L’occlusione intestinale è un’emergenza medica e chirurgica caratterizzata dal blocco parziale o totale del transito intestinale. Le cause possono essere molteplici: aderenze post-operatorie, ernie strozzate, volvolo, tumori, fecalomi, invaginazioni o ischemie. Se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può portare a necrosi intestinale, perforazione, peritonite, shock settico e decesso.

Il paziente che si presenta con vomito, dolore addominale progressivo, distensione addominale, stipsi e assenza di gas va sottoposto rapidamente a esami obiettivi, analisi del sangue ed esami radiologici (RX addome, TAC). In presenza di un comportamento medico inadeguato – mancato riconoscimento dei sintomi, ritardo negli esami, dimissione impropria – si configura responsabilità professionale.
In questi casi, il paziente o i suoi familiari possono richiedere un risarcimento per danni biologici, morali ed economici.
Andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più comuni della mancata diagnosi di occlusione intestinale?
L’occlusione intestinale è una condizione clinica potenzialmente grave caratterizzata da un’interruzione, parziale o completa, del transito del contenuto intestinale lungo il tratto digerente. Può colpire l’intestino tenue o il colon e derivare da cause meccaniche (come aderenze, ernie, neoplasie, volvoli) o funzionali (ileo paralitico). Nonostante sia un’entità ben conosciuta, l’occlusione intestinale continua a essere oggetto di diagnosi tardive o erronee, specialmente nelle sue forme iniziali, subocclusive o atipiche. Le conseguenze del ritardo sono significative: ischemia intestinale, perforazione, sepsi, aumentata mortalità. Una diagnosi precoce e accurata è quindi essenziale, ma non sempre facile.
Una delle ragioni principali della mancata diagnosi è la grande variabilità della presentazione clinica, che dipende da molteplici fattori: sede dell’occlusione, causa sottostante, velocità di instaurazione, età e stato generale del paziente. Nei quadri classici, l’occlusione si presenta con dolore addominale crampiforme, distensione, vomito e arresto del transito intestinale (gas e feci). Tuttavia, non tutti i pazienti sviluppano il quadro completo, specialmente nelle prime ore. Il dolore può essere lieve o atipico, il vomito assente, la distensione contenuta. Nei pazienti anziani, diabetici o con patologie neurologiche, la sintomatologia può essere sfumata o mascherata da un quadro di confusione mentale, astenia o disidratazione.
Una difficoltà diagnostica frequente è la confusione con disturbi funzionali gastrointestinali, come la stipsi cronica, la sindrome dell’intestino irritabile o la dispepsia. In pazienti con pregressi problemi di motilità intestinale, un rallentamento del transito o un aumento della distensione può essere inizialmente interpretato come riacutizzazione di una condizione benigna. Questo avviene soprattutto se non si rileva febbre, se la peristalsi è ancora presente, o se il paziente riferisce feci recenti, anche se in piccole quantità. La presenza di evacuazioni parziali non esclude un’occlusione a monte: il falso senso di sicurezza è una delle trappole più pericolose.
Un altro motivo di ritardo diagnostico è l’attribuzione del dolore addominale a cause non chirurgiche, come coliche biliari, pancreatiti, infezioni urinarie o gastriti. In particolare, nelle occlusioni del colon o nel volvolo, il dolore può essere localizzato in quadranti non tipici e associarsi a sintomi vaghi. Se il paziente ha comorbidità cardiache, il dolore addominale può addirittura essere interpretato come riflesso di ischemia miocardica, soprattutto in età avanzata. Inoltre, in contesti di pronto soccorso ad alto flusso, la valutazione rapida può impedire un esame obiettivo completo e una valutazione accurata dei sintomi nel tempo.
L’assenza di un’anamnesi chirurgica positiva è un altro fattore che può allontanare il sospetto di occlusione. Tuttavia, non tutte le occlusioni sono post-operatorie. Volvoli, neoplasie, ernie strozzate, stenosi infiammatorie (come nel Crohn) possono verificarsi in soggetti mai operati. Se il medico considera l’assenza di chirurgia pregressa come criterio di esclusione, può sottostimare i segnali clinici presenti. Allo stesso modo, se il paziente ha una storia di stipsi cronica o disturbi digestivi, il peggioramento viene spesso visto come una ricorrenza, non come un possibile segnale d’allarme.
Dal punto di vista dell’esame obiettivo, la peristalsi può ingannare. L’iperperistalsi metallica è un segno tipico delle prime fasi occlusive, ma non sempre è presente o facilmente rilevabile. Nei quadri avanzati, la peristalsi si riduce fino a scomparire, ma ciò può avvenire anche in forme non occlusive, come l’ileo paralitico post-chirurgico o da infezione sistemica. L’auscultazione addominale non è affidabile se considerata isolatamente. Deve essere sempre integrata con ispezione, palpazione e percussione, oltre che correlata alla storia clinica.
Sul piano laboratoristico, gli esami del sangue sono spesso aspecifici. Leucocitosi, aumento della PCR o disidratazione emoconcentrata sono comuni ma non specifici. Il lattato sierico è un marcatore importante per l’ischemia intestinale, ma spesso viene dosato tardivamente. Nei pazienti con dolore severo ma esami ematici normali, il rischio è che si ritenga il quadro non chirurgico e si ritardi la diagnostica per immagini. Ma l’intestino può essere ischemico anche in assenza di markers ematici alterati. Il dolore sproporzionato rispetto ai segni obiettivi deve sempre indurre a sospettare una complicanza.
L’imaging è cruciale, ma spesso viene sottoutilizzato o interpretato in modo incompleto. La radiografia addominale, sebbene utile per orientare, ha una sensibilità bassa e può essere negativa nelle fasi precoci. L’ecografia addominale è operatore-dipendente e spesso compromessa da meteorismo. La tomografia computerizzata con contrasto è l’esame di riferimento, in grado di identificare con elevata precisione il livello e la causa dell’occlusione, la presenza di strangolamento, ischemia o perforazione. Tuttavia, non sempre viene richiesta in tempi adeguati, soprattutto nei pazienti stabilizzati, giovani o con presentazione sfumata. La decisione di rimandare una TC può derivare da timore di sovradiagnosi, dal desiderio di evitare esposizione a radiazioni o da sovraccarico dei servizi diagnostici. Ma ogni ora di ritardo nella diagnosi peggiora significativamente l’outcome chirurgico.
In alcuni casi, l’errore diagnostico è legato al mancato riconoscimento di segni indiretti: livelli idroaerei atipici, distensione del cieco, spostamento anomalo delle anse, ispessimento delle pareti intestinali o piccole raccolte peritoneali. Se non si dispone di una valutazione radiologica esperta, questi segni possono non essere riconosciuti o riportati in modo ambiguo. Il medico può allora concludere che non vi siano elementi di urgenza, affidandosi a una lettura troppo prudente del referto.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla presenza di terapie farmacologiche concomitanti che alterano la motilità intestinale, come oppiacei, anticolinergici o neurolettici. In questi pazienti, un ileo farmacologico può sovrapporsi a un’occlusione meccanica vera e propria. Se il medico non distingue tra cause funzionali e organiche, può optare per un approccio conservativo, ritardando l’intervento chirurgico anche in presenza di segni d’allarme. Il fallimento della canalizzazione dopo 24-48 ore di trattamento medico deve sempre far rivalutare il quadro clinico con imaging e consulenza chirurgica.
Infine, la frammentazione dell’assistenza e la mancata rivalutazione dinamica contribuiscono in modo significativo al ritardo diagnostico. Un paziente può essere valutato da più professionisti in tempi diversi, senza una piena condivisione del quadro clinico evolutivo. Se non viene effettuata una rivalutazione sistematica dei sintomi, delle immagini e dei dati ematici, si rischia di non cogliere il peggioramento clinico che caratterizza l’evoluzione naturale di un’occlusione non trattata. Ogni visita medica isolata ha un valore limitato; è la traiettoria dei sintomi nel tempo che deve guidare la decisione.
In conclusione, la mancata diagnosi di occlusione intestinale è raramente frutto di un singolo errore, ma piuttosto l’effetto cumulativo di sottovalutazioni cliniche, interpretazioni errate o incomplete degli esami, ritardi nelle indagini strumentali e mancanza di rivalutazione attiva. Solo un approccio integrato, multidisciplinare e vigile può permettere di identificare l’occlusione anche nelle sue forme meno eclatanti. Il dolore addominale persistente, l’arresto del transito, la distensione e il vomito sono sintomi che richiedono attenzione, anche se non si presentano tutti insieme. Ogni paziente con addome acuto merita una valutazione rigorosa, e ogni ipotesi va testata senza preconcetti. In medicina d’urgenza, la diagnosi precoce non dipende solo dagli strumenti, ma dalla capacità del medico di osservare, ascoltare e — soprattutto — dubitare di ciò che sembra troppo semplice per essere vero.
Quanto è pericolosa un’occlusione intestinale non diagnosticata?
Un’occlusione intestinale trascurata può evolvere in poche ore in:
- Ischemia intestinale e necrosi del tratto occluso;
- Perforazione del viscere, con peritonite generalizzata;
- Shock settico e insufficienza multiorgano;
- Necessità di resezione intestinale ampia, con possibili stomie permanenti;
- Morte, soprattutto nei soggetti fragili o anziani.
La mortalità aumenta in modo esponenziale dopo le 24-48 ore dal primo sintomo se l’occlusione non viene trattata.
Quando si configura la responsabilità medica per diagnosi mancata?
La responsabilità medica per diagnosi mancata di occlusione intestinale si configura quando il medico non riconosce tempestivamente i segni clinici di un’ostruzione a carico dell’intestino, non richiede gli esami diagnostici opportuni o non coinvolge il chirurgo in modo tempestivo, determinando un ritardo nella gestione terapeutica e un aggravamento del quadro clinico con possibile evoluzione verso ischemia, necrosi intestinale, perforazione o sepsi. L’occlusione intestinale rappresenta una delle principali urgenze addominali, la cui prognosi dipende in larga misura dalla rapidità del riconoscimento e del trattamento. Il tempo è un fattore determinante e ogni ritardo può trasformare un’occlusione potenzialmente reversibile in una complicanza letale.
La sintomatologia classica comprende dolore addominale crampiforme, nausea, vomito, distensione addominale e arresto del transito intestinale. Tuttavia, la presentazione può essere atipica nei pazienti anziani, allettati, oncologici o immunodepressi, nei quali il quadro può essere inizialmente sfumato e il dolore sottostimato. In questi casi, la mancata attenzione all’arresto della peristalsi e alla progressiva distensione addominale rappresenta un errore clinico di rilievo. Il sospetto diagnostico dovrebbe emergere già dall’anamnesi, specialmente in soggetti con pregressi interventi chirurgici addominali (in cui è frequente l’occlusione da aderenze), ernie, tumori addominali noti o patologie infiammatorie croniche intestinali.
L’approccio diagnostico prevede innanzitutto una valutazione clinica attenta, seguita da esami di laboratorio e indagini per immagini. I segni obiettivi includono il classico “addome a tamburo”, l’assenza di rumori idroaerei o la loro presenza in forma metallica, dolore diffuso o localizzato e meteorismo marcato. La radiografia addome in ortostatismo può mostrare livelli idroaerei multipli o distensione di anse. La tomografia computerizzata con mezzo di contrasto rappresenta lo standard diagnostico più efficace, in grado di identificare il livello di occlusione, l’eventuale causa (aderenze, neoplasie, invaginazioni, volvoli), lo stato della parete intestinale e segni di sofferenza ischemica.
Il medico che, in presenza di dolore addominale persistente, vomito biliare o fecaloide, e arresto della canalizzazione, non richiede una radiografia o una TAC urgente, agisce in violazione dei protocolli clinici e delle linee guida in materia di addome acuto. Spesso, nei casi di diagnosi mancata, i pazienti vengono inizialmente trattati per “colite”, “gastroenterite” o “stitichezza” e dimessi con terapia sintomatica, solo per poi ritornare in ospedale in condizioni gravemente peggiorate.
Uno degli errori più comuni è la sottovalutazione del dolore associata alla somministrazione precoce di antidolorifici senza una diagnosi strutturata. I farmaci antispastici o oppioidi, somministrati senza aver completato il percorso diagnostico, possono mascherare i sintomi e ritardare l’identificazione dell’occlusione. In questi casi, la responsabilità si fonda non solo sull’omissione diagnostica, ma anche sull’alterazione iatrogena del quadro clinico. È fondamentale che il trattamento sintomatico non preceda, ma segua l’accertamento delle cause del dolore addominale.
Anche il monitoraggio inadeguato nei pazienti ricoverati rappresenta un elemento critico. Se il paziente in degenza chirurgica o medica sviluppa sintomi compatibili con un’occlusione, e questi non vengono registrati o comunicati al medico di guardia, si configura una colpa organizzativa oltre che clinica. Il diario infermieristico e la documentazione medica devono riportare in modo chiaro la comparsa di sintomi come la cessazione dell’alvo, il vomito ricorrente, la distensione addominale e le variazioni dei parametri vitali. La tempestiva segnalazione e rivalutazione clinica è parte integrante della buona pratica assistenziale.
La responsabilità medica si estende anche al ritardo nell’attivazione della consulenza chirurgica. In presenza di sospetta occlusione intestinale, il coinvolgimento dello specialista deve essere tempestivo. Ritardare la valutazione chirurgica in attesa di un miglioramento spontaneo, oppure attendere i risultati completi degli esami senza avviare una preparazione preoperatoria, può determinare la progressione del quadro clinico verso ischemia o necrosi intestinale. Nei casi più gravi, si arriva all’intervento solo dopo la comparsa di peritonite generalizzata o shock settico. Il danno non deriva dalla patologia in sé, ma dal tempo perso nella sua gestione.
Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura quando viene accertato che la diagnosi avrebbe potuto essere posta prima, e che l’intervento anticipato avrebbe evitato complicanze, ridotto la durata della degenza, evitato un secondo intervento o migliorato significativamente la prognosi. Non è necessario dimostrare che il paziente si sarebbe salvato con certezza: è sufficiente provare che il ritardo ha ridotto le possibilità di recupero, aumentando il rischio di danni d’organo, sepsi o esiti invalidanti.
Le consulenze tecniche medico-legali analizzano la sequenza temporale degli eventi, la qualità delle valutazioni eseguite, la tempestività delle decisioni e l’aderenza alle linee guida in materia di addome acuto. La documentazione clinica riveste un ruolo cruciale: se i sintomi sono riferiti dal paziente ma non annotati, se i parametri sono alterati ma non seguiti da rivalutazioni, se non vi è traccia di richiesta di esami strumentali, il comportamento sanitario appare gravemente carente. In ambito giuridico, ciò che non è documentato si presume non eseguito.
Anche la struttura sanitaria può essere chiamata in causa nei casi in cui l’iter diagnostico sia stato rallentato da carenze organizzative: mancanza di accesso rapido alla diagnostica per immagini, ritardi nelle consulenze, assenza di protocolli interni di gestione dell’addome acuto, errori nella trasmissione delle informazioni tra reparti. Se il paziente ha fatto accesso in ospedale nei tempi corretti, ma nessuno ha attivato un percorso diagnostico e terapeutico coerente, la responsabilità non è solo del singolo professionista, ma dell’intero sistema.
L’occlusione intestinale è una condizione potenzialmente reversibile se diagnosticata precocemente e trattata con decisione. Quando la diagnosi viene mancata per sottovalutazione, omissione di esami, scarsa attenzione ai sintomi o ritardo nella chirurgia, il danno che ne deriva non può essere attribuito alla sola gravità della malattia. In medicina d’urgenza, il tempo è una risorsa che va difesa con competenza e metodo. Se viene sprecata, il rischio si trasforma in responsabilità.
Quali sono le normative di riferimento?
- Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017), che disciplina la responsabilità sanitaria;
- Art. 2043 Codice Civile, per danno ingiusto da fatto illecito;
- Art. 2236 Codice Civile, per colpa del professionista in attività complesse;
- Art. 1218 Codice Civile, sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria;
- Art. 590 e 589 Codice Penale, per lesioni e omicidio colposo da errore medico.
Quali sono gli esempi di risarcimento riconosciuto?
- Paziente con aderenze post-operatorie non riconosciute e dimesso, deceduto per peritonite: risarcimento agli eredi di 1.350.000 euro;
- Ritardo di 36 ore nell’effettuare la TAC e nell’intervento chirurgico, sopravvissuto con resezione intestinale estesa e ileostomia definitiva: risarcimento di 1.100.000 euro;
- Occlusione da volvolo non identificata in PS, con decesso per shock settico: risarcimento di 1.200.000 euro;
- Paziente oncologico trattato per stipsi, ricoverato d’urgenza 3 giorni dopo in addome acuto: risarcimento di 980.000 euro.
A chi rivolgersi per ottenere un risarcimento?
In caso di occlusione intestinale non diagnosticata o trattata in ritardo, è fondamentale:
- Affidarsi a un avvocato esperto in malasanità chirurgica e urgenze gastroenterologiche;
- Far esaminare la documentazione clinica da un medico legale specializzato, in collaborazione con un chirurgo forense;
- Dimostrare il nesso causale tra la condotta medica e il danno subito;
- Avviare un’azione civile (e, nei casi più gravi, anche penale) per ottenere il giusto risarcimento.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità collaborano con chirurghi legali, gastroenterologi e medici legali per offrire una difesa completa, tecnica e orientata al risultato.
Conclusione
L’occlusione intestinale è un’urgenza chirurgica che non tollera ritardi. Ogni ora persa può aggravare il quadro clinico fino a rendere irreversibile il danno. Quando un errore medico impedisce una diagnosi tempestiva, il paziente ha diritto alla verità e al risarcimento.
Se tu o un tuo familiare siete stati vittime di una diagnosi mancata o tardiva, agite: la giustizia è uno strumento concreto per tutelare la salute e la dignità.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: