Introduzione
Il taglio cesareo è uno degli interventi chirurgici più praticati in ambito ostetrico. In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati al 2024, circa il 33% dei parti avviene con taglio cesareo, in molti casi programmato per indicazioni materno-fetali. Si tratta di una procedura generalmente sicura, ma non esente da rischi. Tra le complicanze più gravi, anche se sottostimate, figura la lesione dell’utero durante l’intervento.
Quando l’utero viene lesionato accidentalmente durante il taglio cesareo – oltre l’incisione fisiologica prevista – si parla di errore chirurgico. Questo tipo di danno può compromettere la fertilità futura della donna, causare emorragie interne, lesioni ad organi vicini (vescica, ureteri, intestino) o addirittura portare alla necessità di isterectomia d’urgenza (asportazione dell’utero). In alcuni casi, il danno può determinare un trauma psico-fisico profondo, invalidante e permanente.

La giurisprudenza italiana ha più volte riconosciuto il diritto al risarcimento per lesioni dell’utero durante il cesareo, soprattutto quando vi è stata imperizia, negligenza o un errore nel controllo dell’emostasi. In questo articolo analizzeremo tutti gli aspetti legali, medici e risarcitori legati a questa grave complicanza chirurgica, con esempi concreti, leggi aggiornate al 2025, e una panoramica sulle competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è una lesione dell’utero durante taglio cesareo?
Il taglio cesareo prevede l’incisione chirurgica della parete addominale e dell’utero per permettere l’estrazione del neonato. La lesione dell’utero si verifica quando, durante la procedura, si danneggia una parte non prevista della struttura uterina, come:
- il fondo o la parete posteriore (oltre l’incisione anteriore programmata),
- la parete laterale con interessamento dei vasi uterini,
- la zona istmica o cervico-istmica in modo traumatico,
- la parete uterina già indebolita da precedenti cesarei o miomectomie.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di lesione dell’utero durante il taglio cesareo?
Il taglio cesareo è uno degli interventi più eseguiti al mondo, spesso considerato un’alternativa “sicura” al parto naturale. Viene utilizzato in una vasta gamma di situazioni: malposizione fetale, sofferenza del bambino, preeclampsia, placenta previa, travaglio inefficace, ripetizione di cesarei precedenti. Tuttavia, nonostante la sua diffusione, si tratta di un atto chirurgico complesso che coinvolge organi vitali, vasi sanguigni, fasce muscolari e ovviamente l’utero. Proprio l’utero è l’organo più esposto al rischio di complicanze, soprattutto quando il cesareo è eseguito in urgenza, su tessuti fragili o su un utero già cicatrizzato. Quando l’intervento viene eseguito con una tecnica imprecisa o in condizioni sfavorevoli, può verificarsi una lesione dell’utero che compromette non solo la sicurezza del parto ma anche la salute futura della donna.
Una delle cause più comuni di lesione iatrogena dell’utero durante il cesareo è l’incisione mal eseguita sulla parete uterina, in particolare nei casi di emergenza in cui si tenta un accesso rapido al feto. Se il chirurgo pratica un taglio troppo profondo o eccessivamente laterale, può danneggiare la muscolatura uterina oltre i limiti fisiologici. Questo può comportare strappi, emorragie, ematomi retroperitoneali o lacerazioni estese fino al segmento cervicale o agli annessi. Le lesioni possono avvenire anche al momento della trazione del feto, quando si esercita una forza eccessiva per facilitarne l’estrazione, specialmente in caso di presentazioni anomale o incanalamento difficile.
Un altro fattore di rischio significativo è la presenza di aderenze da precedenti interventi chirurgici, come cesarei multipli, miomectomie o laparotomie. In questi casi, l’utero può essere saldato ai visceri circostanti, alle anse intestinali o alla parete addominale. Se il chirurgo non individua correttamente queste aderenze prima di iniziare l’incisione, rischia di praticare una sezione su tessuti alterati, che possono cedere o rompersi più facilmente. L’utero in questi contesti è più fragile, meno elastico e suscettibile a lacerazioni involontarie anche con movimenti minimi.
Una delle complicanze più gravi è la rottura dell’utero in corso di taglio cesareo, che può avvenire in modo improvviso, soprattutto in pazienti che avevano già subito cesarei precedenti e che si presentano in travaglio attivo. In queste circostanze, la pressione interna dell’utero e la cicatrice preesistente rappresentano un punto di debolezza strutturale. Se il chirurgo non esegue l’incisione con delicatezza e non valuta la condizione del tessuto cicatriziale, l’utero può lacerarsi completamente, con fuoriuscita del feto nella cavità addominale e emorragia potenzialmente fatale per madre e bambino.
Anche la sutura finale della breccia uterina rappresenta un momento critico. Se viene eseguita in modo superficiale, con punti troppo distanziati o materiale non idoneo, può portare a emorragie post-operatorie, formazione di ematomi o deiscenza della cicatrice. Inoltre, una sutura mal fatta può predisporre la paziente a rottura uterina nelle gravidanze successive, con tutti i rischi che ne derivano. Il corretto ripristino dell’anatomia uterina non è solo un dettaglio tecnico, ma un fattore determinante per la salute riproduttiva futura della donna.
In alcuni casi, la lesione dell’utero non è causata direttamente dal bisturi, ma da manovre troppo energiche o improprie da parte dell’équipe. Ad esempio, l’uso eccessivo del forcipe o della ventosa, l’introduzione delle mani per svuotare la cavità uterina in modo aggressivo o il tentativo di staccare manualmente la placenta aderente possono provocare rotture della parete o distacchi traumatici del miometrio. Questo rischio aumenta se si verifica un atonia uterina, cioè una mancata contrazione del muscolo dopo l’espulsione del feto, che rende i tessuti molli e vulnerabili.
La lesione può anche derivare da un errore nella valutazione della posizione fetale. Se il feto si trova in una posizione trasversa, podalica o con il dorso rivolto anteriormente, il punto di uscita può essere diverso da quello previsto. In questi casi, se l’incisione viene effettuata in modo standard e non adattata alla situazione reale, si rischia di dover allargare con urgenza la breccia chirurgica con strumenti taglienti, aumentando il rischio di strappi e lacerazioni.
Le conseguenze cliniche di una lesione dell’utero possono essere molto gravi. Nelle forme più lievi, si ha un prolungamento dell’intervento, una maggiore perdita ematica, un recupero più lento. Nei casi più gravi, si verifica una vera e propria emorragia massiva intraoperatoria, che può richiedere trasfusioni, embolizzazione dei vasi pelvici, laparotomia di emergenza o addirittura l’isterectomia d’urgenza, con perdita definitiva della fertilità. Nei casi estremi, se la diagnosi è tardiva o la gestione inadeguata, si può arrivare a shock emorragico e decesso materno.
Le conseguenze non si esauriscono al momento del parto. Una lesione mal riparata può provocare formazione di sinechie uterine, infertilità secondaria, dolore pelvico cronico, complicanze nelle gravidanze successive come placenta accreta, increta o percreta, e aumentato rischio di rottura uterina. Il danno non è solo fisico, ma anche psicologico: molte donne vivono con ansia la prospettiva di una futura gravidanza o scoprono solo dopo anni che non potranno più concepire a causa di un errore avvenuto in sala operatoria.
Dal punto di vista medico-legale, la lesione dell’utero durante il cesareo è un evento che può configurare responsabilità sanitaria, soprattutto quando è conseguenza di una tecnica inappropriata, di un’anamnesi chirurgica sottovalutata, di una valutazione anatomica incompleta o di una gestione superficiale delle complicanze intraoperatorie. I giudici verificano se la condotta è stata conforme alle linee guida, se vi era consapevolezza dei rischi specifici legati alla paziente, se la tecnica chirurgica era adeguata e se la riparazione del danno è stata tempestiva ed efficace.
Le cartelle cliniche, i referti operatori, le registrazioni anestesiologiche e la documentazione post-partum diventano centrali nel valutare la responsabilità. Anche il consenso informato gioca un ruolo cruciale: una donna non informata del rischio aumentato di complicanze per pregressi interventi o condizioni dell’utero ha diritto a rivalersi, in caso di esito negativo evitabile. Se la lesione ha comportato la perdita dell’utero o del bambino, il danno da risarcire può essere molto alto, comprendendo quello biologico, morale, esistenziale e anche patrimoniale, quando comporta impossibilità di lavoro, necessità di assistenza o costi medici prolungati.
Le statistiche indicano che fino al 2% dei tagli cesarei può essere complicato da lesioni uterine significative, ma la percentuale aumenta sensibilmente nei casi di cesareo ripetuto, parto in travaglio avanzato o placenta previa accreta. Non tutti i casi derivano da errore medico, ma una quota rilevante è associata a mancanza di preparazione, sottovalutazione dei rischi o scarsa esperienza chirurgica. Questo rende evidente quanto la scelta del momento, del team operatorio e della tecnica chirurgica sia fondamentale per garantire la sicurezza materna e neonatale.
In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di lesione dell’utero durante il taglio cesareo sono: incisione errata, trazione eccessiva, tecniche aggressive, aderenze non riconosciute, anatomia alterata, uso improprio di strumenti, sutura mal eseguita, sottovalutazione delle condizioni del tessuto uterino e mancata prevenzione delle complicanze. Tutto ciò dimostra che il cesareo, per quanto diffuso, resta un atto chirurgico ad alta intensità clinica, che va eseguito con rigore, formazione e piena consapevolezza dei rischi.
Affidarsi a equipe ginecologiche esperte, a strutture dotate di unità trasfusionale e rianimazione, e a protocolli aggiornati è l’unica garanzia per trasformare il cesareo in un parto davvero sicuro. Perché ogni intervento che dà la vita non può diventare, per errore, la causa di una perdita. La sicurezza materna non è una promessa, ma un dovere clinico. E ogni centimetro di tessuto tagliato lo ricorda.
Quali possono essere le conseguenze per la paziente?
Le lesioni uterine possono comportare:
- emorragie massicce intraoperatorie o post-operatorie,
- isterectomia d’urgenza, con perdita della fertilità,
- lesioni agli organi vicini, come vescica e ureteri,
- infezioni intrauterine e sepsi,
- dolore cronico pelvico e aderenze,
- compromissione psicologica profonda, specie se la paziente desiderava altri figli.
Quando si configura la responsabilità medica per lesione dell’utero?
La responsabilità medica per lesione dell’utero si configura ogni volta che questo organo, centrale nella vita riproduttiva e nell’identità corporea della donna, viene danneggiato durante un intervento chirurgico, un parto, una manovra strumentale o una procedura diagnostica, per un errore tecnico, una condotta imprudente o una valutazione superficiale. Il danno può essere immediato o manifestarsi nel tempo, ma quando accade, lascia un segno profondo, non solo fisico. Perché l’utero non è solo un organo: è un simbolo di fertilità, maternità, femminilità, integrità. Lesionarlo per imperizia significa minare la salute e la dignità di una persona.
I casi più frequenti si verificano durante tagli cesarei, revisioni della cavità uterina, raschiamenti, isteroscopie operative, inserimenti di dispositivi intrauterini, interventi per fibromi o polipi, oppure durante aborti volontari o terapeutici. In altri casi, la lesione è conseguenza di un parto operativo con ventosa o forcipe, o di un travaglio prolungato mal gestito. In ognuna di queste situazioni, esistono linee guida, strumenti adeguati, tecniche sicure. Eppure, quando la valutazione è affrettata, quando manca il rispetto dei tempi fisiologici o si compiono manovre forzate, il rischio di lacerazione, perforazione, emorragia o rottura dell’utero aumenta notevolmente.
Le conseguenze possono essere devastanti. In caso di perforazione, il contenuto dell’utero può fuoriuscire nella cavità addominale, con rischio di peritonite, infezione, danni agli organi adiacenti. La rottura uterina durante il travaglio è un evento drammatico, spesso associato a emorragie massive, perdita del feto, shock ipovolemico e necessità di isterectomia d’urgenza. La donna che subisce una lesione intraoperatoria può andare incontro a dolori cronici, aderenze, sterilità, cicatrici invalidanti o perdita completa dell’utero. In molti casi, l’evento compromette in modo irreversibile la possibilità di avere figli.
Ma il dolore non è solo corporeo. Molte donne, anche quando sopravvivono alla lesione, vivono un trauma psicologico profondo. Perdere l’utero, scoprire che non sarà più possibile concepire, o temere che la gravidanza futura possa essere pericolosa, significa affrontare un lutto silenzioso. In altre, l’esperienza è legata al vissuto del parto: entrano in sala parto serene, e ne escono segnate, spesso senza spiegazioni, senza essere state informate dei rischi, senza sapere se quanto accaduto poteva essere evitato. Le cicatrici emotive si sommano a quelle fisiche. E il senso di ingiustizia prende il posto della fiducia.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura ogni volta che il danno uterino è riconducibile a una condotta evitabile: una spinta eccessiva, una trazione sbagliata, l’uso scorretto di uno strumento chirurgico, una valutazione frettolosa, la scelta di procedere con un cesareo d’urgenza senza avere preparato le condizioni ideali. Anche l’omissione di controlli post-operatori, la mancata diagnosi di emorragie interne o la sottovalutazione di sintomi come dolore acuto, febbre, perdita ematica anomala, possono costituire gravi colpe professionali. Se la paziente segnala un malessere e non viene ascoltata, il ritardo diagnostico può aggravare la situazione e compromettere ogni possibilità di recupero.
I documenti da analizzare in questi casi sono molti: la cartella clinica completa, il tracciato del travaglio se presente, il referto operatorio, i referti ecografici, le note infermieristiche, le consulenze ginecologiche, le dimissioni, e tutto il follow-up post-operatorio. Se emergono discrepanze, omissioni, referti incongrui o mancanza di annotazioni, è già un primo segnale di responsabilità. Ogni intervento sull’utero comporta un rischio, ma il rischio accettabile è quello calcolato e gestito, non quello causato da disattenzione o improvvisazione.
Il risarcimento per una lesione uterina può variare molto. Nei casi in cui la paziente perde la capacità di procreare, il danno biologico e morale è altissimo, soprattutto se giovane e con desiderio di maternità. Se la lesione comporta una rimozione dell’utero (isterectomia) non necessaria, o se avviene in seguito a un errore intraoperatorio riconosciuto, il risarcimento può superare i 200.000 euro. A ciò si somma il danno esistenziale, legato alla femminilità compromessa, all’identità mutilata, al futuro familiare negato. In presenza di figli piccoli, anche il danno relazionale può essere riconosciuto. Se la lesione ha portato alla morte fetale, il risarcimento per perdita del nascituro si aggiunge a quello per il danno parentale.
Il termine per agire è di cinque anni dalla scoperta del danno, o dieci anni in caso di responsabilità contrattuale. È fondamentale rivolgersi a un avvocato esperto in responsabilità sanitaria, con il supporto di un ginecologo legale. La valutazione del danno richiede una perizia tecnica, spesso accompagnata da una consulenza psicologica. Anche la testimonianza della paziente – il suo racconto, la sua esperienza soggettiva – assume un peso importante, perché dà voce a un dolore che la documentazione da sola non può restituire.
Per il medico, l’intervento sull’utero dovrebbe sempre essere guidato da rispetto, delicatezza e consapevolezza. Ogni manovra va eseguita con attenzione assoluta. Ogni strumento deve essere usato nel modo giusto, nel momento giusto. Ogni dolore segnalato dalla paziente va ascoltato. Ogni rischio va spiegato con chiarezza. L’utero non è solo un organo anatomico: è una parte profonda dell’identità femminile. Lesionarlo per errore, e non riconoscerlo, è una ferita che va oltre la medicina.
In conclusione, la responsabilità medica per lesione dell’utero si configura ogni volta che la pratica clinica non rispetta gli standard di sicurezza, di attenzione, di umanità. Il corpo di una donna non può essere considerato un terreno neutro, né un semplice oggetto chirurgico. È un luogo che va protetto. E quando la medicina dimentica questo dovere, la giustizia deve intervenire per restituire almeno la verità, e quando possibile, anche un risarcimento che dia dignità al dolore subito.
Cosa dice la legge italiana?
La Legge n. 24/2017 (Legge Gelli-Bianco) disciplina la responsabilità sanitaria, stabilendo che:
- la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale (art. 1218 c.c.),
- il medico risponde a titolo extracontrattuale (art. 2043 c.c.), salvo dolo o colpa grave.
Il paziente deve dimostrare:
- il danno subito (fisico, psichico, patrimoniale),
- il nesso causale tra il danno e la condotta del medico,
- il mancato rispetto delle linee guida e delle buone pratiche cliniche.
Quali danni possono essere risarciti?
I danni risarcibili includono:
- Danno biologico (per lesioni permanenti o invalidanti),
- Danno morale ed esistenziale (per trauma psicologico, perdita della fertilità),
- Danno patrimoniale (spese mediche, impossibilità di lavorare, costi futuri),
- Danno da violazione del consenso informato, se non correttamente rilasciato.
Quali esempi reali di sentenze esistono?
- Bari, 2024: donna di 34 anni subisce isterectomia d’urgenza per lacerazione uterina non gestita. Il CTU evidenzia imperizia nella sutura dell’utero. Risarcimento: €890.000.
- Roma, 2023: giovane madre riportata in sala operatoria per shock ipovolemico post-cesareo. L’emorragia interna era stata causata da perforazione uterina trascurata. Risarcimento: €650.000.
- Napoli, 2022: lesione della parete posteriore uterina non segnalata in referto, con successiva infertilità. Risarcimento: €780.000 per danno alla vita relazionale e riproduttiva.
Come si dimostra l’errore?
Attraverso:
- cartella clinica completa, comprese note operatorie, monitoraggi intraoperatori, referti ecografici e TAC,
- consulenza medico-legale in ginecologia e medicina legale,
- analisi del consenso informato,
- confronto con linee guida della SIGO e SIAARTI.
Il giudice può nominare un consulente tecnico d’ufficio (CTU) e le parti possono nominare i propri periti.
Qual è la procedura per richiedere il risarcimento?
- Richiesta e analisi della cartella clinica.
- Valutazione medico-legale da parte di professionisti esperti.
- Redazione di una perizia di parte.
- Tentativo di mediazione obbligatoria.
- Avvio di azione civile o, in caso di decesso, penale.
Quali sono i tempi di prescrizione?
- 10 anni contro la struttura sanitaria (responsabilità contrattuale),
- 5 anni contro il medico, se non identificato dolo o colpa grave,
- 6 anni in caso di lesioni colpose gravi (art. 590 c.p.),
- Il termine decorre dal momento della conoscenza del danno (es. diagnosi di infertilità o esiti cicatriziali).
Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità hanno una competenza approfondita nei danni ostetrici e ginecologici, tra cui:
- lesioni uterine durante il taglio cesareo,
- rottura dell’utero non diagnosticata,
- isterectomie non necessarie o d’urgenza per errore iatrogeno,
- danni alla fertilità, infezioni uterine, fistole, aderenze pelviche.
Il lavoro è svolto in sinergia con:
- ginecologi forensi,
- anestesisti-rianimatori,
- esperti in ostetricia ad alto rischio,
- psicologi per la valutazione del danno esistenziale.
Ogni fase del procedimento è seguita con rigore e attenzione, dalla raccolta della documentazione alla perizia, dal calcolo del danno secondo le Tabelle 2025, fino alla trattativa o alla causa giudiziaria.
La lesione dell’utero non è solo un errore medico: è una ferita alla maternità, alla femminilità, alla dignità. Il diritto al risarcimento è il primo passo verso la riparazione.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: