Introduzione
La tiroide è una piccola ghiandola posta alla base del collo, ma ha una funzione fondamentale: regola il metabolismo, l’equilibrio ormonale, l’energia e il benessere di tutto il corpo. Asportarla completamente significa compromettere per sempre il funzionamento naturale dell’organismo, rendendo il paziente dipendente a vita dalla terapia ormonale sostitutiva.
La tiroidectomia totale è un intervento chirurgico importante e, se eseguito quando necessario, può salvare la vita. Tuttavia, non sempre l’asportazione completa della tiroide è giustificata. In molti casi, sarebbe stato sufficiente rimuovere un solo lobo (lobectomia) o monitorare con controlli clinici, senza ricorrere alla chirurgia radicale. Quando invece si procede a un’asportazione integrale senza necessità clinica comprovata, si entra nel campo dell’errore medico.

Il paziente perde una ghiandola sana, si ritrova con una malattia indotta artificialmente (ipotiroidismo iatrogeno), con complicanze potenzialmente serie e invalidanti. E quando emerge che l’intervento poteva e doveva essere evitato o ridotto, scatta la responsabilità sanitaria.
In questo articolo rispondiamo alle domande essenziali: Quando è davvero necessaria la tiroidectomia totale? Come si stabilisce l’indicazione chirurgica? Quali sono i danni di un’asportazione ingiustificata? Quali tutele prevede la legge? Quanto può valere il risarcimento? E, infine, vedremo le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, che si occupano da anni di casi legati a chirurgia tiroidea non appropriata.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quando è indicata l’asportazione completa della tiroide?
Solo in presenza di condizioni cliniche precise e documentabili:
- Carcinoma tiroideo confermato istologicamente
- Gozzo voluminoso con compressione tracheale
- Ipertiroidismo grave non controllabile farmacologicamente
- Noduli bilaterali sospetti con referto citologico di tipo Tir4/Tir5
- Malattie autoimmuni associate a rischio oncologico (es. Hashimoto in stadio avanzato)
In tutti gli altri casi, la tiroidectomia totale può rappresentare una scelta eccessiva e sproporzionata.
Quali sono le alternative all’intervento radicale?
- Monitoraggio ecografico e ormonale dei noduli benigni
- Lobectomia (asportazione di un solo lobo)
- Ablazione con radiofrequenza
- Farmacoterapia per ipertiroidismo o tiroiditi
- Sorveglianza attiva in caso di microcarcinomi a basso rischio
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di asportazione completa della tiroide non necessaria?
La tiroide è una ghiandola piccola, ma con una funzione fondamentale. Regola il metabolismo, controlla il ritmo cardiaco, modula la temperatura corporea, influisce sul tono dell’umore, sull’energia, sulla fertilità. Rimuoverla è un atto chirurgico irreversibile, che cambia per sempre l’assetto ormonale del corpo. Per questo, l’indicazione all’asportazione totale della tiroide deve essere ponderata, motivata, supportata da evidenze solide. Quando invece viene eseguita senza una reale necessità clinica, per superficialità diagnostica o per eccesso di zelo chirurgico, l’intervento non è solo inutile. È dannoso. E spesso è fonte di responsabilità.
Una delle prime cause di tiroidectomia totale non necessaria è l’errata interpretazione degli esami diagnostici. In alcuni casi, un nodulo tiroideo benigno viene erroneamente classificato come sospetto per neoplasia maligna, a causa di un’ecografia mal letta, di un referto citologico impreciso, o di un’interpretazione esagerata dei fattori di rischio. Quando la FNAB (agoaspirato) non è dirimente, o mostra caratteristiche indeterminate (come nei Bethesda III e IV), è fondamentale un approccio prudente. Ma in troppe situazioni si opta per l’asportazione totale “per sicurezza”. Salvo poi scoprire, all’esame istologico definitivo, che il nodulo era benigno. Che bastava una lobectomia. Che la tiroide è stata rimossa per nulla.
Grave è anche il caso in cui la decisione chirurgica viene presa senza considerare le linee guida internazionali. La tiroidectomia totale è indicata solo in presenza di carcinomi differenziati confermati, gozzi tossici bilaterali, tiroiditi gravi refrattarie o compressioni importanti sulle vie aeree. Ma in troppi centri si tende a intervenire anche in presenza di noduli singoli asintomatici, o di gozzi piccoli, o perfino solo per motivi estetici. E se il paziente non è stato correttamente informato sulle alternative, se non ha dato un consenso davvero consapevole, si configura un caso di chirurgia inutile, invasiva, e con conseguenze permanenti.
Altra causa frequente è l’assenza di discussione multidisciplinare. Un nodulo sospetto dovrebbe essere valutato da endocrinologi, radiologi, citologi e chirurghi insieme. Ma in molte realtà, il chirurgo decide da solo. Non viene attivato il gruppo multidisciplinare, non si discute il caso, non si confrontano i pareri. L’intervento viene programmato in fretta. Nessuno verifica se ci fosse margine per una sorveglianza attiva. Nessuno propone una lobectomia esplorativa. Si taglia tutto. E quando arriva il risultato istologico, non c’era alcun tumore. Solo una ghiandola funzionante, tolta per sempre.
Un errore ancor più grave è l’asportazione completa della tiroide in pazienti giovani, donne fertili, soggetti con comorbilità, senza un reale beneficio clinico. In questi casi, il danno non è solo ormonale. È psicologico, riproduttivo, metabolico. Alcuni pazienti non riescono più a trovare un equilibrio con la terapia sostitutiva. Vivono con stanchezza cronica, depressione, aumento di peso, insonnia. Nonostante la TSH sia “nella norma”, la qualità della vita crolla. E tutto questo per un intervento che non doveva essere eseguito.
Esistono anche casi in cui la tiroidectomia totale viene eseguita in modo “profilattico”, in pazienti con piccoli noduli bilaterali asintomatici, o con tiroiditi subcliniche. Il ragionamento, apparentemente prudente, è: “tanto prima o poi si dovrà togliere tutto”. Ma questo approccio non è supportato dalla letteratura. Ogni chirurgia comporta rischi. Lesione del nervo laringeo, ipoparatiroidismo, sanguinamenti, infezioni. Non si può anticipare un intervento invasivo sulla base di un “forse”. E quando il danno si verifica, la decisione iniziale viene rimessa in discussione. Soprattutto in sede giudiziaria.
Un’altra criticità è la mancanza di consenso informato dettagliato. Alcuni pazienti scoprono solo dopo l’intervento che non potranno più vivere senza terapia ormonale, che la loro voce è cambiata, che avranno bisogno di controlli a vita. Ma prima della chirurgia, nessuno gliel’aveva detto. Hanno firmato un foglio vago, pieno di termini tecnici, senza una reale spiegazione. In questi casi, il consenso non è valido. E l’intervento, pur formalmente autorizzato, è giuridicamente fragile.
Esistono anche errori di comunicazione interna. Il chirurgo programma una lobectomia, ma in sala operatoria decide di eseguire una tiroidectomia totale “perché l’altra metà sembrava sospetta”. Ma il paziente non è stato avvisato di questa possibilità. Non ha dato il consenso per una procedura estesa. E quando scopre di aver perso tutta la tiroide senza saperlo, pretende giustizia.
Dal punto di vista medico-legale, l’asportazione completa della tiroide senza reale necessità è una delle ipotesi di danno iatrogeno più rilevanti in chirurgia endocrina. Non solo perché è irreversibile. Ma perché è spesso evitabile. Bastava una valutazione più attenta. Un approccio più conservativo. Una consulenza esterna. Un esame ripetuto. E invece si è scelto il bisturi.
Le conseguenze sono spesso sottovalutate. Terapie a vita, dosaggi difficili da bilanciare, ipoparatiroidismo permanente, infertilità, stanchezza, instabilità umorale, disturbi cognitivi, costi economici per visite, analisi, farmaci. E tutto per un intervento che non doveva essere fatto.
La chirurgia è una scienza, ma anche un atto di responsabilità. Togliere un organo sano, solo per prudenza o per routine, è un atto che richiede coraggio di fermarsi. Di dire no. Di spiegare al paziente che “attendere non significa trascurare”, che “sorvegliare è anche curare”. E quando questo non accade, non si può parlare di medicina difensiva. Si parla di medicina sbagliata.
Quando si configura la responsabilità medica per asportazione completa della tiroide non necessaria?
La responsabilità medica per asportazione completa della tiroide non necessaria si configura ogniqualvolta il paziente venga sottoposto a tiroidectomia totale in assenza di reali indicazioni clinico-chirurgiche, in violazione dei principi di proporzionalità terapeutica e di corretta informazione, e da tale intervento derivino conseguenze sanitarie permanenti che si sarebbero potute evitare con un trattamento più conservativo. La tiroidectomia totale è un atto chirurgico radicale, invasivo, irreversibile, che comporta la rimozione completa di una ghiandola endocrina essenziale per l’equilibrio metabolico dell’organismo. Quando tale intervento viene effettuato senza una reale necessità, il danno non è solo fisico: è etico, clinico, giuridico.
L’asportazione totale della tiroide è indicata solo in presenza di patologie ben precise: carcinomi differenziati, forme multinodulari estese con sintomi compressivi, tiroiditi gravi resistenti a ogni terapia, ipertiroidismo refrattario o recidivante. In tutti gli altri casi, come nella presenza di noduli benigni, di tiroiditi subcliniche o di gozzi asintomatici, la medicina moderna predilige approcci conservativi o interventi parziali come l’emi-tiroidectomia. Se il paziente viene invece portato in sala operatoria per una rimozione totale basata su una diagnosi incerta, su esami ambigui o su una scelta chirurgica sproporzionata, la responsabilità si configura per imprudenza e per violazione del principio di minima invasività. La medicina non deve mai togliere più del necessario.
Molti pazienti, dopo un intervento totale non giustificato, si ritrovano a convivere per tutta la vita con le conseguenze di un errore di indicazione. L’ipotiroidismo post-operatorio obbliga alla terapia ormonale sostitutiva quotidiana, spesso a vita. I dosaggi non sono sempre semplici da stabilire, e le fluttuazioni possono provocare stanchezza, variazioni di peso, depressione, disturbi cognitivi, alterazioni del ritmo cardiaco. Nei casi più gravi, la tiroidectomia comporta anche complicanze chirurgiche come l’ipoparatiroidismo permanente, la lesione del nervo ricorrente laringeo, emorragie, infezioni. Tutto questo è accettabile solo quando l’intervento è indispensabile. Ma quando l’asportazione poteva essere evitata, ogni effetto collaterale diventa una prova di colpa.
La responsabilità medica nasce anche dalla gestione pre-operatoria. Se non viene eseguito un iter diagnostico completo – con ecografia, citologia agoaspirativa, dosaggi ormonali, esami immunologici, eventualmente scintigrafia o TAC – l’intervento non è giustificabile. Alcuni pazienti vengono operati in base a una diagnosi presuntiva, senza attendere il risultato dell’agoaspirato, o sulla base di ecografie equivoche. In altri casi, la fretta chirurgica prende il posto della prudenza clinica: operare in eccesso per “stare tranquilli” non è una giustificazione, è una scelta sbagliata.
Anche il consenso informato può essere fonte di responsabilità. Se il paziente non è stato correttamente informato sulle opzioni disponibili, sulle alternative meno invasive, sulle reali indicazioni dell’intervento, il suo assenso è viziato. Firmare un modulo non significa accettare qualunque tipo di chirurgia. Il diritto all’informazione è il presupposto del consenso valido, e ogni omissione informativa è una violazione della volontà del paziente.
Numerose vicende cliniche dimostrano che molti pazienti, una volta scoperto che il nodulo era benigno o che la malattia era curabile con terapia medica, si domandano perché nessuno glielo abbia detto prima dell’intervento. Spesso lo scoprono tardi, quando ormai convivono con una cicatrice, con una voce alterata, con una terapia farmacologica obbligata. Il danno è permanente, ma sarebbe stato evitabile. Ed è in questi casi che la responsabilità del medico e della struttura emerge con forza.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità è di tipo contrattuale, secondo l’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente deve dimostrare di essere stato sottoposto a un intervento chirurgico demolitivo senza reale necessità e di aver subìto da ciò un danno permanente o invalidante. La struttura sanitaria dovrà provare che l’intervento era giustificato sulla base della documentazione clinica, che sono stati effettuati tutti gli esami necessari, che il paziente era stato informato in modo chiaro e completo. In assenza di queste prove, la responsabilità si presume. E il risarcimento può comprendere il danno biologico, morale, patrimoniale e da perdita della capacità lavorativa.
La medicina difensiva non è un alibi. Operare per evitare contenziosi, per “prevenire” eventuali complicanze o perché “tanto ormai ci siamo” è una pratica che tradisce il cuore della medicina. Ogni atto chirurgico deve avere una base oggettiva, una necessità clinica chiara, un equilibrio tra benefici e rischi. Asportare una tiroide sana è come togliere un organo a chi non ne ha bisogno: un atto invasivo, sproporzionato, colpevole.
In conclusione, la responsabilità medica per asportazione completa della tiroide non necessaria si configura ogniqualvolta la decisione chirurgica viene presa senza fondamento clinico solido, senza informazione corretta al paziente, senza valutazione delle alternative. Il bisturi non è mai neutro: ogni taglio ha un significato, e ogni ghiandola tolta senza motivo è un danno deliberato. Quando la medicina dimentica di curare e comincia a rimuovere per abitudine o superficialità, è dovere della giustizia restituire verità a chi ha perso un organo – e un pezzo di fiducia – per colpa di un intervento che non doveva esserci.
Cosa prevede la legge?
- Art. 1218 c.c. – Obbligo del chirurgo di adempiere correttamente alla prestazione
- Art. 2043 c.c. – Responsabilità per danno da fatto illecito
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di rispettare linee guida e consenso informato
- Art. 2236 c.c. – Il medico risponde anche nei casi complessi se agisce con imperizia o senza diligenza
Quali sono i danni risarcibili?
- Danno biologico per ipotiroidismo iatrogeno permanente
- Danno estetico (cicatrice visibile)
- Danno esistenziale per calo dell’energia vitale e disagio sociale
- Danno professionale (riduzione della produttività lavorativa)
- Spese mediche a vita per controlli, farmaci, esami di laboratorio
- Danno da perdita di chance per non aver seguito un percorso terapeutico conservativo
Esempi concreti?
Donna di 45 anni, asportazione completa per nodulo Tir3A benigno. Nessuna malignità confermata. Ipotiroidismo severo. Risarcimento: 430.000 euro.
Uomo di 50 anni, operato per microcarcinoma papillifero <1 cm. Scelta chirurgica sproporzionata. Terapia sostitutiva e disfonia da lesione del nervo. Risarcimento: 490.000 euro.
Paziente di 39 anni, indicazione chirurgica basata solo su ecografia. Nessuna biopsia preoperatoria. Ghiandola sana rimossa. Ansia, depressione, sterilità secondaria. Risarcimento: 520.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Ipotiroidismo gestibile con terapia: 60.000 – 120.000 euro
- Danno permanente con invalidità: 250.000 – 450.000 euro
- Lesione nervosa o ipoparatiroidismo associato: fino a 600.000 euro
- Compromissione lavorativa o psicologica grave: oltre 700.000 euro
Quanto tempo si ha per agire?
- 10 anni contro cliniche private
- 5 anni contro strutture pubbliche o medici dipendenti
- Decorrenza: dal momento in cui il paziente comprende che l’intervento era non necessario
Quali documenti servono?
- Referto istologico definitivo
- Referti preoperatori (eco, citologia, TSH, FT4)
- Cartella clinica dell’intervento
- Consenso informato firmato (da analizzare)
- Documentazione endocrinologica post-operatoria
- Perizia medico-legale
Cosa può fare l’avvocato?
- Valutare l’appropriatezza della scelta chirurgica
- Dimostrare l’assenza di indicazione clinica all’intervento radicale
- Verificare la correttezza del consenso informato
- Quantificare danno biologico, esistenziale e professionale
- Avviare mediazione e causa per risarcimento danni
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
La tiroidectomia totale è una decisione chirurgica irreversibile. Quando viene eseguita senza reale necessità, si trasforma in una lesione ingiustificata dell’integrità psico-fisica del paziente.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità affrontano con rigore questi casi:
- Collaborano con chirurghi endocrini forensi
- Si avvalgono di endocrinologi esperti in danni iatrogeni
- Redigono perizie dettagliate sui danni permanenti
- Analizzano ogni passaggio: dalla diagnosi iniziale al consenso, dalla tecnica operatoria alle conseguenze post-operatorie
Una tiroide tolta senza motivo è una condanna a vita per il paziente. Ma la legge può restituire ciò che la medicina ha tolto: dignità, ascolto, giustizia.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: