Introduzione
L’ago aspirato tiroideo è una procedura diagnostica di routine, fondamentale per valutare la natura dei noduli alla tiroide. Si tratta di un esame semplice, ambulatoriale, che in mani esperte e con strumenti sterili risulta sicuro e altamente informativo. Tuttavia, quando vengono meno le condizioni di sterilità, si apre la porta a una delle complicanze più pericolose e sottovalutate: l’infezione profonda.
Un ago contaminato, uno strumento riutilizzato impropriamente o un ambiente non sterile possono introdurre batteri direttamente nella ghiandola o nei tessuti circostanti, causando ascessi, tiroiditi suppurative, flemmoni cervicali, fino a mediastiniti e sepsi. Le conseguenze possono essere devastanti, anche per un semplice prelievo che doveva durare pochi secondi.

Quando il danno deriva dalla violazione delle regole basilari di asepsi, la responsabilità medica è piena. E il paziente ha diritto non solo a cure adeguate, ma anche a un risarcimento per i danni subiti.
In questo articolo rispondiamo a domande chiave: Cosa comporta un’infezione post ago aspirato? Quando è colpa del medico? Come si riconosce l’errore? Quali sono le conseguenze? Quanto può valere un risarcimento? E nella parte finale approfondiamo le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specialisti in errori diagnostici e infezioni da procedure invasive.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è l’ago aspirato tiroideo?
È una procedura mediante la quale, sotto guida ecografica, si introduce un ago sottile nella tiroide per prelevare cellule da un nodulo, al fine di analizzarle citologicamente.
È indicato in caso di:
- Noduli sospetti o di grandi dimensioni
- Noduli con struttura solida e vascolarizzata
- Noduli che causano sintomi compressivi
Come si sviluppa un’infezione dopo l’ago aspirato?
- Contaminazione dell’ago o della siringa
- Mancato utilizzo di guanti e disinfezione cutanea
- Uso di materiale non monouso o manipolato in modo improprio
- Ambiente ambulatoriale non sterile
- Violazione delle pratiche di asepsi prima, durante e dopo la procedura
Quali sono i sintomi di un’infezione post-procedura?
- Dolore crescente nella sede del prelievo
- Gonfiore e arrossamento del collo
- Febbre alta, brividi, malessere generale
- Difficoltà a deglutire o respirare
- Suppurazione o raccolta liquida visibile all’ecografia
- Segni di sepsi nei casi più gravi
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di infezioni da ago aspirato tiroideo non sterile?
L’ago aspirato della tiroide è considerato un esame di routine. Rapido, indolore, ambulatoriale. Si esegue per valutare la natura di un nodulo tiroideo, per distinguere una lesione benigna da una potenzialmente maligna, per orientare la terapia e le eventuali decisioni chirurgiche. Ma per quanto si tratti di un procedimento mininvasivo, l’agoaspirato non è privo di rischi. E quando non viene rispettata la corretta asepsi, quando si lavora in condizioni non sterili, quando si sottovalutano le buone pratiche igieniche, può trasformarsi in un gesto pericoloso, che apre la porta a infezioni anche gravi.
Una delle principali cause di infezione è l’utilizzo di materiale non sterile. In alcune strutture, soprattutto in ambiti ambulatoriali privi di controllo centrale, si utilizzano aghi, guanti, garze o contenitori non correttamente sterilizzati. Basta poco: un ago toccato con mani nude, una siringa appoggiata su un piano contaminato, una cute non disinfettata correttamente. In quei pochi secondi, un batterio può entrare nel tessuto tiroideo, colonizzare il nodulo, trasformarlo in un ascesso. E da lì, la complicanza può estendersi alla regione cervicale, al mediastino, in casi rari anche al circolo sanguigno, con sepsi sistemica.
Un errore frequente è la disinfezione superficiale della cute. Alcuni operatori si limitano a passare rapidamente un batuffolo di alcol sulla pelle, senza rispettare i tempi di contatto necessari, senza pulire in profondità, senza usare antisettici idonei. Ma la cute del collo è un’area soggetta a sudorazione, a contaminazione ambientale, a presenza di flora batterica. Una preparazione insufficiente della zona comporta il rischio concreto di inoculare germi direttamente nel parenchima tiroideo.
Ci sono anche casi in cui gli strumenti monouso vengono riutilizzati. In contesti con risorse limitate, o in ambiti privati poco controllati, è accaduto che siringhe, aghi o contenitori per i campioni vengano lavati e riutilizzati più volte. Una prassi gravissima, vietata, pericolosa. Perché la contaminazione crociata tra pazienti può trasmettere batteri resistenti, virus, patogeni opportunisti. Infezioni da stafilococco aureo meticillino-resistente, da pseudomonas, da enterobatteri. E in alcuni casi, trasmissioni virali da HCV o HBV.
Un’altra responsabilità ricorrente è l’assenza di protocolli operativi chiari. In molti ambulatori non esistono linee guida scritte per la gestione dell’agoaspirato. Ogni operatore agisce secondo abitudine, secondo velocità, secondo tempo a disposizione. Non vengono documentati i lotti dei materiali, non si registra la temperatura di conservazione degli aghi, non si segue alcuna check-list di sicurezza. L’improvvisazione diventa prassi. E l’errore diventa probabile.
Gravissimo è il caso in cui l’infezione viene ignorata nei giorni successivi alla procedura. Il paziente torna a casa, ma nel giro di 24-72 ore sviluppa dolore, gonfiore, febbre, disfagia. Telefona al centro, ma viene rassicurato: “è normale, può essere un’infiammazione”. Nessuno lo visita. Nessuno prescrive esami del sangue. Nessuno richiede un’ecografia di controllo. E l’ascesso cresce, si approfondisce, crea una raccolta purulenta che può rompere la capsula tiroidea, arrivare alla trachea, al mediastino, perfino al pericardio. A quel punto, serve un drenaggio chirurgico. E spesso una terapia antibiotica prolungata, con ricovero in reparto infettivologico o intensivo.
Esistono anche casi in cui l’infezione non viene riconosciuta come correlata all’agoaspirato. Il paziente sviluppa sintomi sistemici — febbre, leucocitosi, malessere — ma viene sottoposto a indagini inutili. Si cercano infezioni urinarie, polmonari, intestinali. Nessuno pensa alla tiroide. Nessuno correla l’inizio dei sintomi alla procedura eseguita pochi giorni prima. Si perde tempo. E l’infezione, intanto, progredisce. Con danni crescenti e responsabilità sempre più evidenti.
Alcuni operatori, per non affrontare le proprie responsabilità, omettano di indicare nel referto che l’agoaspirato ha avuto complicazioni. Nessuna annotazione del dolore riferito dal paziente, nessuna segnalazione del gonfiore. Il paziente finisce in pronto soccorso, ma il referto appare neutro. Un’omissione che complica non solo la diagnosi, ma anche l’accertamento medico-legale. Perché nascondere un errore non lo cancella. Lo aggrava.
Dal punto di vista medico-legale, un’infezione da ago aspirato non sterile è una delle complicanze più facili da prevenire. E proprio per questo, una delle più difficili da giustificare. Non serve alta tecnologia. Basta attenzione. Dispositivi monouso. Disinfezione adeguata. Formazione. Sorveglianza. Quando questi elementi mancano, la responsabilità è chiara, diretta, evidente. Il paziente aveva diritto a una procedura sicura, sterile, rispettosa degli standard minimi di igiene.
Le conseguenze per il paziente possono essere molto serie. Dolore, febbre, antibiotici prolungati. In alcuni casi, ricovero ospedaliero. In altri, interventi di drenaggio, cicatrici, complicazioni respiratorie. E nei casi più gravi, setticemia, insufficienza d’organo, danni permanenti. Per un esame che avrebbe dovuto durare cinque minuti, e non lasciare alcun segno.
La sterilità non è un’opzione. È un dovere. Ogni ago che penetra nel corpo deve essere sterile. Ogni operatore che lo maneggia deve sapere che sta entrando in un sistema chiuso, delicato, vulnerabile. E quando questo principio viene ignorato, non si può parlare di sfortuna. Si parla di responsabilità. Di negligenza. Di errore.
Quando si configura la responsabilità medica per infezioni da ago aspirato tiroideo non sterile?
La responsabilità medica per infezioni da ago aspirato tiroideo non sterile si configura ogniqualvolta un paziente sottoposto a biopsia con ago sottile della tiroide sviluppa, nelle ore o nei giorni successivi, un’infezione localizzata o sistemica che può essere ricondotta all’uso di materiale non sterile, a una tecnica non conforme ai protocolli di asepsi, o a una gestione post-procedura inadeguata, e da tale evento deriva un danno significativo alla salute. L’agoaspirato tiroideo è considerato una procedura a basso rischio, ambulatoriale, di breve durata. Ma proprio questa apparente semplicità ha portato, in alcuni casi, a sottovalutarne la criticità. Perché qualunque procedura che implichi la penetrazione della cute e il contatto con tessuti profondi richiede massima attenzione, igiene assoluta e mani esperte.
Quando si effettua un ago aspirato, l’introduzione dell’ago – spesso ecoguidata – attraversa la pelle, il sottocutaneo e raggiunge la tiroide, una ghiandola vascolarizzata e particolarmente sensibile alle infezioni. L’inoculazione accidentale di batteri, anche in piccolissime quantità, può provocare la formazione di ascessi, tiroiditi suppurative, cellulite cervicale o addirittura sepsi. In casi più gravi, l’infezione può estendersi al mediastino, comportando una mediastinite con rischio vitale. Tutto questo può partire da un ago toccato con un guanto contaminato, da un tampone usato due volte, da una procedura fatta con fretta e senza le dovute precauzioni.
Il materiale utilizzato deve essere sterile e monouso, l’ambiente adeguatamente disinfettato, la cute del paziente trattata con antisettici prima dell’inserimento dell’ago. Se anche solo uno di questi passaggi viene trascurato, il rischio infettivo aumenta in modo esponenziale. Non sono rari i casi in cui, dopo un ago aspirato, il paziente inizia ad accusare dolore cervicale, febbre, gonfiore, difficoltà a deglutire o a parlare. Se questi sintomi vengono ignorati, se non si prescrivono esami ematochimici, un’ecografia di controllo, una terapia antibiotica adeguata, la colpa non è più solo nella puntura, ma nella mancata risposta al segnale del corpo.
La responsabilità medica si estende anche alla mancata informazione. Il paziente deve essere avvisato del rischio, per quanto raro, di infezione, e deve essere istruito a monitorare eventuali sintomi e a contattare immediatamente lo specialista in caso di arrossamento, febbre o dolore persistente. Se questo non avviene, e l’infezione viene intercettata solo quando è già in fase suppurativa, la responsabilità diventa anche comunicativa. La medicina, per essere tale, deve prevenire, curare, ma soprattutto saper educare.
In alcuni casi, l’infezione viene trattata con antibiotici, ma la risposta è tardiva o inefficace. Il paziente può sviluppare ascessi che richiedono drenaggio chirurgico, ricovero ospedaliero, terapie prolungate. Altri subiscono danni permanenti alla ghiandola, con alterazione della funzionalità tiroidea, cicatrici visibili, sindromi da disfunzione immunitaria post-infettiva. Tutto questo, spesso, senza che nessuno si assuma apertamente la responsabilità. Il paziente si sente tradito, colpevolizzato, lasciato solo. Ma la verità è che non si dovrebbe mai ammalarsi per un prelievo diagnostico.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità è di tipo contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente deve dimostrare di aver subìto un’infezione grave dopo l’ago aspirato. La struttura sanitaria e l’operatore devono dimostrare di aver seguito scrupolosamente tutte le procedure di sterilità, di aver utilizzato materiali conformi, di aver registrato correttamente i passaggi tecnici e di aver risposto tempestivamente ai sintomi. In assenza di una documentazione chiara e tracciabile, la responsabilità si presume. E in questi casi, le cartelle sono spesso silenziose o ambigue.
Il consenso informato, come sempre, non protegge dall’errore. Anche se il paziente ha firmato un modulo in cui si accetta il rischio infettivo, questo non giustifica l’uso di materiale non sterile o la negligenza igienica. Il consenso non è una liberatoria per agire in deroga alla buona pratica medica. Il paziente accetta un rischio calcolato, non un’imprudenza nascosta.
In conclusione, la responsabilità medica per infezioni da ago aspirato tiroideo non sterile si configura ogniqualvolta l’infezione post-procedura è riconducibile a una violazione delle norme di asepsi, a un errore tecnico, a una disattenzione nel post-intervento o a una mancata risposta clinica ai sintomi. Una procedura semplice non è mai banale. E se da una manovra diagnostica nasce un’infezione che rovina la salute del paziente, la colpa non è della statistica. È della mano che ha operato senza rispetto. E chi subisce il danno ha il diritto di sapere, di essere ascoltato, di essere risarcito. Perché nessun ago dovrebbe mai trafiggere la fiducia.
Cosa prevede la legge?
- Art. 1218 c.c. – Inadempimento della prestazione medica in ambito contrattuale
- Art. 2043 c.c. – Danno da fatto illecito
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di conformarsi a linee guida e standard di igiene
- Art. 2236 c.c. – Responsabilità anche nei casi tecnicamente complessi se c’è imperizia o negligenza
Esempi concreti?
Donna di 50 anni, ago aspirato in ambulatorio privato. Infezione acuta trascurata. Ascesso cervicale drenato chirurgicamente. Risarcimento: 410.000 euro.
Uomo di 46 anni, prelievo effettuato senza disinfezione. Tiroidite purulenta, asportazione della ghiandola. Terapia ormonale a vita. Risarcimento: 460.000 euro.
Paziente di 58 anni, infezione post-procedura ignorata per giorni. Mediastinite e ricovero in terapia intensiva. Invalidità permanente. Risarcimento: 590.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Infezione con risoluzione semplice: 30.000 – 70.000 euro
- Ascesso con intervento chirurgico: 120.000 – 250.000 euro
- Asportazione tiroide e danno endocrino: 300.000 – 450.000 euro
- Sepsi o complicanze gravi: fino a 650.000 euro
Quanto tempo si ha per agire?
- 10 anni contro struttura privata
- 5 anni contro struttura pubblica o personale dipendente
- Decorrenza: dal momento in cui si ha conoscenza della natura del danno
Quali documenti servono?
- Cartella clinica con dettagli sulla procedura
- Referti del pronto soccorso e della terapia antibiotica
- Ecografie o TAC post-procedura
- Esami colturali del pus
- Eventuali referti operatori e istologici
- Perizia medico-legale completa
Cosa può fare l’avvocato?
- Verificare le condizioni igieniche documentate
- Ricostruire la sequenza degli eventi e delle omissioni
- Stimare i danni biologici, estetici, endocrini e psicologici
- Predisporre la richiesta danni
- Avviare la mediazione obbligatoria e la causa legale
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
Quando un esame diagnostico ambulatoriale si trasforma in un incubo clinico, non è sfortuna: è responsabilità. L’ago aspirato è sicuro solo se eseguito in piena sterilità, con strumenti monouso e mani competenti. In caso contrario, anche un piccolo ago può causare danni enormi.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano da anni su casi legati a infezioni post-procedurali:
- Collaborano con infettivologi e endocrinologi forensi
- Si avvalgono di medici legali esperti in infezioni iatrogene
- Analizzano ogni fase della procedura e della gestione post-esame
- Valutano i danni endocrini permanenti, le spese mediche, la compromissione della qualità di vita
Quando l’infezione nasce da un ago contaminato, il diritto deve intervenire con fermezza per restituire dignità, cura e giustizia al paziente.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: