La cartella clinica rappresenta il documento ufficiale che raccoglie tutte le informazioni relative allo stato di salute del paziente, ai trattamenti eseguiti, alle prescrizioni, agli esami e agli interventi effettuati. Si tratta di uno strumento fondamentale non solo per la cura del paziente, ma anche per la tutela legale, sia del professionista sanitario che del cittadino. Alterare, modificare, omettere o distruggere elementi della cartella clinica costituisce un atto gravissimo, con implicazioni sia penali che civili.
La falsificazione della cartella clinica è considerata una condotta illecita e, in molti casi, è finalizzata a nascondere errori medici, omissioni, ritardi terapeutici o trattamenti non eseguiti. Il paziente danneggiato ha diritto a richiedere un risarcimento danni e, in presenza di dolo o colpa grave, può essere avviata anche un’azione penale contro il sanitario o la struttura coinvolta.

In questo articolo verranno analizzate le modalità in cui si manifesta la falsificazione, le sue conseguenze legali, le normative aggiornate al 2025, i casi reali di risarcimento e le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti della falsificazione della cartella clinica?”
Nel cuore di ogni percorso sanitario, la cartella clinica rappresenta non solo un documento tecnico, ma anche un atto di verità. È il luogo in cui si registra ciò che avviene, ciò che si decide, ciò che si comunica. È il diario fedele della relazione medico-paziente, della diagnosi, della terapia, delle scelte cliniche e delle eventuali complicanze. Ma quando questo strumento viene alterato, modificato a posteriori, compilato in modo fuorviante o incompleto per tutelare il professionista anziché il paziente, non siamo più davanti a un errore: siamo davanti a una manomissione deliberata della realtà. E ogni falsificazione della cartella clinica rappresenta una ferita alla medicina, alla fiducia e alla giustizia.
Una delle cause più frequenti della falsificazione è il tentativo di coprire un errore medico. Quando un trattamento non ha prodotto i risultati sperati, o quando è sopraggiunta una complicanza evitabile, alcuni operatori sanitari, per paura di conseguenze legali, modificano la cartella a posteriori. Aggiungono annotazioni che non erano presenti durante la prestazione, retrodatano prescrizioni, inseriscono valori vitali mai rilevati, omettono dati rilevanti come un’allergia non segnalata o una reazione avversa non gestita. La cartella diventa così uno strumento di difesa anziché un resoconto oggettivo.
Un altro motivo ricorrente è la pressione esercitata dalle direzioni sanitarie. In alcuni contesti ospedalieri, pubblici o privati, il medico viene implicitamente spinto a “sistemare” la documentazione per evitare che emergano errori organizzativi, ritardi diagnostici o mancanze strutturali. Un paziente rimasto per ore in pronto soccorso senza essere visitato diventa, sulla carta, un caso trattato con priorità. Un farmaco somministrato in ritardo risulta regolarmente annotato. Il professionista si trova allora in un conflitto etico: dire la verità o proteggere l’immagine della struttura in cui lavora.
La paura del contenzioso medico-legale è uno dei principali motori della falsificazione. Nel momento in cui un paziente manifesta l’intenzione di fare causa, o si verifica un evento avverso, la corsa ad “aggiustare” la cartella diventa frenetica. Vengono cancellate note, modificate date, inserite giustificazioni, simulati consensi informati mai acquisiti. Alcuni usano penne diverse, software privi di tracciabilità o addirittura cartelle parallele. Ma ogni tentativo di manipolazione è un boomerang: se scoperto, annulla ogni difesa possibile e aggrava la responsabilità.
La compilazione a posteriori è una prassi pericolosa, ma diffusa. In molte strutture, il tempo per scrivere viene lasciato alla fine del turno, quando il ricordo è già sfumato, e il rischio di omissioni o ricostruzioni arbitrarie aumenta. Se poi, in sede di ispezione o verifica, si riscontrano incongruenze tra la cronologia delle cure e la documentazione, la tentazione di “sistemare tutto” è forte. Alcuni scrivono ciò che avrebbero dovuto fare, non ciò che è stato realmente fatto. Ma una cartella scritta col senno di poi perde il suo valore probatorio e diventa un documento inquinato.
Un’altra forma di falsificazione è l’omissione di informazioni rilevanti. Non si tratta sempre di scrivere il falso, ma di non scrivere il vero. Non annotare un sintomo riferito, non trascrivere una richiesta del paziente, non registrare una complicanza intraoperatoria equivale a mentire per omissione. Questa forma è più subdola, perché lascia meno tracce evidenti, ma ha lo stesso impatto legale. Se una caduta del paziente, una reazione allergica, un rifiuto informato o un’interruzione della terapia non vengono documentati, la responsabilità del professionista non solo resta, ma diventa aggravata dal tentativo di cancellarne la prova.
La falsificazione può coinvolgere anche il consenso informato. In alcuni casi, il modulo viene fatto firmare dopo l’intervento, o senza che il paziente sia stato realmente informato delle alternative terapeutiche. Oppure si compila un modulo generico, privo di riferimenti specifici al trattamento eseguito. Se sopraggiunge una complicanza, quel modulo viene modificato, sostituito, ricreato. Ma il consenso informato è valido solo se precede l’atto medico, se è chiaro, personale, datato e firmato in piena coscienza. Ogni forzatura in questo senso è un atto illecito, oltre che eticamente inaccettabile.
Nei casi di decesso, la falsificazione della cartella diventa ancora più delicata. Se l’evento è improvviso, inatteso, potenzialmente legato a una mancanza diagnostica o terapeutica, la revisione della documentazione clinica diventa oggetto di attenzione immediata. Alcuni professionisti, temendo indagini interne o denunce dei familiari, correggono i tempi di somministrazione dei farmaci, aggiungono controlli mai eseguiti, inseriscono parametri vitali “normali” che contraddicono la realtà dei fatti. Ma nel corso di un’autopsia giudiziaria o di una consulenza tecnica, le discrepanze emergono, e con esse la verità che si voleva nascondere.
La tentazione di proteggere colleghi o membri dell’équipe è un altro motivo di falsificazione. Se un’infermiera ha commesso un errore, se un medico ha somministrato un farmaco sbagliato, se un operatore ha ignorato un allarme clinico, può nascere un patto di silenzio o una riscrittura collettiva della documentazione. Ma in questi casi la responsabilità si estende a chi ha coperto, non solo a chi ha sbagliato. La medicina è un lavoro di squadra, ma la verità non può essere oggetto di compromesso.
L’uso di sistemi informatici non tracciabili o modificabili a posteriori è una zona grigia che facilita la manipolazione. Se il software utilizzato non registra chi ha scritto cosa, a che ora, e quando è stata modificata una voce, diventa molto difficile distinguere ciò che è stato documentato in tempo reale da ciò che è stato aggiunto dopo. In alcune realtà, la mancanza di firma digitale, la possibilità di sovrascrivere le note, la presenza di account condivisi trasforma la cartella clinica in un documento vulnerabile, non affidabile, facilmente strumentalizzabile.
Dal punto di vista legale, la falsificazione della cartella clinica è un reato penale. Può configurare i reati di falso ideologico, falso materiale, soppressione o alterazione di atti pubblici, omissione d’atti d’ufficio. La giurisprudenza italiana è molto severa in merito, soprattutto quando la falsificazione è collegata a un evento lesivo o mortale. Anche un singolo dettaglio alterato può invalidare l’intera difesa, e comportare conseguenze penali, civili e disciplinari gravissime.
In conclusione, la cartella clinica non è un archivio. È un atto giuridico, scientifico ed etico. È il documento che tutela il paziente, ma anche il medico, se redatto correttamente. Falsificarla non significa solo mentire: significa infrangere il patto fiduciario tra medicina e società. Significa compromettere la possibilità di accertare la verità, di migliorare la pratica clinica, di ottenere giustizia. E ogni volta che un operatore sceglie di modificare una cartella per paura, per convenienza o per ordine, danneggia non solo il singolo paziente, ma l’intera credibilità del sistema sanitario. La verità, anche scomoda, è sempre preferibile a una bugia ben scritta.
Quando si configura la responsabilità medica per falsificazione della cartella clinica?
La cartella clinica è il documento fondamentale su cui si costruisce l’intera relazione terapeutica tra medico e paziente. Essa rappresenta non solo una raccolta di dati, ma una vera e propria testimonianza documentale delle decisioni mediche, delle terapie somministrate, degli eventi occorsi e della comunicazione tra sanitari e pazienti. È un atto pubblico nei presidi ospedalieri e un atto privato ad alto valore probatorio negli studi medici e odontoiatrici, ma in ogni caso è un documento ufficiale. Falsificarla, alterarla, ometterne parti o modificarla retroattivamente equivale a commettere un illecito grave, con implicazioni sia civili che penali.
La responsabilità medica per falsificazione della cartella clinica si configura quando il professionista altera intenzionalmente il contenuto per coprire un errore, evitare un contenzioso, giustificare un comportamento negligente o simulare un’attività mai svolta. In tal caso, non si parla più solo di errore medico, ma di comportamento doloso. La giurisprudenza distingue infatti con nettezza tra omissione, dimenticanza o registrazione imprecisa (che possono essere valutate come colpose) e l’intervento manipolativo, attivo e volontario sulla cartella clinica, che integra gli estremi del falso ideologico o materiale.
Le forme più comuni di falsificazione comprendono la retrodatazione di annotazioni, l’aggiunta di trattamenti o somministrazioni non effettuati, la cancellazione di eventi critici, l’occultamento di segni di allarme, l’inserimento ex post di firme, il copia-incolla da altre cartelle, la mancata registrazione di complicanze o l’alterazione di dati strumentali. A volte la falsificazione è diretta, compiuta dal singolo medico, altre volte è condivisa o tacitamente tollerata in contesti dove prevale la cultura della protezione a scapito della trasparenza. In ogni caso, rappresenta una violazione grave del principio di verità su cui si fonda l’atto medico.
Il valore giuridico della cartella clinica è enorme. Essa costituisce il principale mezzo di prova nei contenziosi per responsabilità sanitaria. In caso di denuncia o richiesta di risarcimento, sarà proprio la cartella a documentare cosa è stato fatto, da chi, in che tempi e con quali risultati. Se la cartella è incompleta o scorretta, il medico dovrà sostenere un onere probatorio più elevato. Se invece è falsificata, il giudice potrà ritenere provato il nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno al paziente, anche senza ulteriori accertamenti.
Le conseguenze legali della falsificazione sono particolarmente gravi. Sul piano penale, l’art. 476 del Codice penale punisce il falso ideologico e materiale in atto pubblico, che si configura quando un pubblico ufficiale (come un medico ospedaliero) attesta il falso in un documento ufficiale. La pena può arrivare fino a sei anni di reclusione. Anche nel caso di medici operanti nel privato, si può configurare il reato di falso in scrittura privata (art. 485 c.p.) o l’ipotesi di truffa aggravata se la falsificazione è finalizzata ad ottenere rimborsi da parte di assicurazioni, SSN o pazienti. Inoltre, l’atto può dar luogo a responsabilità civile e disciplinare, con radiazione dall’albo o sospensione dell’esercizio della professione.
L’etica medica considera la falsificazione documentale come una delle più gravi violazioni deontologiche. Il Codice di Deontologia Medica impone al professionista il dovere di registrare ogni atto in modo tempestivo, veritiero, comprensibile e non modificabile. L’articolo dedicato alla compilazione della cartella clinica richiama esplicitamente l’obbligo di fedeltà nella registrazione dei dati, il rispetto del segreto professionale e il divieto di alterazione postuma. Il professionista che falsifica la cartella perde non solo la fiducia del paziente, ma anche quella dell’istituzione sanitaria e dell’intera comunità scientifica.
Alcuni casi emblematici giurisprudenziali hanno evidenziato la gravità del comportamento. In ambito ospedaliero, si sono verificati episodi in cui, dopo il decesso di un paziente per shock settico o arresto cardiaco, si è cercato di inserire a posteriori annotazioni su esami mai eseguiti, somministrazioni fittizie di farmaci, o controlli clinici che in realtà non erano mai stati effettuati. In altri casi, in studi odontoiatrici o ambulatoriali, si sono trovate firme posticce su consensi informati o descrizioni generiche di procedure non documentate né riscontrabili clinicamente. Il tentativo di “sistemare la cartella” dopo un evento avverso è spesso il primo segnale che porta alla scoperta di un errore non dichiarato.
La falsificazione non deve essere confusa con la registrazione tardiva. Può capitare che un medico, per motivi di urgenza o carico di lavoro, trascriva una parte degli atti clinici con alcune ore di ritardo. In tal caso, purché venga indicata chiaramente la data e l’orario reale dell’annotazione e ciò non sia finalizzato a dissimulare la verità, si tratta di una condotta tollerata. Ma se la postdatazione è finalizzata a nascondere un’omissione, o se si altera la sequenza temporale degli eventi per proteggere un collega, il comportamento diventa eticamente e giuridicamente inaccettabile.
Un altro profilo riguarda l’alterazione dei documenti digitali. Con la progressiva diffusione dei software gestionali e delle cartelle cliniche elettroniche, i sistemi devono garantire la tracciabilità delle modifiche, la firma elettronica e la possibilità di audit trail. La manomissione di questi sistemi, la cancellazione di righe di testo, l’eliminazione di immagini o allegati o la sostituzione di referti allegati sono tutte pratiche che rientrano a pieno titolo nella definizione di falsificazione. I sistemi informatici, se non configurati con criteri di sicurezza, possono diventare terreno fertile per alterazioni difficili da individuare.
La responsabilità può estendersi alla struttura sanitaria, soprattutto se viene dimostrato che la falsificazione è stata resa possibile da carenze organizzative, assenza di controlli interni, omertà o prassi consolidate di aggiustamento dei documenti. In contesti dove si tollera la compilazione retroattiva o l’uso indiscriminato del copia-incolla, la colpa può assumere una dimensione sistemica e non solo individuale.
Il paziente ha diritto alla verità clinica. La falsificazione della cartella priva il paziente non solo della possibilità di valutare correttamente la propria condizione, ma anche del diritto alla tutela legale, all’accesso a cure successive adeguate e, in casi estremi, alla comprensione delle cause di un decesso o di una disabilità. In ambito civilistico, il paziente può ottenere il risarcimento integrale del danno derivante dalla falsificazione, anche in assenza di un errore clinico diretto, perché la condotta dolosa lesiona il diritto fondamentale alla trasparenza e alla corretta informazione sanitaria.
In conclusione, la responsabilità medica per falsificazione della cartella clinica si configura ogniqualvolta un sanitario alteri consapevolmente il contenuto della documentazione clinica per modificare la ricostruzione degli eventi, proteggere sé stesso o altri, simulare trattamenti mai effettuati o nascondere errori medici, e da tale condotta derivi un danno concreto o potenziale al paziente. È una delle più gravi infrazioni della deontologia professionale, punita severamente in ambito civile, penale e disciplinare.
Ogni riga scritta dopo il fatto, ogni data manipolata, ogni parola cancellata, è una crepa nella fiducia tra medico e paziente. Ogni cartella falsificata è una verità negata, un danno alla giustizia e un’offesa alla medicina. Perché la cura comincia dalla verità. E dove si nasconde la verità, si spegne ogni tutela.
Quali sono le responsabilità civili e penali?
- Responsabilità civile per danno da fatto illecito (Art. 2043 c.c.);
- Responsabilità penale per falsità ideologica e materiale in atto pubblico (Art. 476, 479, 480 c.p.);
- Violazione della Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) sulla sicurezza delle cure;
- Violazione del diritto all’accesso pieno e trasparente alla documentazione sanitaria (Art. 22, L. 241/1990);
- Sanzioni deontologiche da parte dell’Ordine dei Medici.
Come si accerta la falsificazione?
- Analisi calligrafica e grafometrica delle firme e delle modifiche;
- Confronto con i referti digitali e i registri di accesso elettronici;
- Perizie medico-legali sulle incongruenze terapeutiche;
- Esame delle tempistiche e della coerenza tra cartella clinica e cartelle infermieristiche;
- Rilevamento dell’assenza di tracciabilità.
Quali sono i risarcimenti riconosciuti in Italia?
- Paziente dimesso dopo infarto senza annotazione della sintomatologia iniziale, referto modificato: risarcimento di 390.000 euro;
- Donna deceduta per infezione nosocomiale, alterati i dati sui valori ematici e somministrazione antibiotica: risarcimento ai familiari di 620.000 euro;
- Neonato con encefalopatia ipossica non registrata in tempo reale, documentazione alterata: risarcimento di 1.200.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere giustizia?
In caso di falsificazione della cartella clinica, è fondamentale rivolgersi a avvocati con competenze approfondite in responsabilità sanitaria, medicina legale e analisi documentale forense.
La tutela comprende:
- Richiesta legale di accesso alla documentazione completa;
- Confronto tra copie fornite, archivi digitali e registri interni;
- Collaborazione con periti grafologi e medici legali esperti;
- Valutazione del nesso tra falsificazione e danno subito;
- Avvio di azioni civili per risarcimento e azioni penali per reati sanitari.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità si avvalgono di grafologi forensi, esperti in sistemi informatici ospedalieri, consulenti medico-legali e legali specializzati in diritto penale sanitario, garantendo una difesa solida e precisa per i pazienti vittime di alterazione o occultamento dei propri dati clinici.
La falsificazione della cartella clinica non è solo una scorrettezza professionale: è una violazione dei diritti fondamentali del paziente. Il risarcimento è uno strumento per ristabilire giustizia e trasparenza.
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