Introduzione
Durante il travaglio e il parto, il feto può entrare in una condizione di sofferenza ipossico-ischemica, ovvero una diminuzione dell’ossigeno che, se non riconosciuta tempestivamente, può provocare danni neurologici permanenti, paralisi cerebrali infantili o morte intrauterina. L’unico modo per individuare la sofferenza fetale è attraverso un monitoraggio attento, costante e corretto, in particolare con la cardiotocografia (CTG).
Quando la sofferenza fetale non viene riconosciuta, viene sottovalutata o si interviene in ritardo, si tratta di un errore medico gravissimo, perché il danno che ne deriva è spesso irreversibile. Il tracciato cardiotocografico alterato non interpretato correttamente è la causa più frequente di condanne per lesioni al neonato in ambito ostetrico.

Secondo l’ultima relazione ISS (2024), oltre il 60% dei casi di encefalopatia neonatale è correlato a travagli mal gestiti, in cui la sofferenza fetale era segnalata da tracciati non letti o ignorati. In Italia, si contano oltre 250 richieste di risarcimento all’anno per lesioni cerebrali da ipossia perinatale.
Questo articolo analizza quando il mancato riconoscimento della sofferenza fetale costituisce colpa medica, quali danni derivano, le leggi applicabili, i risarcimenti riconosciuti e le competenze necessarie per essere assistiti legalmente.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Che cos’è la sofferenza fetale?
È una condizione in cui il feto, a causa di scarso apporto di ossigeno o compromissione della perfusione placentare, mostra segni di compromissione del benessere, come:
- bradicardia persistente,
- decelerazioni ripetute e profonde al tracciato,
- perdita della variabilità del battito,
- acidosi evidenziata da prelievo del sangue fetale,
- movimenti fetali assenti o ridotti.
Come si monitora la sofferenza fetale?
Attraverso:
- cardiotocografia continua o intermittente, soprattutto in caso di travaglio indotto, rottura delle membrane, patologie materne o feto a rischio,
- test di ossigenazione o pH da sangue fetale in caso di tracciato dubbio,
- ecografie e doppler in gravidanza a rischio,
- osservazione clinica della dinamica del travaglio e dei segni indiretti (meconio nel liquido, tachicardia fetale, contrazioni troppo ravvicinate).
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di mancato riconoscimento della sofferenza fetale?
La sofferenza fetale rappresenta una delle condizioni più gravi e urgenti che possono verificarsi durante la gravidanza e, in particolare, durante il travaglio di parto. Con questo termine si intende un’alterazione del benessere del feto, solitamente determinata da ipossia, ovvero una riduzione della disponibilità di ossigeno. Quando non viene riconosciuta o viene diagnosticata troppo tardi, può evolvere in danni cerebrali permanenti, paralisi cerebrale infantile, encefalopatia ipossico-ischemica, morte intrauterina o neonatale. Proprio per la sua gravità, il mancato riconoscimento della sofferenza fetale è considerato uno degli errori più gravi in ambito ostetrico, nonché uno dei principali motivi di contenzioso medico-legale.
Una delle cause più frequenti di mancato riconoscimento è l’errata interpretazione del tracciato cardiotocografico, lo strumento principale utilizzato per monitorare il benessere fetale durante il travaglio. Il tracciato registra la frequenza cardiaca del feto e l’attività contrattile dell’utero. Quando il personale sanitario non è adeguatamente formato o quando la valutazione avviene in modo superficiale, può accadere che decelerazioni prolungate, bradicardie, tachicardie o assenza di variabilità vengano ignorate, sottovalutate o scambiate per eventi benigni. Il tracciato alterato è spesso il primo segnale d’allarme di una compromissione dell’ossigenazione fetale. Se questo allarme viene trascurato, il danno è solo questione di tempo.
Un altro errore frequente è la gestione inadeguata dei segnali clinici indiretti di sofferenza, come la presenza di meconio nel liquido amniotico, un’anomalia della crescita intrauterina non riconosciuta, la riduzione dei movimenti fetali percepiti dalla madre o un travaglio prolungato e stressante. In alcuni casi, questi elementi sono presenti, ma non inducono l’équipe medica ad attivare un monitoraggio continuo o ad anticipare il parto. La convinzione che la situazione sia “sotto controllo” porta a rimandare decisioni decisive, come il taglio cesareo urgente o l’uso di strumenti operativi. In ostetricia, attendere troppo può significare perdere l’unica finestra utile per salvare il bambino.
Un’altra causa è l’affidamento eccessivo al decorso fisiologico della gravidanza, soprattutto in donne giovani, in apparente buona salute e con gravidanza a basso rischio. Questa fiducia può portare a una sorveglianza meno attenta, a tracciati eseguiti con minore frequenza, a un numero inferiore di controlli ecografici o biofisici. Tuttavia, la sofferenza fetale può comparire anche in assenza di fattori di rischio evidenti, e ogni parto richiede un monitoraggio specifico e puntuale. L’approccio standardizzato, senza personalizzazione, espone al rischio di errori pericolosi.
Importante è anche la comunicazione con la madre durante il travaglio. In molti casi, le donne segnalano cambiamenti nel movimento del feto, dolori anomali, malessere inspiegabile. Quando questi segnali vengono minimizzati, ignorati o spiegati come “normali”, si perde l’occasione di indagare ulteriormente. Il rispetto dell’intuizione materna è parte integrante della buona pratica ostetrica. Trascurare ciò che la donna percepisce può portare a diagnosi tardive di situazioni critiche.
Non di rado, il riconoscimento della sofferenza fetale è impedito da problemi organizzativi: assenza di personale qualificato, sale parto sovraffollate, mancanza di strumenti funzionanti o ritardi nell’intervento chirurgico per carenza di anestesisti o operatori disponibili. In queste situazioni, anche un sospetto corretto può non tradursi in un’azione immediata. Se il cesareo viene ritardato di mezz’ora o un’ora in un contesto di decelerazioni gravi, il danno neurologico può diventare irreversibile.
Dal punto di vista clinico, la sofferenza fetale non riconosciuta tempestivamente si manifesta alla nascita con un neonato in condizioni critiche: basso punteggio di Apgar, ipotonia, depressione respiratoria, acidosi metabolica, necessità di rianimazione neonatale prolungata. Nei casi più gravi, il bambino sviluppa encefalopatia ipossico-ischemica, con lesioni cerebrali che possono causare tetraparesi spastica, ritardo mentale, epilessia o morte nei primi giorni di vita. Le conseguenze non sono solo fisiche, ma coinvolgono la sfera cognitiva, relazionale e familiare, segnando per sempre il futuro del bambino e dei genitori.
Dal punto di vista medico-legale, il mancato riconoscimento della sofferenza fetale è una delle colpe più gravi in ostetricia, perché in molti casi si tratta di un danno prevedibile ed evitabile. I periti valutano se la sofferenza poteva essere sospettata in base al tracciato, alla sintomatologia, agli esami disponibili e ai parametri clinici. Se viene dimostrato che un intervento più tempestivo, anche di pochi minuti, avrebbe potuto cambiare l’esito, la responsabilità professionale viene riconosciuta. Il concetto chiave, in questi casi, è la perdita di chance di nascere sano.
Il risarcimento è generalmente molto elevato, perché coinvolge il danno biologico permanente del bambino, il danno morale ed esistenziale della famiglia, le spese di assistenza a lungo termine e il mancato guadagno futuro. Nei casi in cui la morte neonatale poteva essere evitata, si aggiungono anche il lutto parentale e il danno psichico dei genitori. Il contenzioso è quasi sempre lungo e complesso, ma spesso si conclude con condanne significative a carico delle strutture sanitarie e dei medici coinvolti.
Le linee guida internazionali raccomandano un approccio basato su monitoraggio continuo, interpretazione condivisa del tracciato, sorveglianza personalizzata e comunicazione efficace con la gestante. Il personale ostetrico deve essere formato nell’identificare precocemente i segnali di allarme, nel documentare ogni decisione e nel agire con tempestività. Anche un piccolo segnale può indicare un grande problema. E quando si tratta della salute di un neonato, non è mai troppo presto per intervenire.
In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di mancato riconoscimento della sofferenza fetale sono: interpretazione errata del tracciato, sottovalutazione dei sintomi indiretti, fiducia eccessiva nella fisiologia del travaglio, problemi organizzativi, comunicazione inadeguata con la partoriente, ritardo nell’intervento chirurgico. Errori che si pagano a caro prezzo, in vite compromesse e in occasioni perse.
Garantire a ogni donna e a ogni bambino una sorveglianza attenta, personalizzata e tempestiva non è solo un dovere clinico. È un imperativo etico. Perché ogni battito che chiede aiuto, se ascoltato in tempo, può ancora essere salvato.
Quando si configura la responsabilità medica per mancato riconoscimento della sofferenza fetale?
La responsabilità medica per mancato riconoscimento della sofferenza fetale si configura ogni volta che i segnali di pericolo emessi dal feto durante il travaglio o nelle fasi finali della gravidanza non vengono rilevati, interpretati o gestiti tempestivamente, provocando danni al nascituro che si sarebbero potuti evitare. La sofferenza fetale è una condizione clinica nota, temuta e soprattutto monitorabile. E quando la medicina smette di ascoltare ciò che il corpo comunica – un tracciato alterato, una frequenza anomala, una variabilità ridotta – le conseguenze possono essere drammatiche, irreversibili. A volte fatali.
Durante il travaglio, il feto è sottoposto a uno stress intenso. Il passaggio nel canale del parto, le contrazioni uterine, la compressione del cordone ombelicale o la ridotta ossigenazione placentare sono tutte condizioni che, se tollerate bene, consentono un parto sicuro. Ma quando qualcosa non va, il feto lo segnala. E lo fa attraverso il battito cardiaco, le decelerazioni, i movimenti ridotti, il liquido amniotico alterato. La cardiotocografia, le ecografie, l’osservazione clinica diretta sono gli strumenti con cui il personale sanitario può e deve intervenire. Ignorare questi segnali equivale a girare la testa dall’altra parte mentre una vita chiede aiuto.
Il problema, spesso, non è la mancanza di tecnologia. Ma la mancanza di attenzione. In molte situazioni, il tracciato è presente, ma non viene interpretato correttamente. Un battito accelerato viene sottovalutato, un’assenza di variabilità scambiata per un momento di riposo, una decelerazione prolungata attribuita alla posizione materna. Così il tempo scorre. E con esso, l’ossigeno si riduce, il sangue fatica ad arrivare al cervello, il feto entra in acidosi. Quando finalmente si decide di intervenire, magari con un cesareo d’urgenza, è già troppo tardi. Il neonato nasce, ma non piange. Viene rianimato, intubato, ricoverato in terapia intensiva neonatale. E il verdetto, dopo qualche giorno, arriva duro e semplice: encefalopatia ipossico-ischemica. Un danno che poteva essere evitato.
Molte madri raccontano un travaglio lungo, difficile, durante il quale hanno sentito che qualcosa non andava. Alcune chiedono aiuto più volte. Altre sentono il battito rallentare. Ma si sentono dire che è tutto normale, che devono respirare, che va tutto bene. Quando invece non va bene per niente. Il punto critico è proprio questo: quando la percezione del rischio viene minimizzata, la medicina abdica al suo ruolo. E lascia sola la paziente. Soli i genitori. Solo quel bambino, che avrebbe solo voluto nascere senza danni.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità per mancato riconoscimento della sofferenza fetale si configura ogni volta che, a posteriori, si dimostra che i segnali erano presenti e comprensibili per un operatore medio. Le linee guida parlano chiaramente di tracciati da classificare, di tempi di osservazione, di intervalli tra monitoraggi, di reazioni da adottare entro minuti. Quando queste indicazioni non vengono rispettate, la colpa c’è. Anche l’omissione della sorveglianza, o la sua interruzione senza motivo, rientra nella colpa per negligenza o imperizia.
Il danno può essere devastante. Se il neonato nasce con danni cerebrali permanenti, paralisi cerebrale, epilessia, ritardo mentale, le famiglie si trovano di fronte a un percorso di assistenza lungo una vita intera. Alcuni bambini hanno bisogno di cure costanti, ausili per la deambulazione, terapie riabilitative, supporti scolastici, presìdi medici. Il risarcimento per questo tipo di danni supera spesso il milione di euro, tenendo conto non solo del danno biologico e morale, ma anche delle spese vive, del futuro lavorativo compromesso e della sofferenza dei genitori. Nei casi peggiori, il bambino non sopravvive, e allora il risarcimento si articola tra danno da perdita della vita e danno parentale.
Molte di queste tragedie si sarebbero potute evitare. Il punto non è che la sofferenza fetale non debba mai verificarsi – è una possibilità reale, anche in gravidanze fisiologiche – ma che debba essere riconosciuta subito. Il tempo è tutto. In molti casi, bastava anticipare il cesareo di dieci minuti, di mezz’ora. Bastava ascoltare, controllare, agire. Quando ciò non avviene, la colpa si misura non solo in termini legali, ma in responsabilità umana. Perché la vita di un bambino non può essere trattata come un rischio statistico.
Il termine per agire è lungo, perché il danno ai minori si manifesta spesso nel tempo. L’azione legale può essere avviata fino a cinque anni dopo il compimento della maggiore età del bambino. Per i genitori, i termini sono di cinque o dieci anni, a seconda della natura della struttura coinvolta. È fondamentale raccogliere tutta la documentazione: tracciati, cartella clinica ostetrica e neonatale, lettere di dimissione, esiti della terapia intensiva, diagnosi successive. La consulenza medico-legale neonatologica può ricostruire con precisione se i protocolli sono stati rispettati e quando, esattamente, si è perso il controllo della situazione.
Per il medico e l’ostetrica, ogni travaglio è una responsabilità. Non è solo l’atto finale di una gravidanza. È una fase in cui tutto può cambiare in pochi minuti. Ogni battito del cuore fetale è un messaggio. Ogni anomalia è un campanello d’allarme. Ogni esitazione può essere fatale. Non riconoscere la sofferenza fetale significa lasciare il bambino senza voce nel momento in cui più ha bisogno di aiuto. E quando il silenzio si trasforma in danno, la medicina ha fallito.
In conclusione, la responsabilità medica per mancato riconoscimento della sofferenza fetale si configura ogni volta che un’opportunità di intervento viene ignorata. Ogni bambino ha diritto a nascere nel modo migliore possibile. E ogni madre ha diritto a sapere che chi è accanto a lei sa leggere i segnali del suo corpo e del corpo del figlio. Quando questo non accade, la giustizia deve intervenire. Per restituire dignità a chi ha perso tutto. E per ricordare che ogni nascita è un momento sacro. Da proteggere. Sempre.
Quali sono i segni di sofferenza fetale non gestita?
- Tracciato cardiotocografico con decelerazioni prolungate o variabili,
- Assenza di variabilità per oltre 30 minuti,
- Tachicardia fetale non correlata alla febbre materna,
- Contrazioni troppo frequenti (iperstimolazione),
- Segni clinici ignorati o minimizzati.
Cosa prevede la legge in caso di danni?
La responsabilità medica si fonda su:
- Art. 1218 c.c.: inadempimento della struttura sanitaria,
- Art. 2043 c.c.: danno da fatto illecito (colpa medica),
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che impone rispetto delle linee guida cliniche (SIGO, WHO, ACOG),
- Art. 590 e 589 c.p.: lesioni colpose o omicidio colposo.
Quali danni sono risarcibili?
Per il bambino:
- Danno biologico permanente (neurologico, motorio, sensoriale),
- Danno esistenziale (limitazione nell’autonomia, inserimento scolastico),
- Danno patrimoniale futuro (terapie, assistenza a vita, riabilitazione).
Per i genitori:
- Danno morale (sofferenza per la condizione del figlio),
- Danno parentale (riconosciuto anche dai tribunali),
- Danno patrimoniale (spese mediche, riduzione capacità lavorativa per assistenza).
Quali sono esempi concreti di risarcimento?
- Milano, 2024: travaglio con tracciato alterato ignorato. Neonato con paralisi cerebrale spastica. Risarcimento: €1.500.000 + vitalizio di assistenza.
- Napoli, 2023: mancata attivazione del cesareo urgente. Neonato in coma per 10 giorni, ora disabile al 100%. Risarcimento: €1.800.000.
- Roma, 2022: morte intrauterina nonostante tracciato bradicardico. Famiglia risarcita con €1.200.000.
Come si dimostra l’errore?
- Esame della cartella clinica e del tracciato CTG completo,
- Perizia medico-legale ostetrica e neonatologica,
- Confronto con linee guida nazionali e internazionali,
- Verifica dei tempi di intervento e delle decisioni cliniche adottate,
- Dimostrazione che, con intervento tempestivo, il danno sarebbe stato evitabile.
Qual è la procedura per ottenere risarcimento?
- Acquisizione documentazione sanitaria completa (parto, TIN, referti neurologici).
- Analisi peritale tecnica con ginecologo e medico legale.
- Calcolo dei danni: biologico, patrimoniale, morale, esistenziale.
- Avvio della mediazione civile obbligatoria.
- Se fallisce: causa civile o azione penale.
Quali sono i termini per agire?
- 10 anni contro la struttura sanitaria (responsabilità contrattuale),
- 5 anni contro il medico (responsabilità extracontrattuale),
- 6 anni per lesioni o morte colpose (penale),
- Per i minori, i termini iniziano dal 18° anno di età.
Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono altamente specializzati nei danni da mancata diagnosi di sofferenza fetale, in particolare nei casi di:
- paralisi cerebrale infantile per ipossia perinatale non trattata,
- lesioni neurologiche da parto mal monitorato,
- morti intrauterine evitabili,
- neonati affetti da encefalopatia grave per ritardo nel cesareo.
Il team opera con:
- ginecologi forensi, neonatologi, neuropsichiatri infantili,
- medici legali esperti in danno da parto e danno pediatrico,
- economisti e periti per la quantificazione dei danni a vita.
Ogni bambino ha diritto a nascere protetto. Ogni genitore ha diritto alla verità. Ogni errore evitabile deve essere riconosciuto, risarcito e condannato.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: