Sepsi Non Diagnosticata e Risarcimento Danni

La sepsi è una delle emergenze mediche più gravi e sottovalutate. Si tratta di una risposta estrema dell’organismo a un’infezione, che può evolvere rapidamente in shock settico, insufficienza multiorgano e morte. La tempestività della diagnosi è essenziale: ogni ora di ritardo nel trattamento antibiotico appropriato aumenta il rischio di mortalità fino all’8%.

Tuttavia, i sintomi della sepsi – febbre, tachicardia, confusione, ipotensione, affaticamento – possono essere confusi con influenza, gastroenterite, ansia o infezioni banali. Se medici e operatori sanitari non riconoscono il quadro clinico o non attivano i protocolli di emergenza, si verifica un errore grave, spesso fatale. In questi casi, la legge riconosce il diritto a un risarcimento per danno da responsabilità medica.

In questo articolo analizziamo le cause più frequenti della mancata diagnosi di sepsi, le norme giuridiche aggiornate al 2025, i casi reali risarciti, i dati clinici e le modalità per ottenere giustizia in sede legale.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di sepsi da parte di un medico?

La sepsi è una delle emergenze mediche più pericolose, insidiose e, purtroppo, anche sottovalutate. È una risposta estrema e disorganizzata dell’organismo a un’infezione, che può rapidamente portare a insufficienza multiorgano, shock e morte. Ogni ora senza trattamento efficace può aumentare in modo significativo la probabilità di decesso. Eppure, nonostante la sua gravità e la crescente sensibilizzazione, la sepsi viene ancora oggi mancata, ignorata o scambiata per qualcos’altro. Anche da medici esperti. Le cause sono diverse, ma tutte hanno un comune denominatore: l’apparente normalità dei primi segnali.

Una delle ragioni più comuni per cui la sepsi non viene riconosciuta è la sua presentazione clinica subdola, sfumata, non drammatica. Nella fase iniziale, i sintomi possono sembrare quelli di una comune infezione: febbre, debolezza, malessere, confusione, tachicardia, respirazione accelerata. Nessun sintomo, preso da solo, urla “sepsi”. Anzi, possono sembrare persino gestibili: un po’ di febbre, un po’ di tosse, pressione normale. Il paziente cammina, parla, magari minimizza. Ma è proprio questa fase silenziosa, in cui l’organismo ha già innescato una risposta infiammatoria sistemica, che dovrebbe far scattare l’allarme. Invece viene spesso trattata come un’influenza, una bronchite, una cistite.

Un altro errore è la mancata valutazione dei parametri vitali in modo combinato. Il medico può osservare una febbre moderata, una lieve tachicardia, una pressione ai limiti, una respirazione un po’ rapida. Tutti segni che, presi separatamente, non sembrano indicativi. Ma è la loro combinazione che racconta una storia diversa: il corpo è sotto attacco e sta cercando di compensare. Se si aspetta l’ipotensione conclamata o la febbre altissima per sospettare una sepsi, si arriva già in ritardo. Il corpo umano può mascherare la gravità del quadro per molte ore prima di collassare.

Una causa importante di mancata diagnosi è la sottovalutazione della confusione mentale o dell’alterazione dello stato di coscienza. Se un paziente, soprattutto anziano, si presenta più rallentato, sonnolento o “diverso dal solito”, molti medici pensano subito a un disturbo neurologico, a un’ipoglicemia, a un farmaco. Ma una delle prime manifestazioni della sepsi è proprio l’encefalopatia settica, legata alla sofferenza cerebrale da infiammazione e ipoperfusione. Se il paziente è disorientato, anche con parametri apparentemente normali, la sepsi deve essere considerata.

In molti casi, il medico non sospetta la sepsi perché l’infezione di partenza non è evidente. Non c’è una polmonite clamorosa, nessuna ferita purulenta, nessun brivido intenso. Alcune sepsi derivano da infezioni urinarie silenziose, da colecistiti iniziali, da infezioni cutanee poco appariscenti o da endocarditi subcliniche. Se il focus infettivo non è chiaro, il rischio è che tutto venga letto come una “sindrome generale” inspiegabile. Ma il corpo sta già gridando: solo che lo fa con segni sistemici, non con dolori localizzati.

Una delle barriere maggiori è la fiducia eccessiva negli esami di laboratorio “normali”. Nella sepsi iniziale, i globuli bianchi possono essere normali. La PCR o la procalcitonina possono non essere ancora salite. La lattatemia può risultare nel range di normalità. Se il medico si affida solo ai dati di laboratorio per confermare un sospetto, può sbagliare. La clinica viene prima. La sepsi è una diagnosi che si fa con gli occhi, con l’esperienza, con la sensibilità a riconoscere che qualcosa non torna. I dati arrivano dopo, a supporto.

Un’altra causa frequente di errore è la rigidità mentale nel valutare il rischio settico. Alcuni medici associano la sepsi solo ai pazienti gravi, alle terapie intensive, ai casi post-operatori. Se si presenta una giovane donna con febbre e brividi dopo un parto, un anziano dopo una semplice infezione urinaria, o un paziente immunodepresso con raffreddore, si tende a non pensare subito alla sepsi. Ma la sepsi non ha un volto solo: può colpire ovunque, chiunque, e in qualsiasi momento.

C’è poi l’affidamento eccessivo a un’apparente stabilità emodinamica. Il paziente arriva vigile, con una pressione decente, e il medico si rilassa. Ma la sepsi non colpisce con un crollo immediato. All’inizio il corpo compensa, attiva il sistema adrenergico, mantiene i valori nella norma. Il peggioramento arriva in modo improvviso e brutale, spesso quando ormai è troppo tardi per invertire il processo. Se si aspetta il collasso per agire, si rischia di agire troppo tardi.

Un’altra trappola è legata al linguaggio usato tra colleghi e nel triage. Se in pronto soccorso un paziente viene etichettato come “influenzato”, “febbrile da qualche giorno”, “in osservazione per sospetta virale”, tutta la gestione successiva sarà condizionata da quella prima impressione. Questo si chiama bias cognitivo di ancoraggio: una volta che si è convinti che si tratti di qualcosa di benigno, è difficile cambiare idea. E così, la diagnosi di sepsi si allontana anche quando i segni iniziano a comparire.

Anche l’organizzazione dei percorsi può ritardare il riconoscimento. La sepsi ha bisogno di un protocollo preciso, rapido, standardizzato. In molte strutture non esiste ancora un “codice sepsi” con tempi certi, antibiotici pronti, monitoraggi ripetuti. I pazienti vengono messi in attesa, i referti arrivano tardi, la terapia parte dopo ore. Ma in sepsi, ogni ora senza antibiotici aumenta la mortalità del 7-8%. Anche in contesti ben organizzati, se il medico non è formato sul riconoscimento precoce, il sistema da solo non basta.

Una causa più sottile è la banalizzazione del peggioramento progressivo. Il paziente peggiora, ma lo fa lentamente. Diventa più debole, più confuso, più tachicardico, ma senza un evento improvviso. Questo andamento a piccole tappe induce a sottovalutare il quadro. Ma è proprio la progressione graduale il volto più subdolo della sepsi. Un paziente che ieri camminava e oggi è apatico, che ieri mangiava e oggi rifiuta cibo, che ieri era vigile e oggi è rallentato, è un paziente da guardare con attenzione. Anche se non c’è febbre. Anche se la pressione è ancora accettabile.

Infine, c’è la paura di sbagliare per eccesso. Alcuni medici esitano a iniziare una terapia antibiotica importante se la diagnosi non è certa. Temono di “sparare grosso”, di sbagliare. Ma con la sepsi è meglio sbagliare in eccesso che per difetto. Se si sospetta una sepsi, si inizia il trattamento. Sempre. Poi si conferma o si corregge. Il rischio di un antibiotico dato in più è molto più basso del rischio di non darlo in tempo.

La sepsi non aspetta. Non rallenta. Non concede seconde possibilità. È una corsa contro il tempo in cui il medico deve saper vedere oltre i numeri, oltre l’apparenza. Deve riconoscere il paziente che “non gli piace”, che “non lo convince”, che “ha qualcosa di stonato”. La sepsi parla sottovoce, e solo chi ascolta bene può salvarla. Non servono superpoteri, ma attenzione, umiltà, e la capacità di non sottovalutare mai l’evidenza.

Ogni sepsi non riconosciuta in tempo è una vita che si spegne lentamente, senza clamore. Ogni minuto sprecato è un danno in più. Ogni medico che si fida solo dei protocolli, senza ascoltare il paziente, rischia di perdersi l’unico momento utile per intervenire. Ma ogni volta che il sospetto guida la decisione, ogni antibiotico dato per tempo, ogni liquido somministrato con lucidità, può fare la differenza tra la vita e la morte. La sepsi si combatte con la velocità. Ma si vince con la consapevolezza.

Quanto è pericolosa una sepsi non diagnosticata?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la sepsi causa ogni anno nel mondo circa 11 milioni di morti, di cui oltre 30.000 in Italia. È una delle principali cause di morte evitabile in ospedale.

Le complicanze più frequenti includono:

  • Shock settico e collasso cardiovascolare;
  • Danno renale, epatico e polmonare irreversibile;
  • Amputazioni per necrosi ischemica degli arti;
  • Disabilità permanente, anche nei sopravvissuti (cognitiva, motoria, immunitaria);
  • Morte, soprattutto nei pazienti immunodepressi, anziani o fragili.

Una diagnosi corretta e tempestiva, con somministrazione immediata di antibiotici a largo spettro, può salvare la vita.

Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata di sepsi?

La responsabilità medica per diagnosi mancata di sepsi si configura quando il medico non riconosce tempestivamente i segni clinici di un’infezione sistemica in fase acuta, non attiva il protocollo diagnostico-terapeutico previsto dalle linee guida e non somministra, nei tempi raccomandati, antibiotici ad ampio spettro e terapie di supporto. La sepsi è una sindrome potenzialmente letale che evolve con rapidità, spesso a partire da un’infezione anche banale, come una ferita infetta, una polmonite, una cistite o una gastroenterite. Il tempo è l’unico alleato, e ogni ritardo diagnostico, anche di poche ore, può segnare il confine tra la guarigione e il decesso.

Il medico che non sospetta una sepsi davanti a una febbre alta associata a tachicardia, tachipnea, ipotensione, stato confusionale o alterazioni di laboratorio – come lattati elevati, leucocitosi o leucopenia, PCR e procalcitonina alterate – sta commettendo un errore clinico grave. I segni della sepsi non sono silenziosi: sono spesso sotto gli occhi di chi visita, ma vengono banalizzati o letti come sintomi generici di un’infezione non grave. Invece, quando un’infezione smette di essere localizzata e comincia a danneggiare organi e sistemi, la diagnosi diventa un obbligo clinico, non una possibilità da valutare con calma.

Uno degli errori più gravi è l’attesa passiva. Aspettare che la febbre scenda da sola, attendere i risultati degli esami colturali prima di iniziare la terapia, rimandare il ricovero in reparto monitorato o il trasferimento in terapia intensiva. La sepsi non aspetta. Le linee guida internazionali, a partire dal protocollo “Surviving Sepsis Campaign”, raccomandano l’avvio del trattamento antibiotico e della fluidoterapia entro la prima ora dalla diagnosi sospetta. Superato questo intervallo, il rischio di morte aumenta sensibilmente minuto dopo minuto.

Il medico che si trova davanti a un paziente ipoteso, febbrile, confuso, con respiro accelerato e parametri vitali alterati, ha il dovere di escludere immediatamente una sepsi. Non è ammissibile che venga dimesso o trattenuto per ore senza terapia in attesa degli esiti degli esami. Anche in assenza di un’infezione identificata, la diagnosi di sepsi si basa su criteri clinici e non richiede necessariamente la conferma microbiologica per avviare il trattamento. Non intervenire perché “non si è ancora sicuri” è una scelta clinica che può costare la vita.

Spesso la diagnosi mancata deriva da una sottovalutazione del quadro generale, soprattutto nei pazienti anziani, fragili o immunodepressi. In questi soggetti, la febbre può essere assente, i sintomi atipici, lo stato confusionale scambiato per demenza o decadimento. Ma proprio in questi casi la soglia d’allarme deve essere più bassa. Una variazione della pressione arteriosa, un peggioramento dell’orientamento, un improvviso peggioramento delle condizioni generali devono essere letti come segnali potenzialmente settici. Se il medico non ascolta il corpo del paziente che sta lanciando un SOS, la responsabilità non è più clinica: è legale.

Anche le strutture sanitarie possono contribuire alla diagnosi mancata. Se il triage assegna un codice errato, se i tempi di attesa sono eccessivi, se manca un monitoraggio continuo o se il personale non è addestrato a riconoscere la sepsi precoce, il danno è sistemico. I pazienti possono rimanere ore su una barella con febbre, brividi, pressione in calo, senza che nessuno attivi il protocollo. Se a quel punto le condizioni precipitano e il paziente finisce in rianimazione, o muore, non si tratta di una complicanza inevitabile, ma di una catena di omissioni evitabili.

Il medico di base, la guardia medica, lo specialista ambulatoriale, tutti possono essere coinvolti nella responsabilità se, davanti a un’infezione che peggiora rapidamente, non indirizzano il paziente al pronto soccorso o non lo inviano con indicazione chiara di sospetta sepsi. In molti casi, le persone riferiscono di essere state visitate più volte, curate con antibiotici orali inefficaci, senza mai essere indirizzate a un setting ospedaliero adeguato. La diagnosi mancata non nasce sempre dall’ignoranza, ma spesso dalla sottovalutazione. Quando si ignora l’urgenza, il tempo lavora contro il paziente.

Dal punto di vista legale, la responsabilità si accerta analizzando la tempestività della diagnosi, l’adeguatezza della terapia e l’aderenza ai protocolli raccomandati. Non è necessario dimostrare che il paziente sarebbe guarito con certezza. È sufficiente provare che un intervento più rapido avrebbe aumentato significativamente le probabilità di sopravvivenza o limitato i danni d’organo. Il principio della “perdita di chance” è pienamente applicabile, anche quando la sepsi si è sviluppata da un’infezione non prevenibile.

Le consulenze tecniche mettono in luce le ore perse, i parametri trascurati, gli esami non richiesti, la terapia avviata tardi, le mancate rivalutazioni. Spesso emerge che la diagnosi era possibile fin dalle prime ore, e che i segnali c’erano, ma nessuno li ha letti con attenzione. La responsabilità può essere individuale, ma spesso è collettiva. Se un infermiere non segnala la pressione in calo, se un medico non rivaluta, se il laboratorio ritarda gli esiti critici e nessuno interviene, la sepsi non è sfuggita al controllo: è stata lasciata avanzare.

Quali sono le normative di riferimento?

  • Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che regola la responsabilità sanitaria in ambito civile e penale;
  • Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
  • Art. 2236 Codice Civile, sulla responsabilità professionale per colpa grave in attività complesse;
  • Art. 590 e 589 Codice Penale, per lesioni personali colpose e omicidio colposo da errore medico.

Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?

  • Paziente dimesso con diagnosi di influenza, deceduto 24 ore dopo per shock settico: risarcimento agli eredi di 1.300.000 euro;
  • Sepsi da infezione urinaria non riconosciuta, con amputazione di entrambi gli arti inferiori: risarcimento di 1.200.000 euro;
  • Ritardo di 6 ore nella somministrazione dell’antibiotico in paziente con febbre e tachicardia: risarcimento di 980.000 euro;
  • Sepsi post-operatoria non riconosciuta, con danni cerebrali permanenti: risarcimento di 1.100.000 euro.

A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?

In caso di sepsi non diagnosticata, il paziente o i familiari della vittima devono:

  • Affidarsi a un avvocato specializzato in malasanità, con esperienza nei casi infettivologici e di urgenza ospedaliera;
  • Far analizzare tutta la documentazione clinica da un medico legale specializzato;
  • Verificare la presenza del nesso causale tra l’errore medico e il danno subito;
  • Avviare un’azione civile (o penale, nei casi più gravi) per ottenere il risarcimento completo del danno.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità operano con un team multidisciplinare di medici legali, infettivologi e rianimatori forensi, per garantire un’assistenza precisa, puntuale e concreta.

Conclusione

La sepsi è una malattia tempo-dipendente: il fattore tempo può fare la differenza tra la vita e la morte. Quando un errore medico impedisce una diagnosi tempestiva, il danno può essere devastante.

La legge tutela il paziente e i suoi familiari, riconoscendo il diritto alla verità, alla giustizia e al risarcimento. Se sospetti che un caso di sepsi non sia stato gestito correttamente, agisci subito: è un tuo diritto ottenere giustizia per l’errore subito.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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