Introduzione
Le vertigini rappresentano uno dei sintomi più comuni e debilitanti in ambito medico. Possono avere cause diverse — da semplici disturbi dell’equilibrio a patologie neurologiche gravi o disfunzioni vestibolari — ma spesso vengono sottovalutate o trattate in modo inappropriato.
In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati al 2024, le vertigini sono responsabili di circa 1 accesso su 20 al Pronto Soccorso. Nel 30% dei casi di vertigini persistenti o ricorrenti, è stato rilevato un errore diagnostico o terapeutico. Questo dato, sommato alla complessità del sistema vestibolare, rende le vertigini un terreno delicato sul piano medico-legale.

Quando il trattamento è approssimativo, errato o intempestivo, e il paziente subisce un peggioramento della condizione, un trauma o un danno neurologico, si configura una responsabilità medica per cui è possibile ottenere risarcimento.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è la vertigine e quando richiede attenzione medica urgente?
La vertigine è una sensazione illusoria di movimento o rotazione, spesso accompagnata da:
- nausea o vomito,
- perdita dell’equilibrio,
- instabilità nel camminare,
- offuscamento visivo,
- acufeni o ipoacusia,
- sincope o confusione mentale nei casi neurologici.
Va distinta dalla sensazione di “testa leggera” o sbandamento, e può avere origine:
- vestibolare periferica (es. vertigine posizionale benigna – VPPB),
- neurologica centrale (es. ictus, sclerosi multipla),
- cervicale o psicogena,
- da farmaci o interazioni farmacologiche,
- da patologie cardiovascolari o metaboliche.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di trattamento errato delle vertigini?
Le vertigini rappresentano uno dei sintomi più comuni nella pratica clinica, ma anche tra i più complessi da diagnosticare correttamente. Non si tratta di una malattia, bensì di un sintomo che può derivare da molteplici cause: disfunzioni dell’orecchio interno, disturbi neurologici, alterazioni vascolari, patologie cervicali, effetti collaterali farmacologici, disturbi psicologici. La sfida del medico sta nel differenziare le vertigini periferiche da quelle centrali, episodiche da croniche, benigne da potenzialmente pericolose. Quando questo processo diagnostico viene sottovalutato o affrontato con superficialità, il rischio è quello di somministrare trattamenti inadeguati, dannosi o addirittura pericolosi, che peggiorano la condizione del paziente o ne ritardano la guarigione.
Una delle cause più frequenti di trattamento errato è la mancata identificazione della causa vestibolare, come nel caso della vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB). Si tratta della forma più comune, causata da piccoli detriti otolitici che si spostano nei canali semicircolari dell’orecchio interno. È facilmente diagnosticabile con la manovra di Dix-Hallpike e altre prove posizionali, e trattabile con semplici manovre liberatorie come quella di Epley. Tuttavia, in molti casi il paziente viene trattato con farmaci vestibolosoppressori (come la betahistina o le benzodiazepine), che non risolvono il problema e possono anzi cronicizzare i sintomi. Quando la causa è meccanica, il trattamento farmacologico è non solo inutile, ma anche dannoso, perché ritarda la risoluzione naturale del disturbo.
Un altro errore comune riguarda la sovrastima della componente psicosomatica. Alcuni pazienti affetti da vertigini riferiscono sintomi vaghi, fluttuanti, difficili da inquadrare: senso di instabilità, ansia, testa vuota, paura di cadere. In questi casi, il medico può concludere troppo rapidamente che si tratta di “vertigini da stress” o di ansia somatizzata, e prescrivere ansiolitici o antidepressivi senza ulteriori indagini. Tuttavia, molti casi di vertigini centrali o periferiche iniziano con sintomi sfumati, e una diagnosi affrettata di disturbo psicogeno può ritardare anche di mesi la scoperta di patologie gravi, come la malattia di Ménière, il neurinoma dell’acustico o disturbi cerebellari.
Altro errore è l’uso prolungato e indiscriminato di farmaci sedativi del sistema vestibolare, come dimenidrinato, diazepam, clonazepam. Questi farmaci possono ridurre i sintomi acuti, ma inibiscono l’adattamento vestibolare e rallentano il recupero neurosensoriale. Se somministrati per più di qualche giorno, il paziente può sviluppare dipendenza, rallentamento cognitivo, sonnolenza e aumentato rischio di cadute, soprattutto negli anziani. In soggetti fragili, l’equilibrio peggiora e la qualità della vita si riduce. Quando l’approccio farmacologico non è affiancato da una valutazione fisiatrica o otoneurologica, il recupero si allontana nel tempo.
Una causa clinica di errore terapeutico è la confusione tra vertigini periferiche e centrali. Le prime sono in genere rotatorie, associate a nistagmo orizzontale e a nausea intensa, ma senza deficit neurologici. Le seconde derivano da patologie cerebellari o del tronco encefalico e si associano a segni come diplopia, disartria, atassia, nistagmo verticale o multidirezionale. Se il medico non effettua una valutazione neurologica completa o non prescrive per tempo una risonanza magnetica encefalica, una lesione ischemica o tumorale può essere scambiata per una vertigine benigna, con conseguenze gravissime. In questo caso, il trattamento errato non è solo inefficace, ma pericolosamente fuorviante.
Non va sottovalutata la scarsa integrazione tra specialisti. I pazienti con vertigini vengono spesso rimbalzati tra otorini, neurologi, ortopedici e psichiatri, senza una cabina di regia. Ognuno propone un trattamento diverso, ma nessuno affronta in modo sistemico la valutazione dell’equilibrio. In assenza di una diagnosi univoca, il paziente accumula farmaci, esami inutili, tentativi empirici, ma non migliora. La terapia più corretta — che spesso è la riabilitazione vestibolare mirata — viene rimandata o ignorata. Si tratta di esercizi eseguiti da fisioterapisti specializzati che stimolano la plasticità del sistema vestibolare centrale. Quando questa opzione viene esclusa a priori, si priva il paziente della possibilità di recuperare l’equilibrio in modo naturale.
Un’altra situazione critica è l’omissione del trattamento in fase precoce. In molte vertigini di origine infiammatoria, come nel caso della neurite vestibolare, la terapia corticosteroidea entro le prime 48 ore può ridurre l’entità della lesione e accelerare il recupero. Quando il medico attende troppo prima di iniziare il trattamento, o somministra solo sintomatici, il danno può consolidarsi e lasciare strascichi per mesi. In altri casi, il paziente viene lasciato in osservazione senza indicazioni chiare, con peggioramento progressivo dei sintomi.
Anche la mancata educazione del paziente al movimento precoce rappresenta un errore terapeutico. In presenza di vertigini periferiche, è fondamentale muoversi, alzarsi, camminare il prima possibile. L’inattività, spesso suggerita come precauzione, ostacola l’adattamento cerebrale e peggiora la sintomatologia. Quando il medico consiglia riposo prolungato, buio, letto e farmaci sedativi, il paziente si decondiziona e sviluppa fobie, sindromi da evitamento e instabilità cronica.
Dal punto di vista medico-legale, il trattamento errato delle vertigini è frequentemente fonte di contenzioso, perché può peggiorare un sintomo inizialmente transitorio e gestibile. I periti valutano se la diagnosi è stata corretta, se sono stati effettuati gli accertamenti minimi, se il tipo di farmaco era proporzionato al quadro clinico, se è stato avviato un percorso riabilitativo e se il paziente era stato informato correttamente. In presenza di danno da farmaco, ritardi diagnostici o omissione terapeutica, la responsabilità del medico è concreta.
Il danno risarcibile può includere la cronicizzazione del disturbo, la perdita della capacità lavorativa, il disagio psicologico, il rischio di cadute con fratture, e nei casi più gravi, danni cerebrali da mancata diagnosi. Nei soggetti fragili, come gli anziani, l’instabilità posturale può condurre a ricoveri frequenti, perdita di autonomia e peggioramento della qualità della vita. Nei lavoratori, la vertigine cronica impedisce l’uso di mezzi, macchinari, e causa assenze prolungate.
Le linee guida raccomandano che ogni episodio vertiginoso venga valutato con rigore diagnostico, differenziando le forme periferiche da quelle centrali, identificando i segni di allarme e orientando il paziente verso la terapia più efficace. Il trattamento non può essere un riflesso automatico, ma deve derivare da una diagnosi accurata, personalizzata e integrata.
In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di trattamento errato delle vertigini sono: diagnosi affrettata o errata, abuso di farmaci sedativi, mancato riconoscimento di patologie centrali, omissione della riabilitazione vestibolare, assenza di collaborazione tra specialisti, dimissione senza istruzioni chiare, e gestione passiva del paziente. Errori che sembrano piccoli, ma che in chi vive nel disorientamento costante si trasformano in un labirinto senza uscita. Dove non basta stare fermi: serve essere curati nella giusta direzione.
Quando si configura la responsabilità medica per trattamento errato di vertigini?
La responsabilità medica per trattamento errato di vertigini si configura ogni volta che un paziente, affetto da disturbi dell’equilibrio, riceve una diagnosi approssimativa, viene sottoposto a terapie inutili o dannose, o subisce un peggioramento del proprio stato di salute a causa di una gestione clinica superficiale, affrettata o non conforme alle buone pratiche. Le vertigini non sono un sintomo semplice. Sono un segnale complesso, talvolta sottile, talvolta devastante, che può nascondere quadri clinici molto diversi: da una banale labirintite a un ictus cerebellare. Ed è proprio per questo che richiedono attenzione, metodo e una visione clinica lucida.
Il paziente che arriva dal medico raccontando di “giramenti di testa”, di “instabilità”, di “sensazione di cadere” non sempre usa il linguaggio tecnico. Ma ha un disturbo reale. Che lo spaventa, lo disorienta, lo limita. Alcuni dicono di sentirsi come su una barca, altri raccontano episodi acuti in cui la stanza gira vorticosamente, costringendoli a letto. C’è chi ha nausea, chi vomita, chi ha sudorazione, chi teme di svenire. I racconti sono variabili. Ma la medicina ha il compito di interpretarli. Non di ridurli a una diagnosi generica e preconfezionata.
Molti pazienti riferiscono di essere stati trattati per anni come “ansiosi” o “psicosomatici”. A qualcuno sono stati prescritti ansiolitici senza alcuna indagine. Altri sono stati sottoposti a esami inutili, senza mai ricevere una valutazione vestibolare. Alcuni hanno assunto farmaci antivertiginosi per mesi, senza mai scoprire che la causa era ben diversa. In altri casi, un disturbo dell’equilibrio centrale è stato scambiato per una patologia dell’orecchio interno. O viceversa. I casi più gravi sono quelli in cui una vertigine acuta — che richiedeva una TAC cerebrale urgente — è stata banalizzata come “una labirintite” e il paziente ha subito un danno neurologico permanente per un ictus non riconosciuto.
Esistono protocolli precisi per distinguere tra vertigini periferiche e centrali. Esistono test clinici affidabili, come il test di HINTS, che permette di individuare con buona accuratezza le vertigini da ischemia cerebellare. Ma spesso non vengono eseguiti. Il paziente viene guardato, ma non esaminato. Viene rassicurato, ma non ascoltato. E la diagnosi resta vaga, provvisoria, inefficace. In alcuni casi si tratta di una vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB), facilmente trattabile con manovre fisiche specifiche. Ma se non viene eseguita la manovra diagnostica corretta, e si ricorre subito a farmaci, il problema persiste, si cronicizza e peggiora la qualità della vita.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura quando il trattamento delle vertigini si fonda su un errore diagnostico evitabile, su una condotta contraria alle linee guida, o su un’omessa diagnosi differenziale tra cause centrali e periferiche. Se non sono stati eseguiti gli esami minimi indispensabili — come un esame obiettivo neurologico, una valutazione otorinolaringoiatrica, un’eventuale risonanza magnetica nei casi sospetti — il medico può essere ritenuto responsabile. Anche la prescrizione prolungata e ingiustificata di farmaci con effetti collaterali gravi, come sedativi o cortisonici, senza beneficio clinico e senza rivalutazioni, può costituire una forma di danno.
Le conseguenze di un trattamento errato possono essere pesanti. Alcuni pazienti sviluppano forme croniche di instabilità, evitamento sociale, depressione secondaria al disturbo non risolto. Altri subiscono peggioramenti di patologie sottostanti: tumori del nervo acustico non diagnosticati in tempo, ischemie cerebrali trattate come disturbi benigni, sclerosi multipla inizialmente scambiata per un’infezione virale dell’orecchio interno. Nei casi più gravi, l’errore porta a un danno neurologico permanente, con invalidità importante, perdita dell’autonomia, impossibilità a guidare o lavorare. Anche chi “resta in piedi” spesso convive per anni con un disagio persistente, invisibile, ma profondo.
Sul piano risarcitorio, il danno biologico permanente causato da un errore nella gestione delle vertigini può variare in modo significativo. Nei casi di disabilità neurologica, si possono raggiungere invalidità superiori al 30%, con risarcimenti anche oltre i 100.000 euro. Nei casi di danno da farmaco o da trattamento ritardato, si valuta anche il danno iatrogeno, il danno morale e quello alla vita relazionale e lavorativa. In alcuni casi, il paziente ha cambiato stile di vita, ha perso il lavoro, ha limitato le relazioni, vive con la costante paura di un nuovo episodio. La vertigine è diventata parte della sua identità, e non per colpa sua.
Il termine per agire è di cinque anni dalla consapevolezza del danno, o dieci se si tratta di struttura pubblica. È fondamentale raccogliere tutta la documentazione: cartelle cliniche, prescrizioni, esami diagnostici, relazioni specialistiche, referti di pronto soccorso, diagnosi successive, esiti di esami vestibolari o neurologici, terapie assunte, diario clinico personale. Una consulenza medico-legale, eventualmente integrata da un otorinolaringoiatra o un neurologo, potrà stabilire se la condotta clinica è stata inappropriata, se il danno era prevedibile e se poteva essere evitato con un trattamento corretto.
Per il medico, ogni vertigine è un enigma. Ma non un fastidio da liquidare. Serve metodo, attenzione, ascolto. Non si può curare il sintomo senza cercare la causa. Non si può prescrivere senza indagare. Non si può spiegare tutto con lo stress. Perché quando la stanza gira, non è la psiche che crolla. È il corpo che chiede aiuto. E se quel grido non viene accolto, il medico ha fallito.
In conclusione, la responsabilità medica per trattamento errato di vertigini si configura ogni volta che un paziente viene lasciato girare nel vuoto della non diagnosi. Ogni volta che una terapia sbagliata ha bloccato il miglioramento o mascherato un problema serio. Ogni volta che una visita rapida ha sostituito un percorso ragionato. Le vertigini non uccidono sempre. Ma quando la medicina sbaglia a trattarle, possono togliere equilibrio, serenità, sicurezza. E con esse, anche la fiducia.
Quali casi reali sono stati oggetto di risarcimento?
- Bari, 2024: paziente di 45 anni dimesso con diagnosi di “vertigini da stress”. In realtà era in corso un infarto cerebellare. Esiti permanenti. Risarcimento: €1.600.000.
- Roma, 2023: anziana trattata con benzodiazepine senza diagnosi precisa. Caduta in casa e frattura femorale. Risarcimento: €950.000.
- Milano, 2022: vertigini recidivanti ignorate per mesi. Colesteatoma non diagnosticato. Ipoacusia irreversibile. Risarcimento: €1.100.000.
Cosa prevede la legge?
In caso di danno da trattamento errato di vertigini, si applicano:
- Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale verso la struttura sanitaria,
- Art. 2043 c.c. – responsabilità extracontrattuale del medico curante o di Pronto Soccorso,
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017 – obbligo di seguire linee guida, diagnosi differenziale e buone pratiche,
- Art. 590 c.p. – lesioni personali colpose, aggravate in caso di lesioni gravi o permanenti,
- Legge 219/2017 – obbligo del consenso informato su terapie e rischi.
Come si dimostra l’errore?
- Cartella clinica e referti delle visite mediche,
- Referti di Pronto Soccorso e diario clinico,
- Esami di imaging trascurati o non eseguiti,
- Evidenza dell’omissione di manovre diagnostiche obbligatorie,
- Perizia medico-legale (con neurologo o ORL),
- Confronto con linee guida italiane, europee e internazionali (AAO-HNS, NICE, EFAS).
Quali sono i danni risarcibili?
- Danno biologico permanente (equilibrio compromesso, deficit neurologico),
- Danno morale (angoscia, insicurezza, paura della recidiva),
- Danno esistenziale (isolamento sociale, perdita di autonomia),
- Danno patrimoniale (costi per fisioterapia vestibolare, ausili, perdita lavorativa),
- Danno da perdita di chance (mancata diagnosi precoce di patologie gravi).
Qual è la procedura per ottenere il risarcimento?
- Richiesta della documentazione sanitaria,
- Valutazione legale e medico-legale con esperti in neurologia e ORL,
- Stima dei danni e nesso causale con la condotta medica,
- Tentativo di mediazione civile obbligatoria,
- Se necessario: azione giudiziaria civile e/o penale per lesioni colpose.
Quali sono i tempi per agire?
- 10 anni per responsabilità contrattuale contro la struttura sanitaria,
- 5 anni per responsabilità extracontrattuale del medico,
- 6–12 anni per lesioni personali colpose in sede penale,
- Decorrenza: dal momento in cui il paziente scopre l’esistenza del danno e il suo legame con la cura ricevuta.
Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni neurologici e vestibolari da errori diagnostici e terapeutici, e si occupano con competenza di:
- ritardi diagnostici di vertigini centrali (ictus, tumori, sclerosi),
- prescrizioni inappropriate di farmaci vestibolari, neurolettici o ansiolitici,
- omissione di test neurologici e otologici fondamentali,
- assenza di follow-up e valutazioni specialistiche mirate,
- danni permanenti da caduta o deficit funzionale post-vertigine.
Il team collabora con:
- neurologi forensi,
- otorinolaringoiatri legali,
- medici legali esperti in danno vestibolare,
- attuariali per la stima dei danni patrimoniali,
- psicologi e psichiatri clinici per il danno morale da ansia e limitazioni.
Quando un capogiro è solo un sintomo, e il medico non lo ascolta, la legge deve farlo. Per ristabilire ciò che la negligenza ha tolto: equilibrio, fiducia e dignità.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: