Introduzione
L’iparatiroidectomia e la tiroidectomia sono interventi chirurgici sempre più frequenti, necessari per il trattamento di patologie come iperparatiroidismo, noduli tiroidei, carcinomi o gozzi voluminosi. Tuttavia, durante questi interventi, possono verificarsi danni collaterali gravi, tra cui l’asportazione involontaria o la compromissione delle ghiandole paratiroidi, piccole ma fondamentali per la regolazione del calcio nel sangue.
L’ipoparatiroidismo post-operatorio è una delle complicanze più invalidanti e sottostimate. La rimozione accidentale o il danneggiamento della vascolarizzazione delle paratiroidi provoca un deficit cronico di paratormone (PTH), con conseguente ipocalcemia, spasmi muscolari, crampi, parestesie, convulsioni, ansia, disturbi cognitivi e, nei casi più gravi, calcificazioni cerebrali e insufficienza renale.

Quando l’ipoparatiroidismo è causato da una resezione ghiandolare errata o da un errore di tecnica chirurgica, si configura una responsabilità medica. Il paziente che ne è vittima ha diritto a essere risarcito per il danno subito, soprattutto se la patologia diventa permanente.
In questo articolo rispondiamo a tutte le domande fondamentali: Cos’è l’ipoparatiroidismo post-chirurgico? Come può essere evitato? Quando c’è responsabilità del chirurgo? Quali sono le conseguenze per il paziente? Quanto può valere un risarcimento? E, nella parte finale, analizziamo le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, esperti in danni endocrini da errore chirurgico.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è l’ipoparatiroidismo post-operatorio?
È la condizione in cui le ghiandole paratiroidi non producono più abbastanza paratormone (PTH) in seguito a un intervento chirurgico sul collo, causando ipocalcemia cronica.
- Può essere transitorio (risolvibile in settimane o mesi)
- Può diventare permanente, con conseguente necessità di terapia sostitutiva a vita
In quali interventi può verificarsi?
- Tiroidectomia totale
- Paratiroidectomia (anche parziale)
- Asportazione di linfonodi cervicali
- Chirurgia oncologica del collo
- Resezione ghiandolare per patologie nodulari multiple
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ipoparatiroidismo post-operatorio da resezione ghiandolare?
L’ipoparatiroidismo post-operatorio è una delle complicanze più temute dopo un intervento di tiroidectomia o paratiroidectomia. È una condizione in cui, in seguito all’asportazione chirurgica della tiroide o di altre strutture cervicali, le ghiandole paratiroidi vengono rimosse, danneggiate o devascularizzate, portando a una drastica riduzione dei livelli di paratormone (PTH) e, conseguentemente, a una grave ipocalcemia. Si tratta di una complicanza nota, descritta nei testi medici, ma spesso sottovalutata nella pratica clinica. Quando non viene prevista, gestita o trattata correttamente, le conseguenze possono essere gravissime, invalidanti e, in alcuni casi, perfino mortali.
Una delle cause più frequenti è la mancata identificazione delle paratiroidi durante l’intervento. Le ghiandole paratiroidi sono piccole, di colore simile al tessuto adiposo o tiroideo, e si trovano in posizioni anatomiche variabili. Un chirurgo esperto lo sa: per evitare danni, bisogna cercarle attivamente, riconoscerle, rispettarle, proteggerle. Ma in molti interventi, soprattutto se eseguiti in centri con poca esperienza specifica, le ghiandole non vengono visualizzate. Vengono scambiate per linfonodi, per tessuto fibroso, per frammenti di aderenza. E vengono asportate insieme alla tiroide, in modo non intenzionale. Il danno è fatto. Ma nessuno lo annota.
In altri casi, le paratiroidi non vengono rimosse, ma perdono l’apporto vascolare. Ogni ghiandola ha un minuscolo peduncolo arterioso che garantisce l’irrorazione. Se viene coagulato, stirato o inciso durante la dissezione, la ghiandola va in necrosi. Il chirurgo crede di averla lasciata in sede, ma in realtà ha perso la sua funzione. Il paziente si sveglia in apparente benessere. Ma nel giro di poche ore o giorni, compare formicolio alle mani, crampi, spasmi muscolari, tachicardia, confusione. È l’ipocalcemia acuta, segno che il PTH è crollato.
Grave è il caso in cui non vengono effettuati controlli precoci dei valori di calcio e paratormone. Dopo una tiroidectomia totale, è obbligatorio controllare la calcemia già nelle prime ore post-operatorie. In molti ospedali, invece, il paziente viene dimesso dopo 24-48 ore senza un dosaggio completo, senza una valutazione dei sintomi, senza una terapia di supplementazione. Alcuni tornano al pronto soccorso con sintomi neurologici gravi, convulsioni, crisi di laringospasmo. E tutto questo poteva essere evitato con un semplice prelievo.
Altre volte, il dosaggio viene eseguito, ma non viene interpretato correttamente. Il calcio ionizzato scende, ma viene minimizzato. Il paratormone è ai limiti inferiori, ma non si agisce. Si attende, si dice che “è normale dopo la chirurgia”, che “tornerà a salire”. Ma l’attesa, in questi casi, è un errore. Perché la mancata somministrazione tempestiva di calcio e vitamina D attiva può portare a crisi ipocalcemiche irreversibili. Il danno neurologico è silenzioso, ma profondo. Alcuni pazienti riportano deficit cognitivi permanenti. Altri vanno incontro a calcificazioni cerebrali, mioclonie, insufficienza cardiaca.
Una delle responsabilità più gravi è non comunicare al paziente la possibilità della complicanza e i segnali da monitorare. Chi ha subito una tiroidectomia totale deve sapere che può sviluppare un ipoparatiroidismo, che deve riferire prontamente ogni sintomo neuromuscolare, che deve assumere la terapia anche in assenza di sintomi evidenti. Ma in molti casi, il paziente viene dimesso senza istruzioni chiare, senza una terapia preventiva, con una semplice indicazione di “controllo tra qualche settimana”. E nel frattempo, il quadro clinico precipita.
Esistono anche casi in cui le paratiroidi vengono identificate e rimosse intenzionalmente, ma non reimpiantate. In alcune situazioni, una ghiandola paratiroidea viene asportata per errore o per necessità oncologica. In questi casi, la prassi prevede il reimpianto autologo nel muscolo sternocleidomastoideo o nel braccio, per conservarne la funzione endocrina. Ma se questo gesto non viene eseguito, o viene fatto male, il paziente perde irreversibilmente la funzione paratiroidea. E la sua vita cambia per sempre.
Non mancano i casi in cui, pur in presenza di ipoparatiroidismo manifesto, la terapia viene gestita in modo inadeguato. Alcuni pazienti ricevono dosi eccessive di calcio e vitamina D, senza monitoraggio. Altri assumono la terapia in modo irregolare perché nessuno ha spiegato loro i rischi. Altri ancora si sentono abbandonati dopo la dimissione: nessun endocrinologo li prende in carico, nessun piano terapeutico viene aggiornato. Vivono in uno stato di ipocalcemia cronica, con dolori, stanchezza, spasmi, disturbi cognitivi, crisi di ansia e depressione.
Dal punto di vista medico-legale, l’ipoparatiroidismo post-operatorio è una delle complicanze più discusse della chirurgia endocrina. Può accadere anche nelle migliori mani. Ma non può accadere per disattenzione, per mancata identificazione, per assenza di controlli, per omissione di informazione. Quando la complicanza si verifica, la responsabilità non sta nell’evento in sé, ma in come è stato gestito prima, durante e dopo l’intervento.
Le conseguenze possono essere profonde e permanenti. Alcuni pazienti devono assumere calcio e calcitriolo a vita, con monitoraggi continui, crisi ricorrenti, paura costante di dimenticare una dose. Altri sviluppano calcificazioni a livello renale, cerebrale, corneale. Altri ancora non riescono più a lavorare, a condurre una vita normale. E tutto per un intervento che doveva migliorare la salute, non creare una nuova malattia.
Le paratiroidi sono piccole, ma vitali. Sono organi che meritano rispetto chirurgico, conoscenza anatomica, accuratezza operatoria. E quando vengono dimenticate, danneggiate, trascurate, il prezzo lo paga il paziente. In silenzio, giorno dopo giorno. E chi ha sbagliato, non può nascondersi dietro la parola “complicanza”. Deve rispondere. Con chiarezza. Con responsabilità. Con verità.
Quando si configura la responsabilità medica per ipoparatiroidismo post-operatorio da resezione ghiandolare?
La responsabilità medica per ipoparatiroidismo post-operatorio da resezione ghiandolare si configura ogniqualvolta, nel corso di un intervento di tiroidectomia o di asportazione di lesioni del collo, vengono danneggiate, rimosse o compromesse irrimediabilmente le paratiroidi, provocando un’insufficienza permanente nella produzione di paratormone, con conseguente ipocalcemia cronica e quadri clinici gravi, invalidanti e, in certi casi, irreversibili. L’ipoparatiroidismo non è una fatalità chirurgica: è una complicanza nota, prevedibile, evitabile con attenzione, conoscenza anatomica e tecnica meticolosa. Quando si verifica, bisogna chiedersi non solo se era possibile evitarlo, ma soprattutto se si è fatto tutto il necessario per prevenirlo.
Le ghiandole paratiroidi, generalmente in numero di quattro, sono piccole e ben nascoste nella regione posteriore della tiroide. Producono un ormone essenziale per l’equilibrio del calcio nel sangue. Durante una tiroidectomia totale o un intervento di svuotamento laterocervicale, queste ghiandole possono essere scambiate per tessuto adiposo o linfonodale, oppure essere asportate accidentalmente. Altre volte, vengono lasciate in sede ma con la loro vascolarizzazione danneggiata. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: un paziente che, nel giro di ore, entra in ipocalcemia acuta, con parestesie, crampi muscolari, spasmi, fino a convulsioni e tetania. E quel paziente ha subìto un danno grave, che ha un solo colpevole: l’intervento eseguito senza la dovuta accuratezza.
Non è sufficiente dire che le paratiroidi sono difficili da riconoscere. È proprio perché sono delicate, piccole e a rischio, che il chirurgo deve operare con una lentezza rispettosa, cercandole, isolandole, preservandole. Quando non è possibile salvarle in loco, devono essere reimpiantate – per esempio nel muscolo sternocleidomastoideo – per garantirne la sopravvivenza funzionale. Se questa procedura non viene neanche tentata, o se il chirurgo non annota nulla riguardo alla localizzazione e gestione delle paratiroidi, la responsabilità per il danno diventa ancora più netta.
In molti casi, l’ipoparatiroidismo non è transitorio ma definitivo. Il paziente è costretto a una terapia sostitutiva cronica, con calcio, vitamina D, a volte con paratormone ricombinante, con controlli frequenti, crisi acute ricorrenti e difficoltà nella gestione della vita quotidiana. Alcuni pazienti sviluppano disturbi cognitivi, altri soffrono di depressione, insonnia, stanchezza cronica. La qualità della vita si riduce drasticamente, in modo irreversibile. E tutto per una chirurgia che doveva essere risolutiva, ma che ha lasciato un danno funzionale permanente.
La responsabilità non si ferma al gesto chirurgico. Si estende anche al monitoraggio post-operatorio. Se il paziente lamenta formicolii, tremori, senso di confusione, e nessuno controlla tempestivamente i valori di calcio, se viene dimesso senza terapia corretta, o se viene minimizzata una sintomatologia compatibile con l’ipocalcemia, la negligenza non è solo intraoperatoria, ma clinica. E l’aggravamento che ne deriva è interamente imputabile a chi non ha saputo riconoscere l’evidenza.
Dal punto di vista legale, la responsabilità medica è di tipo contrattuale, secondo l’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente deve dimostrare di aver sviluppato un ipoparatiroidismo in seguito all’intervento. Sarà poi il medico e la struttura a dover dimostrare di aver eseguito la procedura con tecnica corretta, di aver cercato e preservato le ghiandole paratiroidi, di averle eventualmente reimpiantate, e di aver monitorato correttamente i valori ematochimici nel post-operatorio. In mancanza di annotazioni, di tracciabilità delle manovre chirurgiche o di gestione clinica post-operatoria, la responsabilità si presume.
Il consenso informato non giustifica una lesione permanente. Anche se il paziente è stato informato del rischio di ipocalcemia, non ha mai firmato per accettare una rimozione delle ghiandole senza tentativi di conservazione, né un trattamento chirurgico sbrigativo, né una dimissione senza diagnosi e terapia. Il consenso è valido solo se l’intervento viene eseguito con la massima diligenza. Firmare non significa rinunciare al diritto di essere operati bene.
In conclusione, la responsabilità medica per ipoparatiroidismo post-operatorio da resezione ghiandolare si configura ogniqualvolta il danno ormonale permanente derivi da una mancata identificazione, protezione o gestione delle paratiroidi durante l’intervento, o da un’omessa cura nel post-operatorio. Ogni ghiandola salvata è un frammento di salute garantita. Ogni ghiandola persa senza motivo è una prova di disattenzione. E quando da quella disattenzione nasce una condizione cronica, che cambia la vita del paziente, la medicina deve rispondere. Non con il silenzio, ma con la verità. E con la responsabilità che si deve a chi non ha più equilibrio nel corpo perché chi doveva operare con cura non ha operato con rispetto.
Cosa prevede la legge?
- Art. 1218 c.c. – Obbligo del chirurgo a un corretto adempimento della prestazione sanitaria
- Art. 2043 c.c. – Risarcimento del danno da fatto illecito
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di conformarsi a linee guida e best practices
- Art. 2236 c.c. – L’imperizia grave, anche in ambito chirurgico complesso, è fonte di responsabilità
Quali sono le conseguenze a lungo termine?
- Dipendenza da terapia sostitutiva con calcio e vitamina D attiva
- Crisi ipocalcemiche ripetute (anche notturne)
- Ospedalizzazioni frequenti
- Ridotta qualità della vita
- Limitazioni professionali e sociali
- Depressione e ansia reattive
- Invalidità riconosciuta nei casi gravi
Esempi concreti?
Uomo di 56 anni, tiroidectomia totale per carcinoma. Asportate tutte e quattro le paratiroidi. Ipoparatiroidismo permanente. Risarcimento: 470.000 euro.
Donna di 43 anni, noduli multinodulari benigni. Lesione vascolare delle paratiroidi. Ipocalcemia grave e ospedalizzazione ricorrente. Risarcimento: 390.000 euro.
Paziente di 61 anni, nessun autotrapianto eseguito. Danni neurologici per calcificazioni cerebrali. Stato depressivo. Risarcimento: 520.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Ipoparatiroidismo transitorio: 30.000 – 80.000 euro
- Forma permanente con terapia continua: 150.000 – 300.000 euro
- Complicanze neurologiche o renali: 350.000 – 500.000 euro
- Invalidità lavorativa: fino a 600.000 euro
Quanto tempo si ha per agire?
- 10 anni per interventi in clinica privata
- 5 anni contro struttura pubblica o chirurgo dipendente
- Decorrenza: dal momento della conferma diagnostica della cronicità del danno
Quali documenti sono fondamentali?
- Referto operatorio con descrizione delle paratiroidi
- Referti endocrinologici post-intervento
- Esami di laboratorio: calcio, PTH, vitamina D, fosforo
- Diagnosi di ipoparatiroidismo cronico
- Cartella clinica e diario infermieristico
- Perizia medico-legale
Cosa può fare l’avvocato?
- Ricostruire l’intervento e valutare la condotta chirurgica
- Verificare l’omissione del salvataggio delle paratiroidi
- Collaborare con endocrinologi e chirurghi forensi
- Quantificare danno permanente, spese future e perdita lavorativa
- Predisporre la richiesta danni
- Avviare mediazione e azione legale
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
L’ipoparatiroidismo post-operatorio non è sempre evitabile, ma quando deriva da disattenzione, inesperienza o superficialità tecnica, è un errore chirurgico. Le paratiroidi sono minuscole, ma la loro funzione è vitale. Se vengono asportate senza criterio o lasciate ischemiche, le conseguenze ricadono per sempre sul paziente.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità affrontano questi casi con un team dedicato:
- Chirurghi endocrini e ORL forensi
- Endocrinologi esperti in complicanze post-tiroidee
- Medici legali specializzati in danni metabolici permanenti
- Consulenti per la stima del danno biologico e professionale
Ogni dettaglio viene ricostruito: la tecnica usata, la scelta di non procedere all’autotrapianto, la gestione post-operatoria, la mancata diagnosi precoce. Perché ogni ghiandola sacrificata per errore può significare una vita compromessa.
E la giustizia può restituire almeno il diritto alla dignità.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: