Le crisi iperglicemiche sono emergenze metaboliche potenzialmente fatali che si verificano quando i livelli di glucosio nel sangue superano soglie critiche. Possono manifestarsi in forma di chetoacidosi diabetica (DKA) o stato iperglicemico iperosmolare (HHS), entrambe condizioni che richiedono un trattamento ospedaliero immediato. L’iperglicemia acuta, se non gestita in modo corretto, può determinare coma, insufficienza multiorgano, danni neurologici permanenti e morte.
La gestione tempestiva di una crisi iperglicemica implica il controllo dei livelli glicemici, il ripristino dell’equilibrio idroelettrolitico, la correzione dell’acidosi e l’identificazione delle cause scatenanti. Gli errori più comuni comprendono il ritardo nell’inizio della terapia insulinica, la mancata somministrazione di fluidi, il monitoraggio inadeguato o la sottovalutazione del quadro clinico.

Quando il trattamento è inadeguato e il paziente subisce un danno evitabile, si configura una responsabilità sanitaria. Il risarcimento può includere danno biologico, danno morale, perdita patrimoniale e tutte le conseguenze legate alla gestione errata della crisi.
In questo articolo verranno analizzate le principali omissioni e gli errori nella gestione delle iperglicemie, i riferimenti normativi fino al 2025, le responsabilità sanitarie, i risarcimenti riconosciuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, con focus sulle emergenze endocrino-metaboliche.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono i segnali clinici di una crisi iperglicemica?
- Poliuria, polidipsia, disidratazione marcata;
- Nausea, vomito, dolori addominali (più frequente nella DKA);
- Confusione mentale, letargia, coma;
- Respiro di Kussmaul (acidosi metabolica);
- Glicemia > 300-600 mg/dL, chetonuria, pH < 7.3.
Quali sono le cause più frequenti dell’errore nella gestione di crisi iperglicemiche?
La crisi iperglicemica è uno degli eventi clinici più insidiosi e sottovalutati nella gestione del diabete. Può presentarsi improvvisamente, anche in pazienti che sembrano stabili, e può rapidamente evolvere verso quadri di grave disidratazione, alterazioni dello stato di coscienza, chetoacidosi diabetica o coma iperosmolare. In ospedale come a casa, la sua gestione tempestiva ed efficace può salvare una vita, ma ogni giorno si ripetono errori evitabili che trasformano una condizione correggibile in una minaccia pericolosa. Gli errori nella gestione delle crisi iperglicemiche sono ancora troppo frequenti, troppo gravi e troppo spesso legati non alla mancanza di mezzi, ma alla mancanza di attenzione, di formazione e di coordinamento.
Uno dei primi e più diffusi errori è la sottovalutazione dei sintomi iniziali. Nausea, debolezza, poliuria, sete intensa, mal di testa, visione offuscata, stanchezza anomala: sono tutti segnali precoci di una glicemia in forte risalita. Ma nella maggior parte dei casi vengono confusi con sintomi generici: affaticamento, stress, influenza, disidratazione. Spesso è lo stesso paziente a non dare importanza ai segnali del corpo, oppure a pensare che “basta bere un po’ di più” o “saltare un pasto”. Nei casi più gravi, quando compaiono vomito, dolore addominale, confusione mentale o sonnolenza, si è già entrati in una chetoacidosi conclamata o in una sindrome iperglicemica iperosmolare. In questi stadi, il trattamento deve essere intensivo, rapido e specialistico, ma se si è perso tempo nella fase iniziale, la prognosi si complica notevolmente.
Un altro errore estremamente frequente riguarda la mancata misurazione della glicemia. In pronto soccorso come nei reparti, capita che pazienti con segni di scompenso metabolico non vengano sottoposti immediatamente a controllo glicemico. Si cercano cause neurologiche, infettive o cardiovascolari, si richiedono esami ematochimici e TAC, ma non si effettua subito il test più semplice: il glucometro. Questo ritardo diagnostico può durare ore, durante le quali la glicemia continua a salire, i corpi chetonici aumentano, la disidratazione peggiora. In altri casi la glicemia viene sì misurata, ma i valori estremi non vengono interpretati correttamente, soprattutto quando superano le soglie tecniche degli strumenti (ad esempio “HI” sul glucometro), oppure se associati a chetonuria e acidosi non ancora manifeste.
Uno degli errori terapeutici più gravi consiste nell’avviare un trattamento non conforme al tipo di crisi iperglicemica. Esistono differenze sostanziali tra la chetoacidosi diabetica e la sindrome iperosmolare iperglicemica. La prima colpisce più frequentemente i pazienti con diabete di tipo 1, ed è caratterizzata da iperglicemia moderata, acidosi metabolica e presenza di chetoni. La seconda, invece, interessa soprattutto gli anziani con diabete di tipo 2, ed è contraddistinta da iperglicemie molto elevate, assenza di acidosi significativa ma gravissima disidratazione. Confondere i due quadri clinici comporta scelte terapeutiche sbagliate: dosi di insulina non adeguate, somministrazione di liquidi troppo rapida o troppo lenta, mancanza di integrazione elettrolitica. Trattare una sindrome iperosmolare come se fosse una chetoacidosi può precipitare il paziente in uno stato di shock ipovolemico o causare edema cerebrale.
Altro errore diffusissimo è l’errata gestione della terapia insulinica durante la fase acuta. In alcune strutture, soprattutto quelle con poca esperienza diabetologica, si somministrano dosi fisse di insulina rapida senza monitoraggio continuo. In altri casi, si somministra insulina sottocute anche in presenza di vomito e disidratazione, quando invece sarebbe necessaria la via endovenosa continua. La somministrazione di insulina, se non accompagnata da un attento bilancio idroelettrolitico, può causare ipoglicemie rebound, ipokaliemia, collasso circolatorio. Inoltre, in alcune situazioni si continua la terapia cronica del paziente (come insulina basale a lungo termine o farmaci orali ipoglicemizzanti) senza adattarla al quadro clinico attuale. Ogni crisi iperglicemica richiede un approccio terapeutico personalizzato, intensivo, guidato da protocolli aggiornati.
Il monitoraggio è un’altra zona critica. In molte realtà ospedaliere, i controlli glicemici durante la fase di trattamento sono troppo distanziati. Si effettuano glicemie ogni 6 o 8 ore, mentre in fase acuta sarebbero necessari controlli orari, insieme a esami seriati di gas venosi, elettroliti e funzione renale. Questo ritardo nel monitoraggio impedisce di correggere in tempo la terapia, di intercettare un peggioramento o una risposta troppo rapida alla somministrazione di insulina. Inoltre, capita che non venga monitorato il bilancio idrico, fondamentale per evitare complicanze da sovra- o sotto-infusione. Il potassio, in particolare, deve essere controllato costantemente, perché durante la terapia insulinica può scendere bruscamente, con rischio di aritmie potenzialmente letali. Anche la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e lo stato di coscienza devono essere rivalutati frequentemente, ma spesso si lasciano passare ore senza verifiche.
Fuori dall’ospedale, gli errori non sono meno gravi. Molti pazienti non sanno riconoscere una crisi iperglicemica in corso, oppure non hanno a disposizione gli strumenti per affrontarla. I glucometri sono scarichi o inutilizzati, non si dispone di chetonuria test, mancano indicazioni scritte su come agire in caso di rialzo glicemico importante. In alcuni casi, pazienti giovani o adolescenti, per vergogna o per stanchezza psicologica, non segnalano i sintomi e non correggono la glicemia in tempo. Altri pazienti, soprattutto anziani, proseguono la terapia abituale anche in presenza di febbre, vomito o digiuno, senza sapere che in quelle condizioni la gestione deve essere modificata. La mancanza di educazione terapeutica continua è uno dei fattori più rilevanti nell’insorgenza delle crisi iperglicemiche evitabili.
Un’altra zona d’ombra è rappresentata dal passaggio tra ambiti assistenziali diversi. Quando un paziente viene dimesso da un reparto ospedaliero dopo una crisi iperglicemica, troppo spesso manca un piano di gestione post-dimissione chiaro. Nessuna lettera di dimissione dettagliata, nessuna rivalutazione endocrinologica programmata, nessun piano di automonitoraggio, nessuna revisione del piano nutrizionale. Il paziente torna a casa con le stesse prescrizioni che aveva prima della crisi, oppure con istruzioni vaghe come “controllare la glicemia ogni tanto” o “ridurre i carboidrati”. Questo vuoto organizzativo è terreno fertile per nuove recidive. La crisi iperglicemica, infatti, non è solo un episodio clinico acuto, ma un segnale di allarme sul fallimento del controllo cronico del diabete. Trattarla senza correggere le cause sottostanti è inutile e pericoloso.
Anche in ambito medico-legale, gli errori nella gestione della crisi iperglicemica sono sempre più oggetto di contenzioso. Quando un paziente subisce un danno cerebrale, una complicanza cardiaca o renale, o muore in seguito a una crisi non riconosciuta o trattata in modo scorretto, la responsabilità sanitaria è concreta e tracciabile. Le linee guida sono chiare, i protocolli esistono, i mezzi sono disponibili. Le sentenze che riconoscono risarcimenti per danni da gestione impropria del diabete acuto sono in aumento, anche perché le crisi iperglicemiche sono considerate eventi prevedibili e prevenibili nella maggior parte dei casi.
In conclusione, l’errore nella gestione delle crisi iperglicemiche è un sintomo di superficialità clinica, di frammentazione organizzativa e di scarso investimento nell’educazione terapeutica. Non si tratta di una patologia rara, né difficile da diagnosticare. Basta attenzione ai segnali, rispetto dei protocolli, disponibilità di strumenti semplici, e capacità di comunicazione efficace con il paziente. Ma serve anche una cultura della responsabilità diffusa, che riconosca il diabete come una patologia sistemica e dinamica, e non come una semplice questione di zuccheri nel sangue. Perché una glicemia alta non è solo un numero: è un grido d’allarme. E non ascoltarlo può costare caro.
Quando si configura la responsabilità medica per errore nella gestione di crisi iperglicemiche?
Le crisi iperglicemiche rappresentano una delle principali emergenze metaboliche in medicina interna, diabetologia e pronto soccorso. Si manifestano prevalentemente sotto due forme cliniche: la chetoacidosi diabetica (DKA) e la sindrome iperglicemica iperosmolare (HHS). Entrambe sono potenzialmente letali e richiedono un trattamento intensivo, tempestivo e accuratamente bilanciato. La responsabilità medica si configura quando la gestione clinica della crisi iperglicemica è inappropriata, ritardata, errata nei protocolli terapeutici o condotta senza monitoraggio continuo, e da tali omissioni o errori deriva un danno evitabile al paziente.
Il primo momento critico è il riconoscimento del quadro clinico. Una glicemia superiore a 250-300 mg/dL associata a disidratazione, alterazioni dello stato mentale, vomito, respirazione di Kussmaul, alito acetonemico, ipotensione o alterazioni elettrolitiche deve subito orientare il clinico verso una crisi iperglicemica, in particolare in pazienti diabetici, ma anche in soggetti non noti per diabete. Un errore diagnostico in questa fase — come scambiare i sintomi per una gastroenterite, un’encefalopatia, o uno squilibrio idroelettrolitico non diabetico — ritarda il trattamento salvavita e può configurare una colpa grave.
Il trattamento delle crisi iperglicemiche si basa su quattro pilastri fondamentali: reidratazione, terapia insulinica, correzione degli elettroliti e trattamento delle cause scatenanti. Un errore in uno qualsiasi di questi elementi può alterare l’equilibrio metabolico e peggiorare le condizioni del paziente. La reidratazione va iniziata il prima possibile con soluzioni isotoniche, ma richiede monitoraggio continuo della diuresi, della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e del bilancio idrico complessivo. Un’infusione troppo rapida o eccessiva può portare a edema polmonare o cerebrale, mentre un’infusione tardiva può favorire lo shock ipovolemico.
La somministrazione di insulina richiede grande attenzione. Nella chetoacidosi, si somministra per via endovenosa a basso dosaggio continuo, iniziando solo dopo la prima fase della reidratazione, e non in bolo. Un bolo iniziale o un dosaggio eccessivo può causare un calo troppo rapido della glicemia con rischio di edema cerebrale, soprattutto nei giovani. In caso di HHS, l’insulina si inizia più tardi e in quantità minori. Se il medico sbaglia la tempistica, la via di somministrazione o le dosi, espone il paziente a complicanze gravi, potenzialmente fatali.
Un altro errore frequente è la mancata correzione degli squilibri elettrolitici, in particolare dell’ipokaliemia. La somministrazione di insulina abbassa rapidamente il potassio plasmatico. Se non si corregge l’ipokaliemia prima o durante l’infusione insulinica, si possono indurre aritmie fatali. La somministrazione di potassio va eseguita con cautela, monitorando ECG e valori sierici ogni 2-4 ore. Un’omissione in questo ambito rappresenta una delle cause più ricorrenti di decesso improvviso nei pazienti con crisi iperglicemiche non correttamente gestite.
La gestione delle crisi iperglicemiche non è mai completa senza la ricerca e il trattamento della causa scatenante. Infezioni, infarti miocardici, pancreatiti, sepsi, errori terapeutici, stress chirurgici o traumi possono precipitare la DKA o l’HHS. Se il medico si limita a correggere i parametri metabolici senza identificare la causa sottostante, la crisi si può ripresentare, e il paziente può andare incontro a peggioramento sistemico. L’assenza di indagini diagnostiche (ECG, emoculture, esami ematici completi, markers di flogosi, RX torace) in corso di DKA è una grave omissione.
Anche la fase post-crisi richiede attenzione. Una volta che il paziente è uscito dalla fase acuta, è necessario riconvertire la terapia da insulina endovenosa a sottocutanea, garantendo un’adeguata sovrapposizione tra i due regimi per evitare rebound iperglicemico. Inoltre, il paziente deve essere monitorato per almeno 24-48 ore in ambiente protetto, con glicemie orarie, controllo degli elettroliti, della funzione renale e dello stato di idratazione. Dimettere un paziente troppo presto o senza una rivalutazione endocrinologica può essere considerato un errore di gestione post-acuta.
La responsabilità si configura anche in caso di errori nella prescrizione o nella somministrazione dei farmaci antidiabetici. Se, ad esempio, viene mantenuta la terapia con metformina in un paziente con insufficienza renale acuta durante una crisi iperglicemica, si può provocare acidosi lattica, una complicanza potenzialmente mortale. Allo stesso modo, continuare la terapia con SGLT2 inibitori senza rivalutazione durante un ricovero per DKA atipica è oggi considerato comportamento clinico ad alto rischio.
Il paziente ha il diritto di essere informato sulle modalità di prevenzione delle crisi iperglicemiche. In caso di mancata educazione terapeutica, di assenza di piano personalizzato per la gestione della terapia insulinica domiciliare o di assenza di istruzioni in caso di malattia intercorrente (sick day rules), l’eventuale recidiva può essere attribuita anche alla responsabilità dell’équipe medica.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica si configura quando vi è un nesso causale tra la condotta errata o omissiva del sanitario e il peggioramento clinico del paziente. La crisi iperglicemica è, nella maggior parte dei casi, reversibile se trattata in modo corretto. Pertanto, ogni ritardo, errore di protocollo, omissione nel monitoraggio, prescrizione incongrua o dimissione affrettata può rappresentare un atto colposo.
La documentazione clinica è lo strumento probatorio essenziale. Deve contenere il valore iniziale della glicemia, i segni clinici presenti, la diagnosi differenziale effettuata, l’inizio della terapia con tempi, dosi e modalità, i parametri vitali registrati periodicamente, la gestione degli elettroliti, gli accertamenti diagnostici richiesti, le decisioni terapeutiche e l’evoluzione clinica. In assenza di documentazione completa e coerente, si presume che la condotta non sia stata corretta.
La giurisprudenza italiana ha riconosciuto in molte sentenze la responsabilità del medico per errori nella gestione delle crisi iperglicemiche. In alcuni casi, si trattava di ritardi nella diagnosi, in altri di omissioni nei protocolli terapeutici. Alcuni decessi sono avvenuti per infusione insulinica non bilanciata con potassio, altri per mancato monitoraggio della diuresi, altri ancora per mancata identificazione della causa scatenante.
La struttura sanitaria può essere corresponsabile per carenze organizzative. Se non esistono protocolli di gestione della DKA/HHS, se manca personale formato, se non ci sono insuline iniettabili a pronta disponibilità o accesso rapido al laboratorio per i controlli seriati, l’intera responsabilità non ricade sul singolo professionista, ma sul sistema.
La prevenzione degli errori inizia dalla formazione continua e dall’adozione di linee guida cliniche internazionali aggiornate. Ogni medico che lavora in pronto soccorso, medicina interna, terapia intensiva o diabetologia deve conoscere i protocolli di gestione delle emergenze metaboliche, le interazioni farmacologiche più pericolose, e i segnali precoci di peggioramento.
In conclusione, la responsabilità medica per errori nella gestione delle crisi iperglicemiche si configura quando la diagnosi è tardiva, il trattamento è scorretto, il monitoraggio è insufficiente o la causa scatenante viene ignorata. È una colpa che nasce dalla sottovalutazione di una condizione potenzialmente reversibile, ma che richiede un approccio tempestivo e strutturato.
Ogni glicemia alta non trattata è una minaccia che cresce. Ogni litro mancato di soluzione salina è una possibilità di collasso. Ogni potassio non corretto è un’aritmia in attesa. Ogni decisione ritardata è una vita che si allontana. Perché l’iperglicemia grave non è solo un numero, ma un grido dell’organismo che chiede soccorso. E nella medicina d’urgenza, ogni soccorso negato è una responsabilità che resta.
Quali leggi regolano il risarcimento?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017);
- Art. 2043 c.c., danno da fatto illecito;
- Art. 2236 c.c., colpa medica per imperizia;
- Art. 589 e 590 c.p., per lesioni o morte da colpa sanitaria.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?
- Chetoacidosi non trattata in pronto soccorso con coma e danno cerebrale: risarcimento di 1.600.000 euro;
- Errore nella terapia insulinica in paziente anziano con HHS: risarcimento di 1.300.000 euro;
- Morte per acidosi metabolica non riconosciuta in reparto: risarcimento di 1.800.000 euro agli eredi.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In questi casi è necessario affidarsi a avvocati con competenze specialistiche in responsabilità per errori clinici nelle emergenze metaboliche. Una corretta azione legale consente di:
- Analizzare la cartella clinica e i protocolli terapeutici adottati;
- Verificare i flussi terapeutici nelle prime 24 ore di ricovero;
- Collaborare con diabetologi, internisti, nefrologi e medici legali;
- Dimostrare il nesso tra omissione terapeutica e danno subito;
- Promuovere azioni risarcitorie in sede civile e penale.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano in sinergia con medici specialisti in diabetologia, medicina d’urgenza, terapia intensiva e medicina legale, per offrire una tutela fondata, rigorosa e completa.
L’iperglicemia grave è un’emergenza che può essere trattata efficacemente solo se riconosciuta in tempo. Quando questo non accade, il paziente ha diritto a ottenere giustizia per il danno subito.
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