Pericardite Non Diagnosticata E Risarcimento Danni

La pericardite è un’infiammazione del pericardio, la membrana che avvolge il cuore. Può avere diverse cause: virali, batteriche, autoimmuni, post-operatorie o idiopatiche. Spesso si manifesta con dolore toracico acuto, respiro affannoso, febbre e debolezza, sintomi che possono essere confusi con un infarto o con patologie meno gravi come reflusso gastroesofageo.

La diagnosi precoce è fondamentale per impostare una terapia tempestiva ed evitare complicanze gravi, come versamento pericardico, tamponamento cardiaco o pericardite costrittiva, che possono compromettere la funzionalità cardiaca o mettere a rischio la vita del paziente.

Se il quadro clinico viene sottovalutato o mal interpretato da medici di base, cardiologi o pronto soccorso, si configura un errore diagnostico. In questi casi, il paziente ha diritto a un risarcimento danni, soprattutto quando l’omissione ha causato un peggioramento clinico o eventi cardiaci gravi.

In questo articolo analizziamo le cause più frequenti di diagnosi mancata della pericardite, le norme giuridiche aggiornate al 2025, i dati clinici, i casi reali di risarcimento riconosciuto e le strategie legali per ottenere giustizia.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi della pericardite da parte di un medico?

La pericardite è un’infiammazione del pericardio, la membrana che avvolge e protegge il cuore. È una condizione potenzialmente grave, ma nella maggior parte dei casi benigna, che se riconosciuta in tempo può essere trattata con farmaci antinfiammatori e monitoraggio clinico. Il problema, però, è proprio questo: riconoscerla in tempo. Perché la pericardite spesso non si presenta con un quadro classico, e i sintomi che produce possono essere facilmente confusi con altre condizioni molto più comuni e meno pericolose. Così, capita che anche un medico esperto possa sottovalutarla, confonderla o non considerarla affatto nel ventaglio delle diagnosi possibili. E questo può portare a ritardi, complicazioni e, in alcuni casi, a gravi conseguenze.

Una delle cause principali della mancata diagnosi è la somiglianza dei sintomi della pericardite con quelli dell’infarto miocardico o di una semplice cervicalgia. Il dolore toracico è il sintomo più comune, ma non è sempre uguale. Spesso è acuto, trafittivo, peggiora con la respirazione profonda o quando il paziente si sdraia, e migliora stando seduti o piegati in avanti. Ma non tutti i medici sono addestrati a riconoscere queste sfumature. Se il paziente è giovane e in buona salute, il dolore viene facilmente etichettato come muscolo-scheletrico. Se è anziano, si corre subito a escludere un infarto, ma se gli esami sono negativi, si può finire per non cercare oltre. E la pericardite resta lì, silenziosa, non diagnosticata.

Un altro motivo frequente è la sottovalutazione del dolore toracico nei giovani. Se un ragazzo o una ragazza si presenta in pronto soccorso con dolore al petto, il primo pensiero è: ansia. Il secondo: contrattura muscolare. Il terzo: reflusso gastrico. Pochi medici mettono la pericardite tra le ipotesi principali. Eppure, proprio nei giovani è più frequente che la pericardite abbia un’origine virale, spesso dopo un’infezione respiratoria banale. Se non si esegue un elettrocardiogramma, un emocromo, un dosaggio della PCR o un’ecocardiografia, il rischio è che venga scambiata per un fastidio passeggero.

C’è poi il problema della mancata esecuzione o errata interpretazione dell’ECG. L’elettrocardiogramma nella pericardite può mostrare alterazioni caratteristiche, come un sopraslivellamento diffuso del tratto ST o un sottoslivellamento del PR. Ma se l’ECG viene eseguito troppo presto o troppo tardi, oppure se il medico non ha la competenza per cogliere questi dettagli, il referto può essere considerato “nella norma” o “non specifico”. In alcuni casi, viene addirittura interpretato come “probabile ischemia”, quando invece si tratta di un’infiammazione pericardica. L’ECG è uno strumento prezioso, ma solo se si sa cosa cercare.

Anche la scarsa abitudine a richiedere un’ecocardiografia nei casi dubbi è un limite importante. L’ecocardiogramma è l’esame chiave per confermare la pericardite e per escludere la presenza di versamento pericardico, cioè di liquido intorno al cuore. In alcuni casi, quel liquido può aumentare fino a causare un tamponamento cardiaco, una complicanza potenzialmente letale. Ma l’ecografia cardiaca, soprattutto in pronto soccorso o negli ambulatori di base, non è sempre disponibile. E se il medico non sospetta nulla di grave, non la richiede. O, peggio, la richiede ma con tempi troppo lunghi. E quando si arriva al cardiologo, la situazione può già essere peggiorata.

Un altro errore comune è legato al contesto clinico in cui si presenta la pericardite. Se il paziente ha appena avuto un’infezione virale, come un raffreddore o una faringite, il dolore toracico viene spesso attribuito alla tosse o allo sforzo muscolare. Se ha avuto un intervento chirurgico recente, il dolore viene associato alla convalescenza. Se è un paziente oncologico, si pensa a una metastasi. In tutte queste situazioni, la pericardite viene esclusa dalla lista delle diagnosi possibili, anche quando i segni ci sono. E se non si cerca, non si trova.

Anche la sottovalutazione dei parametri infiammatori può contribuire. Quando la VES o la PCR sono elevate, ma gli altri esami sembrano normali, si tende a pensare a una semplice infezione. Ma in un paziente con dolore toracico e markers infiammatori elevati, la pericardite dovrebbe essere sempre tra le prime ipotesi. Invece, si prescrivono antibiotici generici, si raccomanda riposo, e si invita il paziente a tornare solo se il dolore peggiora. E quando torna, magari ha già sviluppato una recidiva o un versamento importante.

Un’altra causa della mancata diagnosi è la scarsa formazione specifica sulla pericardite nei corsi di medicina generale. È una condizione trattata in modo marginale nei programmi universitari e nei tirocini. Molti medici sanno che esiste, ma non l’hanno mai vista, o non sanno quali domande fare per sospettarla. Così, di fronte a un dolore toracico non tipico, si affidano al protocollo base: ECG, enzimi cardiaci, radiografia del torace. Se tutto è normale, archiviano il caso. Ma la pericardite non sempre si presenta con valori sballati: è il quadro clinico completo che deve far drizzare le antenne.

Anche i protocolli ospedalieri possono contribuire alla sottodiagnosi. In pronto soccorso, si lavora con urgenza, cercando prima di tutto le cause più gravi: infarto, embolia polmonare, dissezione aortica. Una volta escluse queste, si tende a chiudere il caso. Ma la pericardite non è meno importante solo perché non è immediatamente fatale. Se non viene riconosciuta, può cronicizzarsi, recidivare, provocare fibrosi pericardica o addirittura tamponamento.

Esiste infine una causa più sottile, ma altrettanto importante: l’atteggiamento del medico verso il sintomo. In presenza di un dolore al petto che non segue lo schema dell’infarto, molti clinici si sentono sollevati e passano oltre. Ma la medicina non è fatta solo di ciò che è urgente: è fatta anche di ciò che è nascosto, sottile, e che richiede attenzione. Se il medico si limita a escludere il peggio, senza cercare il resto, non sta facendo diagnosi: sta solo tirando un sospiro di sollievo.

La pericardite può essere curata facilmente, se viene riconosciuta. Il trattamento con FANS, colchicina e, in alcuni casi, cortisone, è efficace nella stragrande maggioranza dei pazienti. Ma la chiave è il sospetto clinico, la volontà di indagare anche quando tutto sembra tranquillo. Serve ascoltare il paziente con attenzione, porre domande mirate, sapere quando non basta un semplice ausculto o un ECG normale.

Ogni pericardite non diagnosticata è un rischio evitabile. Ogni dolore toracico liquidato troppo in fretta è una possibilità persa. Ogni paziente non creduto è un’occasione mancata. Ma ogni medico che guarda oltre il sintomo, ogni ECG letto con attenzione, ogni eco richiesta al momento giusto, può cambiare completamente la storia clinica di quella persona.

La medicina non è solo salvare vite in emergenza, ma anche prevenirne il peggioramento quando i segnali sono ancora deboli. E la pericardite, proprio perché non urla, ha bisogno di medici che sanno ascoltare in silenzio.

Quanto è pericolosa una pericardite non diagnosticata?

Una pericardite acuta, se non diagnosticata e trattata in modo tempestivo, può evolvere verso complicanze gravi:

  • Versamento pericardico massivo, con compressione del cuore;
  • Tamponamento cardiaco, che può essere fatale se non drenato d’urgenza;
  • Pericardite costrittiva, che compromette cronicamente la funzionalità cardiaca;
  • Shock cardiogeno, in casi estremi.

La mortalità da tamponamento cardiaco non trattato può superare il 70%, mentre un trattamento adeguato riduce drasticamente il rischio. Per questo, un errore diagnostico in pronto soccorso o in ambito ambulatoriale può avere conseguenze devastanti.

Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata di una pericardite?

La responsabilità medica per diagnosi mancata di una pericardite si configura quando il medico, pur trovandosi di fronte a sintomi compatibili e dati clinici suggestivi, non formula l’ipotesi diagnostica o non dispone gli esami necessari a confermare o escludere l’infiammazione del pericardio, e questa omissione comporta un danno concreto alla salute del paziente. La pericardite è una condizione che può manifestarsi in modo subdolo, ma che, se non trattata in tempo, può evolvere in forme severe come il tamponamento cardiaco o la pericardite costrittiva. Il rischio principale non è solo il dolore acuto, ma la compromissione della funzione cardiaca, spesso evitabile con un intervento tempestivo.

I sintomi più comuni sono dolore toracico acuto, trafittivo, localizzato dietro lo sterno o irradiato alla spalla sinistra, febbricola, dispnea e astenia. Spesso il dolore si attenua con la posizione seduta e peggiora in decubito, una caratteristica molto tipica che dovrebbe indurre subito il medico a sospettare una pericardite. Quando invece viene scambiato per una banale cervicalgia, una nevralgia intercostale o uno stato ansioso, e viene trattato con analgesici o miorilassanti senza ulteriori indagini, il paziente viene esposto a rischi evitabili. Il dolore toracico non va mai banalizzato, soprattutto nei giovani adulti, dove la pericardite è spesso di origine virale.

Uno degli errori più comuni è non eseguire un elettrocardiogramma. Questo esame, rapido ed economico, consente spesso di evidenziare le classiche alterazioni diffuse del tratto ST, tipiche della pericardite. Se il paziente si presenta in pronto soccorso o dal medico di base con dolore toracico, e non viene sottoposto a ECG, la colpa si configura già a livello di negligenza, soprattutto se i sintomi persistono o sono associati a febbre o segni di infezione sistemica. Quando l’ECG viene eseguito ma interpretato erroneamente, o giudicato “non preoccupante” senza correlarlo alla clinica, l’errore si sposta sul piano dell’imperizia.

Anche l’ecocardiogramma ha un ruolo centrale nella diagnosi. La presenza di versamento pericardico, l’ispessimento del pericardio, le alterazioni nella motilità cardiaca, sono tutti segni che aiutano a riconoscere la malattia. Quando il medico non lo richiede in presenza di un quadro clinico compatibile, o lo esegue in modo incompleto, la responsabilità si fonda sull’omissione di un accertamento essenziale. In molti casi, il versamento viene diagnosticato solo dopo giorni o settimane, quando il paziente ritorna in ospedale in condizioni peggiorate, con dispnea ingravescente o segni di ipotensione da tamponamento.

Il peggioramento clinico in assenza di una diagnosi corretta aggrava la responsabilità. Se il paziente continua a presentare dolore, affanno, febbre e malessere generale, e il medico insiste con terapie sintomatiche senza rivedere la diagnosi, si configura un comportamento imprudente e pericoloso. La medicina richiede rivalutazioni continue, e quando un sintomo non regredisce o peggiora, il medico ha l’obbligo di modificare l’approccio diagnostico. Continuare a trattare una pericardite come una semplice influenza o una contrattura muscolare rappresenta un errore grave.

Nei casi più severi, il mancato riconoscimento della pericardite può portare a conseguenze drammatiche. Il tamponamento cardiaco, per esempio, è un’urgenza assoluta che può condurre alla morte se non trattato immediatamente con pericardiocentesi. Se i segni clinici – ipotensione, turgore giugulare, tachicardia, polso paradosso – vengono ignorati o non ricondotti alla causa reale, il decesso può avvenire in poche ore. In questi casi, il nesso tra mancata diagnosi e danno è diretto, e la responsabilità medica si fonda su un’omissione che ha causato un evento evitabile.

La responsabilità può coinvolgere anche il medico di pronto soccorso che dimette il paziente troppo presto, senza aver escluso le cause cardiache. Quando un giovane adulto con dolore toracico viene dimesso con la diagnosi di “somatizzazione”, senza ECG né esami ematochimici, e successivamente sviluppa complicanze gravi, l’intera condotta clinica viene sottoposta a giudizio di legittimità. È ormai principio consolidato che il dolore toracico meriti sempre un’indagine completa, a prescindere dall’età del paziente.

Anche la valutazione degli esami ematici può offrire indizi preziosi. L’aumento della PCR, della VES, delle troponine in assenza di ischemia, o la presenza di leucocitosi possono suggerire una componente infiammatoria o virale. Se il medico non collega questi dati al quadro clinico, o se interpreta l’aumento delle troponine esclusivamente in chiave ischemica, senza considerare la miopericardite, commette un errore di tipo tecnico. La pericardite, infatti, può coinvolgere anche il miocardio e presentare caratteristiche ibride che richiedono massima attenzione.

La diagnosi tempestiva di pericardite cambia la prognosi. Con terapia antinfiammatoria, riposo assoluto e monitoraggio, la maggior parte dei pazienti guarisce completamente. Ma se la patologia non viene riconosciuta e progredisce indisturbata, può portare a fibrosi del pericardio, limitazione dei movimenti del cuore e, nei casi più rari, a trapianto cardiaco. Anche la cronicizzazione è una conseguenza evitabile, e quando si verifica per un ritardo nella diagnosi, il danno è concreto e risarcibile.

La giurisprudenza riconosce la responsabilità del medico quando la pericardite sarebbe potuta essere diagnosticata prima, sulla base dei dati a disposizione. Non è necessario che la condotta sia macroscopicamente sbagliata: è sufficiente che un medico diligente, nella stessa situazione, avrebbe attivato un iter diverso, richiesto un esame in più, posto un dubbio in più. Il paziente non deve dimostrare che la diagnosi precoce avrebbe garantito la guarigione, ma che avrebbe migliorato le possibilità di evitare complicanze, ricoveri, terapie più invasive o esiti gravi.

In definitiva, la mancata diagnosi di pericardite non è solo un errore tecnico: è il risultato di un atteggiamento clinico distratto, poco curioso, chiuso al dubbio. Quando il cuore infiammato chiede aiuto, lo fa in modo sottile. Ignorarlo significa negare al paziente il diritto a una diagnosi tempestiva, e con esso il diritto a essere curato prima che sia troppo tardi.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017): disciplina la responsabilità sanitaria;
  • Art. 2043 Codice Civile: prevede il risarcimento per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile: regola la responsabilità del professionista per colpa grave;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale: per lesioni o omicidio colposo da errore medico.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente deceduto per tamponamento cardiaco non diagnosticato al pronto soccorso: risarcimento agli eredi di 1.050.000 euro;
  • Pericardite confusa con ansia, dimissione senza ECG né ecocardio: risarcimento di 900.000 euro;
  • Versamento non drenato tempestivamente, con danni cardiaci permanenti: risarcimento di 860.000 euro;
  • Ritardo di 10 giorni nella diagnosi, con necessità di intervento chirurgico e invalidità residua: risarcimento di 790.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

In caso di pericardite non diagnosticata o mal gestita, il paziente (o i familiari in caso di decesso) può tutelarsi rivolgendosi a:

  • Un avvocato esperto in malasanità e cardiologia legale, capace di ricostruire la catena degli eventi clinici;
  • Un medico legale specializzato in patologie cardiovascolari, per redigere una perizia dettagliata;
  • Un’équipe in grado di dimostrare il nesso causale tra l’omissione diagnostica e il danno subito.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità lavorano in collaborazione con cardiologi forensi, medici legali e periti assicurativi per garantire una difesa tecnica e giuridica completa, sia in ambito civile che, se necessario, penale.

Conclusione

La pericardite è una patologia che, se riconosciuta in tempo, può essere curata efficacemente. Ma una diagnosi errata o tardiva può trasformarla in una condizione potenzialmente letale.

Il paziente ha il diritto di essere ascoltato, visitato correttamente e sottoposto agli esami necessari. Quando ciò non avviene per errore medico, la legge riconosce il diritto a ottenere giustizia e risarcimento.

Se sospetti che la tua pericardite non sia stata diagnosticata in tempo o gestita correttamente, agisci oggi stesso: un errore medico non deve essere un destino.

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