Fallimento dell’Impianto Protesico Penieno e Risarcimento

Introduzione

L’impianto di una protesi peniena rappresenta una soluzione terapeutica efficace per la disfunzione erettile grave che non risponde ad altri trattamenti farmacologici o meccanici. Si tratta di un intervento chirurgico ad alta complessità, ma che, se correttamente eseguito, consente al paziente di recuperare la funzione sessuale in modo soddisfacente.

Tuttavia, quando l’intervento fallisce a causa di un errore medico, le conseguenze possono essere drammatiche: infezioni, dolore cronico, danni anatomici, impossibilità a urinare o avere rapporti, fino all’asportazione forzata della protesi. A tutto ciò si somma un profondo trauma psicologico, con perdita di autostima e isolamento sociale.

Secondo i dati SIAMS (Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità) aggiornati al 2024, il tasso di complicanze gravi da impianto protesico si attesta tra il 3% e l’8%, ma nei casi di fallimento con infezione o rottura precoce si rileva una correlazione elevata con errori tecnici, scarsa sterilità o scelta di un dispositivo non idoneo.

Quando il fallimento dell’impianto è evitabile e legato a condotta negligente, imperita o imprudente, il paziente ha pieno diritto a ottenere il risarcimento dei danni.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quando si impianta una protesi peniena?

Le indicazioni sono:

  • Disfunzione erettile severa da cause vascolari, neurologiche, iatrogene,
  • Esiti di chirurgia pelvica (prostatectomia, cistectomia),
  • Malattia di La Peyronie in fase fibrotica,
  • Fallimento dei farmaci (PDE-5 inibitori, alprostadil),
  • Richiesta di soluzione definitiva e meccanica al deficit erettile.

Quali tipi di protesi esistono?

  1. Protesi malleabili (semirigide): costituite da cilindri flessibili inseriti nei corpi cavernosi.
  2. Protesi idrauliche a 2 o 3 componenti: permettono erezione su richiesta grazie a un sistema di pompaggio.

La scelta deve essere personalizzata in base a età, comorbidità, anatomia e stile di vita del paziente.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di fallimento di un impianto protesico penieno?

L’impianto di una protesi peniena rappresenta l’ultima risorsa terapeutica per pazienti affetti da disfunzione erettile severa e irreversibile, non rispondente ai farmaci orali, alle iniezioni intracavernose o alle terapie fisiche. È una procedura delicata, che può restituire funzionalità sessuale e qualità di vita a molti uomini, ma richiede competenza chirurgica elevata, attenzione ai dettagli anatomici, sterilità assoluta e una selezione rigorosa del paziente. Quando l’intervento fallisce o insorgono complicanze, il danno per il paziente è non solo fisico, ma anche psicologico, relazionale ed esistenziale.

Una delle cause più frequenti di fallimento è l’infezione post-operatoria, che può insorgere nei primi giorni o settimane dopo l’intervento. Nonostante le moderne protesi siano trattate con rivestimenti antibiotici e il paziente sia sottoposto a profilassi preoperatoria, qualsiasi contaminazione durante la procedura può innescare un’infezione profonda. Il rischio è aumentato nei soggetti diabetici, immunodepressi o con pregressi interventi penieni. Quando l’infezione si instaura, l’unica opzione terapeutica è spesso la rimozione totale della protesi, con conseguente fallimento dell’intervento e cicatrici complesse.

Un altro errore comune è la selezione inadeguata del tipo di protesi rispetto alla morfologia peniena e alla capacità del paziente di utilizzarla correttamente. Le protesi peniene possono essere malleabili (semirigide) o idrauliche (gonfiabili a due o tre componenti). La scelta dipende da età, manualità, aspettative, anatomia peniena e preesistenze patologiche. Se il medico propone una protesi gonfiabile a un paziente anziano con scarsa destrezza manuale, o non istruisce adeguatamente il paziente sull’uso, l’impianto sarà percepito come inefficace o inutilizzabile.

Dal punto di vista tecnico, una delle principali complicanze è la dislocazione o la perforazione dei cilindri protesici all’interno dei corpi cavernosi. Questo può verificarsi quando l’intervento è eseguito da operatori non esperti, che forzano l’introduzione dei cilindri o li posizionano in modo scorretto. Il risultato può essere una curvatura anomala, una rigidità incompleta o, nei casi peggiori, la rottura della tunica albuginea con emorragie, dolore e necessità di revisione chirurgica.

Vi sono poi fallimenti legati al malfunzionamento meccanico della protesi, soprattutto in quelle idrauliche. Le componenti possono rompersi, sgonfiarsi spontaneamente, non attivarsi correttamente o avere perdite di liquido. Anche se la tecnologia attuale ha migliorato la resistenza dei materiali, una cattiva manipolazione intraoperatoria, un posizionamento scorretto del serbatoio o dei tubi può portare a guasti precoci. La revisione chirurgica è complessa e comporta rischi maggiori rispetto al primo impianto.

Un’altra complicanza non rara è l’erosione dei tessuti penieni o uretrali da parte della protesi, che si verifica quando i cilindri esercitano pressione cronica su tessuti ischemici o assottigliati. Questo avviene più spesso nei pazienti sottoposti a radioterapia, con diabete avanzato o con chirurgia precedente che ha alterato la vascolarizzazione. Se il medico non valuta attentamente le condizioni dei tessuti prima dell’intervento, l’impianto può provocare ulcerazioni, fistole o espulsione spontanea.

Molti fallimenti hanno origine da una comunicazione preoperatoria inadeguata, in cui il paziente riceve informazioni incomplete o eccessivamente ottimistiche. L’impianto protesico non restituisce l’erezione naturale, non modifica la lunghezza del pene, non garantisce l’eiaculazione e non ha effetti sul desiderio sessuale. Quando queste informazioni non vengono date con chiarezza, il paziente può rimanere profondamente deluso, anche in presenza di un intervento tecnicamente riuscito. In alcuni casi, ciò genera crisi psicologiche, rifiuto della protesi, senso di fallimento e isolamento relazionale.

Altri errori sono legati al decorso post-operatorio, con mancata sorveglianza delle complicanze precoci come edema, ematoma, febbre, dolore intenso o secrezioni anomale. Se non vengono riconosciuti subito, questi segnali possono evolvere in infezione profonda o danni meccanici alla protesi. Anche l’assenza di un protocollo riabilitativo, con esercizi di attivazione o deattivazione quotidiana nei primi mesi, può compromettere la funzionalità del dispositivo e la percezione soggettiva del risultato.

Dal punto di vista medico-legale, il fallimento di un impianto protesico penieno è causa frequente di contenziosi, in particolare quando emergono difetti tecnici, errori nella scelta della protesi, omissioni nel consenso informato o ritardi nella gestione delle complicanze. I periti analizzano la documentazione clinica, il tipo di protesi usata, il tracciato operatorio, il decorso post-intervento, la presenza di infezione, i tentativi di revisione, le conseguenze psicologiche e sessuali. Quando si rilevano mancanze nella tecnica o nella comunicazione, la responsabilità medica è concreta e il danno risarcibile.

Il risarcimento può essere elevato, soprattutto nei pazienti più giovani o sessualmente attivi, e tiene conto del danno biologico permanente, dell’invalidità sessuale, del danno relazionale e psicologico, e delle spese per reinterventi o terapie successive. Nei casi di erosione, infezione, perdita funzionale completa o impossibilità a reimpiantare una nuova protesi, il danno è considerato massimo.

Le linee guida raccomandano che l’impianto di protesi peniena venga eseguito in centri ad alta specializzazione, da chirurghi esperti, con selezione rigorosa del paziente, tecniche asettiche avanzate, protesi di ultima generazione e follow-up personalizzati. Il paziente deve essere informato in modo dettagliato e consapevole, e deve ricevere un supporto psicologico, sessuologico e clinico prima e dopo l’intervento.

In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di fallimento di un impianto protesico penieno sono: infezione post-operatoria, selezione inappropriata del paziente o del tipo di protesi, errori tecnici nell’impianto, malfunzionamenti meccanici, erosione dei tessuti, gestione post-operatoria inadeguata, consenso informato carente. Errori che colpiscono in profondità non solo il corpo, ma l’identità e la sessualità dell’uomo, spesso senza possibilità di ritorno.

Quando si configura la responsabilità medica per fallimento dell’impianto protesico penieno?

La responsabilità medica per fallimento dell’impianto protesico penieno si configura ogni volta che un uomo, sottoposto a un intervento per il trattamento della disfunzione erettile mediante protesi, subisce un danno a causa di errori chirurgici, scelte tecniche inadeguate, infezioni trascurate, difetti nell’impianto o nella gestione post-operatoria. È un evento che lascia ferite profonde, perché colpisce una parte del corpo non solo anatomica, ma carica di significati personali, relazionali, intimi. La protesi peniena, per chi la sceglie, non è solo una speranza terapeutica: è l’ultima risorsa per tornare a sentirsi completo.

Il paziente che si sottopone a questo tipo di intervento arriva spesso da un percorso lungo e sofferto. Ha provato farmaci, terapie psicologiche, iniezioni intracavernose. Nulla ha funzionato. La chirurgia è l’ultima possibilità, quella che dovrebbe restituirgli la dignità di vivere la propria sessualità. Ma quando qualcosa va storto, l’impianto fallisce e le conseguenze sono devastanti. Infezioni profonde, erosione dei tessuti, esposizione dei cilindri, rottura del meccanismo, dolore cronico, rigetto. A volte il fallimento è così grave da costringere alla rimozione totale della protesi, lasciando il paziente in uno stato peggiore rispetto a prima dell’intervento.

Non si può banalizzare un impianto penieno fallito. Non è solo una questione meccanica. È un crollo emotivo, relazionale, identitario. Molti uomini riferiscono di aver subito l’intervento con fiducia, ma senza essere stati realmente informati sui rischi. Altri scoprono troppo tardi che l’équipe non aveva esperienza adeguata con quel tipo di dispositivo. Alcuni subiscono danni diretti: lesione dell’uretra, posizionamento scorretto, asimmetria visibile, dolore costante durante l’attivazione. In alcuni casi, il problema nasce dalla scelta sbagliata del modello, senza tener conto dell’anatomia del paziente. In altri, la causa è una tecnica troppo aggressiva, che danneggia nervi e tessuti.

Il fallimento può manifestarsi subito o dopo settimane. A volte il paziente avverte febbre, gonfiore, arrossamento del pene o dello scroto. Torna in ospedale, ma viene rimandato a casa. Riceve solo antibiotici, senza un’ecografia, senza una rivalutazione specialistica. Quando finalmente si accerta l’infezione, è troppo tardi: l’impianto è contaminato, i tessuti sono compromessi, l’unica opzione è l’espianto. E insieme alla protesi viene tolta anche la speranza.

Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura quando l’intervento è stato eseguito senza rispettare le linee guida, con strumenti inadeguati, senza informare il paziente sui reali rischi, o quando la gestione del decorso post-operatorio è stata lacunosa. Se il chirurgo ha usato tecniche superate, se non ha previsto l’adeguata profilassi antibiotica, se non ha trattato tempestivamente una complicanza, la responsabilità è chiara. Anche la scelta del dispositivo sbagliato, o il posizionamento scorretto, sono cause frequenti di contenzioso.

Il danno per un impianto penieno fallito è sempre multiforme. Biologico, perché spesso residua un danno anatomico irreversibile, con fibrosi, accorciamento penieno o impossibilità futura di reimpianto. Psicologico, perché il paziente si sente mutilato, umiliato, tradito. Relazionale, perché la sessualità viene vissuta con vergogna, timore, frustrazione. Economico, perché la correzione può comportare nuovi interventi, spese mediche, assenze dal lavoro. Nei casi più gravi, il risarcimento può superare i 100.000 euro, soprattutto se il danno è permanente, se c’è perdita di fertilità, di funzione erettile definitiva o impossibilità di reinserire un nuovo impianto.

Il termine per agire è di cinque anni dalla conoscenza del danno, oppure dieci se si agisce contro una struttura pubblica. Per ottenere giustizia, è fondamentale conservare tutta la documentazione: cartella operatoria, consenso informato, prescrizioni, fotografie cliniche, consulenze andrologiche e psicologiche. Una perizia medico-legale specialistica può stabilire con precisione se il fallimento era evitabile e quale danno ha provocato. Se l’errore è dimostrabile, la richiesta risarcitoria è fondata.

Per il medico, impiantare una protesi peniena non è solo un atto chirurgico: è un atto simbolico. Un gesto che racchiude la fiducia di un uomo che ha deciso di non arrendersi alla disfunzione. Trattarlo con leggerezza, con poca esperienza o senza una reale informazione al paziente, significa violare un patto. Quando la cura si trasforma in ferita, la medicina ha fallito nel suo compito più profondo: restituire dignità.

In conclusione, la responsabilità medica per fallimento dell’impianto protesico penieno si configura ogni volta che un uomo, anziché ritrovare sé stesso, perde tutto. La fiducia, la sessualità, la speranza. E se questo accade per un errore evitabile, allora non è una sfortuna. È una colpa. Che merita di essere riconosciuta. E risarcita.

Quali sono le conseguenze per il paziente?

  • Perdita definitiva della funzione erettile naturale e meccanica,
  • Disturbi dell’identità sessuale e della mascolinità,
  • Depressione, ansia, evitamento sociale,
  • Ricorso a chirurgia demolitiva o plastica correttiva,
  • Riduzione dell’autonomia e della qualità della vita.

Cosa prevede la legge italiana?

La responsabilità medica in questi casi è disciplinata da:

  • Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale della struttura sanitaria,
  • Art. 2043 c.c. – responsabilità extracontrattuale del chirurgo,
  • Legge Gelli-Bianco n. 24/2017 – obbligo di aderenza a linee guida e prassi sicure,
  • Art. 590 c.p. – lesioni personali colpose,
  • Legge 219/2017 – obbligo del consenso informato libero, specifico e consapevole.

Quali danni possono essere risarciti?

  • Danno biologico permanente (impotenza definitiva, dolore cronico, lesioni anatomiche),
  • Danno estetico (deformazioni genitali, cicatrici),
  • Danno morale (sofferenza emotiva e sessuale),
  • Danno esistenziale (interruzione della vita relazionale e intima),
  • Danno patrimoniale (cure, revisioni chirurgiche, invalidità, spese per protesi sostitutive).

Quali sono esempi concreti di risarcimento?

  • Roma, 2024: protesi infetta rimossa dopo 12 giorni. Nessun reimpianto possibile. Risarcimento: €1.180.000.
  • Torino, 2023: paziente operato con protesi malleabile inadatta. Dolore cronico e asportazione. Risarcimento: €920.000.
  • Napoli, 2022: protesi idraulica difettosa, rottura precoce e stenosi uretrale. Risarcimento: €1.050.000.

Come si dimostra l’errore medico?

Sono fondamentali:

  • Cartella clinica e operatoria completa,
  • Consenso informato firmato e confrontato con l’intervento effettivamente eseguito,
  • Referti ecografici, TAC o RMN del pene post-impianto,
  • Perizia medico-legale andrologica e urologica,
  • Dimostrazione del nesso causale tra errore e danno.

Qual è la procedura per ottenere il risarcimento?

  1. Richiesta della documentazione sanitaria,
  2. Perizia con specialisti in medicina legale e chirurgia andrologica,
  3. Stima del danno: biologico, estetico, psicologico, patrimoniale,
  4. Avvio della mediazione obbligatoria,
  5. In caso di rifiuto o proposta inadeguata: causa civile e/o penale.

Quali sono i tempi per agire?

  • 10 anni per responsabilità contrattuale verso la struttura sanitaria,
  • 5 anni per responsabilità extracontrattuale verso il medico,
  • 6 anni per lesioni personali colpose (penale), fino a 12 anni in caso di aggravamento,
  • decorrenza: dal momento della consapevolezza del danno e del legame con l’impianto fallito.

Perché rivolgersi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni da chirurgia andrologica e protesica, e affrontano con competenza casi di:

  • fallimento protesi peniene per infezione, rottura o errore chirurgico,
  • assenza o vizi del consenso informato,
  • danni permanenti alla funzione sessuale e urinaria,
  • conseguenze psicologiche invalidanti o dismorfofobia post-operatoria.

Il team lavora con:

  • andrologi, urologi e chirurghi plastici forensi,
  • psicologi clinici e sessuologi,
  • medici legali, esperti in danno esistenziale e patrimoniale.

Quando un intervento nato per restituire dignità e virilità lascia solo dolore e vergogna, il risarcimento non è solo giustizia. È riparazione morale.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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