Introduzione
Gli interventi chirurgici sulla colonna cervicale sono procedure delicate, spesso eseguite per trattare ernie discali, spondilosi, stenosi del canale vertebrale o instabilità vertebrali. Vengono condotti con approccio anteriore o posteriore, a seconda del problema da correggere. L’approccio anteriore, molto comune, prevede l’accesso alla colonna cervicale passando dalla parte anteriore del collo, spostando temporaneamente trachea, esofago, laringe e nervi delicatissimi.
Quando la procedura non viene eseguita con la massima attenzione anatomica, il rischio di danneggiare queste strutture è alto. Una delle conseguenze più frequenti e invalidanti è la disfagia, ovvero la difficoltà o impossibilità a deglutire, che può comparire subito dopo l’intervento oppure in forma progressiva.

La disfagia non è solo un disagio. È una limitazione grave. Chi ne soffre può avere problemi ad alimentarsi, deglutire la saliva, parlare con chiarezza. Può perdere peso, isolarsi, sviluppare infezioni respiratorie ricorrenti per aspirazione. Nei casi peggiori, è costretto a nutrirsi artificialmente.
Quando la disfagia è causata da un errore nell’accesso chirurgico, non si tratta di una semplice complicanza. È un danno iatrogeno evitabile. E chi lo subisce ha diritto a un risarcimento.
In questo articolo rispondiamo alle domande fondamentali: Cos’è la disfagia post-chirurgica? Come si manifesta? Quali sono gli errori di accesso cervicale? Come si dimostra la responsabilità medica? Quali danni si possono ottenere come risarcimento? E, infine, analizziamo le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, esperti in danni post-operatori e lesioni neurologiche.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è la disfagia e quando compare dopo un’operazione cervicale?
La disfagia è la difficoltà a deglutire cibi solidi, liquidi o anche la propria saliva. Può essere:
- Orofaringea (difficoltà a iniziare la deglutizione)
- Esofagea (ostacolo nel passaggio verso lo stomaco)
Dopo un intervento cervicale, può insorgere per:
- Danno ai nervi laringei ricorrenti
- Compressione esofagea post-operatoria
- Cicatrici o aderenze
- Dislocazione o malposizionamento di protesi
- Lesione diretta di strutture molli del collo
Quali sono i sintomi principali?
- Senso di “nodo in gola”
- Difficoltà a deglutire cibi solidi o liquidi
- Tosse durante i pasti
- Rigurgito nasale
- Perdita di peso
- Infezioni respiratorie frequenti
- Afonia o voce rauca post-operatoria persistente
Quando questi sintomi si presentano dopo un intervento cervicale, vanno indagati subito.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di disfagia post-operazione cervicale per errori di accesso?
L’intervento chirurgico alla colonna cervicale viene spesso indicato per ernie, instabilità vertebrali, stenosi del canale o patologie degenerative che comprimono il midollo spinale o le radici nervose. È una chirurgia delicata, che si esegue in una regione anatomica dove nervi, trachea, esofago, arterie e muscoli sono tutti estremamente vicini, intrecciati in spazi millimetrici. L’accesso anteriore, molto comune, consente di raggiungere i dischi vertebrali spostando delicatamente strutture vitali. Ma quando l’accesso non è eseguito con precisione assoluta, può provocare una delle complicanze più debilitanti e sottovalutate: la disfagia post-operatoria, ovvero la difficoltà a deglutire, che trasforma ogni pasto in una battaglia e ogni sorso in un rischio.
È una conseguenza tutt’altro che rara. Molti pazienti, dopo un intervento cervicale anteriore, riferiscono sensazione di corpo estraneo in gola, dolore durante la deglutizione, passaggio difficile dei cibi solidi e liquidi, tosse, rigurgito, voce alterata. Nei casi più gravi, il disturbo persiste per mesi, porta a dimagrimento, malnutrizione, infezioni respiratorie da aspirazione. Ma perché succede? Perché un intervento alla colonna dovrebbe colpire qualcosa di così fondamentale come la capacità di mangiare?
La prima causa è l’errore tecnico durante l’accesso chirurgico. Per raggiungere la colonna cervicale anteriormente, il chirurgo deve spostare lateralmente l’esofago e la trachea, separandoli con retrattori metallici o manuali. Questa manovra, se eseguita con eccessiva forza o per troppo tempo, può traumatizzare direttamente le strutture coinvolte, comprimere i nervi laringei, generare edema nei tessuti molli e provocare una disfunzione persistente del meccanismo della deglutizione. In alcuni casi, il danno non è immediato, ma emerge nei giorni successivi, quando il paziente non riesce più ad alimentarsi senza fastidi o senza rischio di soffocamento.
Una seconda causa frequente è la scarsa attenzione alla durata dell’intervento e al tempo di retrazione. Anche quando la tecnica è corretta, tenere trachea ed esofago in trazione per tempi troppo lunghi, senza pause, senza rilasciare progressivamente la pressione, aumenta il rischio di ischemia temporanea e danni ai muscoli faringei. È un errore che nasce dalla fretta, dalla volontà di concludere rapidamente, dalla sottovalutazione di cosa significa lasciare i tessuti molli schiacciati per due, tre, quattro ore. Quando il paziente si sveglia, il danno è fatto. Non deglutisce più come prima. Non ha fame. Non si fida del suo corpo.
Ci sono anche errori più profondi, legati alla scelta dell’accesso chirurgico più favorevole per il medico e non per il paziente. In pazienti con collo corto, obeso, rigido, o con anomalie vascolari, scegliere l’accesso anteriore standard senza considerare una variante più sicura può portare a complicanze. Alcuni pazienti hanno già una disfagia lieve, silente, per patologie neurologiche o reflusso. Se il chirurgo non lo indaga prima, se non lo segnala nel consenso, se non lo valuta nel bilancio rischi/benefici, la procedura peggiorerà una condizione già instabile. Il paziente entra con un fastidio e ne esce con una disabilità.
In molti casi, la causa più grave non è nell’intervento in sé, ma nell’assenza totale di diagnosi post-operatoria tempestiva. Il paziente riferisce che fatica a deglutire, che ha dolori, che tossisce mentre beve. Ma viene ignorato. Gli si dice che è normale, che è l’anestesia, che passerà. Non viene valutato da un logopedista, non viene sottoposto a videofluoroscopia, non si attiva nessun percorso nutrizionale. Alcuni vengono perfino dimessi senza sapere che stanno aspirando liquidi nei polmoni. E quando tornano, lo fanno con una polmonite ab ingestis. Non per colpa del bisturi. Ma per l’indifferenza.
C’è poi l’errore di non documentare la disfagia in modo adeguato. In molte cartelle cliniche, non c’è traccia di valutazioni della deglutizione. Nessun test, nessuna scala, nessuna osservazione sistematica. Tutto viene affidato alle parole del paziente, spesso anziano, impaurito, con difficoltà a spiegarsi. E se il paziente smette di mangiare, si pensa che sia “inappetente”. Se dimagrisce, si parla di “decadimento fisiologico”. La disfagia viene banalizzata. Ma ogni pasto è un rischio. Ogni boccone è un atto pericoloso. Ogni bicchiere può essere l’ultimo.
Talvolta, la disfagia è la conseguenza di una lesione neurologica evitabile. Il nervo laringeo ricorrente, responsabile del movimento delle corde vocali e di parte della deglutizione, può essere stirato, compresso, o lesionato durante la trazione. Alcuni pazienti escono dall’intervento con una corda vocale paralizzata. La voce è roca, il respiro faticoso, la deglutizione compromessa. Ma nessuno visita le corde con una laringoscopia. Nessuno prescrive esercizi o trattamenti di riabilitazione. Si lascia che il danno si cronicizzi, giorno dopo giorno.
Le conseguenze di una disfagia post-operatoria non trattata sono profonde. Sul piano fisico, si ha dimagrimento, malnutrizione, perdita di massa muscolare, infezioni polmonari. Sul piano psicologico, la persona evita i pasti sociali, teme di mangiare in pubblico, vive nell’ansia costante del soffocamento. Alcuni sviluppano depressione, rifiuto del cibo, isolamento. La qualità della vita si abbassa in modo drammatico. E tutto questo, dopo un intervento che doveva migliorare la situazione, non peggiorarla.
Dal punto di vista medico-legale, la disfagia post-chirurgica da errore d’accesso è una complicanza prevedibile e spesso evitabile. Non può essere liquidata come “rischio generico” se mancano le verifiche preoperatorie, se il consenso non la menziona, se l’accesso è stato eseguito senza cautela, se il paziente non è stato monitorato nei giorni successivi. Quando emerge che nessuno ha mai valutato la funzione deglutitoria, nessuno ha informato il paziente, nessuno ha consultato un logopedista, la responsabilità è evidente. Il danno non è solo un effetto collaterale. È il frutto di omissioni e di leggerezze.
Ogni struttura sanitaria che esegue interventi cervicali anteriori deve disporre di protocolli chiari per prevenire e gestire la disfagia. Devono essere effettuate valutazioni funzionali pre e post-operatorie, utilizzati retrattori atraumatici, monitorati i tempi di compressione dei tessuti molli. I pazienti devono essere informati in modo esaustivo. Il personale deve essere formato. I segnali devono essere registrati. Perché nessuno dovrebbe uscire dalla sala operatoria con il terrore di un bicchiere d’acqua.
Il paziente ha diritto a tornare a mangiare, a parlare, a respirare senza paura. E quando questo non accade, non può accettare frasi come “è normale”, “succede”, “è una complicanza”. Merita verità. Merita rispetto. Merita giustizia.
Quando si configura la responsabilità medica per disfagia post-operazione cervicale dovuta a errori di accesso chirurgico?
La responsabilità medica per disfagia post-operazione cervicale si configura ogniqualvolta la difficoltà persistente a deglutire insorta dopo un intervento al rachide cervicale sia la conseguenza diretta di un errore tecnico nell’accesso chirurgico, di una scelta non ponderata della via di esposizione o di una lesione evitabile alle strutture anatomiche coinvolte. Intervenire sulla colonna cervicale anteriore è un atto chirurgico delicatissimo: la zona è attraversata da strutture essenziali, tra cui l’esofago, la trachea, i nervi laringei ricorrenti, i muscoli faringei, le arterie carotidi e le vene giugulari. Un errore minimo nel dislocamento di questi tessuti, una trazione eccessiva, una dissezione mal condotta o un posizionamento scorretto del retrattore possono provocare danni immediati e duraturi. E quando il paziente non riesce più a deglutire normalmente, quando ingerire anche un sorso d’acqua diventa un rischio o una tortura, si è di fronte a un danno neurologico e funzionale profondo che non può essere liquidato come semplice complicanza.
Il primo momento di responsabilità nasce già nella fase preoperatoria. Il chirurgo ha il dovere di valutare accuratamente il caso, verificare la reale necessità dell’intervento, pianificare la via d’accesso più sicura e selezionare il lato meno rischioso in base alla conformazione del paziente. In pazienti con esiti cicatriziali, obesità, deformità cervicali o condizioni infiammatorie pregresse, la scelta del lato o del livello sbagliato può aumentare drasticamente il rischio di lesioni. Se la via d’accesso anteriore viene scelta senza considerare tutti questi fattori, o se viene eseguita da mani non esperte, la probabilità di danneggiare strutture deputate alla deglutizione aumenta esponenzialmente. E non si potrà parlare di evento imprevedibile, ma di errore di valutazione.
Durante l’intervento, la fase critica è quella dello scollamento dei tessuti e della trazione dell’esofago e della trachea per raggiungere la colonna vertebrale. La procedura prevede l’utilizzo di divaricatori che devono essere posizionati con precisione millimetrica e mantenuti per il tempo strettamente necessario. Se la trazione è eccessiva, se i muscoli faringei vengono stirati o compressi per troppo tempo, se i nervi laringei vengono toccati, il danno può manifestarsi immediatamente con disfonia e disfagia. Molti pazienti raccontano di essersi svegliati dall’anestesia con la gola dolente, la voce alterata, la sensazione di corpo estraneo in gola, l’impossibilità di ingerire cibi solidi o liquidi. Quando questi sintomi persistono per giorni, settimane o mesi, la disfagia non è più un disturbo transitorio: è un danno neurologico o meccanico, frutto di una manovra errata.
La responsabilità medica si configura in maniera ancora più netta quando il disturbo viene sottovalutato nel post-operatorio. Se il paziente riferisce difficoltà a deglutire e nessuno attiva un’indagine approfondita – come una videofluoroscopia, una valutazione logopedica o una consulenza otorinolaringoiatrica – si perde la possibilità di intervenire precocemente. Alcune forme di disfagia, se trattate subito, possono regredire o migliorare con riabilitazione. Ma se ignorate o sottovalutate, si cronicizzano. Il paziente inizia a perdere peso, a evitare i pasti, a vivere con ansia ogni momento in cui deve deglutire. In alcuni casi, si arriva alla necessità di alimentazione tramite PEG o sondino nasogastrico. E il trauma psicologico diventa enorme.
L’omessa diagnosi, il ritardo negli esami, l’assenza di presa in carico riabilitativa sono elementi che aggravano la colpa medica. Anche quando il danno iniziale fosse stato contenuto, l’inerzia clinica può renderlo permanente. E dal punto di vista legale, non è necessario dimostrare che l’intervento sia stato completamente sbagliato: basta dimostrare che la disfagia non è stata prevenuta, riconosciuta o trattata per tempo, e che ciò ha causato una sofferenza evitabile.
Le conseguenze per il paziente sono devastanti. La disfagia limita l’autonomia, condiziona la vita sociale, isola, espone al rischio di polmoniti ab ingestis, impedisce il consumo di cibo normale, altera la voce, mina l’autostima. Mangiare e parlare sono atti quotidiani fondamentali per ogni relazione umana. Perdere la capacità di farlo in modo spontaneo, a causa di un errore chirurgico, significa subire una lesione profonda della propria identità. Alcuni pazienti sviluppano depressione, ansia, fobia del cibo. E tutto questo, se legato a una trazione sbagliata o a una scelta errata della via chirurgica, è ingiusto e risarcibile.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità della struttura sanitaria è di tipo contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente danneggiato ha il solo onere di dimostrare di essersi sottoposto a un intervento e di aver riportato un danno. Sarà il medico – o l’ospedale – a dover provare che l’intervento è stato eseguito correttamente, che le tecniche impiegate erano conformi alle linee guida, che le strutture anatomiche sono state rispettate. Se non esiste una documentazione precisa, se le manovre non sono descritte nei dettagli, se il disturbo post-operatorio non è stato monitorato, la responsabilità si presume. E il risarcimento può comprendere danno biologico permanente, danno morale, danno esistenziale, perdita della capacità lavorativa e rimborso delle spese per nutrizione artificiale o supporto logopedico.
Il consenso informato, infine, non è un lasciapassare per l’errore. Anche se il paziente ha firmato un modulo in cui si menzionano i rischi dell’intervento, nessun consenso copre l’assenza di cautela, la scelta imprudente della via d’accesso o la gestione inadeguata della complicanza. Il consenso è valido solo se preceduto da una condotta conforme alla diligenza medica. Altrimenti, resta carta.
In conclusione, la responsabilità medica per disfagia post-operazione cervicale si configura quando il disturbo nasce da una scelta sbagliata della via chirurgica, da una trazione mal gestita, da una compressione evitabile o da un’omessa diagnosi nel decorso post-operatorio. Non si può parlare di complicanza quando la lesione nasce da una manovra errata. Il paziente ha diritto a essere operato con attenzione, e seguito con scrupolo. Se questo non accade, e la sua voce si spezza, se deglutire diventa un ostacolo quotidiano, il danno non è più solo clinico: è umano, è morale, ed è giuridicamente risarcibile.
Cosa prevede la legge in questi casi?
- Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale della struttura sanitaria
- Art. 2043 c.c. – responsabilità per fatto illecito del medico
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – obbligo di tracciare tutte le fasi dell’intervento e di seguire le linee guida
- Art. 3, L. 219/2017 – il consenso informato deve includere il rischio di lesioni a nervi e strutture della deglutizione
Quali danni si possono subire?
- Limitazione nella deglutizione
- Necessità di nutrizione enterale o parenterale
- Afagia (totale incapacità a deglutire)
- Impossibilità a parlare normalmente
- Depressione, isolamento, perdita della vita sociale
- Diminuzione drastica della qualità della vita
Esempi di casi reali?
Paziente di 53 anni, operato per ernia cervicale. Lesione del nervo laringeo durante l’accesso. Voce alterata e disfagia permanente. Risarcimento: 240.000 euro.
Donna di 48 anni, divaricazione forzata dell’esofago. Aderenze e dolore cronico alla deglutizione. Necessità di nutrizione liquida. Risarcimento: 320.000 euro.
Uomo di 61 anni, malposizionamento di cage intersomatica compressiva. Disfagia grave, afonia, dimagrimento di 18 kg. Risarcimento: 450.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Disfagia lieve e transitoria: 30.000 – 60.000 euro
- Disfagia permanente con adattamenti alimentari: 80.000 – 150.000 euro
- Disfagia grave con nutrizione artificiale o afasia: 200.000 – 400.000 euro
- Danni accessori (psicologici, relazionali, estetici): ulteriori 20.000 – 50.000 euro
Qual è la documentazione necessaria?
- Referto operatorio completo
- Esami otorinolaringoiatrici post-intervento
- Videofluoroscopia o esame della deglutizione
- Certificati nutrizionali e relazioni fisiatriche
- Cartella clinica del ricovero
- Referti di RMN e TAC cervicale post-operatoria
Quanto tempo si ha per fare causa?
- 10 anni se si agisce contro una clinica privata
- 5 anni contro una struttura pubblica o singolo medico
- La decorrenza parte dal momento della consapevolezza del danno (es. diagnosi ORL della disfagia)
Cosa può fare l’avvocato?
- Raccogliere tutta la documentazione clinica
- Richiedere perizia medico-legale
- Verificare se l’approccio chirurgico era corretto
- Accertare la lesione anatomica con esami specifici
- Quantificare il danno totale subito
- Redigere l’atto di mediazione e, se necessario, ricorso civile
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
Una disfagia post-operatoria non curata, non indagata o causata da errore tecnico è una ferita silenziosa, ma profonda. Colpisce il cibo, la parola, il respiro: i gesti più semplici della vita quotidiana.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità affrontano questi casi con una struttura altamente specializzata, che comprende:
- Neurochirurghi e ortopedici forensi
- Otorinolaringoiatri e logopedisti
- Esperti nutrizionisti clinici
- Medici legali specializzati in danni da chirurgia cervicale
Ogni dettaglio viene verificato: scelta dell’accesso, rispetto delle linee guida, lesione nervosa, tempi di comparsa, gestione dei sintomi, referti ignorati, cure omesse.
Il danno viene ricostruito nella sua interezza: fisico, morale, relazionale, lavorativo, patrimoniale. Perché chi non riesce più a deglutire per colpa di un errore non ha bisogno di scuse: ha bisogno di un risarcimento pieno.
Ogni intervento eseguito male lascia un segno. Ogni danno non riconosciuto è un’ingiustizia. Ogni paziente ha diritto alla verità e alla tutela.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: