La caduta del paziente ricoverato in ospedale rappresenta uno degli eventi avversi più frequenti e potenzialmente gravi in ambito sanitario. Può verificarsi nei reparti ordinari, nei pronto soccorso, nelle strutture riabilitative o nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA). In molti casi, il paziente presenta condizioni di fragilità, disorientamento, patologie neurologiche o farmacologiche che aumentano il rischio di caduta, rendendo indispensabile una sorveglianza attiva e un’adeguata prevenzione.
Le cadute possono provocare fratture, traumi cranici, ematomi, lesioni spinali e, nei casi più gravi, la morte del paziente. Oltre al danno fisico, possono causare gravi ripercussioni psicologiche e un peggioramento irreversibile della qualità della vita. Quando l’evento è prevedibile ma non viene prevenuto, si configura una responsabilità della struttura sanitaria o del personale.

La legge e le linee guida impongono l’adozione di protocolli di prevenzione del rischio cadute, con valutazioni periodiche, utilizzo di ausili, adeguata sorveglianza e formazione del personale. L’assenza di queste misure può comportare un grave inadempimento assistenziale, con diritto al risarcimento per i danni subiti.
In questo articolo esamineremo le cause più frequenti delle cadute in ospedale, gli obblighi delle strutture sanitarie, la normativa vigente fino al 2025, i risarcimenti riconosciuti dalla giurisprudenza e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, che operano nella tutela dei pazienti danneggiati da eventi evitabili.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quando una caduta in ospedale è prevedibile e prevenibile?
- Il paziente presenta disturbi dell’equilibrio o deficit neurologici;
- Sono in corso terapie sedative o ipotensive;
- Vi è disorientamento cognitivo o decadimento senile;
- Sono note cadute pregresse o il paziente è a rischio documentato;
- Il paziente necessita di assistenza per alzarsi dal letto o recarsi in bagno.
Quali sono le cause più frequenti della caduta del paziente in ospedale?
In un luogo dove la sicurezza dovrebbe essere massima, dove ogni gesto è regolato da protocolli, dove ogni passo dovrebbe essere protetto, la caduta di un paziente rappresenta un evento tanto frequente quanto inaccettabile. Non si tratta solo di un incidente. Si tratta di una rottura del patto fiduciario tra il paziente fragile e l’istituzione che ha il compito di prendersene cura. Una caduta in ospedale non è mai soltanto una questione fisica: è un indicatore di un sistema che ha abbassato la guardia, di una sorveglianza venuta meno, di un’organizzazione che non ha previsto ciò che era prevedibile. Ogni caduta è un fallimento preventivo.
Le cause di questi eventi sono molteplici, stratificate, e spesso si sommano fino a creare le condizioni perfette per l’incidente. Una delle prime, e più gravi, è la mancata valutazione del rischio di caduta all’ingresso. Non tutti i pazienti hanno lo stesso livello di autonomia, equilibrio, forza muscolare o consapevolezza. Un anziano confuso, un soggetto con Parkinson, un paziente sedato o appena operato, ha un rischio molto più alto di cadere rispetto a un ricoverato giovane e vigile. Eppure, nei reparti ordinari, questa valutazione viene eseguita spesso in modo superficiale, o non viene aggiornata nel corso della degenza. Il paziente può peggiorare, può diventare ipoteso, può sviluppare una febbre o un delirio. Ma se nessuno rivede il suo profilo di rischio, resta “a basso rischio” anche quando non lo è più. E così, il primo passo falso è quello del sistema, non del paziente.
Un altro elemento critico è la scarsa personalizzazione dell’ambiente. Le stanze d’ospedale sono standard, uguali per tutti, ma i pazienti non lo sono. Chi ha una deambulazione incerta dovrebbe avere un letto basso, una luce notturna, un campanello facilmente accessibile, un corrimano, un bagno assistito. Invece, spesso si trova in letti troppo alti, con sponde abbassate, con arredi non idonei. Anche i pavimenti possono diventare un rischio: superfici scivolose, tappetini mobili, acqua non asciugata, cavi elettrici non sistemati. In altri casi, è l’organizzazione stessa che espone al rischio: un paziente che deve andare in bagno da solo perché il personale è impegnato, un anziano lasciato in piedi mentre si attende una carrozzina, un ricoverato che tenta di scendere dal letto per prendere il cellulare caduto. La solitudine funzionale è una delle cause più invisibili e più pericolose.
Le cadute si verificano spesso durante la notte, quando il presidio assistenziale è più debole. I turni notturni, spesso sottodimensionati, non consentono un controllo attivo su tutti i pazienti a rischio. Il buio, l’alterazione del ritmo sonno-veglia, la confusione mentale notturna, aumentano il rischio. Un paziente confuso può alzarsi per andare in bagno, senza chiedere aiuto. Un paziente iperteso può sentirsi stordito dopo una dose serale di farmaco e perdere l’equilibrio. Un ricoverato in terapia infusionale può inciampare nella pompa, o sentirsi legato e tentare di liberarsi. Se in quel momento non c’è nessuno vicino, il corpo cade, ma è l’organizzazione che ha vacillato per prima.
Un altro fattore determinante è l’uso di farmaci che compromettono l’equilibrio e lo stato di coscienza. Sedativi, ansiolitici, oppioidi, antipertensivi, diuretici, insulina: tutti farmaci comunemente usati in ospedale che possono provocare capogiri, ipoglicemia, disorientamento. Molti pazienti vengono trattati con queste sostanze senza che vengano attivate misure di protezione aggiuntive. Nessuna sorveglianza dopo la somministrazione, nessun controllo prima di permettere al paziente di alzarsi, nessuna informazione specifica su cosa fare in caso di debolezza. In altri casi, è proprio la politerapia a creare scompensi improvvisi, con interazioni non previste o dosaggi eccessivi. Il farmaco diventa una trappola per chi non è in grado di reggersi in piedi.
Un errore spesso sottovalutato è la mancata segnalazione di cadute precedenti. Il paziente che è già caduto in casa, o in un ricovero precedente, ha un rischio molto più alto di cadere di nuovo. Ma queste informazioni, se non emergono all’ingresso, se non vengono raccolte o trascritte, vanno perse. Nessuno attiva il campanello da polso. Nessuno mette il letto in posizione di sicurezza. Nessuno lascia la luce accesa. La storia clinica silenziosa si trasforma in presente traumatico. E la caduta non è più un’eventualità: è una probabilità annunciata.
Una delle responsabilità più gravi riguarda la mancata sorveglianza attiva nei momenti più critici. Dopo un intervento chirurgico, durante la discesa dal letto per recarsi in bagno, all’arrivo in reparto dopo il trasferimento dalla terapia intensiva: sono tutti momenti in cui il paziente ha bisogno di essere accompagnato, assistito, osservato. E invece, troppo spesso, viene lasciato solo. Il personale è ridotto. Il campanello suona, ma si risponde in ritardo. L’operatore è già impegnato con un altro paziente. La carrozzina non arriva. Il tempo di attesa si trasforma in tentativo di autonomia. E nel momento esatto in cui il paziente decide di fare da solo, il rischio si materializza.
Anche il linguaggio ha un peso. Frasi come “non si alzi da solo”, “aspetti l’infermiere”, “chiami con il campanello” vengono dette frettolosamente, senza verifica della reale comprensione da parte del paziente. Spesso si rivolgono ad anziani ipoacusici, confusi, stranieri, soggetti con decadimento cognitivo. Senza assicurarsi che abbiano capito, che possano eseguire l’indicazione, che abbiano effettivamente un campanello accessibile. La comunicazione unidirezionale, veloce, impersonale, non previene le cadute. Le favorisce.
Dal punto di vista medico-legale, la caduta in ospedale è uno degli eventi più facilmente evitabili e più frequentemente sanzionati. Non serve dimostrare la colpa materiale dell’operatore: la responsabilità si presume, salvo prova contraria. È la struttura sanitaria a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente. E se mancano la valutazione del rischio, le misure preventive, la sorveglianza adeguata, il giudice riconosce la responsabilità e condanna. Le sentenze parlano chiaro: una caduta in ospedale non è quasi mai un caso, ma una mancanza.
In conclusione, ogni caduta di un paziente ricoverato è un grido che il sistema sanitario non ha saputo ascoltare. È un campanello che non ha suonato. È un bisogno non soddisfatto. È un rischio noto ignorato. Prevenire le cadute richiede una cultura della sicurezza diffusa, visibile, quotidiana. Richiede formazione, personale, protocolli, attenzione continua. Non si può evitare ogni evento imprevedibile, ma si può e si deve evitare ciò che è previsto, descritto, documentato. Perché in ospedale si va per essere curati, non per cadere. E ogni volta che un paziente tocca terra, la medicina dovrebbe inginocchiarsi con lui.
Quando si configura la responsabilità medica per la caduta di un paziente in ospedale?
La caduta di un paziente all’interno di una struttura sanitaria non è mai un evento banale. Si tratta di uno degli incidenti più frequenti negli ambienti ospedalieri e rappresenta una delle principali cause di danno evitabile per i pazienti ricoverati, soprattutto anziani, fragili o affetti da patologie neurologiche. Quando la caduta avviene a causa di una mancata vigilanza, di un’inadeguata valutazione del rischio o di carenze organizzative, si configura una responsabilità professionale e istituzionale. Non si tratta di fatalità: nella maggior parte dei casi, le cadute sono eventi prevedibili e prevenibili.
Il paziente ospedalizzato è per definizione in una condizione di vulnerabilità. La ridotta mobilità, l’uso di farmaci sedativi o ipotensivi, le patologie neurologiche o ortopediche, la confusione mentale, la deprivazione del sonno, l’ambiente non familiare e i deficit sensoriali sono tutti fattori che aumentano significativamente il rischio di cadute. È quindi dovere dell’équipe sanitaria valutare il rischio già al momento del ricovero e predisporre le misure di prevenzione necessarie per ogni singolo caso.
Una delle omissioni più gravi è la mancata compilazione delle scale di valutazione del rischio caduta, come la scala Morse, la scala STRATIFY o la Hendrich Fall Risk Model. Tali strumenti permettono di individuare i pazienti più esposti al rischio e di programmare interventi mirati: sorveglianza continua, accompagnamento nelle fasi di spostamento, uso di sponde, letti a bassa altezza, calzature antiscivolo, illuminazione notturna adeguata, campanelli a portata di mano. Se questa valutazione viene omessa, o se viene effettuata ma ignorata nei suoi esiti, la responsabilità per la caduta è diretta e rilevante.
Un altro errore comune riguarda la sorveglianza dei pazienti con alterazioni cognitive o psichiche. I pazienti affetti da demenza, delirium, psicosi, o in stato confusionale post-operatorio sono spesso agitati, disorientati, impulsivi. Possono tentare di alzarsi dal letto senza assistenza, uscire dalla stanza, o arrampicarsi sulle sponde. In questi casi è necessaria una sorveglianza attiva, che può prevedere un posizionamento vicino alla postazione infermieristica, l’attivazione della sorveglianza visiva continua o l’impiego di sistemi di allarme. Lasciare un paziente confuso da solo in una stanza isolata, anche per brevi momenti, è una scelta clinica pericolosa.
Anche le cadute durante le manovre assistenziali, come il trasferimento dal letto alla sedia, il passaggio in bagno o la deambulazione con il deambulatore, sono responsabilità dell’équipe. L’errore, in questi casi, è spesso attribuibile a un carente supporto fisico, alla sottovalutazione della debolezza muscolare o dell’instabilità ortostatica, o alla fretta operativa che spinge a far compiere al paziente movimenti che non è in grado di sostenere autonomamente. Quando il paziente viene lasciato da solo in piedi o su una sedia senza braccioli, il rischio di caduta è elevato e prevedibile.
La documentazione clinica è uno strumento fondamentale sia per la prevenzione che per l’eventuale accertamento di responsabilità. Ogni valutazione del rischio deve essere tracciata, ogni modifica dello stato clinico (per esempio l’aggravamento della deambulazione o l’insorgenza di confusione) va registrata tempestivamente, così come le strategie adottate per mitigare i rischi. Se la cartella clinica è priva di annotazioni sul rischio caduta o sulle misure di prevenzione adottate, è difficile per la struttura e i sanitari dimostrare di aver agito con diligenza.
La responsabilità non è esclusa neppure nei casi in cui il paziente “non ha chiesto aiuto” o “si è alzato da solo di notte”. Un paziente ospedalizzato può non essere in grado di valutare il proprio equilibrio, può non ricordare di aver ricevuto istruzioni, può agire sotto l’effetto di farmaci o in preda a uno stato confusionale. La responsabilità si configura perché il paziente, per definizione, non è nella condizione di garantire da solo la propria sicurezza.
Anche le caratteristiche ambientali giocano un ruolo importante. Se il pavimento è scivoloso, l’illuminazione insufficiente, gli arredi non ergonomici o il bagno è privo di corrimano, si tratta di carenze strutturali che configurano una responsabilità della struttura. In particolare, le cadute in bagno, che avvengono frequentemente durante la notte, devono essere prevenute mediante accompagnamento, campanelli funzionanti, tappetini antiscivolo e, nei casi necessari, il supporto di due operatori.
Le sentenze italiane in materia di cadute ospedaliere confermano l’esistenza di una responsabilità piena e diretta quando la struttura non dimostra di aver messo in atto tutte le misure di prevenzione proporzionate al rischio. I giudici richiedono non solo la prova della valutazione del rischio, ma anche la prova dell’effettiva attuazione delle misure indicate e del costante aggiornamento del piano assistenziale. Se un paziente viene lasciato libero di alzarsi nonostante una valutazione iniziale di rischio elevato, l’evento viene considerato evitabile e quindi imputabile a negligenza o imperizia.
Il danno da caduta può essere gravissimo. Fratture di femore, ematomi intracranici, lesioni vertebrali, traumi toracici o cranici sono eventi che, nei pazienti fragili, possono portare a una rapida discesa verso l’inabilità o la morte. Anche una semplice contusione può causare dolore, immobilità, infezioni respiratorie secondarie o depressione reattiva. Il risarcimento riconosciuto comprende sia il danno biologico che il danno morale, e può includere anche la perdita di autonomia, la necessità di assistenza continuativa e il danno esistenziale.
La prevenzione delle cadute non può essere affidata solo alla buona volontà degli operatori. Deve essere sistemica, parte integrante del piano di cura, basata su protocolli condivisi, checklist giornaliere, formazione del personale, audit periodici e cultura del rischio. Ogni operatore sanitario, dal medico all’infermiere, dal fisioterapista all’OSS, ha il dovere di segnalare e correggere le condizioni che espongono il paziente al pericolo di caduta.
In conclusione, la responsabilità medica e organizzativa per la caduta di un paziente in ospedale si configura ogniqualvolta il rischio era prevedibile, la sorveglianza era inadeguata, le misure di prevenzione non sono state attuate o l’ambiente non era sicuro. È una responsabilità che riguarda tanto il singolo sanitario quanto la struttura nel suo complesso. Ogni paziente che cade è una voce che denuncia una mancanza.
Ogni passo non assistito è un rischio taciuto. Ogni letto non sorvegliato è un’occasione mancata. Ogni caduta è una ferita non solo del corpo, ma della fiducia. Perché in ospedale, cadere non dovrebbe mai essere una possibilità. E ogni responsabilità non assunta, è una caduta ancora più profonda.
Quali sono le leggi e le linee guida applicabili?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla sicurezza delle cure e prevenzione del rischio clinico;
- Art. 2043 c.c., per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 c.c., responsabilità per colpa in ambito tecnico;
- Art. 590 c.p., lesioni personali colpose;
- Linee guida ministeriali aggiornate al 2025 su prevenzione del rischio caduta in ambito sanitario.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in Italia?
- Anziano caduto di notte in reparto geriatrico, con trauma cranico e morte: risarcimento di 2.100.000 euro agli eredi;
- Paziente in ortopedia con frattura al femore caduto mentre cercava il bagno: risarcimento di 1.450.000 euro;
- Donna con patologia neurologica caduta dal letto senza sponde: risarcimento di 1.600.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In caso di danno da caduta ospedaliera, è indispensabile rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in responsabilità sanitaria per omessa sorveglianza e prevenzione. Il supporto legale comprende:
- Analisi della cartella clinica e della documentazione del ricovero;
- Ricostruzione degli eventi e della presenza di protocolli di prevenzione;
- Coinvolgimento di esperti in medicina legale, ortopedia e rischio clinico;
- Azione risarcitoria per danno biologico, esistenziale, morale e patrimoniale;
- Tutela in sede civile e penale, in caso di lesioni gravi o morte.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con medici legali, infermieri legali e specialisti in sicurezza delle cure, garantendo una difesa rigorosa, competente e orientata alla massima tutela del paziente danneggiato.
Una caduta in ospedale non è mai solo un incidente. Quando era prevedibile e poteva essere evitata, diventa una responsabilità che merita giustizia e risarcimento.
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