Introduzione
L’intervento chirurgico, per sua natura, comporta sempre un margine di rischio. Ma esistono procedure standardizzate, controlli, tecniche e verifiche che servono proprio ad evitare complicazioni gravi. Tra queste, una delle più importanti è l’emostasi, ossia il blocco del sanguinamento durante e dopo l’atto chirurgico.
Quando l’emostasi è insufficiente o del tutto assente, il sangue può continuare a fluire in zone dove non dovrebbe, come la cavità epidurale del cranio. È qui che può formarsi un ematoma epidurale, una raccolta di sangue che, accumulandosi tra il cranio e la dura madre, comprime il cervello e mette in pericolo la vita del paziente.
Se l’ematoma non viene riconosciuto e trattato immediatamente, può portare a danni neurologici permanenti o addirittura alla morte.

In molti casi, la causa dell’ematoma non è un evento imprevedibile, ma un errore evitabile: una cauterizzazione mancata, un vaso non legato, un monitoraggio post-operatorio superficiale. Ecco perché, in queste situazioni, la responsabilità medica può essere dimostrata e il danno risarcito.
Questo articolo risponde a tutte le domande fondamentali: Cos’è un ematoma epidurale? Quali sono le responsabilità in caso di mancata emostasi? Come si manifesta un errore? Come si ottiene giustizia? Nella parte finale analizziamo il ruolo e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è un ematoma epidurale?
L’ematoma epidurale è una raccolta di sangue tra il cranio e la dura madre. La sua formazione provoca una pressione crescente sul cervello, che può determinare:
- Alterazione dello stato di coscienza
- Crisi epilettiche
- Emiparesi
- Difficoltà respiratorie
- Morte cerebrale
La causa può essere traumatica (caduta, incidente) o chirurgica, in caso di emostasi mal eseguita.
Quando si verifica un ematoma da mancata emostasi?
Durante un intervento chirurgico sul cranio o in prossimità del sistema nervoso centrale, è necessario bloccare con precisione ogni fonte di sanguinamento. Se un vaso viene lesionato e non controllato, il sangue continua a fluire in modo nascosto.
Un errore tecnico, un controllo superficiale prima della chiusura, l’assenza di drenaggio o il mancato monitoraggio post-operatorio sono tra le principali cause di formazione dell’ematoma.
Quali sono i segnali d’allarme?
- Forte cefalea nelle ore successive all’intervento
- Vomito improvviso e incoercibile
- Sonno eccessivo o difficoltà a svegliarsi
- Confusione mentale o disorientamento
- Difficoltà a muovere gli arti
- Crisi epilettiche
- Diminuzione della frequenza respiratoria
Sono tutti segnali neurologici che richiedono l’immediata esecuzione di una TAC.
Quali errori commette il medico?
- Non chiude correttamente un vaso sanguinante
- Non esegue il controllo finale dell’emostasi
- Non posiziona drenaggi adeguati
- Dimette il paziente prematuramente
- Ignora i sintomi neurologici post-operatori
In questi casi la responsabilità medica può essere evidente.
Cosa dice la legge?
- Art. 2236 c.c. – Il medico risponde anche per colpa lieve se l’intervento non è di particolare difficoltà.
- Art. 2043 c.c. – Chi causa un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo.
- Legge 24/2017 (Legge Gelli-Bianco) – Obbligo di diligenza, tracciabilità e rispetto delle linee guida cliniche.
Quali danni può subire il paziente?
- Danno neurologico permanente
- Perdita dell’autonomia personale
- Epiletticità post-operatoria
- Perdita della capacità lavorativa
- Danno estetico e psicologico
- Morte, con diritto al risarcimento dei familiari
Quanto può essere il risarcimento?
- Ematoma con danno neurologico lieve: 25.000 – 50.000 euro
- Ematoma con danno permanente medio-grave: 80.000 – 250.000 euro
- Caso di morte per omessa diagnosi: fino a 600.000 euro tra danno iure proprio e danno iure hereditatis
Esempi reali?
Uomo di 47 anni, sottoposto a rimozione di meningioma. Dopo 12 ore sviluppa cefalea e afasia. La TAC evidenzia ematoma epidurale da vaso non chiuso. Intervento d’urgenza, ma restano deficit motori permanenti. Risarcimento: 210.000 euro.
Donna di 35 anni, dimessa dopo intervento in neurochirurgia. Non eseguita TAC post-operatoria. Muore due giorni dopo per erniazione cerebrale da ematoma non drenato. Risarcimento ai familiari: 480.000 euro.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ematoma epidurale da mancata emostasi?
L’ematoma epidurale è un accumulo di sangue tra la dura madre e il tavolato interno del cranio. È una delle complicanze neurochirurgiche più gravi, potenzialmente fatale, che può insorgere dopo un trauma cranico, un intervento neurochirurgico o, più raramente, dopo una procedura invasiva sul cranio come il posizionamento di viti o drenaggi. Ma in diversi casi, l’ematoma epidurale non è il risultato di una causa esterna o imprevedibile: è l’esito diretto di una mancata emostasi intraoperatoria. Il sangue non avrebbe dovuto accumularsi. L’intervento avrebbe dovuto concludersi con un controllo accurato di ogni possibile punto di sanguinamento. Ma qualcosa è andato storto. Cosa? Quali sono gli errori più frequenti che portano a un’emorragia epidurale evitabile?
La prima causa è la più evidente: una cauterizzazione incompleta dei vasi durante la procedura. In particolare, durante una craniotomia, le arterie meningee e i vasi venosi emissari che decorrono tra dura madre e osso possono essere recisi o danneggiati. Se il chirurgo non esegue una coagulazione precisa, o se non controlla attentamente il sanguinamento residuo prima della chiusura, anche una piccola perdita ematica può continuare nel post-operatorio. Il sangue, senza via di fuga, si accumula sotto pressione, separando lentamente la dura dall’osso e comprimendo il cervello. L’aumento della pressione intracranica non è immediato, ma può essere rapido e devastante.
Altro errore tecnico è la chiusura affrettata del campo operatorio. In alcuni casi, soprattutto quando l’intervento si prolunga, l’équipe accelera le fasi finali per contenere tempi chirurgici o ridurre l’esposizione del campo sterile. Ma chiudere senza un’ultima ispezione attenta del sito, senza tamponamento, senza testare il sanguinamento con manovre di Valsalva o irrigazione, espone il paziente al rischio concreto che un’emorragia si sviluppi una volta concluso l’intervento. In alcuni casi, l’ematoma viene scoperto solo quando il paziente, in fase di risveglio, mostra segni di deterioramento neurologico improvviso. In altri, si manifesta nel giro di poche ore con pupilla dilatata, ipertensione endocranica, coma.
Una causa non trascurabile è l’utilizzo errato di materiale emostatico. Esistono garze, spugnette, agenti coagulanti pensati per fermare il sangue nei siti difficili da raggiungere. Ma se questi materiali non vengono posizionati correttamente, o se vengono lasciati in sede in quantità eccessive, possono non solo risultare inefficaci, ma addirittura creare una falsa sicurezza. Il chirurgo, convinto di aver controllato l’emorragia, conclude l’intervento. Ma il materiale non funziona come previsto, o viene spostato da un movimento successivo. Il risultato è un sanguinamento nascosto, silenzioso, che cresce sotto il lembo osseo.
Un’altra responsabilità, spesso condivisa, è la scarsa comunicazione tra chirurgo e anestesista. La pressione arteriosa, durante un intervento, può essere volutamente tenuta bassa per ridurre il sanguinamento. Tuttavia, questo maschera eventuali punti di fuoriuscita di sangue. Se, a fine intervento, la pressione torna ai valori normali senza che il chirurgo abbia verificato il sito in condizioni emodinamiche stabili, il rischio che un vaso “silente” riprenda a sanguinare è altissimo. Il paziente esce dalla sala operatoria apparentemente stabile, ma nel giro di un’ora sviluppa un’emorragia compressiva. Il tempo per intervenire, a quel punto, è limitato.
A volte, l’ematoma epidurale non viene diagnosticato in tempo per un’altra ragione: il paziente non viene monitorato in modo adeguato nel post-operatorio. I controlli neurologici dovrebbero essere frequenti, precisi, costanti. Ma in alcune strutture, per carenza di personale o banalizzazione del rischio, si salta il controllo pupillare, si ritardano i controlli TAC, si minimizzano i segnali di allarme. Un lieve rallentamento, una sonnolenza, un episodio di vomito possono essere considerati normali effetti dell’anestesia. E così, mentre l’ematoma cresce, il cervello viene compresso senza che nessuno lo veda.
Un’altra causa, molto meno discussa ma altrettanto determinante, è l’inadeguata formazione dei chirurghi junior o dei medici in formazione. In alcune équipe, le fasi di emostasi vengono delegate ai più giovani, mentre il chirurgo esperto si occupa dell’asportazione o della fase centrale dell’intervento. Se il tutor non verifica di persona ogni punto emorragico, se non supervisiona la chiusura, il rischio di errore aumenta. L’accuratezza richiesta in neurochirurgia non ammette scorciatoie. Un piccolo ramo venoso dimenticato può causare un danno cerebrale permanente.
Ci sono anche responsabilità legate alla documentazione incompleta o imprecisa dell’intervento. Se il report operatorio non descrive in modo chiaro i punti sanguinanti, i materiali utilizzati, i tempi della coagulazione, diventa difficile per il team post-operatorio sapere cosa monitorare. In caso di complicanza, nessuno riesce a capire se si trattava di un rischio previsto o di un evento inatteso. E spesso, la mancanza di informazioni genera ritardi decisivi. Un paziente che potrebbe essere salvato con un drenaggio tempestivo muore perché non si è capito in tempo cosa stesse accadendo nel suo cranio.
Il quadro clinico, in caso di ematoma epidurale da mancata emostasi, è quasi sempre drammatico. Il paziente inizia a mostrare segni di irritazione corticale, agitazione, mal di testa intenso. Poi arriva la nausea, il vomito, l’alterazione del sensorio. Se il sangue continua ad accumularsi, la pressione intracranica aumenta, la pupilla si dilata, l’erniazione del parenchima cerebrale è imminente. Il tempo per intervenire si misura in minuti. Se si agisce subito, si può drenare il sangue, decomprimere il cervello, salvare la vita e le funzioni neurologiche. Se si esita, il danno è irreversibile.
Quando la complicanza si verifica, spesso la famiglia del paziente riceve spiegazioni vaghe. Si parla di “sanguinamento imprevisto”, di “complicanza nota”, di “evento acuto”. Ma raramente viene spiegato che il sangue non sarebbe dovuto esserci, che sarebbe bastato un controllo più accurato, una coagulazione più attenta, una TAC più precoce. L’ematoma epidurale da mancata emostasi non è un rischio inevitabile. È una falla nella catena della precisione chirurgica. Una dimenticanza che si trasforma in tragedia.
Le conseguenze, per il paziente e per i familiari, sono spesso devastanti. Se sopravvive, può riportare deficit motori, alterazioni cognitive, paralisi, epilessia, afasia. Nei casi più gravi, entra in stato vegetativo. E in troppi casi, non sopravvive. La morte cerebrale può avvenire in poche ore. E la domanda che tutti si pongono – “si poteva evitare?” – rimane spesso senza risposta. Ma chi conosce la medicina sa che nella maggior parte dei casi, sì: si poteva evitare.
Servono attenzione, lentezza, controllo, supervisione. La neurochirurgia è una disciplina in cui ogni dettaglio conta. Non basta il gesto tecnico. Serve anche cultura del rischio, capacità di prevedere, disciplina mentale. Il paziente affida il proprio cervello alle mani del chirurgo. E il chirurgo ha il dovere di restituirglielo intatto.
Quando si configura la responsabilità medica per ematoma epidurale da mancata emostasi?
La responsabilità medica per ematoma epidurale da mancata emostasi si configura ogniqualvolta il versamento ematico, insorto dopo un intervento chirurgico o un trauma, sia riconducibile non a una complicanza imprevedibile ma a un errore tecnico, a una negligenza nella gestione intraoperatoria del sanguinamento o a un’omissione nella sorveglianza post-operatoria. L’ematoma epidurale è una raccolta di sangue che si forma tra la dura madre e la teca cranica, spesso rapidamente evolutiva, capace di esercitare una pressione crescente sul tessuto cerebrale. Se non diagnosticata e trattata tempestivamente, questa condizione può portare in breve tempo a un deterioramento dello stato neurologico, fino al coma e alla morte. Ma l’ematoma, quando insorge dopo una procedura chirurgica, ad esempio una craniotomia o una biopsia cerebrale, non è sempre frutto di una complicanza ineliminabile: può essere la diretta conseguenza di una mancata emostasi, ovvero dell’incapacità o della negligenza del chirurgo nel controllare le fonti di sanguinamento durante l’intervento.
Durante ogni procedura neurochirurgica, il controllo dell’emostasi è una priorità assoluta. L’ambiente intracranico non tollera accumuli ematici: anche piccoli sanguinamenti venosi o arteriosi, se non adeguatamente arrestati, possono accumularsi rapidamente nello spazio epidurale e provocare una compressione che altera l’omeostasi del parenchima cerebrale. Se il chirurgo omette di identificare un punto di sanguinamento, se non applica correttamente coaguli, clip, cere emostatiche o se affretta la chiusura senza verificare l’assenza di fonti attive di sangue, si rende responsabile di una condotta imperita, perché infrange le buone pratiche della chirurgia cranica. La verifica dell’emostasi completa è obbligatoria: nessun margine può essere lasciato all’approssimazione.
La responsabilità diventa ancora più grave quando il paziente, dopo l’intervento, inizia a manifestare segni neurologici evidenti e questi vengono sottovalutati. Cefalea intensa, anisocoria, riduzione dello stato di coscienza, emiparesi, vomito improvviso, rallentamento del respiro: sono segnali che, soprattutto se compaiono entro le prime ore dalla procedura, devono allertare il personale sanitario e condurre immediatamente all’esecuzione di una TAC cranica di controllo. Se invece questi sintomi vengono ignorati, attribuiti a un generico “risveglio difficile” o a una reazione all’anestesia, il ritardo nella diagnosi dell’ematoma peggiora drasticamente la prognosi. Ogni minuto perso può significare milioni di neuroni compromessi e una chance in meno per il paziente.
Anche in fase post-operatoria, la mancata vigilanza infermieristica o medica contribuisce a determinare la responsabilità. Il monitoraggio neurologico dopo un intervento cranico deve essere serrato, con valutazioni orarie del Glasgow Coma Scale, rilevazioni frequenti della pressione arteriosa, controllo delle pupille, degli arti, del linguaggio. Se queste misurazioni vengono saltate, registrate con superficialità o non comunicate al medico, e il paziente peggiora senza che nessuno se ne accorga, la responsabilità si estende all’intero sistema di cura. Il paziente operato al cervello non può mai essere lasciato senza un controllo continuo: la sorveglianza è parte integrante dell’atto medico.
Il quadro si aggrava ulteriormente quando, anche dopo il sospetto clinico, la diagnosi radiologica dell’ematoma viene ritardata. In molti casi documentati, l’assenza di una TAC urgente o il suo rinvio per motivi logistici – assenza di personale, attesa di un neurologo, priorità assegnate ad altri pazienti – ha portato a un deterioramento neurologico irreversibile. Se il paziente va in arresto neurologico prima che si decida per un re-intervento di evacuazione, la responsabilità diventa indiscutibile. Oggi, con le tecnologie disponibili, è inaccettabile che una struttura ospedaliera non disponga di un protocollo di emergenza neurochirurgica attivo 24 ore su 24. Se l’ematoma viene evacuato troppo tardi, e il paziente sopravvive ma con danni cerebrali permanenti, il risarcimento è non solo giustificato ma dovuto.
Dal punto di vista clinico, le conseguenze di un ematoma epidurale non trattato tempestivamente sono gravi. L’aumento della pressione intracranica causa ischemia cerebrale, edema diffuso, spostamento delle strutture cerebrali, erniazione transtentoriale e morte encefalica. Anche nei casi in cui il paziente sopravvive, può riportare disabilità motorie gravi, afasia, epilessia, disturbi cognitivi, modifiche della personalità, deficit visivi e perdita dell’autonomia. Il danno non è solo biologico, ma anche esistenziale, relazionale, psicologico. E se questo danno deriva da una mancata emostasi, da un controllo approssimativo o da una gestione post-operatoria negligente, il medico – o l’intera equipe – devono risponderne.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica in caso di ematoma epidurale da mancata emostasi è di natura contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente – o i familiari in caso di decesso – devono solo dimostrare l’esistenza del rapporto sanitario e del danno subito. È il professionista a dover provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il sanguinamento o per intervenire per tempo. Se la cartella clinica è incompleta, se non vi sono appunti operatori chiari sull’emostasi, se non si documentano i controlli neurologici, o se non viene spiegato perché la TAC è stata eseguita con ritardo, la responsabilità si presume. E il risarcimento deve coprire tutte le voci: danno biologico permanente, danno patrimoniale, costi futuri per l’assistenza, danno morale e perdita di chance.
Il consenso informato non libera dalla responsabilità per negligenza chirurgica. Anche se il paziente ha firmato un modulo in cui accetta i rischi di sanguinamento, ciò non copre l’errore tecnico. Il rischio accettato è quello inevitabile, non quello causato da una chiusura frettolosa, da un’emostasi incompleta o da una sorveglianza post-operatoria inadeguata. La giurisprudenza è chiara: il modulo di consenso non protegge l’imperizia.
In conclusione, la responsabilità medica per ematoma epidurale da mancata emostasi si configura ogni volta che il versamento ematico non è stato prevenuto, non è stato controllato o non è stato diagnosticato in tempo, a causa di un comportamento colposo, superficiale o tardivo. La chirurgia cerebrale richiede perfezione, non approssimazione. E la vita del paziente non può essere messa a rischio da un dettaglio trascurato, da un punto di sanguinamento lasciato aperto, da una vigile attesa che sfocia in una tragedia. Quando ciò accade, il danno non è solo clinico: è umano, è giuridico, è etico. E merita giustizia, verità e risarcimento.
Cosa può fare l’avvocato?
- Richiedere tutta la documentazione sanitaria
- Affidare la pratica a un medico legale specializzato
- Redigere una relazione tecnico-legale
- Avviare la mediazione sanitaria obbligatoria
- Promuovere causa civile per il risarcimento del danno
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
Affrontare un caso di ematoma epidurale da mancata emostasi significa affrontare una delle forme più gravi e sottovalutate di danno da errore medico. Il rischio non è solo la perdita della salute, ma spesso della vita stessa.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità hanno maturato competenze approfondite nell’analisi di eventi avversi in ambito neurochirurgico e post-operatorio. La loro azione non si limita all’invio di una richiesta danni: si basa su una ricostruzione rigorosa del caso, con l’intervento di specialisti esperti in neurologia, neurochirurgia e medicina legale.
Ogni aspetto viene verificato:
- La tecnica chirurgica utilizzata
- Il rispetto dei protocolli operatori
- La documentazione post-intervento
- Il rispetto degli standard clinici
- L’omissione di esami fondamentali
- L’assenza di vigilanza post-operatoria
Quando viene accertata una mancata emostasi, non si tratta mai di un caso sfortunato. È quasi sempre un errore evitabile. E in quanto tale, va riconosciuto, contestato e risarcito.
Il nostro obiettivo è tutelare chi ha subito un danno che poteva e doveva essere evitato. Perché la chirurgia non può permettersi superficialità. Perché la vita dei pazienti non è una variabile. Perché la legge è dalla parte di chi ha il coraggio di chiedere giustizia.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: