Errore Nel Triage E Risarcimento Danni

Il triage è il sistema di classificazione delle urgenze che determina l’ordine di accesso alle cure nei pronto soccorso italiani. È una fase cruciale dell’assistenza sanitaria d’emergenza, perché da essa dipende la tempestività dell’intervento e, spesso, la possibilità di salvare la vita del paziente. Il personale infermieristico, adeguatamente formato, attribuisce un codice di priorità basato sulle condizioni cliniche osservate: codice rosso (emergenza), arancione (urgenza), giallo (urgenza differibile), verde (non urgente) e bianco (codice amministrativo).

Un errore nel triage può avere conseguenze gravissime, ritardando l’accesso a trattamenti salvavita o determinando un peggioramento irreversibile della condizione clinica. Purtroppo, non sono rari i casi in cui pazienti affetti da infarto, ictus, embolia polmonare, appendicite acuta o sepsi vengono sottovalutati e lasciati in attesa per ore, con esiti drammatici.

Quando il danno è causato da una valutazione errata o da un’omissione durante il triage, si configura una responsabilità medica, che può essere attribuita alla struttura sanitaria e/o al personale in servizio. Il paziente ha diritto a richiedere un risarcimento per i danni subiti, sia fisici che morali.

In questo articolo analizzeremo le cause più frequenti degli errori di triage, i dati più aggiornati, le normative italiane fino al 2025, gli esempi reali di risarcimento ottenuto dai pazienti danneggiati e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati in responsabilità sanitaria e pronto soccorso.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni dell’errore nel triage, quando imputabile a colpa medica?

Il triage è il primo atto clinico che un paziente incontra varcando la soglia del pronto soccorso. È in quel momento che, attraverso una valutazione rapida dei sintomi, dei parametri vitali e dell’anamnesi, si decide la priorità di accesso alle cure, e spesso anche la probabilità di sopravvivenza. Un errore in questa fase può tradursi in un ritardo diagnostico critico, in un aggravamento evitabile della patologia o, nei casi peggiori, in un esito fatale. Quando l’errore nasce da una valutazione frettolosa, da un’interpretazione sbagliata o da una sottovalutazione dei segnali clinici, si configura una responsabilità professionale di notevole rilevanza.

Una delle cause più frequenti dell’errore nel triage è la sottovalutazione dei sintomi atipici o sfumati. Non tutti i quadri clinici si presentano con manifestazioni classiche: un infarto può esordire con nausea o dolore addominale, un’ischemia cerebrale con vertigini, un’embolia polmonare con lieve tachipnea. Se l’infermiere addetto al triage non è in grado di cogliere la possibile gravità nascosta dietro un’apparente stabilità, assegna un codice di priorità troppo basso, ritardando l’inizio del trattamento.

L’errore può derivare anche da una raccolta anamnestica superficiale. Se il paziente non viene ascoltato adeguatamente, se non si pongono domande mirate o se ci si limita a valutare solo il sintomo principale senza approfondire la storia clinica, informazioni fondamentali rischiano di andare perse. Questo è particolarmente grave in pazienti anziani, non collaboranti, affetti da disabilità o con barriere linguistiche.

Un altro fattore è la scarsa considerazione dei parametri vitali alterati. Il triage non è solo basato su ciò che il paziente racconta, ma anche su ciò che “il corpo dice”: frequenza cardiaca, saturazione, pressione arteriosa, temperatura, stato di coscienza. Se questi dati vengono ignorati, non rilevati correttamente, o interpretati con leggerezza, il rischio clinico reale del paziente viene completamente distorto.

In alcune strutture, l’eccessiva pressione organizzativa e la necessità di gestire grandi numeri di accessi portano a un triage semplificato e standardizzato. L’uso meccanico di algoritmi, schede a punteggio o checklist preimpostate, se non integrato da un giudizio clinico personalizzato, può portare a classificazioni errate, soprattutto nei casi che sfuggono alle “regole fisse”. L’esperienza dell’operatore dovrebbe prevalere sul protocollo nei casi dubbi, non il contrario.

Un’altra causa documentata di errore è la mancanza di formazione continua specifica per gli infermieri triagisti. Il triage non è una mera procedura amministrativa: richiede competenze semiologiche, rapidità decisionale, capacità di valutare segni clinici evolutivi e, soprattutto, di riconoscere il peggioramento silenzioso di una condizione apparentemente stabile. Se l’operatore non è costantemente aggiornato, l’errore non è solo individuale, ma organizzativo.

L’uso inadeguato del codice colore è un ulteriore elemento di responsabilità. I codici di triage (rosso, giallo, verde, bianco) non sono simboli astratti, ma strumenti operativi che influenzano direttamente l’accesso alle cure. Assegnare un codice verde a un paziente con dolore toracico, cefalea improvvisa, dispnea o sincope, equivale a “parcheggiarlo” nella sala d’attesa mentre l’evento acuto evolve indisturbato.

In molti casi, l’errore si consuma nel tempo. Un paziente può arrivare con sintomi lievi ma peggiorare mentre attende. Se non viene rivalutato periodicamente, se nessuno monitora l’evoluzione del quadro clinico, si perde la possibilità di cogliere il deterioramento precoce. Questo è un errore non solo tecnico, ma etico.

La comunicazione carente tra triagista e medico è un altro punto critico. Se l’infermiere non segnala verbalmente le preoccupazioni cliniche, o se il medico non legge con attenzione le note del triage, si crea un vuoto informativo che può ritardare l’azione terapeutica. Il triage non è un atto isolato, ma il primo nodo di una rete assistenziale. Se quel nodo è debole, l’intera rete si spezza.

Nei casi pediatrici o geriatrici, il rischio è amplificato. I bambini possono presentare segni vaghi, e gli anziani possono non riferire correttamente i sintomi per deficit cognitivi o linguistici. Se il triage non tiene conto della fragilità di queste categorie, le priorità vengono mal assegnate, con conseguente esposizione a eventi avversi evitabili.

Un altro errore ricorrente è legato ai pregiudizi cognitivi. Pazienti noti per accessi frequenti, disturbi psichiatrici, uso di sostanze o condizioni socioeconomiche disagiate vengono a volte classificati con superficialità, con l’assunzione implicita che “non sarà nulla di serio”. Questo atteggiamento, noto come bias del giudizio, ha conseguenze gravissime, perché cancella il dovere della valutazione oggettiva.

L’errore nel triage ha conseguenze cliniche, ma anche medico-legali. Un paziente che subisce un aggravamento clinico durante l’attesa, o che viene dimesso senza essere stato valutato adeguatamente per un errore di classificazione iniziale, può andare incontro a danni permanenti o morte. Se si dimostra che la priorità era stata sottovalutata in modo evitabile, o che il protocollo non è stato applicato, la responsabilità dell’operatore e della struttura è piena.

Documentare correttamente ogni fase del triage è fondamentale. Ogni codice assegnato deve essere giustificato con dati clinici, ogni rivalutazione registrata, ogni cambiamento delle condizioni annotato. In caso di contenzioso, la cartella triage è spesso il primo documento analizzato per accertare o escludere la colpa.

La prevenzione dell’errore nel triage passa per una cultura organizzativa centrata sulla sicurezza, sulla formazione, sull’ascolto attivo e sul lavoro di squadra. Nessun algoritmo può sostituire l’intuizione clinica. Nessun punteggio può cogliere l’interezza del quadro se non è supportato da un operatore attento, empatico e ben formato.

In conclusione, l’errore nel triage non è solo una scelta sbagliata: è un’occasione mancata di intervenire nel momento più utile. È in quei primi minuti, in quel primo sguardo, che si può salvare una vita. O perderla.

Ogni codice è una porta che si apre o che resta chiusa. Ogni priorità assegnata male è un tempo regalato alla malattia. Ogni paziente lasciato ad aspettare troppo è una scommessa con il destino. Ma la medicina non è il gioco del caso. È il calcolo del rischio, fatto bene, al momento giusto. E il triage, quando sbaglia, sbaglia il tempo. E a volte, sbaglia la vita..

Quali patologie sono più a rischio di errore?

  • Infarto miocardico con sintomi atipici;
  • Ictus ischemico o emorragico;
  • Sepsi e infezioni sistemiche;
  • Embolia polmonare;
  • Appendicite acuta in giovani e anziani.

Quando si configura la responsabilità medica per errore nel triage?

La responsabilità medica per errore nel triage si configura ogniqualvolta la fase di accoglienza e valutazione iniziale del paziente in pronto soccorso venga condotta in modo non conforme alle linee guida, alle buone pratiche cliniche o ai protocolli organizzativi, determinando un danno alla salute del paziente riconducibile a quella scelta errata. Il triage non è una formalità amministrativa, ma un atto clinico a tutti gli effetti, con implicazioni medico-legali rilevanti.

L’attribuzione del codice di priorità non si basa solo sui sintomi riferiti dal paziente, ma sull’interpretazione integrata dei segni vitali, delle condizioni generali, dell’evoluzione temporale del quadro clinico e, ove necessario, dell’anamnesi. Se questa valutazione viene effettuata in modo frettoloso, impreciso o sulla base di convinzioni soggettive non supportate da dati oggettivi, si espone il paziente a un rischio concreto di mancata diagnosi tempestiva, ritardo nella somministrazione di cure salvavita o peggioramento clinico evitabile. In questi casi, la responsabilità professionale dell’infermiere triagista o del medico che conferma o ignora l’errore si configura pienamente.

Una delle prime condizioni per attribuire la responsabilità è l’evidenza del nesso causale tra la condotta e il danno. Questo significa che l’errore nel triage deve essere stato un fattore determinante — o concausa — nell’aggravamento del quadro clinico o nell’esito infausto. Ad esempio, se un paziente affetto da infarto miocardico riceve un codice verde, viene lasciato in attesa per ore e successivamente subisce un arresto cardiaco, si può dimostrare che il ritardo nell’assistenza, causato dall’errore di valutazione, ha inciso direttamente sull’evento critico.

Il secondo elemento chiave è l’accertamento della colpa, che può manifestarsi come negligenza, imprudenza o imperizia. La negligenza si verifica quando l’operatore omette di compiere una valutazione dovuta — ad esempio, non rileva la pressione arteriosa, non misura la saturazione, non interroga correttamente il paziente. L’imprudenza emerge quando il codice viene attribuito in assenza di certezze diagnostiche, magari per accelerare il flusso dei pazienti o per motivi organizzativi. L’imperizia, invece, riguarda la mancanza di adeguata formazione, l’ignoranza delle linee guida sul triage, o l’incapacità di interpretare correttamente i sintomi e i segni clinici.

La documentazione è un elemento centrale nel processo di accertamento della responsabilità. Il triage deve essere sempre accompagnato da una registrazione puntuale, chiara e completa del motivo d’accesso, dei parametri vitali, dell’anamnesi raccolta, del codice assegnato e dell’ora. Se queste informazioni mancano, sono frammentarie o palesemente incongrue rispetto alle condizioni cliniche osservabili, l’errore è molto più facilmente attribuibile a condotta colposa. In giurisprudenza si applica il principio per cui “ciò che non è scritto, non è accaduto”: dunque un triage privo di elementi oggettivi è già, di per sé, una criticità medico-legale.

La responsabilità può essere attribuita anche alla struttura sanitaria, non solo al singolo operatore. Se si dimostra che l’infermiere triagista non era adeguatamente formato, che non erano disponibili linee guida aggiornate, che mancava un protocollo per la rivalutazione dei pazienti in attesa, o che il carico di lavoro era incompatibile con una valutazione accurata, la colpa si estende al livello organizzativo, configurando una responsabilità contrattuale o extracontrattuale della struttura.

Un altro punto critico riguarda la mancata rivalutazione del paziente. Il triage, infatti, non è un atto isolato ma un processo dinamico: pazienti con codice verde o giallo devono essere periodicamente ricontrollati, soprattutto se l’attesa si prolunga. Se il paziente peggiora e nessuno lo rivaluta, o se i segni di deterioramento non vengono rilevati e documentati, il sistema ha fallito, e la responsabilità ricade su chi avrebbe dovuto attivare la rivalutazione.

Nei casi pediatrici e geriatici, la soglia di attenzione deve essere ancora più alta. Un errore di triage su un bambino o su un anziano fragile ha un impatto potenzialmente devastante. Se il codice assegnato non tiene conto delle caratteristiche individuali del paziente (età, comorbidità, difficoltà comunicative), il danno è aggravato dalla prevedibilità dell’evento avverso.

La giurisprudenza italiana ha riconosciuto la responsabilità sanitaria per errori di triage in numerosi casi. In particolare, si evidenzia come il mancato rispetto dei protocolli ministeriali, delle linee guida regionali o delle best practice internazionali in ambito di emergenza-urgenza configuri una colpa professionale piena. Il triage è, a tutti gli effetti, un atto medico-infermieristico qualificato, che produce effetti sulla salute del paziente. Non è un’attività di segreteria, ma una valutazione clinica documentabile, sindacabile e responsabilizzante.

Anche l’assenza di supervisione da parte del medico d’urgenza può costituire un’omissione grave. In molte strutture, soprattutto nei casi dubbi o borderline, è prevista la possibilità di un confronto immediato tra l’infermiere triagista e il medico. Se questo confronto non avviene, o se il medico ignora i segnali d’allarme trasmessi dall’infermiere, l’errore diventa condiviso e multiprofessionale.

L’elemento del tempo è centrale in tutte le valutazioni. La responsabilità si configura soprattutto quando il paziente rimane in attesa per un tempo incompatibile con la sua condizione clinica, a causa di una priorità sottovalutata. Questo vale in modo particolare per le patologie tempo-dipendenti: infarto, ictus, shock settico, trauma maggiore. Se la diagnosi e il trattamento vengono ritardati perché il codice assegnato non ha rispecchiato l’urgenza reale, il legame tra condotta e danno è diretto.

La prevenzione degli errori di triage passa per la formazione, l’addestramento continuo, l’utilizzo corretto di scale di valutazione validate (come la scala ESI, la scala canadese CTAS o i protocolli ministeriali italiani), e l’audit periodico dei casi critici. Ogni struttura sanitaria ha l’obbligo di garantire un sistema di triage sicuro, verificabile, aggiornato, e di fornire agli operatori gli strumenti per applicarlo nel rispetto dei tempi, della dignità e della sicurezza dei pazienti.

In conclusione, la responsabilità medica per errore nel triage si configura quando la valutazione iniziale è inadeguata, documentata male, non supportata da dati clinici oggettivi, e quando tale errore ha determinato un ritardo nella diagnosi o nella cura con conseguenze dannose per il paziente. È un tipo di colpa che può nascere dal singolo gesto superficiale, ma che spesso trova le sue radici nella disorganizzazione sistemica.

Ogni codice assegnato è una scelta clinica. Ogni valutazione sommaria è una possibilità sprecata. Ogni paziente in attesa troppo a lungo è una diagnosi differita, e forse mancata. Il triage è il primo atto di cura, e come ogni atto medico, deve essere fatto con precisione, coscienza e responsabilità. Perché la gravità non si vede sempre al primo sguardo. Ma si riconosce se si è davvero pronti a guardare.

Quali norme regolano il risarcimento per errore nel triage?

  • Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla sicurezza delle cure;
  • Art. 2043 c.c. sul danno ingiusto;
  • Art. 2236 c.c. sulla responsabilità del professionista;
  • Art. 590 e 589 c.p. per lesioni colpose e omicidio colposo.

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in Italia?

  • Caso di infarto non riconosciuto: attesa di oltre 4 ore, risarcimento di 950.000 euro;
  • Caso di ictus codificato come codice verde: risarcimento di 800.000 euro per danno neurologico permanente;
  • Caso di sepsi non trattata tempestivamente: risarcimento di 1.200.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

Affrontare un caso di errore nel triage richiede una profonda competenza medico-legale e giuridica. Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati in responsabilità per pronto soccorso e offrono un’assistenza completa:

  • Analisi della documentazione sanitaria (scheda triage, cartella clinica, esiti esami);
  • Richiesta di perizia medico-legale indipendente;
  • Individuazione delle negligenze nella procedura di triage;
  • Assistenza legale in ambito civile e penale;
  • Gestione della trattativa con assicurazioni e ospedali.

Un errore nel triage può cambiare la vita di un paziente. Chi ha subito un danno ha diritto alla verità, alla giustizia e a un risarcimento completo. Agire per tempo è fondamentale.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

Contattaci Per Errori Medici e Malasanità, Siamo qui per aiutarti.

Se hai bisogno di assistenza legale o vuoi maggiori informazioni sui nostri servizi, non esitare a contattarci.
Il nostro team di esperti è a tua disposizione per rispondere a qualsiasi domanda e offrirti una consulenza personalizzata.

Puoi fissare un appuntamento presso il nostro studio o richiedere una consulenza online, in base alle tue esigenze.
Non aspettare, siamo qui per difendere i tuoi diritti.

Compila il modulo qui sotto e ti risponderemo il prima possibile.

PRIMA DI ANDARE VIA...

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo.

Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca sul Pulsante Qui Sotto e Prenotala Subito!

Scrivici su WhatsApp
Risarcimenti Danni Malasanità
Ciao 👋
Scrivici su WhatsApp e scopri come possiamo aiutarti.