Assenza Di Consenso Informato In Interventi Urgenti Non Salvavita E Risarcimento Danni

Il consenso informato rappresenta uno dei pilastri della tutela della dignità e dell’autodeterminazione del paziente. È il diritto della persona a ricevere informazioni chiare, complete e comprensibili sul trattamento sanitario proposto, e a decidere liberamente se accettarlo o rifiutarlo. Anche quando l’intervento è urgente ma non salvavita, il medico ha l’obbligo di acquisire il consenso esplicito del paziente, dopo aver illustrato i rischi, i benefici e le possibili alternative.

L’assenza di consenso informato in interventi urgenti ma non indispensabili alla sopravvivenza costituisce una grave violazione del diritto alla salute e all’autonomia della persona. Non è sufficiente il solo giudizio del medico sull’urgenza della prestazione: se l’intervento non è salvavita, il paziente deve poter valutare e decidere consapevolmente.

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, l’intervento medico effettuato senza consenso configura un illecito civile, anche se eseguito a regola d’arte. Il danno può essere di tipo biologico, morale, esistenziale e patrimoniale, ed è sempre risarcibile.

In questo articolo analizzeremo i casi in cui il consenso informato è obbligatorio anche in presenza di urgenza clinica, le conseguenze della sua assenza, i riferimenti normativi aggiornati al 2025, esempi di risarcimento ottenuto e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, con particolare attenzione alla chirurgia d’urgenza e alla medicina ospedaliera.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

In quali casi il consenso è sempre obbligatorio?

  • Interventi chirurgici programmati o urgenti ma non salvavita;
  • Trattamenti invasivi (cateterismi, drenaggi, endoscopie);
  • Terapie farmacologiche con effetti collaterali rilevanti;
  • Diagnostica strumentale con rischi (es. risonanza con contrasto);
  • Trasfusioni o impianti di dispositivi (pacemaker, protesi, stent);
  • Cambiamento significativo del piano terapeutico iniziale.

Quali sono le cause più frequenti dell’assenza di consenso informato in interventi urgenti non salvavita?

Nel cuore della pratica medica moderna, uno dei pilastri più rilevanti e allo stesso tempo più trascurati è il consenso informato. Non si tratta di una semplice firma su un foglio: è un processo comunicativo, una garanzia di autodeterminazione, un momento in cui il paziente diventa davvero protagonista delle scelte che lo riguardano. Eppure, proprio nei momenti in cui la fretta clinica si fa più pressante – in situazioni urgenti ma non vitali – questo diritto viene troppo spesso ignorato, eluso o formalizzato in modo meccanico, senza un reale dialogo. Il risultato è una procedura magari efficace da un punto di vista tecnico, ma fragile sotto il profilo etico, relazionale e legale.

Una delle cause principali di questo errore è la confusione tra urgenza e emergenza. Quando un intervento è necessario ma non immediatamente salvavita, molti sanitari tendono comunque ad agire con un approccio da emergenza assoluta, saltando il momento del consenso come se fosse un ostacolo. Un ascesso da drenare, una frattura da ridurre, un’emorragia da tamponare, un parto cesareo non imminente ma raccomandato: in tutte queste situazioni il tempo è importante, ma non così stretto da giustificare l’omissione del consenso informato. Eppure, si procede. Per routine, per abitudine, per la sensazione di dover “fare in fretta”. Ma la medicina, anche quella d’urgenza, deve rispettare i tempi della consapevolezza, non solo quelli della tecnica.

Un altro fattore determinante è l’errata convinzione che il consenso sia implicito nel contesto ospedaliero. Alcuni operatori pensano che, una volta che il paziente è stato ricoverato, o ha accettato il triage, o ha firmato il modulo di accesso al pronto soccorso, abbia automaticamente accettato ogni intervento successivo. Questa interpretazione è non solo errata, ma pericolosa. Ogni procedura invasiva – dal posizionamento di un drenaggio toracico a un’anestesia locale profonda – richiede un consenso specifico, legato al singolo atto, e deve essere preceduto da una spiegazione dettagliata di rischi, benefici, alternative e possibili complicanze. Il consenso generico non legittima l’intervento clinico specifico.

Un’altra causa di errore è la mancata o inadeguata comunicazione in situazioni di agitazione o dolore. Quando il paziente ha dolore intenso, è agitato, spaventato, o in uno stato alterato di coscienza parziale, il personale sanitario tende a rimandare la spiegazione, o a ridurla a frasi veloci come “la sistemiamo subito” o “gliela mettiamo a posto in un attimo”. In questo modo, si esegue l’intervento – anche se non vitale – senza fornire una reale informazione, e senza ottenere un consenso valido. Anche in questi casi, la tentazione è agire “per il bene del paziente”, senza attendere che sia in grado di comprendere, valutare e decidere. Ma il principio di beneficenza non può mai superare il principio di autonomia.

Un altro elemento critico è l’uso improprio del consenso retroattivo. In molte situazioni, il personale sanitario fa firmare il modulo di consenso dopo aver già eseguito l’intervento. Lo fa per tutelarsi, per “mettersi a posto”, per chiudere il fascicolo. Il paziente, magari sollevato dall’avvenuto trattamento, firma senza riflettere, senza che ci sia stata una spiegazione reale. Ma quel modulo non ha alcun valore. È una falsificazione del tempo clinico, una simulazione di un processo che non è mai avvenuto. In caso di complicanze, il paziente può – e spesso lo fa – contestare la legittimità di quell’atto. Un consenso ottenuto a posteriori è, a tutti gli effetti, una negazione del consenso.

Molti degli errori legati all’assenza di consenso informato derivano anche da una formazione carente sul piano comunicativo e medico-legale. I giovani medici, ma anche molti professionisti esperti, non ricevono durante il percorso formativo una preparazione concreta su come gestire la comunicazione del rischio, su come adattare il linguaggio al livello culturale del paziente, su come affrontare i casi dubbi. Si teme di perdere tempo, si ha paura che una spiegazione dettagliata possa creare panico o rifiuto, si pensa che parlare troppo esponga a contenziosi. È un paradosso: più la comunicazione è chiara e trasparente, meno è probabile il contenzioso.

C’è poi la componente organizzativa. In molte strutture, non esistono moduli specifici per interventi urgenti non salvavita, o se esistono, non sono facilmente accessibili. Il personale sanitario si trova quindi a dover improvvisare: fotocopie generiche, fogli prestampati non compilabili, assenza di versioni in altre lingue per pazienti stranieri, nessuna procedura chiara per pazienti con barriere cognitive. In altri casi, l’unico modulo disponibile è quello “standard” per interventi chirurgici programmati, del tutto inadeguato per descrivere ciò che si sta per eseguire in un contesto urgente. La carenza di strumenti adeguati porta inevitabilmente a una pratica distorta, in cui il consenso diventa una formalità, non una garanzia.

Anche il sovraccarico di lavoro gioca un ruolo importante. Quando i reparti sono sotto organico, le urgenze si accumulano, e il tempo per spiegare, ascoltare, attendere una decisione consapevole si riduce. Si privilegia la rapidità operativa, si rinuncia al colloquio. Ma in realtà, spiegare bene una procedura, anche in pochi minuti, non è solo possibile: è doveroso. Basta chiarezza, empatia, e attenzione alla risposta del paziente. La qualità della comunicazione non dipende dalla quantità di parole, ma dalla capacità di farsi capire.

Un ambito particolarmente a rischio è quello pediatrico e geriatrico. Nei bambini, il consenso deve essere richiesto ai genitori o ai tutori, ma in molti casi, per urgenze non vitali, si procede comunque anche senza presenza di un familiare, oppure si ottiene un consenso telefonico non documentato. Negli anziani fragili o con deficit cognitivi, invece, si tende a non valutare correttamente la capacità residua di intendere e volere. Si presume una incapacità senza verifica, oppure si delega il consenso al parente presente senza alcuna procura. Queste prassi, seppur diffuse, sono illegittime e non garantiscono la protezione giuridica del paziente né del medico.

Dal punto di vista medico-legale, l’assenza del consenso in interventi urgenti ma non vitali è uno dei motivi più frequenti di contenzioso. Il paziente può contestare l’intervento, soprattutto se ha avuto esiti indesiderati, affermando che non era stato informato, che avrebbe scelto un’opzione diversa, che avrebbe preferito un rinvio, un consulto, un secondo parere. In questi casi, il medico che non può dimostrare di aver informato e ottenuto un consenso valido è vulnerabile, anche se l’intervento era tecnicamente corretto. I giudici sono sempre più sensibili al tema dell’autodeterminazione, e la mancanza di consenso scritto, circostanziato e personalizzato viene interpretata come una violazione del diritto alla salute.

In conclusione, ottenere il consenso informato non è un ostacolo all’efficienza clinica, ma una condizione necessaria per una medicina rispettosa, sicura, legittima. Anche negli interventi urgenti non salvavita, il tempo per spiegare c’è. La volontà di ascoltare è sempre possibile. E la scelta del paziente deve essere al centro di ogni decisione, non solo in sala operatoria, ma in ogni reparto, ambulatorio, pronto soccorso. Il consenso non è solo una firma: è la traduzione del rispetto. È l’atto che rende la medicina un patto, non un’imposizione. È la voce del paziente che dice: “so cosa mi aspetta, e ho scelto io di affrontarlo”. E questa voce, ogni giorno, merita di essere ascoltata.

Quando si configura la responsabilità medica per assenza di consenso informato in interventi urgenti non salvavita?

Il consenso informato rappresenta uno dei pilastri della medicina moderna e della relazione terapeutica tra medico e paziente. Si tratta di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione, dal Codice di Deontologia Medica e da numerose pronunce giurisprudenziali. Ogni trattamento medico, anche se eseguito correttamente e con esito favorevole, deve essere preceduto da un’informazione chiara, completa e comprensibile e dal consenso esplicito del paziente. L’obbligo vale anche – e soprattutto – in situazioni di urgenza clinica, purché non si tratti di condizioni in cui la mancata azione immediata metta a rischio concreto la vita o l’integrità fisica della persona.

Il nodo giuridico emerge con particolare forza nei casi in cui viene effettuato un intervento urgente ma non strettamente salvavita, in assenza di consenso informato. In queste situazioni, il medico si trova a decidere in tempi rapidi, spesso con pressioni cliniche e organizzative, ma è comunque tenuto a rispettare il diritto del paziente all’autodeterminazione. Eseguire una procedura invasiva, un trattamento farmacologico a rischio, o un atto chirurgico non necessario nell’immediato, senza che il paziente sia stato adeguatamente informato e abbia acconsentito, configura una violazione della libertà personale.

Il consenso informato non è una formalità, ma un processo. Include la spiegazione della diagnosi, delle finalità dell’intervento, dei benefici attesi, dei rischi prevedibili, delle alternative terapeutiche, degli effetti collaterali e della possibilità di rifiutare le cure. Il linguaggio deve essere accessibile, adeguato al livello culturale del paziente, e il tempo concesso alla decisione deve essere ragionevole rispetto al contesto. L’urgenza non giustifica automaticamente l’omissione del consenso, se la vita del paziente non è in pericolo e se vi è la possibilità di coinvolgerlo, anche rapidamente, nella scelta terapeutica.

La legge italiana è molto chiara: il trattamento sanitario è lecito solo se il paziente ha espresso il proprio consenso libero e consapevole. L’unica eccezione è rappresentata dalla condizione di emergenza salva-vita, in cui non vi è tempo per informare o ottenere il consenso, e la mancata azione comporterebbe un pericolo grave e immediato. Nei casi, invece, in cui vi sia un’urgenza relativa, un peggioramento atteso ma non repentino, un quadro stabile ma complesso, il medico è obbligato a informare e ottenere il consenso.

Un esempio classico è quello del paziente che arriva in pronto soccorso con una colica biliare acuta: il dolore è intenso, l’infiammazione presente, ma non vi è perforazione, né segni di sepsi o emorragia. Se in questa fase viene effettuata una colecistectomia laparoscopica senza spiegare l’indicazione, le alternative (ad esempio trattamento conservativo con antibiotico), i rischi operatori e post-operatori, e senza la firma di un modulo di consenso informato, si configura una violazione del diritto all’autodeterminazione anche se l’intervento è tecnicamente corretto.

Il paziente non può mai essere considerato un soggetto passivo, nemmeno in ospedale. Anche in contesto d’urgenza, la sua volontà deve essere acquisita per iscritto, salvo che si trovi in stato di incoscienza o che l’intervento sia l’unico mezzo per salvargli la vita o evitare danni gravi e irreversibili. Se è cosciente, collaborante e capace di intendere e volere, ha il diritto di sapere cosa sta per essergli fatto, da chi, come, con quali strumenti, con quali conseguenze.

Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica si configura anche in assenza di danno biologico. La Cassazione ha stabilito più volte che il mancato consenso informato costituisce un danno risarcibile in sé, a titolo di danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. Questo significa che anche se l’intervento è riuscito perfettamente, se il paziente non era stato informato in modo adeguato, il medico e la struttura sanitaria possono essere condannati a risarcirlo.

Il modulo cartaceo da solo non basta. Il consenso deve essere frutto di un dialogo, non di una firma meccanica apposta su un foglio precompilato. Il modulo ha valore probatorio solo se integrato da annotazioni nella cartella clinica che dimostrino l’effettiva comunicazione tra medico e paziente, e la risposta consapevole di quest’ultimo. La mancanza di tale documentazione espone il sanitario a responsabilità anche in caso di urgenza non vitale.

Un altro elemento di rischio è la fretta nel giudicare “incapace” un paziente solo perché agitato, sofferente o in uno stato di lieve disorientamento. Il fatto che un soggetto sia sotto stress fisico o emotivo non lo priva automaticamente della capacità di comprendere le informazioni essenziali e di esprimere un rifiuto o un assenso. Attribuirgli una presunta incapacità per giustificare l’omissione del consenso è una forzatura eticamente e legalmente inaccettabile.

Il consenso può essere orale in contesti di urgenza, ma deve essere comunque documentato. In caso di impossibilità materiale di ottenere la firma (es. paziente allettato, impossibilità motoria), è indispensabile annotare in cartella che le informazioni sono state date, la comprensione verificata e il consenso ottenuto verbalmente. Se ciò non viene fatto, la responsabilità resta, perché il medico non potrà dimostrare di aver rispettato il diritto all’informazione.

La responsabilità può essere anche della struttura sanitaria, se non fornisce i mezzi per un’informazione adeguata. Ad esempio, se mancano moduli tradotti per pazienti stranieri, se non sono previsti mediatori linguistici, o se gli spazi e i tempi per la comunicazione sono compressi da pressioni organizzative, la colpa non è solo del singolo medico ma dell’intero sistema. In questi casi, la giurisprudenza parla di colpa d’équipe o colpa organizzativa.

Le sentenze italiane hanno riconosciuto il danno da mancato consenso in molte situazioni analoghe. Interventi ginecologici non salvavita eseguiti senza informare la paziente, chirurgia ortopedica d’urgenza in pazienti coscienti ma non adeguatamente informati, manovre invasive per le quali il consenso era stato dato solo genericamente. Il principio affermato è sempre lo stesso: la fretta non può cancellare il diritto del paziente a sapere e decidere.

Prevenire questi errori richiede consapevolezza, comunicazione, e cultura del rispetto della persona. Anche in contesto d’urgenza non estrema, ogni paziente può e deve essere informato. Ogni modulo deve essere adattato al singolo caso. Ogni decisione deve passare per un momento di ascolto, per quanto rapido. E ogni omissione deve essere valutata con la massima serietà.

In conclusione, la responsabilità medica per assenza di consenso informato in interventi urgenti ma non salvavita si configura quando il paziente, pur essendo in grado di comprendere e decidere, viene sottoposto a trattamenti senza essere stato adeguatamente informato, senza aver espresso un consenso consapevole, e senza che il contesto clinico giustifichi un’azione immediata e non differibile. È una responsabilità che tocca la sfera più profonda della dignità umana: il diritto di scegliere per sé, anche nella malattia, anche nell’urgenza.

Ogni parola taciuta è un’informazione negata. Ogni firma mancata è un diritto calpestato. Ogni intervento fatto senza il sì del paziente è un gesto tecnicamente valido, ma giuridicamente vulnerabile. Perché nella medicina moderna, agire bene non basta: bisogna agire insieme al paziente, non al suo posto.

Quali sono le leggi di riferimento?

  • Legge n. 219/2017, norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento;
  • Art. 32 della Costituzione, diritto alla salute e al consenso libero e informato;
  • Art. 2043 c.c., responsabilità extracontrattuale;
  • Art. 2236 c.c., colpa professionale in ambito medico;
  • Art. 13 della Convenzione di Oviedo, diritto all’informazione sanitaria.

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?

  • Intervento ortopedico urgente senza consenso, con complicanze post-operatorie: risarcimento di 900.000 euro;
  • Paziente sottoposto a laparotomia d’urgenza non salvavita senza informazione preventiva: risarcimento di 1.200.000 euro;
  • Mancato consenso per trasfusione in paziente con patologie ematologiche: risarcimento di 950.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere giustizia?

Quando un paziente subisce un danno dopo un intervento eseguito senza valido consenso informato, è essenziale rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in diritto sanitario e responsabilità civile medica. Questi professionisti possono:

  • Verificare la presenza, la correttezza e la firma del modulo di consenso;
  • Analizzare le modalità con cui l’informazione è stata fornita;
  • Collaborare con esperti in etica medica, bioetica e medicina legale;
  • Dimostrare la violazione dell’autonomia del paziente e il danno conseguente;
  • Avviare un’azione risarcitoria in sede civile per ottenere giustizia e tutela.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano in sinergia con specialisti in consenso informato, documentazione clinica e bioetica, offrendo una difesa solida, precisa e centrata sulla tutela della libertà decisionale del paziente.

La fretta non giustifica l’omissione del consenso. Quando il paziente viene privato del diritto di scegliere, il danno è doppio: fisico e morale. La legge tutela chi è stato sottoposto a un trattamento senza averne capito i rischi e senza averlo autorizzato.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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