Il tumore alla prostata è la neoplasia più diffusa tra gli uomini in Italia. Nella maggior parte dei casi, se diagnosticato precocemente, ha un’elevata probabilità di guarigione e una prognosi favorevole. Gli strumenti per la diagnosi sono noti e ampiamente disponibili: esame del PSA, esplorazione rettale, ecografia transrettale, biopsia prostatica. Tuttavia, quando queste indagini non vengono prescritte o interpretate correttamente, il rischio di una diagnosi tardiva aumenta.
Una diagnosi mancata o ritardata può comportare la progressione del tumore a stadi avanzati, con diffusione extracapsulare o metastasi ossee, limitando drasticamente le opzioni terapeutiche disponibili. In questi casi, le conseguenze possono essere irreversibili e compromettere seriamente la qualità e l’aspettativa di vita del paziente.

L’errore diagnostico nel tumore alla prostata può derivare da negligenza, imperizia o imprudenza da parte del medico curante, del radiologo o dell’urologo, e in presenza di tali responsabilità professionali, il paziente ha diritto a un risarcimento per i danni subiti.
Nel corso di questo articolo esamineremo le cause più comuni della mancata diagnosi del tumore alla prostata, le normative di riferimento aggiornate fino al 2025, i dati statistici, gli esempi di risarcimenti riconosciuti dai tribunali e le competenze specifiche richieste per affrontare questi casi in sede legale.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi del tumore alla prostata?
Quando si parla di tumore alla prostata, spesso si pensa a una malattia silenziosa, che colpisce soprattutto gli uomini sopra i 60 anni, e che si sviluppa lentamente. Questo è in parte vero, ma è proprio questa lentezza e la relativa assenza di sintomi nelle fasi iniziali a rendere la diagnosi difficile. Anche i medici, talvolta, non riconoscono subito i segnali della malattia. Non si tratta solo di errori evidenti, ma di piccole sottovalutazioni, interpretazioni incomplete, o scelte diagnostiche parziali che, sommate tra loro, portano a un ritardo nella scoperta del cancro.
Una delle cause principali è la sottovalutazione dei sintomi iniziali da parte del medico, soprattutto se il paziente è giovane (sotto i 55 anni), o se i disturbi urinari sono lievi. Molti sintomi del tumore alla prostata sono simili a quelli dell’ipertrofia prostatica benigna (IPB), una condizione molto comune negli uomini sopra i 50 anni. Difficoltà a urinare, flusso debole, bisogno frequente di alzarsi di notte per urinare, urgenza minzionale: sono disturbi che spesso vengono attribuiti automaticamente all’IPB, senza pensare che potrebbero essere il segnale di qualcosa di più serio. In questi casi, il medico può limitarsi a prescrivere farmaci per l’IPB, senza avviare alcun percorso diagnostico oncologico.
Un altro elemento importante riguarda il test del PSA. Questo esame del sangue misura l’antigene prostatico specifico, una proteina prodotta dalla prostata che può aumentare in caso di tumore, ma anche in caso di infezione o ingrossamento benigno. Molti medici generalisti, specie se non aggiornati sulle ultime linee guida, non propongono il test PSA come esame di routine, oppure non ne conoscono a fondo le implicazioni. Altri lo richiedono ma, se il valore rientra nei limiti di laboratorio (solitamente sotto 4 ng/mL), lo interpretano come un segnale tranquillizzante, senza considerare che alcuni tumori aggressivi possono svilupparsi anche con PSA normali. La lettura isolata di un valore, senza valutarne l’andamento nel tempo o senza metterlo in relazione con l’età e la storia familiare del paziente, può portare a false rassicurazioni.
La visita rettale digitale, che dovrebbe sempre accompagnare il dosaggio del PSA, viene spesso evitata o trascurata, anche dai medici. Alcuni la considerano superata o poco utile, altri temono l’imbarazzo del paziente o non hanno abbastanza tempo durante la visita. Eppure, questa semplice manovra, che dura pochi secondi, consente di percepire eventuali noduli duri o irregolarità della ghiandola prostatica che meritano approfondimenti. Quando un medico evita questa valutazione, rinuncia a una delle armi più efficaci per individuare i segnali precoci della malattia.
Un’altra causa di mancata diagnosi è legata alla mancanza di aggiornamento clinico. Le linee guida cambiano, le tecnologie avanzano, ma non tutti i medici riescono a restare al passo con le novità. Ad esempio, negli ultimi anni si è diffusa la risonanza magnetica multiparametrica come esame altamente sensibile per lo studio della prostata. Tuttavia, molti medici non la prescrivono o non ne conoscono le indicazioni precise, limitandosi a ecografie transrettali, che spesso non sono sufficienti a identificare le lesioni più piccole o infiltranti. Anche il concetto di “sorveglianza attiva”, introdotto per gestire i tumori a basso rischio senza ricorrere subito alla chirurgia, può generare confusione: se non ben gestito, rischia di diventare una scusa per non monitorare il paziente in modo adeguato, e lasciar evolvere un tumore silenzioso.
Va ricordato che la comunicazione medico-paziente è un altro fattore chiave. Alcuni medici, nel tentativo di tranquillizzare, tendono a minimizzare sintomi e segnali, usando espressioni come “è tutto nella norma” o “niente di preoccupante”, anche quando ci sono margini di dubbio. Questo atteggiamento può spegnere l’attenzione del paziente e bloccare il suo coinvolgimento attivo nella prevenzione. Al contrario, sarebbe utile coinvolgere il paziente nel ragionamento clinico, spiegare cosa si cerca con un certo esame, e quali saranno i passi successivi in caso di risultati sospetti. La medicina moderna richiede collaborazione, trasparenza e condivisione delle scelte.
Anche l’organizzazione del sistema sanitario contribuisce. In molti contesti, i tempi per una visita urologica in ospedale sono molto lunghi, anche oltre sei mesi. Alcuni medici di famiglia, sapendo questo, evitano di fare una richiesta “che tanto non verrà rispettata nei tempi”, o suggeriscono di attendere, nella speranza che i sintomi si risolvano da soli. In altri casi, la difficoltà nell’ottenere una risonanza o una biopsia in tempi brevi scoraggia i medici dal proporla, soprattutto se il sospetto non è forte. Questo crea un circolo vizioso: se non si indaga, non si scopre nulla; se non si scopre nulla, si pensa che non ci sia motivo di preoccuparsi. Il risultato è che la diagnosi viene posticipata, a volte per anni.
Un’ulteriore difficoltà sta nel fatto che alcuni medici non raccolgono in modo accurato la storia familiare. Il rischio di tumore alla prostata aumenta in modo significativo se un parente stretto — padre, fratello, zio — ne ha sofferto. Ma se questa informazione non viene chiesta, o se il paziente stesso non la comunica spontaneamente, il medico può non riconoscere la necessità di anticipare i controlli o di abbassare le soglie di attenzione. La familiarità oncologica è una delle prime red flags che dovrebbero attivare un protocollo di sorveglianza più stretto.
Infine, ci sono situazioni cliniche in cui gli errori diagnostici derivano da una lettura sbagliata degli esami. Radiologi non specializzati in imaging prostatico possono non riconoscere segnali sospetti nelle risonanze. Le biopsie possono essere eseguite male, o in modo troppo limitato, senza raggiungere le zone più a rischio. Gli esiti istologici, se poco chiari, possono essere archiviati come “indeterminati” e non seguiti da un secondo parere. Anche in ospedali moderni, la qualità dipende sempre dalla preparazione delle persone che ci lavorano.
In conclusione, la mancata diagnosi del tumore alla prostata da parte del medico è raramente frutto di un singolo errore, ma piuttosto di una catena di fattori, piccole disattenzioni, limiti di tempo, di formazione, di comunicazione. Il tumore alla prostata è spesso lento, ma questo non deve far abbassare la guardia. Ogni occasione mancata è tempo perso. La diagnosi precoce non è una fortuna: è il risultato di un percorso consapevole, condiviso tra medico e paziente. Un percorso che richiede attenzione, aggiornamento e soprattutto il coraggio di guardare oltre le apparenze, anche quando i sintomi sembrano banali.
Per ogni medico, il dubbio deve restare vivo. Per ogni paziente, la fiducia deve tradursi in responsabilità reciproca. Solo così il tumore alla prostata può essere intercettato in tempo, prima che sia troppo tardi.
Quanto è diffusa la diagnosi tardiva del tumore alla prostata?
Secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), nel 2024 in Italia sono stati diagnosticati circa 40.500 nuovi casi di tumore prostatico. Di questi, il 6-8% viene identificato tardivamente per errori o omissioni diagnostiche, soprattutto nei pazienti giovani, dove la neoplasia è spesso sottovalutata.
Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata?
La responsabilità medica per mancata diagnosi di tumore alla prostata si configura quando il medico, il centro sanitario o la struttura di riferimento non adottano le misure diagnostiche che la scienza e la buona pratica clinica indicano come necessarie per individuare per tempo la malattia, e tale omissione ha comportato un aggravamento dello stato di salute del paziente, una riduzione della sopravvivenza o una perdita di chance terapeutica. Il tumore prostatico è, nella maggior parte dei casi, a crescita lenta e curabile se individuato precocemente. Tuttavia, può diventare rapidamente aggressivo se trascurato, con metastasi ossee e viscerali, dolore cronico e perdita irreversibile della qualità della vita.
L’errore diagnostico più frequente è il mancato dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico) in presenza di sintomi sospetti o fattori di rischio. Il medico di medicina generale, l’urologo o l’andrologo dovrebbero richiedere l’esame del PSA in soggetti che presentano disturbi urinari, come difficoltà a urinare, minzione frequente, getto debole o sensazione di svuotamento incompleto. Anche il riscontro di sangue nelle urine o nello sperma, il dolore pelvico o lombare, oppure semplicemente l’età superiore ai 50 anni dovrebbero indurre a controllare questo indicatore. Quando ciò non avviene, o si tende a minimizzare un valore lievemente alterato senza alcun approfondimento, si può creare un vuoto diagnostico che porta a ritardi anche di anni.
Non meno grave è il caso in cui il PSA risulti alterato e il medico non provveda a inviare il paziente a una valutazione specialistica. A volte il valore viene interpretato come “fisiologico per l’età” o come segno di prostatite, e si rimanda senza alcun approfondimento. In altri casi, viene prescritta una terapia antibiotica “di prova”, che può ridurre temporaneamente l’infiammazione ma che non sostituisce mai una valutazione ecografica e, se indicata, una biopsia. Se il paziente non viene informato del significato del valore elevato, o se non viene monitorato con controlli seriati, la negligenza è ancora più evidente.
L’ecografia transrettale e la visita urologica con esplorazione digitale della prostata sono strumenti fondamentali nella diagnosi. L’assenza di questi passaggi in soggetti con sintomi o PSA alterato è un comportamento omissivo che può costituire imperizia, soprattutto quando il quadro clinico lo suggerisce. L’esplorazione rettale è un esame semplice, non invasivo, eppure spesso evitato o sostituito da valutazioni sommarie. Se l’ecografia evidenzia una zona ipoecogena sospetta o un aumento di volume anomalo, la mancata indicazione alla biopsia rappresenta una grave omissione.
La biopsia prostatica è l’unico esame in grado di confermare con certezza la presenza di cellule tumorali. Quando il sospetto clinico è fondato e si omette di eseguire questo esame, o lo si ritarda senza giustificazione, si può perdere l’opportunità di diagnosticare il tumore in fase localizzata. In numerosi contenziosi medico-legali è stato dimostrato che una biopsia eseguita anche pochi mesi prima avrebbe potuto rilevare il carcinoma in una fase iniziale, quando era ancora curabile con intervento chirurgico o radioterapia.
Il ruolo del medico di base è cruciale: è lui il primo interlocutore del paziente e spesso l’unico in grado di raccogliere le prime avvisaglie della malattia. Se non valorizza i segnali iniziali o non orienta il paziente verso l’urologo, può diventare responsabile di un ritardo diagnostico significativo. Non è accettabile che un paziente con sintomi urinari persistenti venga trattato per anni con farmaci sintomatici senza mai essere sottoposto ad approfondimenti specifici.
La responsabilità si estende anche alla struttura sanitaria nel caso in cui vi sia stata una cattiva gestione delle liste d’attesa, un ritardo ingiustificato nell’erogazione degli esami diagnostici, o una cattiva comunicazione tra i reparti. Se la richiesta di biopsia o di risonanza multiparametrica rimane inevasa per mesi, e nel frattempo il tumore progredisce, la struttura può essere chiamata a rispondere per danno da disservizio. Allo stesso modo, se un esame istologico viene refertato in modo errato o sottovalutato, si configura una colpa di tipo tecnico-specialistico.
Dal punto di vista giuridico, non serve dimostrare con certezza che il tumore sarebbe stato guarito se diagnosticato prima. È sufficiente provare, anche secondo criteri probabilistici, che una diagnosi tempestiva avrebbe migliorato significativamente la prognosi. Questo concetto, noto come perdita di chance, è ampiamente accolto in giurisprudenza. I giudici riconoscono il diritto al risarcimento anche quando l’errore ha ridotto le possibilità di sopravvivenza, aumentato la gravità del trattamento necessario o causato un aggravamento evitabile. La mancata diagnosi in oncologia è una delle principali cause di responsabilità medica risarcibile.
Nei casi più gravi, in cui il tumore alla prostata viene scoperto solo in fase metastatica, con dolore osseo diffuso e condizioni generali compromesse, le famiglie si rivolgono sempre più spesso a periti e legali per valutare se esistono profili di colpa medica. Le consulenze tecniche ricostruiscono la storia clinica, analizzano gli esami effettuati o mancati, confrontano i tempi con le linee guida, e indicano con chiarezza se il comportamento del medico è stato conforme alla diligenza richiesta.
Il tumore alla prostata è diagnosticabile, controllabile e spesso guaribile se gestito con attenzione. Ma quando il medico non ascolta, non approfondisce, non prescrive gli esami, non invia allo specialista, e soprattutto quando non informa il paziente in modo chiaro e completo, la sua responsabilità non è solo tecnica: è anche umana. E la legge, oggi più che mai, lo sa.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 Codice Civile, per responsabilità del professionista;
- Art. 590 e 589 Codice Penale, per lesioni o omicidio colposo da errore medico.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Paziente con diagnosi ritardata di 2 anni, con metastasi ossee: risarcimento di 950.000 euro;
- Errore di lettura di biopsia con tumore non rilevato: risarcimento di 820.000 euro;
- Ritardo di diagnosi in soggetto con PSA alterato non monitorato: risarcimento di 700.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
Chi ritiene di essere stato vittima di una diagnosi mancata o ritardata di tumore alla prostata deve rivolgersi a avvocati competenti in malasanità oncologica, in grado di:
- Valutare il percorso diagnostico;
- Richiedere una consulenza medico-legale specialistica;
- Verificare il nesso causale tra l’errore e il danno biologico subito;
- Avviare un’azione legale per ottenere il giusto risarcimento.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano con rigore giuridico e supporto medico-legale altamente qualificato, per garantire al paziente una tutela piena e concreta.
Un tumore non diagnosticato in tempo può compromettere la vita. Ma la legge offre strumenti per ottenere giustizia. Agire con competenza è il primo passo per tutelare i propri diritti.
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