La sorveglianza dei pazienti critici rappresenta un aspetto centrale dell’assistenza sanitaria ospedaliera. Parliamo di soggetti ricoverati in reparti ad alta intensità di cura – come terapia intensiva, rianimazione, pronto soccorso o sub-intensiva – oppure di pazienti instabili ricoverati in medicina generale, neurologia, ortopedia o geriatria. Il monitoraggio continuo delle funzioni vitali, la tempestiva rilevazione dei parametri anomali e la pronta risposta agli eventi avversi sono obblighi ineludibili del personale sanitario.
La mancata sorveglianza può comportare conseguenze gravissime: aggravamento della patologia, arresto cardiaco non trattato, complicanze evitabili, cadute in reparto, crisi respiratorie, convulsioni, morte improvvisa. L’assenza di monitoraggio, l’omissione di controlli infermieristici, il mancato allarme in caso di alterazione dei parametri vitali sono tutte condotte omissive che rientrano nella responsabilità medico-infermieristica.

Quando la mancata sorveglianza causa un danno, la responsabilità è attribuibile sia al personale direttamente coinvolto, sia alla struttura per omessa organizzazione, carenza di personale, mancata formazione o protocolli inadeguati. La normativa vigente tutela pienamente i diritti del paziente e dei familiari, riconoscendo il diritto al risarcimento integrale del danno subito.
In questo articolo approfondiremo le principali cause e conseguenze della mancata sorveglianza, i riferimenti normativi aggiornati al 2025, i casi reali risarciti dalla giurisprudenza e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, specializzati nei casi di danno evitabile in ambito ospedaliero.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
In quali casi è obbligatoria una sorveglianza costante?
- Pazienti con instabilità emodinamica (pressione, frequenza cardiaca alterata);
- Pazienti con insufficienza respiratoria, in attesa di ventilazione o con saturazione bassa;
- Persone con disturbi neurologici, stato confusionale o rischio di convulsioni;
- Pazienti a rischio di caduta (anziani, sedati, con deficit motori);
- Soggetti post-operatori con complicanze potenziali o in fase acuta;
- Malati in terapia infusionale continua o in trattamento con farmaci ad alto rischio.
Quali sono le cause più frequenti della mancata sorveglianza di pazienti critici?
Nel cuore pulsante degli ospedali, nelle stanze dove ogni segnale vitale può cambiare in pochi istanti, la sorveglianza del paziente critico è una delle responsabilità più delicate, continue e decisive del sistema sanitario. Non è solo una questione tecnica: è una scelta di attenzione, di presenza, di organizzazione. Eppure, proprio nei momenti in cui la fragilità del paziente richiederebbe massima vigilanza, si verificano errori drammatici di omissione, di ritardo, di sottovalutazione, che compromettono la sicurezza, il recupero e, nei casi più gravi, la sopravvivenza stessa. La mancata sorveglianza di pazienti critici non è quasi mai frutto di un singolo errore, ma l’esito di un sistema che spesso dà per scontato ciò che dovrebbe invece essere garantito in ogni minuto.
Uno dei motivi principali è la cronica carenza di personale sanitario, soprattutto infermieristico. Nei reparti ad alta intensità assistenziale, dove si concentrano pazienti instabili, sottoposti a terapie complesse, intubati o dipendenti da monitoraggio costante, il rapporto tra operatori e degenti è spesso inadeguato. L’infermiere si trova a gestire contemporaneamente più pazienti critici, a dover rispondere a urgenze simultanee, a dover scegliere chi assistere per primo. Quando il carico supera la soglia della sicurezza, è inevitabile che alcuni pazienti ricevano meno attenzione. E il paziente meno visibile, meno agitato, meno rumoroso, è anche quello che rischia di essere dimenticato. Fino a quando il monitor suona troppo tardi.
Un altro fattore determinante è la delega eccessiva alla tecnologia, senza un controllo umano adeguato. Nei reparti moderni, ogni letto critico è connesso a monitor multiparametrici, pompe infusionali intelligenti, allarmi collegati alla centrale operativa. Ma questi strumenti, se non gestiti da personale preparato e disponibile, non servono a nulla. Gli allarmi vengono silenziati, ignorati, attribuiti a falsi positivi. Oppure suonano talmente spesso da diventare parte del rumore di fondo, un elemento trascurabile. L’effetto paradossale è che, in ambienti saturi di tecnologia, la vigilanza reale diminuisce, perché si confida nell’automatismo invece che nella valutazione clinica. Il paziente critico diventa un numero sullo schermo, e se quel numero cambia senza che nessuno lo guardi, l’occasione per intervenire si perde.
C’è poi la sottovalutazione della criticità stessa del paziente. In molti casi, il rischio reale viene percepito tardi. Il paziente che fino a poche ore prima era stabile comincia a mostrare segni di peggioramento – lieve tachicardia, alterazioni di coscienza, febbre persistente, modifiche nei parametri – ma questi segnali vengono attribuiti a condizioni transitorie, a effetti collaterali delle terapie, o semplicemente non segnalati nel passaggio di consegne tra turni. La mancata rivalutazione, il ritardo nella richiesta di consulenze, la decisione di “aspettare domattina” si sommano e aprono la strada al deterioramento improvviso. Il paziente critico non sempre urla il suo stato: spesso lo sussurra. E chi non ascolta, non interviene.
Un’altra causa importante è l’assenza di protocolli chiari per la gestione dei pazienti ad alto rischio. Ogni ospedale dovrebbe disporre di sistemi di identificazione precoce del deterioramento clinico: punteggi di early warning (EWS), codici colore, cartelle informatizzate con alert automatici. Ma non sempre questi strumenti vengono utilizzati o compresi correttamente. In alcuni casi, non ci sono linee guida per il trasferimento tempestivo in terapia intensiva, oppure si attende la conferma del medico strutturato, o la valutazione dello specialista, mentre le ore scorrono. In altri contesti, il paziente resta “parcheggiato” in un reparto che non ha le competenze necessarie, solo perché non c’è posto in subintensiva. L’assenza di un piano di escalation è spesso il preludio al peggioramento non gestito.
Anche il passaggio di consegne tra i turni rappresenta un momento critico. Se le informazioni non vengono trasmesse con precisione, se non si segnala chiaramente quali pazienti richiedano particolare attenzione, se non si documentano gli eventi delle ore precedenti, la continuità assistenziale si spezza. Il paziente che ha avuto una crisi ipotensiva nella notte viene trattato come stabile al mattino. Il paziente con frequenza respiratoria elevata non viene rivisto perché nessuno ha notato il valore fuori soglia. Gli appunti verbali, i post-it lasciati sul computer, le frasi come “tienilo d’occhio” non sono strumenti clinici. Servono schede standardizzate, briefing strutturati, comunicazioni scritte. Altrimenti, ogni cambio turno diventa un rischio.
Nel contesto delle cure domiciliari e delle RSA, la situazione si aggrava. La sorveglianza di pazienti critici in ambiente non ospedaliero è ancora più difficile. Spesso non ci sono strumenti di monitoraggio, il personale non è formato per riconoscere segni di deterioramento, e le comunicazioni con il medico sono lente e frammentarie. Se un paziente con scompenso cardiaco o BPCO peggiora nella notte, può accadere che si aspetti la mattina per una visita. Oppure che si chiami il 118 solo quando è già in arresto. La sorveglianza continua è un’illusione nei contesti dove mancano mezzi, persone e cultura dell’urgenza. Ma anche fuori dall’ospedale, i pazienti critici esistono. E hanno gli stessi diritti.
Un altro elemento sottovalutato è la gestione emotiva e psicologica del carico assistenziale. I professionisti sanitari, soprattutto infermieri, spesso sperimentano un senso di impotenza di fronte a situazioni complesse, pazienti terminali, prognosi incerte. Questo può portare, anche inconsciamente, a un distacco emotivo, a una riduzione dell’attenzione, a una forma di rassegnazione passiva. Alcuni pazienti vengono percepiti come “destinati a peggiorare”, e quindi si rinuncia alla sorveglianza attiva. Altri, al contrario, sono così instabili che si teme di peggiorarli toccandoli troppo. Si innesca un circolo vizioso di non-azione, dove il silenzio clinico è confuso con la stabilità. Ma il paziente critico non tollera pause, e ogni ora senza valutazione è una finestra di rischio.
Dal punto di vista medico-legale, la mancata sorveglianza è tra le cause più frequenti di contenzioso in ambito ospedaliero. Un paziente che peggiora improvvisamente senza essere stato monitorato nelle ore precedenti, un arresto cardiaco non anticipato da un protocollo di valutazione, una complicanza prevedibile non intercettata in tempo: in tutti questi casi, la documentazione clinica diventa centrale. Se mancano annotazioni, se non ci sono rilevazioni orarie, se non sono stati registrati i parametri, la responsabilità dell’equipe è quasi certa. Il giudizio è chiaro: non aver visto è come non aver agito.
In conclusione, la sorveglianza dei pazienti critici non è un’opzione: è un dovere clinico e morale. Non basta mettere un monitor. Non basta una terapia d’urgenza. Serve uno sguardo continuo, competente, documentato. Serve un’organizzazione che protegga l’attenzione, che valorizzi la presenza, che premi la vigilanza silenziosa tanto quanto l’azione. Perché il paziente critico non chiede solo farmaci: chiede sicurezza, chiede di non essere lasciato solo. E ogni volta che questo patto viene rotto, la medicina smette di essere cura. E diventa omissione.
Quando si configura la responsabilità medica per mancata sorveglianza di pazienti critici?
La sorveglianza clinica dei pazienti critici rappresenta una componente imprescindibile dell’assistenza sanitaria, poiché da essa dipende la tempestiva identificazione di peggioramenti improvvisi, la gestione delle complicanze e la possibilità di attivare trattamenti salvavita. Quando un paziente in condizioni instabili non viene monitorato in modo adeguato, e ciò contribuisce al deterioramento clinico, al danno o al decesso, si configura una responsabilità medica e organizzativa pienamente riconosciuta dalla giurisprudenza.
La categoria dei pazienti critici non include soltanto coloro ricoverati in terapia intensiva o subintensiva. Comprende anche i pazienti ricoverati in reparti ordinari che presentano segni di instabilità emodinamica, respiratoria, neurologica o metabolica; soggetti post-operatori, grandi anziani con comorbidità, pazienti oncologici, settici, politraumatizzati, emorragici, o semplicemente clinicamente fragili. In tutti questi casi, la sorveglianza clinica non è una scelta, ma un obbligo professionale.
La mancata sorveglianza si può concretizzare in più modi: l’assenza di controlli programmati dei parametri vitali, la mancata risposta a segni premonitori, il monitoraggio non continuo in pazienti che lo richiedono, la sottovalutazione di allarmi strumentali, la non attivazione dei protocolli di emergenza. Ogni omissione in tal senso, anche se formalmente attribuibile al personale infermieristico, ricade nella responsabilità condivisa dell’équipe e del medico referente, che ha il compito di prescrivere e verificare i livelli di sorveglianza richiesti.
Una delle situazioni più frequenti è il deterioramento non rilevato in tempo. Un paziente che nelle ore precedenti presentava calo della pressione arteriosa, tachicardia persistente, febbre elevata, ipossiemia, confusione mentale o riduzione della diuresi, andava considerato a rischio. Se tale paziente viene trovato in arresto cardiaco o in coma ore dopo l’ultimo controllo, la mancata rilevazione e risposta ai segni di allarme costituisce una colpa clinica. Il medico non può giustificare l’evento come “improvviso” se i segni erano già presenti e ignorati.
La sorveglianza va adattata al quadro clinico, non agli orari del turno. Se un paziente viene lasciato senza controlli tra le 20:00 e le 8:00 per mancanza di personale, oppure se gli infermieri non sono sufficienti per eseguire i controlli ogni 2 ore come richiesto, la responsabilità si estende alla direzione sanitaria e all’organizzazione ospedaliera. La mancanza di risorse non esonera dalla responsabilità: la sorveglianza clinica è parte integrante del trattamento e deve essere garantita in modo continuo.
Particolarmente critici sono i casi di pazienti sedati, allettati, incoscienti o non collaboranti. Questi soggetti non sono in grado di segnalare sintomi di sofferenza, ed è quindi obbligo degli operatori sorvegliarli attivamente. Un paziente con catetere epidurale post-operatorio, un soggetto con ventilazione non invasiva, un paziente oncologico in trattamento palliativo, devono essere monitorati non solo nei parametri vitali, ma anche nell’eventuale comparsa di segni di distress, dolore non gestito, delirio o ipoventilazione.
Anche la sorveglianza dei pazienti a rischio di suicidio o aggressività rientra in questo ambito. Nei reparti di psichiatria, medicina interna, pronto soccorso o geriatria, la mancata vigilanza di pazienti con comportamento alterato, tendenze autolesive o confusione mentale può portare a cadute, tentativi di fuga, gesti anticonservativi o aggressioni ad altri pazienti. L’omessa attivazione della sorveglianza speciale, o la mancata segnalazione al medico di segni comportamentali a rischio, costituiscono profili di grave responsabilità.
La responsabilità si configura anche nei confronti del paziente che peggiora durante una procedura senza adeguata sorveglianza. Se un paziente sottoposto a trasfusione, chemioterapia, dialisi, manovre invasive o cambio di medicazioni non viene adeguatamente monitorato durante e dopo la procedura, e sviluppa reazioni avverse non riconosciute in tempo, la colpa è attribuibile all’intera catena assistenziale, dal medico al personale infermieristico.
La giurisprudenza italiana ha stabilito con chiarezza che la mancata sorveglianza rientra nella responsabilità contrattuale della struttura e nella responsabilità professionale del personale. Numerose sentenze hanno condannato ospedali per decessi notturni non sorvegliati, per shock settici non riconosciuti, per arresti cardiaci in pazienti allettati, per lesioni da decubito non intercettate, per emorragie interne non valutate, per agitazione psicomotoria ignorata. In molti casi, l’elemento decisivo era la documentazione clinica lacunosa, da cui risultava l’assenza di controlli nelle ore precedenti l’evento.
La documentazione è fondamentale per dimostrare che la sorveglianza è stata effettuata. I parametri vitali vanno annotati almeno ogni 2-4 ore nei pazienti instabili, ogni ora o in continuo nei pazienti critici, con indicazione chiara di chi ha effettuato il controllo, dei valori rilevati, della risposta ai trattamenti e delle eventuali comunicazioni al medico. L’assenza di annotazioni o la registrazione retroattiva costituiscono gravi violazioni sia professionali che giuridiche.
La responsabilità si estende anche ai momenti di transizione. Un paziente appena trasferito da un reparto intensivo, da una sala operatoria o da un pronto soccorso deve essere sorvegliato attentamente nelle prime ore di degenza ordinaria. Se il trasferimento avviene senza una rivalutazione, senza comunicazione efficace tra équipe, o senza l’attivazione di un monitoraggio adeguato, l’evento avverso che ne deriva sarà attribuito non al destino, ma alla cattiva organizzazione sanitaria.
Prevenire la mancata sorveglianza significa definire protocolli di monitoraggio, assegnare priorità assistenziali, formare il personale, adottare sistemi di allerta precoce (come l’EWS – Early Warning Score) e promuovere una cultura dell’attenzione continua. La medicina moderna non può più permettersi di “lasciare il paziente tranquillo” solo perché non lamenta nulla. L’assenza di lamentele non è assenza di rischio. E la silenziosità della malattia, spesso, precede le sue urla più forti.
In conclusione, la responsabilità medica per mancata sorveglianza di pazienti critici si configura ogniqualvolta un peggioramento clinico, prevedibile o segnalato da parametri alterati, non viene rilevato per tempo, o quando i controlli sono sporadici, assenti, non documentati o inadeguati rispetto alla complessità del caso. È una responsabilità condivisa, che coinvolge medici, infermieri, coordinatori e direzione sanitaria. Nessuno è escluso quando la negligenza riguarda la vita.
Ogni paziente critico lasciato solo è un rischio che cresce. Ogni parametro non registrato è un segnale perso. Ogni monitor spento è una possibilità mancata. Perché nel silenzio apparente della corsia, la malattia non dorme mai. E la medicina non può permettersi di farlo.
Quali sono le norme applicabili?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 c.c., per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 c.c., per colpa medica grave;
- Art. 589 e 590 c.p., per omicidio o lesioni colpose da condotta sanitaria;
- Linee guida ministeriali aggiornate fino al 2025 su gestione pazienti critici e monitoraggio.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?
- Paziente con ictus non monitorato e deceduto in reparto ordinario: risarcimento di 1.850.000 euro;
- Caduta dal letto con trauma cranico e coma irreversibile per mancanza di sorveglianza notturna: risarcimento di 1.600.000 euro;
- Infarto non rilevato in paziente monitorato solo parzialmente: risarcimento agli eredi di 1.700.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In caso di danni da mancata sorveglianza, è necessario rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in responsabilità medica per omessa vigilanza e danni da omissione assistenziale. È fondamentale:
- Verificare la completezza della cartella clinica e del diario infermieristico;
- Ricostruire il monitoraggio realmente eseguito grazie a consulenze medico-legali;
- Individuare le omissioni di personale o della struttura;
- Quantificare il danno biologico, morale ed esistenziale per il paziente o i familiari;
- Avviare azioni risarcitorie in sede civile e, nei casi più gravi, penale.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano in sinergia con esperti in gestione del rischio clinico, medicina legale e organizzazione sanitaria, offrendo una difesa rigorosa e centrata sul diritto alla sicurezza e alla continuità delle cure.
Ogni paziente critico ha diritto a essere sorvegliato con attenzione. Quando questo non avviene e si verifica un danno, la responsabilità è chiara e la giustizia deve fare il suo corso.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: