Lesione del Cristallino Durante Chirurgia della Cataratta: Quando È Errore Medico e Come Ottenere il Risarcimento

Introduzione

La chirurgia della cataratta è l’intervento oculistico più eseguito al mondo e, in Italia, rappresenta oltre il 50% di tutte le operazioni oftalmologiche, con circa 600.000 interventi l’anno, secondo i dati SOI (Società Oftalmologica Italiana) aggiornati al 2024. Si tratta, in teoria, di una procedura sicura e altamente standardizzata, volta a rimuovere il cristallino opacizzato e sostituirlo con una lente intraoculare artificiale (IOL).

Tuttavia, quando la procedura non viene eseguita correttamente, può verificarsi una lesione traumatica del cristallino o delle strutture adiacenti (capsula posteriore, zonula, corpo vitreo), con complicanze visive permanenti che compromettono irrimediabilmente la vista del paziente.

Il margine d’errore è molto basso. E proprio per questo, quando si verificano lesioni intraoperatorie, spesso è segno di negligenza, imperizia o imprudenza. In questi casi, il paziente ha diritto a un pieno risarcimento.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Cosa si intende per lesione del cristallino?

La lesione del cristallino può avvenire in vari modi durante l’intervento:

  • Rottura della capsula posteriore,
  • Lesione della zonula (le fibre che tengono il cristallino in sede),
  • Caduta del nucleo del cristallino nel vitreo,
  • Traumi da strumenti chirurgici mal posizionati,
  • Danneggiamento della lente intraoculare impiantata.

Queste complicanze possono compromettere la correzione visiva attesa, causare visione doppia, opacità secondarie, infiammazione, edema maculare e, nei casi più gravi, richiedere nuovi interventi chirurgici complessi.

Come si svolge correttamente l’intervento di cataratta?

L’intervento prevede:

  1. Incisione corneale millimetrica,
  2. Apertura della capsula anteriore (capsuloressi),
  3. Frantumazione del cristallino opaco con ultrasuoni (facoemulsificazione),
  4. Rimozione dei frammenti,
  5. Impianto della lente intraoculare.

Tutto avviene in regime ambulatoriale, con anestesia topica, in circa 15-20 minuti. Ma se il chirurgo perde il controllo della capsula, forza i tessuti, o utilizza tecniche inadeguate, il rischio di danno è concreto.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di lesione del cristallino durante la chirurgia della cataratta?

La chirurgia della cataratta è l’intervento più eseguito al mondo in campo oftalmico, con milioni di operazioni ogni anno. Considerata oggi una procedura di routine, in realtà richiede una precisione micrometrica, un’eccellente conoscenza dell’anatomia oculare e una capacità decisionale immediata. Sebbene nella maggior parte dei casi il recupero visivo sia completo e rapido, gli errori intraoperatori – in particolare la lesione del cristallino – possono determinare conseguenze serie e irreversibili sulla funzione visiva.

Una delle cause principali della lesione del cristallino durante la chirurgia della cataratta è l’esecuzione errata della capsuloressi, cioè il taglio circolare della capsula anteriore che consente di accedere al nucleo opacizzato. Se la manovra è troppo aggressiva, mal centrata o condotta con strumenti inadeguati, può causare una rottura capsulare che si estende alla parte posteriore, compromettendo la tenuta del sacco capsulare dove dovrebbe essere impiantata la nuova lente intraoculare (IOL). Questa lesione può impedire il corretto posizionamento della IOL, oppure comportarne la dislocazione nel vitreo.

Un altro errore tecnico è legato alla fase di facoemulsificazione, in cui si utilizza un dispositivo ad ultrasuoni per frantumare e aspirare la cataratta. Se l’energia utilizzata è eccessiva, o se la sonda viene manovrata con troppa forza, può verificarsi una lesione della zona capsulare posteriore o della lente stessa, con fuoriuscita del materiale del cristallino nella cavità vitreale. Ciò rende l’intervento molto più complesso e comporta spesso la necessità di una vitrectomia d’urgenza per evitare complicanze gravi come infiammazione intraoculare, edema maculare o distacco della retina.

In alcuni casi, il chirurgo sottovaluta la presenza di condizioni predisponenti, come la pseudoesfoliatio capsulare, il lussamento zonulare, la cataratta traumatica o il cristallino ipermaturo. In queste situazioni, la stabilità della lente è già compromessa e manovre anche minimamente invasive possono determinare la rottura del sacco capsulare o la dislocazione dell’intera lente. Se queste condizioni non vengono diagnosticate prima dell’intervento, il chirurgo si troverà impreparato ad affrontare una situazione complessa con gli strumenti e le competenze necessarie.

Altro errore frequente è l’impianto forzato della lente intraoculare in un sacco capsulare già danneggiato. Alcuni operatori, per non cambiare il tipo di IOL o per non complicare l’intervento con tecniche secondarie, tentano comunque l’impianto in condizioni non ideali. Questo può causare una ulteriore lacerazione capsulare, sublussazione della lente o un’infiammazione post-operatoria importante. Nei casi più gravi, è necessario un secondo intervento per la rimozione della lente dislocata e il reimpianto secondario con tecniche alternative.

La lesione del cristallino può avvenire anche durante manovre collaterali, come la paracentesi corneale, l’irrigazione-aspirazione o l’iniezione di viscoelastico. In mani non esperte o in caso di movimenti bruschi, lo strumento chirurgico può perforare involontariamente la capsula, innescando un effetto a catena di complicanze intraoperatorie. Anche il malfunzionamento degli strumenti o la loro inadeguata preparazione possono contribuire a generare traumi diretti al cristallino.

Esistono inoltre casi in cui il danno non viene riconosciuto tempestivamente durante l’intervento. Se il chirurgo non nota la rottura capsulare o la dislocazione della lente, il paziente può manifestare nei giorni successivi una significativa riduzione della vista, dolore, ipotonia o infiammazione. In assenza di una diagnosi rapida, il materiale cristallinico disperso può indurre una risposta infiammatoria severa, chiamata facolisi, o una uveite da corpo estraneo. A quel punto il trattamento diventa più invasivo, e la prognosi visiva si riduce sensibilmente.

Dal punto di vista medico-legale, la lesione del cristallino durante la chirurgia della cataratta è uno degli errori chirurgici più contestati in oftalmologia. I periti analizzano se il paziente è stato informato correttamente sui rischi, se l’intervento è stato eseguito da un operatore esperto, se erano presenti fattori di rischio noti, se le manovre chirurgiche sono state rispettose delle buone pratiche cliniche, e se il danno è stato gestito in modo tempestivo. Quando emergono errori tecnici, sottovalutazioni pre-operatorie o omissioni di trattamento adeguato, la responsabilità professionale è altamente probabile.

Il risarcimento può essere significativo, in quanto riguarda la perdita parziale o totale della vista, l’alterazione permanente della qualità visiva, la necessità di ulteriori interventi e il danno esistenziale legato all’invalidità visiva. Nei casi più gravi, il paziente può perdere la vista da un occhio, diventare non autosufficiente o sviluppare patologie retiniche secondarie. Anche l’impossibilità di guidare, lavorare o leggere può configurare un danno biologico rilevante.

Le linee guida oftalmologiche raccomandano che ogni intervento di cataratta venga preceduto da una valutazione attenta del rischio, con esami di imaging preoperatori, studio delle condizioni del cristallino e del segmento anteriore, e scelta della tecnica più idonea al caso specifico. In presenza di fattori predisponenti, è raccomandata la presenza di un chirurgo esperto in tecniche avanzate o la programmazione dell’intervento in centri specializzati. L’informazione al paziente deve essere chiara, completa e documentata.

In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di lesione del cristallino durante la chirurgia della cataratta sono: errori nella capsuloressi, utilizzo eccessivo di ultrasuoni, scarsa esperienza del chirurgo, sottovalutazione di condizioni oculari preesistenti, forzature nell’impianto della lente, manovre collaterali mal condotte, e ritardi nel riconoscere il danno. Errori piccoli, a volte impercettibili, ma che possono cambiare per sempre la vita visiva del paziente. E quando il rischio era prevedibile, e il danno evitabile, nessun silenzio operatorio può giustificarlo.

Quando si configura la responsabilità medica per lesione del cristallino durante chirurgia della cataratta?

La responsabilità medica per lesione del cristallino durante chirurgia della cataratta si configura ogni volta che un paziente subisce un danno visivo, strutturale o funzionale a causa di un errore tecnico compiuto nel corso dell’intervento, o per una cattiva gestione post-operatoria, o ancora per la scelta errata di tempi, strumenti o modalità chirurgiche. La cataratta è, oggi, uno degli interventi più comuni al mondo, eseguito quotidianamente in ogni ospedale, in ogni centro oculistico, spesso in modalità ambulatoriale. Ma la frequenza con cui si effettua non ne annulla la complessità. Anzi, proprio la sua apparente semplicità rischia di nascondere la necessità di precisione assoluta. Il margine d’errore è minimo. Il rischio, se non ben gestito, può essere permanente.

Il cristallino è una lente naturale dell’occhio, trasparente, mobile, responsabile della messa a fuoco. La cataratta consiste nella sua progressiva opacizzazione, che rende la visione annebbiata, sfocata, alterata. L’intervento chirurgico consiste nella sua rimozione e nella sostituzione con una lente intraoculare artificiale. Una procedura che, in mani esperte, dura pochi minuti. Ma ogni fase – dalla capsuloressi, all’aspirazione, alla frammentazione del cristallino, all’inserimento della protesi – richiede manovre millimetriche, stabilità della camera anteriore, controllo assoluto della pressione intraoculare. Quando qualcosa sfugge, il cristallino può rompersi. Frammenti possono migrare nel vitreo. Il sacco capsulare può lacerarsi. E il recupero visivo può diventare incerto, lungo, deludente.

Molti pazienti entrano in sala operatoria convinti di sottoporsi a un intervento di routine. Alcuni non sanno nemmeno cosa sia una rottura capsulare. Non conoscono i rischi. Pensano che l’intervento sia “infallibile”. E in effetti, così viene spesso descritto. Ma quando la vista non migliora, quando il dolore persiste, quando compaiono luci strane, corpi mobili, visione doppia o peggioramento della nitidezza, capiscono che qualcosa non è andato come previsto. Alcuni scoprono solo dopo settimane che il cristallino è stato danneggiato. Che frammenti sono rimasti nell’occhio. Che serve un secondo intervento. Che la lente non è stata posizionata correttamente. Che la retina ha subito trazioni. Che la pressione oculare è salita. Che il rischio di glaucoma o distacco retinico è aumentato.

In molti casi, questi eventi derivano da una tecnica troppo energica, da un uso scorretto degli ultrasuoni, da una manovra sbagliata nel momento dell’aspirazione. Altre volte è un’incisione troppo ampia a destabilizzare la camera anteriore. Oppure è il chirurgo stesso, inesperto o affrettato, a non valutare correttamente la consistenza del cristallino, la profondità della camera, la fragilità del sacco capsulare. Ogni elemento sfuggito, ogni piccola negligenza, può diventare un danno irreversibile.

Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura quando il danno al cristallino è riconducibile a un errore tecnico evitabile, oppure quando, una volta verificatasi una complicanza intraoperatoria, il paziente non viene informato, né trattato con la dovuta urgenza. Se l’evento era noto e prevedibile, eppure il chirurgo ha proseguito senza modificare la tecnica o senza convertire l’intervento, si tratta di imperizia. Se il danno è stato minimizzato, o occultato nel referto operatorio, si configura anche una violazione dell’obbligo di informazione. In ogni caso, il danno subito dal paziente deve essere correlato causalmente con l’errore commesso.

Il danno visivo può essere molto significativo. Nei casi più gravi, il paziente perde acuità visiva, sviluppa complicanze infiammatorie croniche, glaucoma secondario, edema maculare, distacco di retina. In alcuni casi, la visione non si recupera più, nemmeno con nuove chirurgie. In altri, l’occhio diventa ipotonico, dolente, con necessità di cure a vita. E anche nei casi meno estremi, il disagio psicologico è forte. Il paziente entra in sala convinto di “tornare a vedere”, ed esce con la vista compromessa. Questo genera ansia, rabbia, depressione, ritiro sociale.

Il risarcimento può essere molto elevato. Nei casi con perdita visiva permanente, le percentuali di invalidità possono superare il 30%, e i risarcimenti raggiungere cifre importanti, specie se il paziente era giovane, lavoratore, o in condizione di monovisione preesistente. Anche il danno morale e quello alla qualità della vita vengono considerati. Se il paziente ha dovuto subire un secondo intervento, terapie prolungate, lunghi periodi di malattia, il quadro peggiora. Nei casi peggiori, si riconosce anche il danno esistenziale: la perdita di autonomia, la difficoltà a guidare, a lavorare, a leggere, a vivere serenamente.

Il termine per agire è di cinque anni dalla conoscenza del danno, oppure dieci contro una struttura pubblica. È fondamentale raccogliere tutta la documentazione: consenso informato, cartella operatoria, referti oculistici pre e post-intervento, immagini OCT, campo visivo, ecografie oculari, referti specialistici. Una perizia medico-legale oculistica può dimostrare se la tecnica utilizzata era adeguata, se la complicanza poteva essere evitata, e qual è stato il danno effettivo subito dal paziente.

Per il chirurgo, ogni occhio è un mondo unico. Non è sufficiente essere abili. Serve prudenza, attenzione, aggiornamento costante. Serve anche la capacità di fermarsi, quando è il caso, di convertire una procedura, di spiegare al paziente ciò che è accaduto. Non c’è vergogna nell’ammettere una complicanza. Ma c’è colpa nel nasconderla.

In conclusione, la responsabilità medica per lesione del cristallino durante chirurgia della cataratta si configura ogni volta che un paziente perde la vista – o la fiducia – per un errore che poteva essere evitato. E quando la luce che avrebbe dovuto tornare a illuminare il mondo si spegne per mano di chi doveva curare, la giustizia deve accendersi. Con forza, con competenza, con rispetto per chi ha perso qualcosa che non si può più restituire.

Quali norme tutelano il paziente?

  • Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per inadempimento dell’obbligazione medica,
  • Art. 2043 c.c. – responsabilità extracontrattuale del medico,
  • Legge Gelli-Bianco n. 24/2017 – obbligo per il chirurgo di attenersi a linee guida validate,
  • Art. 590 c.p. – lesioni personali colpose,
  • Legge 219/2017 – obbligo del consenso informato: deve essere completo, veritiero e comprensibile.

Quali danni possono essere risarciti?

  • Danno biologico permanente (riduzione visiva, cecità, diplopia),
  • Danno estetico (strabismo secondario, lente decentrata),
  • Danno morale (sofferenza psichica e senso di ingiustizia),
  • Danno esistenziale (limitazione dell’autonomia, della guida, della lettura, della vita lavorativa),
  • Danno patrimoniale (spese per visite, terapie, occhiali speciali, protesi, riabilitazione, perdita lavorativa).

Quali sono esempi concreti di risarcimento?

  • Firenze, 2024: lesione capsulare con dislocazione di lente e perdita della vista all’occhio destro. Risarcimento: €910.000.
  • Torino, 2023: rottura della zonula e caduta del cristallino nel vitreo. Vitrectomia d’urgenza, danno irreversibile. Risarcimento: €1.050.000.
  • Bari, 2022: facoemulsificatore mal calibrato. Ustione della cornea e opacizzazione secondaria. Risarcimento: €880.000.

Come si dimostra l’errore medico?

È necessario:

  • ottenere la cartella clinica operatoria,
  • valutare le modalità di esecuzione e gestione dell’intervento (video, referti),
  • confrontare con le linee guida SOI e internazionali (AAO, ESCRS),
  • effettuare una perizia medico-legale oftalmologica,
  • dimostrare il nesso causale tra l’evento lesivo e il danno visivo.

Qual è la procedura per ottenere il risarcimento?

  1. Richiesta ufficiale della documentazione medica alla clinica oculistica,
  2. Analisi medico-legale con oftalmologo e avvocato esperto in malasanità,
  3. Valutazione dei danni visivi, morali, esistenziali e patrimoniali,
  4. Avvio della mediazione obbligatoria,
  5. Se necessario, azione civile o penale per lesioni colpose gravi.

Quali sono i termini per agire?

  • 10 anni per azione contro la struttura sanitaria (responsabilità contrattuale),
  • 5 anni contro il singolo medico (responsabilità extracontrattuale),
  • 6 anni per lesioni colpose, fino a 12 anni in caso di danni aggravati,
  • La prescrizione decorre dal momento in cui il paziente ha piena consapevolezza del danno e della sua origine clinica.

Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni da errori chirurgici oftalmologici, in particolare:

  • lesioni intraoperatorie del cristallino, della capsula e del vitreo,
  • impianti mal posizionati o interventi eseguiti in condizioni inadatte,
  • danni visivi permanenti non trattati o sottovalutati,
  • violazioni gravi del consenso informato.

Il team lavora in sinergia con:

  • oftalmologi legali di fama nazionale,
  • medici legali esperti in valutazione del danno visivo,
  • psicologi clinici,
  • economisti forensi, per la quantificazione del danno esistenziale e professionale.

Quando l’intervento che doveva restituire la vista finisce per distruggerla, il risarcimento diventa una forma minima ma necessaria di giustizia.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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