La rabdomiolisi è una condizione clinica potenzialmente grave, caratterizzata dalla rottura delle cellule muscolari e dal rilascio nel sangue di sostanze tossiche come mioglobina, potassio e creatinfosfochinasi (CPK). Se non riconosciuta e trattata tempestivamente, può causare danno renale acuto, aritmie cardiache e, nei casi più gravi, la morte.
Il mancato riconoscimento della rabdomiolisi è un errore clinico rilevante, soprattutto nei contesti di pronto soccorso, terapia intensiva e medicina sportiva. I sintomi iniziali – dolori muscolari diffusi, urine scure, debolezza, astenia, febbre o crampi – possono essere erroneamente attribuiti ad altre condizioni come influenza, traumi, infezioni urinarie o disturbi psicosomatici.

La diagnosi è semplice e si basa su esami ematici specifici (CPK elevata, elettroliti, creatinina, mioglobina) e anamnesi accurata. Quando questi accertamenti non vengono effettuati, e la rabdomiolisi evolve in insufficienza renale acuta o danni sistemici, si configura una responsabilità sanitaria.
In questo articolo analizzeremo le principali omissioni diagnostiche nella rabdomiolisi, le conseguenze sistemiche, le norme di riferimento aggiornate al 2025, i risarcimenti ottenuti e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della rabdomiolisi?
- Traumi muscolari gravi o schiacciamenti;
- Eccessivo sforzo fisico (sport, esercizi intensi);
- Crisi convulsive prolungate;
- Effetti collaterali di farmaci (statine, neurolettici, antidepressivi);
- Infezioni virali o batteriche sistemiche;
- Intossicazioni da droghe o alcool;
- Sindrome da allettamento prolungato o coma;
- Interventi chirurgici complessi o anestesia prolungata.
Quali segnali clinici devono far sospettare una rabdomiolisi?
- Dolori muscolari intensi e generalizzati;
- Urine color “coca cola” (mioglobinuria);
- Stanchezza eccessiva, crampi, febbre;
- Tachicardia, nausea, ipotensione;
- Riduzione della diuresi;
- Esami ematici con CPK > 5 volte il valore normale;
- Aumento della creatinina e squilibri elettrolitici.
Quali sono le cause più frequenti del mancato riconoscimento della rabdomiolisi?
Ogni giorno, in pronto soccorso, ambulatori e reparti, si presentano pazienti con dolori muscolari, debolezza, urine scure, malessere generale. Segni che potrebbero indicare molteplici condizioni, spesso comuni, banali, transitorie. Ma tra queste si nasconde anche una patologia potenzialmente grave, insidiosa, silenziosa: la rabdomiolisi. Una condizione in cui le cellule muscolari si rompono e rilasciano nel sangue sostanze tossiche, come la mioglobina, che possono danneggiare in modo irreversibile i reni. Il mancato riconoscimento della rabdomiolisi non è raro. Anzi, è più frequente di quanto si pensi. Perché i suoi sintomi sono subdoli, la sua evoluzione rapida, e la sua diagnosi – paradossalmente – semplice. Se solo venisse cercata.
Una delle prime cause di errore è l’ampia varietà dei quadri clinici con cui la rabdomiolisi può manifestarsi. Alcuni pazienti hanno dolori muscolari diffusi, ma altri no. Alcuni urinano scuro, altri non se ne accorgono. Alcuni hanno crampi e rigidità, altri solo astenia. Alcuni si presentano con febbre, tachicardia, nausea, e vengono trattati come se avessero una sindrome influenzale o una gastroenterite. Nessuno pensa a un danno muscolare. Nessuno misura la CPK, la creatinchinasi, che è l’indicatore chiave. E così la diagnosi viene mancata, o arriva quando è troppo tardi.
Un altro errore frequente è il pregiudizio clinico nei confronti dei giovani e degli sportivi. Quando un paziente giovane si presenta con dolori muscolari dopo uno sforzo fisico intenso – una corsa, un allenamento estremo, una gara di crossfit – si tende a rassicurare, a parlare di indolenzimento, di DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness). Ma se lo sforzo è stato prolungato, se le condizioni ambientali erano estreme (come il caldo intenso), se non c’è stata idratazione adeguata, il rischio di rabdomiolisi è reale. E se non si fa un prelievo, se non si misura la funzionalità renale, se non si controllano gli elettroliti, si perde l’occasione di prevenire l’insufficienza renale acuta.
In ambito geriatrico, il problema è opposto. Nei pazienti anziani allettati, disidratati, con piaghe o infezioni, la rabdomiolisi può insorgere senza sforzi fisici, semplicemente per compressione prolungata, ischemia tissutale, uso di farmaci tossici per il muscolo. Ma anche in questi casi, si tende a spiegare tutto con l’età, con la fragilità, con lo stato di salute generale. Nessuno sospetta una rabdomiolisi se il paziente non urla per il dolore. E intanto la creatinina sale, la mioglobina distrugge i tubuli renali, e il danno si consolida senza che nessuno se ne accorga.
I farmaci sono una delle cause più trascurate della rabdomiolisi. Statine, fibrati, antipsicotici, alcuni antivirali, anestetici, miorilassanti, e l’interazione tra farmaci possono provocare la lisi muscolare. Anche l’alcol, la cocaina, le amfetamine e alcune droghe di uso comune contribuiscono a scatenare il quadro. Ma se il paziente non riferisce tutto, o se il medico non approfondisce, il legame non viene visto. Il dolore muscolare viene banalizzato, la debolezza viene trattata con vitamine. Nessuno esegue gli esami giusti. E il paziente peggiora senza diagnosi.
Un altro scenario tipico è quello post-operatorio o post-traumatico. Un paziente che ha subito un intervento lungo, una posizione prolungata in anestesia, una caduta, una frattura o uno schiacciamento può sviluppare rabdomiolisi. Ma se nel decorso post-operatorio compaiono alterazioni renali, se il paziente ha urine scure o dolori diffusi, si pensa a mille altre cause prima della rabdomiolisi. Si cercano infezioni, si corregge la pressione, si cambia antibiotico. Ma non si misura la CPK, non si controllano gli elettroliti, non si valuta la mioglobina. E la finestra per la reidratazione tempestiva si chiude.
Il problema centrale è che la rabdomiolisi non dà un quadro clinico univoco. Si può presentare con sintomi lievi o drammatici, in pazienti sani o gravemente malati, in condizioni ambientali normali o estreme. Ma ha un elemento che la rende diagnosticabile: gli esami del sangue. Se si misura la CPK, se si controllano i livelli di potassio, calcio, creatinina, se si fa un esame delle urine con strisce reattive per la mioglobina, la diagnosi è chiara in poche ore. Il punto è: bisogna pensarci. E troppo spesso, non lo si fa.
Un’altra causa frequente del mancato riconoscimento è l’attribuzione dei sintomi ad altri quadri più comuni. Se un paziente ha dolore muscolare e urine scure, si pensa a una colica renale. Se ha febbre e dolore, si pensa a una polimialgia. Se ha nausea e disidratazione, si parla di influenza intestinale. La diagnosi viene indirizzata da abitudini mentali, da bias cognitivi. E così, la vera causa resta nascosta. Il paziente riceve fluidi o analgesici, ma non quelli giusti, non in tempo. E quando arriva l’insufficienza renale, è già troppo tardi per proteggere la funzione renale.
Nei pronto soccorso affollati, il tempo per indagare è poco. I pazienti con dolori muscolari vengono triagiati a bassa priorità. Non sono considerati “critici”. Devono aspettare ore. E anche quando vengono valutati, si fa un triage orientato ai sintomi più appariscenti. Se non c’è febbre, se non c’è un trauma grave, se non ci sono alterazioni evidenti alla visita, si mandano a casa. Senza prelievi. Senza controlli. Senza istruzioni. E il giorno dopo, quando tornano in condizioni peggiori, con creatinina alle stelle e potassio altissimo, non resta che ricoverare e sperare di salvare almeno la funzione renale.
Dal punto di vista medico-legale, il mancato riconoscimento della rabdomiolisi è una responsabilità che può essere evitata con facilità. Perché si tratta di una diagnosi semplice, se ci si pensa. Il paziente ha dolore muscolare? Controlla la CPK. Le urine sono scure? Fai l’esame. Il paziente ha fattori di rischio? Idratalo subito, monitora i reni, fai l’ECG. Se queste misure non vengono attuate, e se si dimostra che il quadro era compatibile, la responsabilità diventa grave. Perché il danno era prevedibile, prevenibile, gestibile. Ma non lo si è voluto vedere.
In conclusione, la rabdomiolisi non è una malattia rara. È una patologia sottovalutata. Serve solo attenzione, ascolto, analisi. Serve pensare anche a ciò che non è comune, ma è possibile. Serve rompere il pregiudizio del “non succede mai”. Perché succede. E quando accade, un prelievo mancato può costare un’insufficienza renale irreversibile, una dialisi a vita, una vita cambiata. Tutto per un valore che si poteva leggere, e che non è stato scritto.
Quali sono le conseguenze gravi del ritardo diagnostico?
- Insufficienza renale acuta con necessità di dialisi;
- Aritmie per iperpotassiemia;
- Danno multiorgano per mioglobina circolante;
- Sindrome compartimentale con necrosi muscolare;
- Danno neurologico per alterazioni elettrolitiche gravi;
- Morte improvvisa da complicanze metaboliche.
Quando si configura la responsabilità medica per mancato riconoscimento di rabdomiolisi?
La rabdomiolisi è una condizione clinica potenzialmente pericolosa per la vita, causata dalla rottura del tessuto muscolare scheletrico e dal rilascio nel circolo sanguigno di contenuti intracellulari, tra cui mioglobina, potassio, fosfati, enzimi muscolari come la creatin-chinasi (CK) e altre sostanze tossiche per il rene. L’eziologia è ampia: traumi, ischemie, esercizio fisico eccessivo, convulsioni, infezioni, farmaci (statine, antipsicotici, anestetici), tossine, ipertermia, shock elettrico, sindrome neurolettica maligna. Il mancato riconoscimento di questa sindrome può portare rapidamente a insufficienza renale acuta, iperkaliemia, aritmie fatali, acidosi metabolica e morte.
Il principale errore diagnostico consiste nel sottovalutare la sintomatologia iniziale o nell’interpretarla come disturbo muscoloscheletrico generico. Il paziente si presenta spesso con dolore muscolare diffuso, debolezza, rigidità, gonfiore, talvolta febbre o urine scure (color “coca-cola”), sintomi facilmente attribuiti a condizioni comuni. Tuttavia, quando questi segnali sono associati a fattori di rischio o a contesto clinico suggestivo, il sospetto di rabdomiolisi deve essere immediato.
Il test chiave è il dosaggio della creatin-chinasi (CK), il cui valore aumenta di decine o centinaia di volte rispetto al limite superiore della norma. Una CK superiore a 5.000 U/L è già indicativa di rabdomiolisi severa; valori oltre i 10.000 o 100.000 sono compatibili con danno muscolare massivo. In parallelo, la presenza di mioglobinuria, alterazioni elettrolitiche (ipocalcemia, iperkaliemia, iperfosfatemia), insufficienza renale (aumento di creatinina e urea) completano il quadro. Se il clinico non esegue questi esami di base in presenza di sintomi coerenti, il ritardo diagnostico può risultare fatale.
La responsabilità medica si configura con forza quando, di fronte a segni e sintomi compatibili, non viene attivato il corretto percorso diagnostico. Se un paziente viene valutato per dolori muscolari dopo uno sforzo intenso, un trauma, o l’uso di farmaci potenzialmente tossici, e non viene eseguita alcuna analisi ematochimica, né monitorata la diuresi, il comportamento clinico è inadeguato. La stessa responsabilità è presente se un paziente ospedalizzato (per esempio dopo un intervento chirurgico prolungato, uno stato di incoscienza o un’allettamento forzato) sviluppa rabdomiolisi e i segni precoci vengono ignorati.
Nei soggetti con sindromi neurolettiche maligne, intossicazioni da sostanze, crisi epilettiche o colpi di calore, la rabdomiolisi è una complicanza prevedibile. Ignorare la sua possibilità equivale a una omissione diagnostica. In particolare, nei pazienti trattati con antipsicotici, il riscontro di febbre, rigidità muscolare, alterazione dello stato mentale e alterazioni del sistema nervoso autonomo (tachicardia, ipertensione, sudorazione profusa) impone l’immediata valutazione della CK e del profilo renale, per escludere danni muscolari massivi.
Il trattamento della rabdomiolisi è tempo-dipendente e centrato sulla prevenzione del danno renale. L’infusione endovenosa abbondante, la correzione dell’acidosi, il monitoraggio degli elettroliti e della diuresi, l’eventuale alcalinizzazione delle urine, e in alcuni casi la dialisi, devono essere attivati non appena posta la diagnosi. Ogni ritardo nella reidratazione o nella protezione renale può tradursi in insufficienza acuta irreversibile. Un paziente giovane e sano può andare in dialisi per un errore di omissione in pronto soccorso.
La cartella clinica è decisiva per valutare la correttezza dell’approccio medico. La presenza di segnalazioni da parte del paziente su dolori muscolari, stanchezza estrema, urine scure o alterazioni neurologiche deve far scattare l’attenzione. Se non vi è traccia di valutazione metabolica, se non è presente il dosaggio della CK, se la creatinina non è stata monitorata o se il paziente è stato dimesso senza diagnosi, la condotta sanitaria può essere ritenuta gravemente negligente.
La giurisprudenza italiana ha già affrontato casi in cui la mancata diagnosi tempestiva di rabdomiolisi ha condotto a danni severi. In diverse sentenze, la responsabilità è stata attribuita a medici di pronto soccorso che avevano sottovalutato sintomi chiari o trascurato la diagnosi differenziale in soggetti con segni tipici. I tribunali hanno ritenuto che il semplice dosaggio della CK, esame economico e prontamente disponibile, avrebbe permesso una diagnosi corretta e un trattamento salvavita.
Anche la responsabilità organizzativa può essere chiamata in causa. Se non esistono protocolli diagnostici per pazienti a rischio (ad esempio quelli trattati con farmaci miotossici), se non vengono garantiti esami urgenti di laboratorio, se le informazioni sullo stato clinico non vengono trasferite tra reparti o nei turni, l’errore è sistemico. La medicina moderna non può permettere che condizioni tempo-dipendenti passino inosservate per limiti gestionali.
La formazione continua è uno strumento essenziale di prevenzione. Ogni medico, specialmente in pronto soccorso, in medicina d’urgenza e in psichiatria, deve conoscere i fattori di rischio, i sintomi sentinella e il percorso diagnostico-terapeutico della rabdomiolisi. L’omissione non deriva da complessità, ma da superficialità. Perché la rabdomiolisi è insidiosa, ma riconoscibile.
Il paziente deve essere ascoltato e mai banalizzato. Se un soggetto riferisce dolori muscolari insopportabili dopo sforzi prolungati, se lamenta stanchezza inspiegabile, urine scure o rigidità corporea, non può essere trattato come ipocondriaco o rassicurato frettolosamente. Molti pazienti con rabdomiolisi non ricevono attenzione proprio perché i sintomi vengono percepiti come vaghi o comuni. Ma il compito della medicina non è discriminare a intuito, ma indagare con metodo.
In conclusione, la responsabilità medica per mancato riconoscimento di rabdomiolisi si configura ogniqualvolta un paziente con sintomi compatibili e fattori di rischio non venga sottoposto agli esami adeguati, non venga diagnosticato per tempo, o non venga trattato in modo da prevenire le gravi complicanze renali e sistemiche. È una colpa che nasce da sottovalutazioni, da errori di giudizio o da mancanza di conoscenza, ma che può determinare danni biologici gravi o irreversibili.
Ogni muscolo che si rompe lancia un segnale. Ogni urina scura è una spia accesa. Ogni valore ignorato è un’occasione persa per salvare la funzione renale. Perché nella rabdomiolisi, il tempo non è un dettaglio: è la differenza tra guarire o sopravvivere a metà. E chi non guarda, rischia di non vedere il danno che ha già iniziato a farsi strada.
Quali norme regolano la responsabilità?
- Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 c.c., per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 c.c., responsabilità del medico specialista;
- Art. 590 c.p., lesioni colpose gravi o gravissime;
- Raccomandazioni cliniche del Ministero della Salute e linee guida nefrologiche 2025.
Quali risarcimenti sono stati riconosciuti?
- Giovane sportivo con dolori muscolari e urine scure dimesso senza esami, ricoverato 48 ore dopo con insufficienza renale acuta: risarcimento di 2.300.000 euro;
- Paziente psichiatrico in trattamento con neurolettici sviluppa rabdomiolisi non riconosciuta, va in dialisi cronica: risarcimento di 2.100.000 euro;
- Donna anziana allettata dopo caduta, non mobilizzata né idratata: sviluppa rabdomiolisi con danno multiorgano: risarcimento di 1.950.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In caso di mancato riconoscimento della rabdomiolisi e danni conseguenti, è essenziale rivolgersi a avvocati con competenze specifiche in responsabilità medica per omissioni diagnostiche e nefrologiche. La tutela prevede:
- Analisi dettagliata della documentazione clinica e degli esami non eseguiti;
- Collaborazione con nefrologi, medici internisti, d’urgenza e medici legali;
- Ricostruzione del decorso clinico e delle omissioni;
- Dimostrazione del nesso tra ritardo nella diagnosi e danno biologico;
- Azione legale completa per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano in sinergia con esperti in nefrologia, urgenza e medicina legale, garantendo una difesa rigorosa, specializzata e fondata sulle linee guida più aggiornate.
La rabdomiolisi può essere gestita efficacemente se riconosciuta in tempo. Quando un errore clinico la trasforma in una tragedia, la legge tutela il paziente.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: