento”, si rischia di perdere ore preziose. In questi casi, il trattamento antibiotico va iniziato subito, anche empiricamente, e non va atteso il risultato degli esami. L’eventuale revisione uterina, la pulizia chirurgica o il ricovero in terapia intensiva devono essere attivati tempestivamente.

Il ritardo nella diagnosi o la mancata presa in carico della paziente può portare a conseguenze devastanti: infertilità per danno endometriale, aderenze pelviche, isterectomia, danno renale, embolie settiche, morte. Alcuni casi clinici riportano decessi avvenuti entro 24-48 ore da una IVG in giovane età, proprio per una banale infezione trascurata o non trattata. La rapidità nella gestione è ciò che separa una complicanza gestibile da una tragedia.

Dal punto di vista medico-legale, l’infezione post-IVG non trattata in modo adeguato è spesso interpretata come una responsabilità sanitaria diretta. I giudici esaminano se è stata effettuata una corretta profilassi, se sono state identificate infezioni preesistenti, se la paziente è stata informata sui rischi e sui sintomi da monitorare, se è stato eseguito un controllo ecografico, se il follow-up è stato garantito e, soprattutto, se l’intervento medico è stato tempestivo a fronte di sintomi sospetti.

In mancanza di questi elementi, la responsabilità medica è difficile da escludere. Il risarcimento in caso di danno permanente, infertilità o morte può essere molto elevato, specialmente nei soggetti giovani. Il danno biologico si somma a quello morale, esistenziale e, in alcuni casi, patrimoniale, se la paziente ha necessità future di cure ormonali, assistenza o tecniche di fecondazione assistita.

Le linee guida internazionali raccomandano con forza che ogni IVG sia eseguita in ambiente sicuro, con protocolli aggiornati, sorveglianza post-intervento e accesso facilitato all’assistenza in caso di complicanze. Le infezioni post-IVG, pur rare, sono evitabili con procedure standardizzate, comunicazione efficace, presa in carico completa e sensibilità clinica nell’intercettare i segnali precoci.

In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di infezione post-IVG sono: mancata profilassi antibiotica, sottovalutazione delle infezioni vaginali pregresse, rimozione incompleta del materiale gestazionale, assenza di follow-up, minimizzazione dei sintomi da parte del personale sanitario, ritardo nella diagnosi e nella somministrazione di terapie antibiotiche. Si tratta di un rischio sanitario che può essere ridotto quasi a zero, se il percorso assistenziale è completo e ben strutturato.

Affidarsi a strutture sanitarie con competenza ginecologica, protocolli standardizzati e accessibilità garantita per i controlli successivi è oggi l’unico modo per tutelare le donne da una complicanza tanto evitabile quanto pericolosa. Perché l’interruzione di gravidanza, quando scelta in modo consapevole, non deve mai trasformarsi in un rischio per la vita o per la fertilità futura. E ogni segnale del corpo, se ascoltato in tempo, può ancora salvare molto.

Quando si configura la responsabilità medica per infezione post-IVG?

La responsabilità medica per infezione post-IVG si configura ogni volta che, a seguito di un’interruzione volontaria di gravidanza, la paziente sviluppa un’infezione che non viene prevenuta, riconosciuta o trattata in tempo, provocando danni fisici gravi, sofferenze evitabili o complicanze permanenti. L’IVG, sia chirurgica che farmacologica, è una procedura sicura, regolata da norme precise e da linee guida dettagliate. Ma proprio perché si tratta di una pratica frequente, l’errore viene spesso sottovalutato. Il risultato è che, in alcuni casi, ciò che dovrebbe concludersi con un ritorno alla normalità si trasforma in un incubo clinico e umano.

L’infezione post-IVG può manifestarsi in diverse forme: endometriti, salpingiti, peritoniti, setticemia. Nella maggior parte dei casi, i primi segnali compaiono nei giorni successivi all’intervento o alla somministrazione dei farmaci abortivi: febbre, dolore pelvico, perdite maleodoranti, debolezza intensa, nausea, brividi, tachicardia. Sono sintomi ben noti e ampiamente documentati, che ogni medico o struttura dovrebbe saper riconoscere immediatamente. Ma quando il dolore viene confuso con un normale fastidio post-procedura, quando la febbre viene liquidata come un effetto passeggero, quando alla paziente viene detto di aspettare e vedere, il tempo si perde. E con esso, la possibilità di evitare danni maggiori.

Le infezioni gravi dopo IVG non sono frequenti, ma sono documentate. La loro insorgenza è favorita da diverse condizioni: sterilità inadeguata, presenza di frammenti ovulari ritenuti, mancata somministrazione di profilassi antibiotica, IVG eseguite in ambienti poco controllati, oppure pazienti già portatrici di infezioni genitali pregresse. Ma in tutti i casi, la diagnosi e il trattamento precoce sono fondamentali. Quando un’infezione viene ignorata o trattata tardi, può diffondersi rapidamente e causare danni permanenti agli organi riproduttivi, portare alla perdita dell’utero o, nei casi più gravi, alla morte per sepsi.

Non riconoscere un’infezione dopo un’IVG non è una distrazione: è una grave omissione. Perché l’interruzione volontaria di gravidanza è un atto medico a tutti gli effetti, e come tale richiede attenzione, monitoraggio, disponibilità. La paziente deve essere informata sui segnali di allarme, deve avere un contatto disponibile in caso di complicanze, e soprattutto deve essere ascoltata se torna a segnalare malessere. Ogni febbre dopo IVG deve essere considerata un potenziale allarme infettivo. Ogni dolore atipico deve essere approfondito. Ogni sospetta ritenzione deve essere verificata con ecografia e visita accurata.

Molte donne raccontano di essersi rivolte più volte alla struttura dove hanno effettuato l’IVG, segnalando sintomi che peggioravano. Alcune sono state mandate via con antipiretici. Altre hanno ricevuto telefonicamente rassicurazioni senza essere visitate. Alcune sono tornate solo quando il dolore era insostenibile, e l’infezione ormai diffusa. Alcune sono state operate d’urgenza, hanno subito isterectomie, drenaggi addominali, lunghe degenze ospedaliere. Altre, purtroppo, non ce l’hanno fatta. Non per la procedura in sé, ma per l’assenza di assistenza. Perché la medicina non ha saputo proteggerle.

Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura in più momenti. Se l’infezione è dovuta a un errore tecnico durante la procedura (mancato rispetto della sterilità, strumenti contaminati, lesioni tissutali), si tratta di imperizia. Se l’infezione è stata ignorata nonostante i sintomi, si configura un’omissione diagnostica. Se la terapia antibiotica non è stata prescritta o è stata ritardata, si tratta di negligenza terapeutica. Anche la mancata informazione alla paziente sui rischi e sui segnali di allarme può essere una colpa. Il punto non è solo l’evento in sé, ma il modo in cui è stato affrontato.

Il danno, nei casi di infezione post-IVG non trattata, può essere pesantissimo. Alcune pazienti perdono la fertilità, altre l’utero, altre la salute. Alcune sviluppano aderenze, dolori cronici, cicatrici interne. Altre portano per sempre il peso psicologico di un evento che sarebbe dovuto concludersi in modo semplice e che invece ha stravolto la loro vita. Il risarcimento dipende dalla gravità del danno: si va da somme più contenute per infezioni trattate tardi ma senza esiti, a cifre molto elevate – oltre i 150.000 euro – in caso di sterilità, rimozione dell’utero o lesioni sistemiche. Nei casi di decesso, i familiari hanno diritto al risarcimento del danno parentale e delle spese sanitarie sostenute.

Il termine per agire è di cinque anni dalla conoscenza del danno, oppure dieci se si procede contro una struttura sanitaria pubblica. È fondamentale raccogliere tutta la documentazione: referti della procedura IVG, cartella clinica, prescrizioni, esiti degli esami, lettere di dimissione, documenti relativi a ricoveri successivi, certificazioni mediche, ecografie. Una consulenza medico-legale potrà stabilire se l’infezione era evitabile, se la gestione è stata conforme alle linee guida, se c’è stato un ritardo nel trattamento o un errore nell’esecuzione.

Per il medico, ogni IVG è un atto delicato. Non solo per il valore simbolico e personale che rappresenta, ma per le responsabilità cliniche che comporta. Non si tratta di “una procedura di routine”. Ogni donna che affronta questa decisione merita attenzione, sicurezza, rispetto. E ogni complicanza deve essere affrontata con la stessa cura che si avrebbe per qualsiasi altra paziente. Quando ciò non avviene, la medicina perde la sua funzione. E la giustizia ha il dovere di intervenire.

In conclusione, la responsabilità medica per infezione post-IVG si configura ogni volta che una donna, dopo un’interruzione di gravidanza, subisce un danno evitabile perché la medicina non ha voluto ascoltarla, controllarla, proteggerla. È un tema che tocca la salute, ma anche la dignità. E ogni errore, ogni ritardo, ogni omissione è una ferita che va riconosciuta, curata, risarcita. Perché ogni donna ha diritto a una medicina che la guardi negli occhi e si prenda davvero cura di lei. Senza giudizio. E senza errori.

Quali possono essere le conseguenze per la paziente?

  • Infertilità permanente, per danno alle tube o all’endometrio,
  • Necessità di isterectomia in caso di infezione estesa,
  • Sepsi grave, con ricovero in terapia intensiva,
  • Dolore cronico pelvico,
  • Disturbi dell’umore o traumi psicologici post-intervento,
  • In casi estremi: morte della paziente.

Cosa prevede la legge in caso di danno?

La responsabilità medica è regolata da:

  • Legge Gelli-Bianco (n. 24/2017),
  • Codice Civile: art. 1218 (responsabilità contrattuale della struttura) e 2043 (extracontrattuale del medico),
  • Codice Penale: artt. 590 e 589 per lesioni colpose gravi o decesso.

Quali danni possono essere risarciti?

  • Danno biologico (invalidità temporanea o permanente),
  • Danno morale (sofferenza psichica e fisica),
  • Danno esistenziale (compromissione relazionale, lavorativa, affettiva),
  • Danno patrimoniale (costi per cure, assenze lavorative, future PMA),
  • Danno da perdita di fertilità (riconosciuto anche nei giovani senza figli).

Quali sono esempi reali di risarcimenti?

  • Roma, 2024: giovane donna perde la fertilità dopo endometrite grave da residui embrionali non rimossi. Risarcimento: €750.000.
  • Bologna, 2023: infezione sistemica post-IVG chirurgica, con ricovero in rianimazione. Risarcimento: €620.000.
  • Napoli, 2022: morte della paziente per sepsi da IVG non seguita. Famiglia risarcita con €980.000.

Come si dimostra la responsabilità?

È necessario:

  • acquisire la cartella clinica, il consenso informato, i referti ecografici e di laboratorio,
  • esaminare i tempi e le modalità della diagnosi e della cura dell’infezione,
  • ricostruire l’intero iter medico-legale con periti esperti,
  • confrontare la condotta con le linee guida SIGO, OMS, Ministero della Salute.

Qual è la procedura per ottenere il risarcimento?

  1. Richiesta della documentazione medica completa.
  2. Analisi con medico legale e ginecologo forense.
  3. Valutazione legale del danno.
  4. Tentativo di mediazione civile con la struttura.
  5. Se fallisce: azione civile o penale, con perizia di parte.

Quali sono i termini di prescrizione?

  • 10 anni contro la struttura sanitaria (responsabilità contrattuale),
  • 5 anni contro il medico (responsabilità extracontrattuale),
  • 6 anni per reati penali di lesioni colpose gravi,
  • Decorrenza: dal momento in cui si scopre il danno, come infertilità o trauma post-operatorio.

Perché rivolgersi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni ginecologici derivanti da errori durante e dopo l’IVG, in particolare:

  • infezioni post-IVG chirurgica o farmacologica non trattate,
  • danni da aborto incompleto o gestione negligente dei sintomi,
  • perdita della fertilità, anche in donne giovani e nullipare,
  • traumi psichici legati alla gestione sanitaria inappropriata dell’interruzione.

Il team opera con ginecologi forensi, anestesisti, microbiologi, psicologi legali, valutando con precisione:

  • responsabilità cliniche,
  • entità e durata del danno,
  • costi per terapie, PMA, supporti psicologici.

Ogni donna ha diritto a un’IVG sicura, dignitosa, rispettosa della salute e dell’integrità. Quando questo diritto viene violato da un errore medico, la legge tutela chi ha subito un danno ingiusto.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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