Introduzione
L’ematuria, ovvero la presenza di sangue nelle urine, può essere un evento atteso e transitorio dopo un intervento chirurgico. Tuttavia, quando è abbondante, prolungata, trascurata o non trattata, diventa un segnale allarmante. Una ematuria grave post-operatoria non affrontata tempestivamente può causare anemia acuta, occlusione urinaria, insufficienza renale, infezioni gravi o emorragie interne, con conseguenze anche letali.
Nel contesto ospedaliero, la mancata gestione dell’ematuria post-intervento rappresenta una delle più gravi omissioni cliniche. Si tratta spesso di un campanello d’allarme ignorato, sottovalutato o gestito in modo inadeguato, nonostante le linee guida impongano controlli rigorosi nelle prime 48-72 ore post-chirurgiche.

Secondo i dati raccolti da AGENAS e ISS nel 2024, oltre il 9% delle complicanze post-operatorie urologiche e ginecologiche è legato a ematurie non controllate, e in circa il 30% dei casi con esiti gravi si evidenziano responsabilità cliniche per ritardo nella diagnosi o nel trattamento.
In questo articolo analizziamo quando un’ematuria grave post-operatoria non trattata configura un errore medico, quali sono i danni risarcibili, le norme di riferimento, gli esempi reali e come agire con il supporto degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ematuria grave post-intervento non trattata?
L’ematuria, ovvero la presenza di sangue nelle urine, è un evento relativamente comune dopo alcuni interventi chirurgici, in particolare quelli urologici, ginecologici o addominali. Quando si tratta di un’ematuria lieve, autolimitante e ben monitorata, non costituisce motivo di preoccupazione. Ma quando il sanguinamento è abbondante, prolungato o non viene trattato con la dovuta tempestività, si trasforma in una complicanza pericolosa e potenzialmente letale. L’ematuria grave post-operatoria, se ignorata, minimizzata o non riconosciuta come segno di emorragia in atto, può provocare ritenzione urinaria da coaguli, danni renali acuti, anemia severa, shock ipovolemico, infezioni urinarie complicate e, nei casi più drammatici, la morte.
Una delle cause principali di errore è la sottovalutazione della quantità di sangue perso attraverso le vie urinarie. Spesso, il personale sanitario si limita ad osservare il colore delle urine nel sacchetto di drenaggio senza misurare con precisione la quantità di sangue effettiva. L’urina ematica può assumere tonalità diverse a seconda della diluizione e può contenere coaguli anche in assenza di colore rosso acceso. Non esistono valori soggettivi nel giudicare un’ematuria post-chirurgica importante: il monitoraggio deve essere quantitativo, costante e sistematico.
Un altro errore frequente è la mancata sorveglianza post-operatoria in pazienti ad alto rischio. Chi ha subito un intervento alla prostata, alla vescica, ai reni o all’uretra, presenta un rischio aumentato di ematuria anche a distanza di ore o giorni. Se il paziente viene trasferito in reparto ordinario o dimesso senza controlli accurati, la perdita ematica può accumularsi lentamente fino a causare un quadro di anemia grave o un’ostruzione completa da coaguli.
Le complicanze più pericolose si verificano quando l’ematuria evolve in ritenzione urinaria ostruttiva, dovuta all’accumulo di coaguli all’interno della vescica. Il paziente avverte dolore sovrapubico crescente, impossibilità a urinare, spasmi vescicali intensi. Se il catetere non funziona correttamente, o se i coaguli lo bloccano, il quadro peggiora rapidamente. Senza lavaggi vescicali tempestivi o senza sostituzione del catetere, il sangue continua ad accumularsi, distendendo la parete vescicale fino a provocarne la rottura nei casi più gravi.
Anche il ritardo nella somministrazione di terapie emostatiche, infusioni o trasfusioni può avere conseguenze fatali. In presenza di ematuria massiva, l’anemia può insorgere in modo subdolo ma rapido. Se il paziente non viene monitorato con emocromo seriati, non si rileva la caduta dell’emoglobina fino a che i segni clinici diventano evidenti: pallore, tachicardia, ipotensione, dispnea, obnubilamento. A quel punto, l’intervento è già tardivo e può essere necessaria una rianimazione intensiva.
Il quadro si complica ulteriormente se l’ematuria post-operatoria è sintomo di una lesione chirurgica non riconosciuta, come una perforazione vescicale, una lesione ureterale, una sutura mal posizionata o la riapertura di un vaso. In questi casi, il sanguinamento non si limita alle urine, ma coinvolge anche i tessuti circostanti, con rischio di ematomi pelvici, peritonite urinosa, sepsi e danno renale acuto. Quando il personale sanitario attribuisce la sintomatologia a una “normale complicanza post-operatoria”, e non attiva indagini ecografiche, TAC o consulenze urologiche, il danno diventa rapidamente irreversibile.
In alcuni casi, la mancanza di trattamento tempestivo è aggravata da una gestione inadeguata del catetere vescicale, che può essere mal funzionante, non a doppio lume, oppure posizionato in modo scorretto. Se non viene effettuata un’irrigazione continua o se i coaguli non vengono evacuati, si crea un circuito vizioso: l’ematuria causa ritenzione, la ritenzione aggrava l’ematuria, e l’infezione si innesta su un sistema già compromesso. L’assenza di linee guida chiare nel reparto, o l’inesperienza del personale, può trasformare una complicanza gestibile in una crisi clinica.
Dal punto di vista medico-legale, l’ematuria grave non trattata nel post-operatorio è una delle omissioni più gravi attribuibili al personale sanitario. I periti analizzano se il sanguinamento era prevedibile, se era documentato, se sono stati attivati i protocolli di sorveglianza, se l’emoglobina è stata monitorata, se il drenaggio funzionava, se i segni di allarme erano stati riferiti dal paziente e ignorati dal personale. In molti casi, il mancato intervento è considerato un’omissione assistenziale, e quindi una colpa medica.
Il risarcimento in questi casi può essere molto elevato, soprattutto se il paziente ha subito una perdita funzionale d’organo, come un danno renale irreversibile, la necessità di nefrectomia, una cistostomia permanente o disfunzione cronica del basso tratto urinario. In caso di decesso, il risarcimento si estende ai familiari, con riconoscimento del danno parentale e del pregiudizio esistenziale. Anche in assenza di danni permanenti, l’ansia, il dolore, i ricoveri prolungati, le trasfusioni e gli interventi di urgenza possono generare responsabilità e obblighi di risarcimento.
Le linee guida nazionali e internazionali raccomandano che ogni paziente con rischio di ematuria post-operatoria venga monitorato con cateterismo a doppio lume, lavaggio continuo se necessario, controllo frequente della diuresi, emocromo giornaliero e valutazione urologica immediata in caso di alterazioni. In nessun caso un’ematuria importante può essere definita “normale” senza una precisa documentazione e senza esclusione delle cause più gravi.
In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ematuria grave post-intervento non trattata sono: sottovalutazione della perdita ematica, sorveglianza carente, gestione inadeguata del catetere, mancato monitoraggio ematologico, assenza di lavaggio vescicale, ritardo nelle indagini strumentali, lesioni chirurgiche non riconosciute, mancata attivazione del team urologico. Si tratta di errori che si ripetono con tragica regolarità, spesso in contesti dove basterebbe attenzione, formazione e tempestività.
Garantire al paziente una presa in carico completa anche dopo l’intervento non è un gesto di diligenza straordinaria. È il fondamento dell’assistenza. Perché il vero intervento non si conclude in sala operatoria. Comincia con l’ascolto e continua nella sorveglianza. E ogni goccia di sangue non vista può diventare una colpa.
Quando si configura la responsabilità medica per ematuria grave post-intervento non trattata?
La responsabilità medica per ematuria grave post-intervento non trattata si configura ogni volta che, a seguito di un’operazione chirurgica, la comparsa evidente di sangue nelle urine – un segnale chiaro e inequivocabile di possibile complicanza – viene sottovalutata, ignorata o minimizzata dal personale sanitario, permettendo che si sviluppino conseguenze gravi, a volte permanenti. L’ematuria, in ambito post-operatorio, non è mai un sintomo da archiviare frettolosamente. È un campanello d’allarme, un segnale che qualcosa è andato storto. Quando la medicina non lo ascolta, il rischio non è solo un ritardo nella diagnosi: è un’escalation clinica che può portare a emorragie, insufficienza renale, shock ipovolemico, infezioni e danni irreversibili.
La presenza di sangue visibile nelle urine, soprattutto nelle prime ore o nei primi giorni dopo un intervento chirurgico – che sia urologico, ginecologico, addominale o ortopedico con cateterizzazione – può avere molteplici origini: lesione iatrogena delle vie urinarie, lacerazione di vasi sanguigni vicini, infezione in atto, o coagulopatie secondarie. Riconoscere la causa dell’ematuria significa evitare che il problema si trasformi in un’emergenza. Eppure, in tanti casi, il sangue viene derubricato a “evento frequente”, la colorazione anomala viene normalizzata con superficialità, la paziente o il paziente viene tranquillizzato senza eseguire indagini.
Non è normale urinare sangue abbondante e non ricevere risposte. La medicina moderna ha gli strumenti per monitorare, diagnosticare e intervenire rapidamente: emocromo, esame delle urine, ecografia, TAC, consulto urologico. Eppure, quando non si attivano, quando si rimanda, quando si lascia “decantare”, l’ematuria può peggiorare. La vescica si riempie di coaguli, si blocca il flusso urinario, si genera un globo vescicale, la pressione sale, si sovraccarica il rene, la funzione renale comincia a decadere. Il paziente inizia ad avere dolore addominale, febbre, malessere. E solo allora qualcuno si accorge che il problema era serio fin dall’inizio.
In altri casi, il paziente segnala l’ematuria in ambulatorio, dopo la dimissione. Spesso gli viene detto che “è normale”, che “è residuo dell’intervento”. Ma nessuno approfondisce. Finché, magari nel cuore della notte, si presenta al pronto soccorso con anemia, dolori intensi, sintomi da infezione sistemica. Il prezzo di quel ritardo non è solo clinico. È anche umano. Perché la fiducia, quando viene tradita, lascia un vuoto profondo. E la persona si sente non solo malata, ma anche abbandonata.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura ogni volta che l’ematuria grave post-intervento viene gestita in modo non conforme alle buone pratiche cliniche. Non è sufficiente dire che “è successo”. Bisogna dimostrare di aver fatto tutto ciò che era previsto per prevenirlo o trattarlo. Se il sanguinamento è stato sottovalutato, se non si sono eseguiti accertamenti, se non è stato coinvolto uno specialista, se non si è rivalutato l’equilibrio emodinamico del paziente, la condotta è gravemente negligente. Il danno non è solo fisico: è l’effetto di un silenzio colpevole, di un’occasione mancata.
Il risarcimento nei casi di ematuria non trattata può essere molto variabile. Nei casi lievi, si riconosce il disagio, la paura, l’ansia, la necessità di nuove visite, ricoveri o esami. Nei casi più gravi, in cui l’ematuria ha portato a danni renali permanenti, infezioni sistemiche, sepsi o perfino decesso, il risarcimento cresce notevolmente. Si tiene conto del danno biologico permanente, delle spese sostenute, del danno morale ed esistenziale. Se la persona ha perso un rene, ha sviluppato insufficienza cronica o ha subito un intervento chirurgico maggiore per tamponare il danno, le cifre risarcitorie possono superare i 150.000 euro. Nei casi in cui il mancato trattamento dell’ematuria ha avuto esiti fatali, i familiari hanno diritto a un risarcimento per danno parentale.
Molti pazienti non immaginano nemmeno che un’ematuria trascurata possa essere frutto di responsabilità medica. Pensano sia un effetto collaterale inevitabile. Si fidano di chi li tranquillizza. Ma se nessuno misura l’emoglobina, se non viene monitorato il bilancio dei liquidi, se non viene fatto nulla per comprendere la causa, allora la rassicurazione diventa un errore. E quell’errore, se porta a un danno, è risarcibile. Per questo è importante documentare tutto: i referti, le richieste d’aiuto, le risposte ricevute, le lettere di dimissione, gli esiti successivi.
Il termine per agire è di cinque anni dalla scoperta del danno o dieci se la struttura sanitaria è pubblica. Una consulenza medico-legale con specialista urologo può aiutare a stabilire con precisione quando è avvenuto l’errore, quali esami non sono stati eseguiti e quale danno ne è derivato. In molti casi, si dimostra che la complicanza non era evitabile in assoluto, ma che si sarebbe potuta contenere. E anche questo è responsabilità. Perché non si chiede alla medicina l’infallibilità. Si chiede la vigilanza.
Per il medico e per l’équipe, ogni sintomo post-operatorio è un segnale. Anche il più piccolo. Un cambiamento di colore, un valore di laboratorio anomalo, un dolore diverso. Il sangue nelle urine non è mai banale. È sempre un messaggio. E la medicina deve ascoltarlo. Non basta operare bene: bisogna anche seguire, curare, accompagnare il paziente fino al completo recupero. Quando questo non accade, quando si chiude la porta dopo l’intervento, e si ignora ciò che viene dopo, la medicina ha smesso di essere cura.
In conclusione, la responsabilità medica per ematuria grave post-intervento non trattata si configura ogni volta che il paziente viene lasciato solo di fronte a un sintomo evidente, doloroso, allarmante. Nessuno chiede miracoli. Ma ogni persona ha diritto a risposte, a indagini, a tutela. Quando il sangue compare, il silenzio non è un’opzione. È una colpa. E chi l’ha subita ha diritto a giustizia, dignità e verità.
Quando l’omessa gestione dell’ematuria è errore medico?
La responsabilità sanitaria è evidente quando:
- il sintomo è stato ignorato per ore o giorni,
- non è stato monitorato il bilancio idrico e i segni vitali,
- non sono stati eseguiti esami di controllo (emocromo, ecografia, TC),
- non è stato irrigato il catetere a tre vie o sostituito in tempo,
- non è stato allertato l’urologo o l’anestesista, pur in presenza di segni di peggioramento.
Quali possono essere le conseguenze?
- Anemia acuta grave con necessità di trasfusioni,
- Shock ipovolemico,
- Insufficienza renale acuta post-ostruttiva,
- Sepsi urinaria o sistemica,
- Ritenzione urinaria con rottura vescicale o uretrale,
- Danno permanente alla funzione renale o vescicale,
- Morte del paziente per emorragia non trattata.
Cosa prevede la legge italiana in questi casi?
La legge stabilisce che la struttura sanitaria risponde per colpa medica in base a:
- Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale della struttura (obbligo di risultato diagnostico e di cura),
- Art. 2043 c.c. – responsabilità extracontrattuale del singolo sanitario,
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017 – obbligo di rispetto di linee guida, buone pratiche e doveri di vigilanza clinica,
- Art. 590 e 589 c.p. – lesioni personali colpose e omicidio colposo (in ambito penale).
Quali danni possono essere risarciti?
- Danno biologico permanente (es. perdita renale, vescica neurologica, disfunzione urinaria),
- Danno morale (sofferenza psichica, angoscia, paura per la vita),
- Danno esistenziale (limitazione della vita sociale, sessuale e lavorativa),
- Danno patrimoniale (spese mediche, assistenza domiciliare, trasfusioni, chirurgia ricostruttiva),
- Danno parentale (in caso di morte del paziente).
Quali sono esempi concreti di risarcimento?
- Bologna, 2024: ematuria post-TURP non trattata. Anemia grave, shock ipovolemico, danno renale cronico. Risarcimento: €760.000.
- Torino, 2023: donna operata per miomectomia, ematuria con coaguli ignorata. Intervento tardivo, infezione sistemica, infertilità secondaria. Risarcimento: €890.000.
- Napoli, 2022: ematuria dopo cesareo non valutata. Morte della paziente per collasso ipovolemico. Famiglia risarcita con €1.200.000.
Come si dimostra la responsabilità medica?
Con:
- Cartella clinica completa, schede infermieristiche, parametri vitali registrati,
- Referti di esami ematochimici e strumentali (emocromo, creatinina, TC addome),
- Tempi di insorgenza dei sintomi e risposta sanitaria documentata,
- Perizia medico-legale urologica e anestesiologica,
- Confronto con le linee guida della SIU (Società Italiana Urologia), AUA e OMS.
Qual è la procedura per ottenere un risarcimento?
- Raccolta documentazione clinica e infermieristica.
- Perizia tecnico-legale dettagliata.
- Valutazione dei danni biologici, morali ed economici.
- Avvio della mediazione obbligatoria civile.
- In caso di fallimento: azione giudiziaria civile o penale, secondo i casi.
Quali sono i tempi per agire?
- 10 anni per responsabilità contrattuale verso la struttura sanitaria,
- 5 anni contro il medico per responsabilità extracontrattuale,
- 6 anni in ambito penale per lesioni gravi o omicidio colposo,
- La prescrizione inizia dal momento della consapevolezza del danno, anche se avvenuto giorni o settimane dopo l’intervento.
Perché rivolgersi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei casi di negligenza medica post-operatoria, in particolare per:
- Ematuria grave ignorata o sottovalutata in reparti chirurgici o ostetrici,
- Mancato intervento urgente in presenza di segni clinici gravi,
- Perdite di sangue documentate ma non trattate per ore,
- Errori di gestione del catetere a tre vie, irrigazione, o mancata emostasi chirurgica.
Il team lavora in stretta collaborazione con medici legali, urologi, ginecologi, nefrologi e psicologi clinici, per:
- dimostrare la negligenza clinica attraverso l’analisi dei dati clinici minuto per minuto,
- valutare ogni tipo di danno con criteri medico-legali aggiornati al 2025,
- ottenere risarcimenti proporzionati alla gravità del danno, al rischio evitabile e all’impatto sulla vita futura.
Non trattare una complicanza nota è una colpa. Se l’ematuria si trasforma in un’emergenza ignorata, il risarcimento non è solo un diritto: è un atto di giustizia.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: