Infezione Post-Endoscopia e Risarcimento Danni

Introduzione

L’endoscopia digestiva, sia essa gastroscopia, colonscopia o ERCP, è una procedura medica di routine, considerata sicura, rapida e indispensabile per la diagnosi e il trattamento di numerose patologie gastroenteriche. Tuttavia, quando gli standard di sterilizzazione non vengono rispettati, l’endoscopia può trasformarsi da strumento diagnostico in veicolo di infezione.

Un’infezione post-endoscopica non è una complicanza inevitabile: è spesso il segnale di una carenza nei protocolli di disinfezione o di un errore tecnico. L’endoscopio, essendo uno strumento riutilizzabile, richiede una rigorosa decontaminazione tra un paziente e l’altro. Basta una negligenza, una superficialità, un’omissione – anche minima – per esporre il paziente a virus, batteri multiresistenti o infezioni micotiche gravi.

In questo articolo vedremo: cosa si intende per infezione post-endoscopia, quali sono le cause più frequenti, quando c’è responsabilità medica, quali danni può provocare, cosa prevede la legge e come ottenere un risarcimento. Nella parte finale, analizzeremo le competenze specifiche degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità in questo ambito delicatissimo.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Cosa si intende per infezione post-endoscopica?

È un’infezione contratta a seguito di un esame endoscopico, dovuta alla contaminazione dello strumento utilizzato o a manovre non sterili. Può manifestarsi:

  • Nelle ore o giorni successivi all’esame
  • Come febbre, dolori addominali, nausea o diarrea
  • Con quadri clinici gravi: setticemia, endocardite, pancreatite, epatite, ascessi

Quali infezioni possono insorgere?

  • Infezioni batteriche (E. coli, Klebsiella, Pseudomonas, Enterococchi)
  • Infezioni da micobatteri non tubercolari
  • Virus dell’epatite B o C (se strumenti non correttamente sterilizzati)
  • Infezioni fungine (Candida in pazienti immunodepressi)

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di infezione post-endoscopia?

L’endoscopia digestiva, sia essa gastroscopia, colonscopia o ERCP, è una delle indagini più praticate nella medicina moderna. Ogni anno, milioni di pazienti vengono sottoposti a questi esami, con finalità diagnostiche o terapeutiche. La percezione diffusa è che si tratti di procedure sicure, a basso rischio, senza grandi conseguenze. Ma quando l’endoscopia non viene eseguita rispettando rigorosamente le norme di igiene e sterilizzazione, il rischio di infezione diventa reale, concreto e, in alcuni casi, letale. E a differenza di altre complicanze, l’infezione post-endoscopica è quasi sempre evitabile. Quando si verifica, è doveroso chiedersi se si tratta di fatalità o di responsabilità.

Una delle principali cause di infezione è la contaminazione dell’endoscopio tra un paziente e l’altro. Gli strumenti flessibili utilizzati nelle endoscopie sono complessi, composti da canali interni, guaine, valvole, ottiche. Non basta una pulizia superficiale. Serve un processo articolato di lavaggio, disinfezione ad alto livello, risciacquo, asciugatura e conservazione. Se una sola fase di questo ciclo viene eseguita male, l’endoscopio può trasportare batteri, virus, miceti da un paziente all’altro. In molte strutture, i protocolli esistono ma non vengono rispettati per mancanza di personale, fretta, o semplice disattenzione.

Un errore ricorrente è l’uso di strumenti non perfettamente funzionanti o danneggiati. Le microfessure nei canali, le crepe nei connettori, le ostruzioni nei dispositivi di lavaggio possono impedire una disinfezione efficace. Alcuni centri, pur di non interrompere l’attività, continuano a usare strumenti “riparati alla meglio”, oppure saltano i controlli periodici previsti dai protocolli di manutenzione. Il risultato è che i residui organici restano intrappolati nei canali. E lì si annidano batteri resistenti, come Klebsiella, Pseudomonas, Enterococcus, perfino Mycobacterium. Quando questi agenti infettivi entrano nel tratto digestivo di un paziente debilitato, possono provocare infezioni gravi, setticemie, ascessi profondi.

In molti casi, l’errore nasce nell’organizzazione logistica del servizio. Strutture che non dispongono di aree separate per lo sporco e il pulito, personale non addestrato, carenza di materiali monouso, lavatrici disinfettanti fuori uso. Gli strumenti vengono trasportati senza protezione, appoggiati su superfici contaminate, gestiti da operatori che passano dal paziente all’endoscopio senza cambiare i guanti. Una catena di micro-errori che si traduce in un’esposizione reale al rischio biologico.

Un altro fattore importante è la scarsa attenzione al profilo immunologico del paziente. Alcuni soggetti sono immunodepressi, affetti da diabete scompensato, neoplasie, epatopatie o malattie croniche. In questi casi, anche una minima carica batterica può innescare un’infezione seria. Se il centro non valuta adeguatamente questi fattori, se non applica protocolli specifici di prevenzione, se non adotta misure supplementari per questi pazienti, sta ignorando un rischio clinico prevedibile. E l’infezione non sarà più una complicanza inevitabile, ma un evento colposo.

In alcune situazioni, l’infezione non viene riconosciuta tempestivamente. Il paziente torna a casa con febbre, dolori addominali, diarrea, brividi. Telefona al reparto. Viene rassicurato: “È normale, è solo aria o stress”. Ma i sintomi peggiorano. Si sviluppa una batteriemia, una colite infettiva, un ascesso epatico. Quando il paziente torna in ospedale, l’infezione si è già diffusa, richiede ricovero, antibiotici endovena, a volte interventi chirurgici. E nessuno riesce più a risalire al momento in cui tutto è cominciato. Ma basta guardare la sequenza temporale per capirlo: l’endoscopia era il punto di partenza.

Ci sono anche situazioni in cui la trasmissione non riguarda solo batteri, ma virus. L’epatite B e C, in particolare, sono patologie che possono essere veicolate da strumenti contaminati. Se l’endoscopio non è stato disinfettato correttamente, il rischio di trasmissione virale diventa concreto. Alcuni pazienti ricevono la diagnosi mesi dopo, quando l’infezione è diventata cronica. E a quel punto, ricostruire la catena del contagio è difficile, ma non impossibile. I centri endoscopici hanno l’obbligo di registrare ogni procedura, ogni paziente, ogni dispositivo utilizzato. E quando manca la tracciabilità, la negligenza diventa evidente.

Dal punto di vista medico-legale, l’infezione post-endoscopia è una delle complicanze meno giustificabili. Perché la sua prevenzione non richiede tecnologia avanzata, ma solo rispetto dei protocolli, attenzione ai dettagli, formazione continua del personale. Ogni struttura ha l’obbligo di seguire le linee guida nazionali e internazionali sulla disinfezione degli strumenti endoscopici. Quando queste linee vengono ignorate, la responsabilità non è solo dell’operatore, ma dell’intero sistema sanitario.

Le conseguenze per il paziente possono essere molto gravi. Infezioni del sangue, sepsi, ricoveri prolungati, cicli antibiotici pesanti, danni epatici, fistole, infezioni opportunistiche. Alcuni sopravvivono ma restano segnati da danni permanenti. Altri sviluppano malattie croniche. Altri ancora non sopravvivono. E tutto questo per un esame che doveva essere di routine. Che doveva servire a prevenire, non a far ammalare.

La sicurezza in sanità non si misura dal numero delle prestazioni, ma dalla qualità di ogni singola procedura. Ogni endoscopio non sterilizzato è un potenziale veicolo di malattia. E chi lo maneggia ha in mano non solo uno strumento, ma una responsabilità. Quando si dimentica questo, il rischio non è più accettabile. È un errore. È una colpa.

Quando si configura la responsabilità medica per infezione post-endoscopia?

La responsabilità medica per infezione post-endoscopia si configura ogniqualvolta un paziente, dopo aver eseguito una procedura endoscopica – gastroscopia, colonscopia, broncoscopia o altra indagine simile – sviluppa un’infezione batterica, virale o fungina che può essere ricondotta al mancato rispetto delle norme di sterilizzazione dello strumentario, alla contaminazione ambientale, alla cattiva gestione delle condizioni igienico-sanitarie o all’omessa profilassi e sorveglianza clinica. L’endoscopia è considerata un esame sicuro, routinario, a basso impatto per il paziente. Ma proprio questa apparente semplicità, se affrontata con superficialità, può trasformarsi in una trappola clinica e giuridica.

Lo strumento endoscopico, per sua natura, entra in contatto diretto con mucose e secrezioni, può raccogliere materiale biologico e veicolare microrganismi da un paziente all’altro se non adeguatamente trattato. Le linee guida internazionali indicano con precisione le procedure di disinfezione ad alto livello, i detergenti da utilizzare, i tempi di immersione, i controlli microbiologici da effettuare periodicamente. Se queste pratiche non vengono rispettate, o se si agisce con fretta per ottimizzare i tempi di lista, lo strumento può diventare un veicolo di infezione. E ogni batterio trasmesso attraverso un endoscopio è una prova diretta di un’asepsi mancata.

Le infezioni più comuni post-endoscopia includono sepsi da Klebsiella, Pseudomonas, Enterococchi, infezioni da Clostridium difficile, epatiti virali e, in casi documentati, perfino trasmissione di micobatteri non tubercolari. I sintomi possono manifestarsi subito o a distanza di giorni: febbre alta, dolore addominale, diarrea, stato settico, polmoniti o infezioni urinarie da contaminazione incrociata. Quando il paziente si ripresenta con questi segni, è dovere del medico e della struttura sanitaria valutare immediatamente il collegamento con la procedura recente. Ignorare i segnali significa prolungare la sofferenza, aggravare il danno e aumentare la responsabilità.

Altre forme di infezione post-endoscopica derivano da microtraumi mucosi causati da manovre troppo aggressive, biopsie mal eseguite, polipectomie senza adeguato controllo emostatico. In questi casi, l’endoscopia non solo espone il paziente a un’infezione opportunistica, ma ne crea il terreno anatomico. E se l’ambiente non è sterile, il rischio diventa certezza. Alcuni pazienti necessitano di ricoveri d’urgenza, terapie antibiotiche prolungate, interventi chirurgici di drenaggio, fino al trasferimento in rianimazione. Altri sviluppano infezioni croniche, con ricadute sulla funzione intestinale o respiratoria, che durano mesi o anni. E tutto questo non sarebbe mai accaduto se qualcuno avesse semplicemente disinfettato in modo corretto.

Un altro aspetto fondamentale è l’informazione al paziente. Chi si sottopone a endoscopia deve essere informato anche sui possibili segni di infezione, deve ricevere indicazioni precise su cosa monitorare dopo la dimissione, a chi rivolgersi, entro quanto tempo. Se questo non avviene, e il paziente resta a casa con febbre e dolore pensando sia “normale”, la mancata comunicazione diventa essa stessa una forma di responsabilità. Non basta effettuare la procedura: bisogna anche guidare il paziente nel dopo, con attenzione e competenza. Perché la medicina continua anche dopo l’ultimo minuto dell’esame.

Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica per infezione post-endoscopia è di tipo contrattuale, secondo l’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente deve dimostrare di aver sviluppato un’infezione dopo la procedura. La struttura sanitaria e il medico devono invece dimostrare di aver eseguito correttamente le procedure di disinfezione, sterilizzazione, tracciabilità dello strumentario, monitoraggio delle infezioni e follow-up. In assenza di documentazione puntuale, registri di sterilizzazione aggiornati e controlli microbiologici tracciabili, la responsabilità si presume.

In molti casi, la cartella clinica non riporta nulla. Nessuna nota sullo stato dello strumentario, nessun controllo sui materiali utilizzati, nessuna firma o sigla dell’operatore incaricato della pulizia. E in questi vuoti si costruisce la prova del danno. Alcune infezioni vengono considerate “sfortunate coincidenze”. Ma quando i batteri trovati sono gli stessi riscontrati in altri pazienti, o sono ceppi ospedalieri resistenti, non si tratta più di sfortuna. Si tratta di trascuratezza sistemica.

Il consenso informato non protegge dall’errore tecnico o organizzativo. Nessun paziente può accettare volontariamente un’infezione evitabile. Nessuna firma giustifica un’endoscopia eseguita con strumenti non disinfettati o con ambienti contaminati. Il consenso ha valore solo se l’intervento è effettuato con tutte le misure di sicurezza previste. Firmare non significa rinunciare al diritto di essere protetti.

In conclusione, la responsabilità medica per infezione post-endoscopia si configura ogniqualvolta il paziente venga esposto a un rischio biologico che poteva essere prevenuto con una corretta igiene strumentale, una gestione clinica attenta e un monitoraggio post-procedura rigoroso. L’endoscopia deve essere uno strumento di diagnosi, non di contagio. E quando a far ammalare è l’esame che doveva curare, chi lo ha eseguito ha il dovere di rispondere. Perché la fiducia non si sterilizza: si mantiene con gesti concreti, tracciabili, professionali. E ogni volta che quella fiducia viene violata da un’infezione evitabile, la medicina ha fallito. E deve riparare.

Cosa prevede la legge?

  • Art. 1218 c.c. – Inadempimento dell’obbligazione sanitaria
  • Art. 2043 c.c. – Danno da fatto illecito
  • Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di prevenzione del rischio infettivo
  • Art. 2236 c.c. – Il medico e la struttura sono responsabili anche in casi complessi, se agiscono con negligenza o imperizia

Esempi concreti?

Uomo di 59 anni, colonscopia ambulatoriale. Infezione da Klebsiella carbapenem-resistente. Ricovero in rianimazione per sepsi. Risarcimento: 480.000 euro.

Donna di 65 anni, gastroscopia in struttura privata. Epigastralgia e febbre alta. Diagnosi: ascesso epatico da contaminazione endoscopica. Risarcimento: 410.000 euro.

Paziente oncologico di 70 anni, infezione da Pseudomonas aeruginosa dopo ERCP. Polmonite secondaria, danno polmonare permanente. Risarcimento: 520.000 euro.

Quanto può valere un risarcimento?

  • Infezione con guarigione in tempi brevi: 30.000 – 80.000 euro
  • Ricovero prolungato e danno organico: 120.000 – 250.000 euro
  • Sepsi o invalidità permanente: 300.000 – 500.000 euro
  • Morte per infezione non riconosciuta: fino a 700.000 euro

Quanto tempo si ha per agire?

  • 10 anni contro strutture private
  • 5 anni contro strutture pubbliche e medici dipendenti
  • Il termine decorre dal momento in cui viene accertata la correlazione tra l’infezione e la procedura endoscopica

Quali documenti sono fondamentali?

  • Cartella clinica della procedura endoscopica
  • Documentazione sul lavaggio e sterilizzazione degli strumenti
  • Referti microbiologici
  • Diario clinico del ricovero post-infezione
  • Perizia medico-legale

Cosa può fare l’avvocato?

  • Accertare la dinamica del contagio
  • Dimostrare la mancata prevenzione o disinfezione
  • Collaborare con medici legali e infettivologi forensi
  • Calcolare il danno biologico, morale, patrimoniale
  • Attivare la procedura risarcitoria

Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità

Le infezioni post-endoscopia non sono colpi del destino. Sono spesso il frutto di una filiera sanitaria non rispettata, di un protocollo saltato, di una disattenzione che diventa danno.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità trattano con rigore questi casi:

  • Collaborano con infettivologi, gastroenterologi e medici legali esperti
  • Analizzano la documentazione clinica e tecnica della procedura
  • Ricostruiscono i protocolli violati o non rispettati
  • Ottengono risarcimenti proporzionati al danno subito

Perché quando un esame rovina la salute che doveva proteggere, la legge deve intervenire con forza e precisione.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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