L’osteomielite è un’infezione grave che colpisce l’osso e il midollo osseo. Può derivare da un’infezione locale, da un intervento chirurgico, da una frattura esposta o da una disseminazione ematica (batteriemia). Se riconosciuta e trattata tempestivamente, può essere curata con antibiotici mirati o, nei casi più complessi, con chirurgia di debridement. Tuttavia, se non diagnosticata in tempo, può portare a danni irreversibili, tra cui necrosi ossea, sepsi, amputazione o invalidità permanente.

Quando l’osteomielite viene sottovalutata o scambiata per altre patologie (dolori articolari, artrite, trauma muscolare), il ritardo nella diagnosi e nel trattamento può costituire un errore medico grave, con conseguente diritto del paziente al risarcimento per malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di osteomielite da parte di un medico?
L’osteomielite è un’infezione dell’osso potenzialmente grave, che può manifestarsi in forma acuta, subacuta o cronica, ed è spesso causata da batteri piogeni come lo Staphylococcus aureus. Colpisce soggetti di ogni età, ma è particolarmente frequente nei bambini, nei pazienti immunodepressi, nei diabetici, nei politraumatizzati e in coloro che sono portatori di dispositivi ortopedici. Se non diagnosticata e trattata tempestivamente, l’osteomielite può evolvere verso la distruzione ossea, la sepsi sistemica o la perdita della funzione dell’arto colpito. Quando il medico non riconosce i segnali clinici o trascura gli esami necessari, può determinarsi un danno grave, evitabile con una gestione più attenta.
Una delle principali cause di mancata diagnosi è la presentazione clinica atipica o sfumata, soprattutto nelle forme subacute o croniche. I pazienti possono riferire dolore osseo vago, malessere generale, astenia e febbricola, senza segni evidenti di infezione locale. In queste condizioni, il sospetto clinico viene facilmente escluso o rinviato, soprattutto se il medico si concentra su diagnosi più comuni o meno gravi, come contusioni, artrite o dolore neuropatico.
Nei pazienti con ferite chirurgiche o traumi ossei recenti, il dolore persistente viene spesso interpretato come normale decorso post-operatorio. Ma quando il dolore si mantiene oltre i limiti attesi, peggiora nel tempo o si associa a secrezioni, arrossamento o lieve rialzo febbrile, deve sempre far sospettare una possibile infezione profonda. Se il medico non esegue una valutazione mirata, o se tranquillizza il paziente con frasi come “è solo infiammazione”, perde l’occasione di intervenire prima che l’infezione diventi strutturata.
Un altro errore frequente è la sottovalutazione delle infezioni nei pazienti diabetici, soprattutto in presenza di ulcere plantari o microtraumi recidivanti. In questi soggetti, la neuropatia periferica può mascherare il dolore e la presenza di iperemia o edema può essere attribuita alla vasculopatia cronica. Se non viene effettuata una radiografia, una risonanza magnetica o una scintigrafia ossea, il focolaio osteomielitico può passare inosservato anche per settimane. Nel frattempo, la struttura ossea va incontro a necrosi, fistole e frammentazione.
La carenza di indagini ematochimiche mirate è un altro elemento critico. Nelle fasi iniziali, la VES, la PCR e i globuli bianchi possono risultare solo lievemente alterati, e questo porta il medico a escludere infezioni importanti. Tuttavia, il valore diagnostico di questi esami aumenta se confrontato in serie temporale, e deve essere sempre interpretato nel contesto clinico completo. L’assenza di febbre non è un criterio per escludere l’osteomielite, specialmente nei soggetti fragili o immunocompromessi.
Le forme vertebrali di osteomielite, come la spondilodiscite, sono tra le più frequentemente non diagnosticate. Il paziente lamenta dolore lombare persistente, senza segni neurologici evidenti. In molti casi, viene trattato con analgesici o fisioterapia per settimane, senza che venga eseguita un’adeguata risonanza magnetica. La RX standard spesso appare normale nelle prime fasi e può indurre in errore. Solo l’imaging avanzato può evidenziare la distruzione discale e le alterazioni ossee precoci.
Anche la fiducia eccessiva nei primi esami negativi può ritardare la diagnosi. Una radiografia negativa o una TAC non conclusiva possono indurre il medico a chiudere prematuramente il percorso diagnostico. Ma l’osteomielite può impiegare fino a 10–14 giorni prima di produrre segni radiologici evidenti. L’errore è non ripetere gli accertamenti o non passare a esami più sensibili quando i sintomi persistono.
L’assenza di consulti multidisciplinari è un altro fattore di rischio. Il sospetto di osteomielite dovrebbe attivare un percorso condiviso tra infettivologo, radiologo, ortopedico e medico di base. Quando il paziente viene gestito in modo frammentato, senza un clinico di riferimento che coordini le informazioni, i segni possono disperdersi tra più specialisti e non portare a una diagnosi univoca.
Le infezioni post-chirurgiche o post-protesiche rappresentano una delle aree più delicate e a rischio di sottovalutazione. Il dolore dopo un impianto ortopedico è frequente, ma se si associa a secrezioni, arrossamento cutaneo o rigidità articolare ingravescente, va sempre esclusa una periprostesica. La diagnosi è complessa e richiede esami colturali su aspirato, imaging mirato, biopsie. Ma spesso il paziente viene tranquillizzato per evitare il sospetto di fallimento chirurgico, perdendo tempo prezioso.
Nei bambini, la diagnosi di osteomielite può essere particolarmente difficile. I sintomi possono essere aspecifici, con febbre modesta, irritabilità, rifiuto del carico sull’arto. Se il pediatra non considera il rischio infettivo e si limita a osservare l’evoluzione clinica senza approfondire, l’infezione può estendersi rapidamente alle cartilagini di accrescimento, compromettendo lo sviluppo osseo. La risonanza magnetica è fondamentale, ma non sempre viene prescritta nei tempi giusti.
Anche la gestione superficiale delle infezioni cutanee profonde è un errore comune. Flemmone, cellulite, piaghe da decubito, ulcere croniche devono essere valutate attentamente con esami strumentali, perché l’infezione può estendersi all’osso per via contigua. Se il medico tratta localmente con antibiotici topici o sistemici senza valutare l’estensione, l’infezione si insinua e cronicizza.
La colpa medica, nei casi di osteomielite non diagnosticata, risiede spesso nel non vedere oltre il sintomo iniziale. Il dolore, l’infiammazione, la febbre sono segnali, ma richiedono uno sguardo clinico che colleghi dati e sospetti, che sappia anticipare le complicanze, che non si fermi alla prima ipotesi. Il tempo è la variabile critica: ogni giorno perso in attesa di conferme può essere un giorno di distruzione irreversibile dell’osso.
La documentazione clinica insufficiente aggrava la situazione. Se i sintomi riferiti non vengono annotati correttamente, se non si tiene traccia dei valori ematici progressivi, se le scelte terapeutiche non vengono giustificate, diventa difficile distinguere tra errore di giudizio e omissione. La medicina difensiva, in questi casi, non basta: serve una medicina attenta, che ascolti e approfondisca.
In conclusione, l’osteomielite non è una patologia rara: è una diagnosi spesso mancata. Non perché difficile, ma perché ignorata o rinviata. Il medico che sceglie di ascoltare il dolore persistente, che non si accontenta di una lastra normale, che richiede esami anche quando “sembra tutto a posto”, è l’unico che può fermare l’infezione prima che si prenda tutto.
Ogni dolore osseo che non passa è una voce da indagare. Ogni febbricola con edema è un campanello. Ogni arto che diventa più rigido o più caldo è una mappa da leggere. Perché tra una diagnosi differita e una gamba da amputare c’è solo un passaggio: la scelta di andare a fondo. Anche quando tutto sembra “solo un’infiammazione”. Anche quando nessuno ci crede.
Quali sono le conseguenze di un’osteomielite non trattata?
Se non riconosciuta per tempo, l’osteomielite può causare:
- Necrosi dell’osso e delle strutture circostanti;
- Formazione di fistole e ascessi, anche cronici;
- Setticemia (infezione diffusa nel sangue), potenzialmente letale;
- Fratture patologiche o instabilità ossea;
- Amputazioni (soprattutto nei pazienti diabetici o immunodepressi);
- Invalidità permanente, con ridotta mobilità e dolore cronico;
- Lunghi ricoveri e cicli ripetuti di terapia antibiotica ospedaliera o domiciliare.
Quando si configura la responsabilità medica per osteomielite non diagnosticata
La responsabilità medica per osteomielite non diagnosticata si configura ogni volta che il quadro clinico, pur suggerendo un’infezione ossea, non viene riconosciuto tempestivamente, non viene approfondito con gli esami necessari oppure viene interpretato come una condizione infiammatoria generica, permettendo alla patologia di progredire fino alla distruzione ossea, alla sepsi o alla necessità di interventi demolitivi. L’osteomielite è una malattia subdola, spesso inizialmente silente o confusa con altre condizioni. Ma è anche una patologia ampiamente nota, per la quale esistono linee guida chiare e strumenti diagnostici altamente specifici. Quando la diagnosi manca, non è la malattia a tradire il medico: è il medico a ignorare i suoi segnali.
La forma acuta, che può derivare da infezione ematogena o post-traumatica, si manifesta con febbre, dolore localizzato, gonfiore, arrossamento, aumento degli indici infiammatori e, nei casi più gravi, fistole o secrezione purulenta. Se in presenza di questi segni il medico non prescrive indagini adeguate come una risonanza magnetica, un esame scintigrafico o almeno una radiografia mirata, l’omissione diagnostica assume immediata rilevanza clinica e legale.
Il primo errore frequente è attribuire il dolore osseo a cause meccaniche, reumatologiche o muscolari. In pazienti con recente chirurgia ortopedica, fratture esposte, ulcere da decubito o impianti protesici, ogni sintomo doloroso con febbre dovrebbe porre il sospetto di osteomielite. Se invece vengono somministrati solo analgesici o antibiotici generici senza approfondire la causa, il trattamento è inefficace e il danno inizia a sedimentarsi.
Particolarmente a rischio sono i pazienti immunodepressi, diabetici, oncologici, emodializzati e pediatrici. In questi soggetti, l’infezione può evolvere molto più rapidamente e con manifestazioni atipiche. Una lieve tumefazione, una febbricola persistente o un innalzamento della PCR devono far sospettare un’infezione profonda. Se invece i sintomi vengono trascurati, o viene data per scontata una semplice infezione delle parti molli senza considerare l’estensione all’osso, la diagnosi differenziale non è solo sbagliata, ma pericolosamente incompleta.
Un altro profilo di responsabilità si presenta quando il paziente è seguito per una frattura esposta, un’infezione post-operatoria o una ferita chirurgica che non guarisce. In questi casi, l’infezione cronica può progredire nell’osso in modo silente. Se il chirurgo o il medico di base non valuta la necessità di imaging avanzato, di un prelievo bioptico o di una consulenza infettivologica, la sottovalutazione del rischio comporta un danno che diventa progressivamente irreversibile.
Anche i centri di riabilitazione e lungodegenza devono essere consapevoli del rischio. Pazienti allettati, con ulcere profonde, sono soggetti ad osteomielite vertebrale, pelvica o delle ossa lunghe. Se il personale sanitario osserva secrezioni croniche, dolore non spiegato o peggioramento clinico e non segnala il sospetto, oppure se i medici non prescrivono accertamenti, l’omissione della diagnosi in un contesto prevedibile è una colpa assistenziale.
Dal punto di vista diagnostico, l’errore emerge anche quando gli esami eseguiti non vengono correttamente interpretati. Radiografie con alterazioni corticali, scintigrafie con captazioni anomale, RMN con edema osseo e segni di infiammazione devono indurre il medico a una diagnosi certa. Se questi referti vengono archiviati senza conseguenze cliniche, o se il trattamento antibiotico viene iniziato senza biopsia ossea o senza una consulenza ortopedico-infettivologica, la superficialità nella gestione del caso è direttamente connessa al peggioramento.
La mancata diagnosi precoce dell’osteomielite ha conseguenze pesantissime: infezione cronica, fistole osteo-cutanee, instabilità scheletrica, fratture patologiche, necessità di resezione chirurgica, amputazioni. Nei casi più gravi può condurre a sepsi sistemica con rischio di morte. Se si dimostra che il ritardo diagnostico ha favorito una di queste evoluzioni, il nesso causale con la condotta sanitaria è giuridicamente evidente.
Anche l’assenza di follow-up strutturato rappresenta un errore. Il paziente trattato per un’infezione superficiale, ma a rischio di osteomielite, deve essere seguito nel tempo. La regressione dei sintomi deve essere verificata clinicamente e strumentalmente. Se il paziente sparisce dai controlli o viene abbandonato senza indicazioni precise, la responsabilità ricade anche sull’organizzazione del percorso assistenziale.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si fonda sul principio della prevedibilità e della prevenibilità. L’osteomielite è una diagnosi nota, inserita in tutte le linee guida come complicanza da sorvegliare in pazienti vulnerabili o post-intervento. Se i sintomi erano presenti, se i dati di laboratorio indicavano infiammazione, se gli esami erano disponibili ma non considerati, la colpa è configurabile per negligenza clinica e imperizia diagnostica.
Le perizie tecniche analizzano la sequenza temporale dei sintomi, i referti radiologici, i valori ematici, i tempi di presa in carico, la congruità delle terapie e le decisioni cliniche. Se emerge che un medico medio diligente, a parità di condizioni, avrebbe potuto sospettare e diagnosticare l’osteomielite prima, limitandone la gravità, la responsabilità professionale è pienamente dimostrabile.
L’osso non guarisce da solo, se infetto. E ogni giorno in cui l’infezione prolifera, il tessuto si consuma, la struttura cede, la malattia si radica. Quando il medico non ascolta i segnali, non indaga il sospetto, non verifica la risposta clinica, il danno non è solo biologico: è la conseguenza di una diagnosi che poteva esserci e non c’è stata. E quando ciò accade, il silenzio diagnostico diventa responsabilità. Documentabile, evitabile, risarcibile.manente o la morte del paziente, si può procedere legalmente per ottenere un risarcimento completo.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 Codice Civile, per il risarcimento del danno da fatto illecito;
- Art. 1218 e 1228 Codice Civile, per responsabilità contrattuale di medico e struttura sanitaria;
- Art. 2236 Codice Civile, in relazione ad attività specialistiche;
- Art. 590 Codice Penale, per lesioni personali colpose derivanti da errore medico.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Paziente con infezione post-operatoria ignorata, sviluppa osteomielite e amputazione dell’arto: risarcimento di 1.500.000 euro;
- Osteomielite femorale in soggetto diabetico sottovalutata, con invalidità e disabilità motoria: risarcimento di 1.200.000 euro;
- Bambino con febbre e zoppia trattato per semplice influenza, sviluppa necrosi ossea: risarcimento di 1.350.000 euro;
- Frattura esposta trattata senza profilassi antibiotica, sviluppa infezione cronica: risarcimento di 980.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
In caso di osteomielite non diagnosticata o mal gestita, il paziente (o i familiari in caso di decesso) deve:
- Rivolgersi a un avvocato specializzato in responsabilità medica ortopedica e infettivologica;
- Richiedere una perizia medico-legale, con il supporto di infettivologi, ortopedici e radiologi legali;
- Raccogliere tutta la documentazione sanitaria (cartelle cliniche, referti, esami, prescrizioni);
- Dimostrare il nesso causale tra condotta medica errata e danno subito;
- Avviare una causa civile o procedura stragiudiziale, per ottenere il risarcimento per danno biologico, morale, patrimoniale e da invalidità.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano con un team medico-legale multidisciplinare, garantendo tutela specializzata e completa in casi di infezioni ossee non trattate.
Conclusione
L’osteomielite è una malattia pericolosa ma gestibile, se affrontata con tempestività. Quando l’errore medico ne impedisce la diagnosi e il trattamento, il danno che ne deriva è profondamente ingiusto.
Se sospetti di aver subito – o se un tuo familiare ha subito – le conseguenze di un’osteomielite non riconosciuta o trattata, agisci subito. La legge ti tutela: verità, giustizia e risarcimento sono un tuo diritto.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: