Ogni intervento chirurgico comporta rischi. Tuttavia, alcuni di questi rischi possono e devono essere evitati, se il personale sanitario adotta tutte le misure preventive previste dalla medicina moderna. Tra questi, le infezioni della ferita chirurgica rappresentano una delle complicanze più frequenti ma anche più facilmente prevenibili.

Le linee guida nazionali e internazionali, aggiornate al 2025, stabiliscono con estrema precisione in quali casi sia obbligatorio somministrare profilassi antibiotica pre-operatoria, quali principi attivi usare, in quali dosaggi e con quale tempistica. La mancata somministrazione, il dosaggio errato o la somministrazione fuori tempo sono errori gravi, che possono portare a complicanze infettive evitabili.
Un’infezione post-operatoria può causare:
- Riapertura della ferita chirurgica
- Ascessi profondi
- Necrosi dei tessuti
- Reintervento chirurgico
- Sepsi e rischio di decesso
Secondo il Ministero della Salute, nel 2024 si sono verificati oltre 32.000 casi di infezione chirurgica post-operatoria in Italia. Di questi, almeno il 40% è stato attribuito a mancata o inadeguata profilassi antibiotica. E ancora più grave è il dato che il 70% delle infezioni evitabili ha portato a un prolungamento del ricovero superiore a 7 giorni, con spese sanitarie e danni fisici e psicologici rilevanti per il paziente.
La legge italiana non lascia dubbi: se il medico non ha somministrato la profilassi obbligatoria e si verifica un’infezione, esiste una responsabilità civile e sanitaria risarcibile.
In questo articolo analizzeremo quando l’infezione è considerata colpa medica, quali sono le linee guida di riferimento, cosa dice la legge italiana aggiornata, quali danni si possono risarcire, come raccogliere le prove e come un avvocato competente può far valere i diritti del paziente.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nell’infezione della ferita chirurgica per mancata profilassi?
L’infezione della ferita chirurgica, nota in ambito clinico come infezione del sito chirurgico, rappresenta una delle complicanze post-operatorie più frequenti e temute. Nonostante i progressi straordinari della medicina moderna, ogni intervento chirurgico comporta un rischio intrinseco di contaminazione, che può trasformarsi in infezione se non vengono adottate le corrette misure preventive. La profilassi antibiotica, l’antisepsi del campo operatorio, l’utilizzo di strumenti sterili, la gestione del paziente prima e dopo l’intervento, sono tutti elementi fondamentali per ridurre il rischio di infezione. Quando queste precauzioni non vengono rispettate, o vengono sottovalutate, il rischio di infezione aumenta sensibilmente. In particolare, la mancata somministrazione della profilassi antibiotica preoperatoria è una delle cause principali di infezione evitabile. Comprendere perché si verificano questi errori e quali sono le conseguenze cliniche e legali è essenziale per tutelare la sicurezza del paziente.
Una delle prime cause di errore è la sottovalutazione del rischio infettivo dell’intervento. Ogni procedura chirurgica può essere classificata come pulita, pulita-contaminata, contaminata o sporca, a seconda del tipo di tessuto coinvolto e della possibilità che si verifichi una contaminazione batterica intraoperatoria. In teoria, la profilassi antibiotica è indicata solo per alcuni tipi di interventi. Ma in pratica, ogni paziente ha una storia clinica unica e può presentare fattori di rischio aggiuntivi. Un errore comune è considerare un intervento “pulito” a basso rischio quando invece il paziente presenta obesità, diabete, immunodepressione, malnutrizione, colonizzazione batterica o altre condizioni predisponenti. In questi casi, la mancata somministrazione di antibiotici preventivi, o la loro somministrazione tardiva o non adeguata, può aprire la porta a infezioni post-operatorie anche gravi.
Una seconda causa di infezione è legata alla tempistica errata della somministrazione dell’antibiotico, che deve avvenire entro un intervallo preciso prima dell’incisione cutanea, di solito 30-60 minuti. Se il farmaco viene somministrato troppo presto, la concentrazione plasmatica e tissutale può essere già in calo al momento dell’incisione. Se invece viene somministrato troppo tardi, cioè a intervento già iniziato, l’effetto protettivo è compromesso. Questa tempistica, sebbene teoricamente ben nota, è spesso disattesa per disorganizzazione, distrazione, ritardo nel trasporto del paziente in sala, o mancata comunicazione tra anestesista e chirurgo.
Un altro errore grave è la scelta errata dell’antibiotico, che deve essere selezionato in base al tipo di intervento e ai batteri potenzialmente presenti in quell’area corporea. Un antibiotico attivo contro batteri gram positivi sarà poco utile in una chirurgia addominale a rischio di contaminazione fecale da batteri anaerobi. Viceversa, nelle protesizzazioni ortopediche, è fondamentale usare antibiotici attivi contro lo stafilococco aureo e lo stafilococco epidermidis. Utilizzare molecole inefficaci, o antibiotici a spettro troppo ristretto o troppo ampio, non solo non protegge il paziente, ma può contribuire a selezionare ceppi resistenti, rendendo più difficile trattare un’eventuale infezione post-operatoria.
Spesso, la causa dell’infezione non è solo nell’errore tecnico, ma nell’assenza di protocolli condivisi e aggiornati. In molte strutture sanitarie manca una linea guida interna dettagliata sulla profilassi chirurgica. Ogni équipe adotta criteri propri, non sempre coerenti, e la responsabilità della scelta antibiotica viene scaricata su anestesisti, chirurghi, farmacisti, senza una visione d’insieme. Questo approccio disorganico si traduce in scelte casuali, somministrazioni tardive, o peggio ancora, omissioni totali, soprattutto negli interventi considerati minori o ambulatoriali.
Un errore che porta a infezioni, anche in presenza di antibiotico, è la violazione delle procedure di asepsi durante l’intervento. La profilassi antibiotica non è una garanzia assoluta. Se il campo operatorio viene contaminato, se il materiale chirurgico non è sterile, se i guanti si rompono o se l’ambiente non è perfettamente controllato, l’ingresso di germi patogeni può comunque portare a infezione. In questi casi, la mancata profilassi antibiotica amplifica il rischio, rendendo più probabile una rapida proliferazione batterica in una ferita vulnerabile.
La gestione post-operatoria è un altro nodo critico. Anche se l’intervento è andato bene, l’infezione può insorgere nei giorni successivi, soprattutto se la ferita viene esposta prematuramente, non viene protetta adeguatamente, se il paziente non riceve istruzioni chiare o se presenta fattori di rischio ignorati. Pazienti che sudano molto, che hanno una scarsa igiene personale, che fumano, o che assumono farmaci immunosoppressivi, necessitano di controlli più ravvicinati e misure di prevenzione più incisive. La mancata educazione del paziente e dei familiari sulle norme igieniche post-operatorie è una delle cause indirette di infezione.
Quando si verifica un’infezione della ferita chirurgica per mancata profilassi, le conseguenze cliniche possono essere molto gravi. Si va dalla semplice eritema locale con modesto essudato, fino ad ascessi profondi, deiscenze della ferita, cellulite infettiva, fascite necrotizzante e sepsi. In alcuni casi, l’infezione coinvolge protesi impiantate, come quelle ortopediche o cardiache, rendendo necessario il loro espianto e il trattamento con lunghi cicli di antibiotici. Il paziente può subire ritardi nella guarigione, necessitare di nuovo ricovero, interventi di revisione, drenaggi, cicli di antibiotici per via endovenosa, con gravi ripercussioni fisiche, psicologiche e finanziarie.
Dal punto di vista medico-legale, la mancata profilassi antibiotica configurabile come errore di negligenza, imprudenza o imperizia, è tra le principali cause di richieste di risarcimento in chirurgia generale, ginecologica, ortopedica e plastica. Quando un’infezione post-operatoria causa danni permanenti e si può dimostrare che la profilassi non è stata eseguita secondo linee guida consolidate, il paziente ha il diritto di ottenere un risarcimento. In alcuni casi, anche il semplice allungamento della degenza o la comparsa di cicatrici deturpanti possono costituire un danno risarcibile. Il rischio, per l’équipe chirurgica, è non solo economico, ma reputazionale e disciplinare.
Le statistiche internazionali mostrano che l’incidenza delle infezioni chirurgiche può variare dal 2% al 20%, a seconda del tipo di intervento e delle condizioni del paziente. La profilassi antibiotica, se correttamente eseguita, riduce del 50-80% l’incidenza delle infezioni in chirurgia pulita-contaminata o contaminata. Ciò significa che molti dei casi che si verificano ogni anno potrebbero essere evitati con una gestione più rigorosa della profilassi. Eppure, nonostante l’evidenza scientifica, gli errori continuano a verificarsi, spesso per superficialità, sottovalutazione del rischio o mancanza di responsabilità condivisa tra i membri dell’équipe.
In definitiva, le infezioni della ferita chirurgica per mancata profilassi derivano da una combinazione di errori decisionali, tecnici, organizzativi e comunicativi. Ogni fase del percorso chirurgico è importante: la preparazione del paziente, la valutazione del rischio, la scelta e somministrazione dell’antibiotico, il rispetto delle norme igieniche, il controllo post-operatorio e l’educazione del paziente. Nessun dettaglio può essere trascurato, perché anche un intervento tecnicamente perfetto può trasformarsi in un incubo clinico se la ferita si infetta.
Affidarsi a strutture sanitarie dotate di protocolli aggiornati, équipe esperte, personale formato e sistemi di controllo è la migliore garanzia per prevenire le infezioni. E soprattutto, il paziente ha il diritto di essere informato, coinvolto e protetto. La profilassi antibiotica non è solo un atto medico, è un dovere etico verso ogni persona che si affida alla chirurgia per migliorare la propria vita.
Quando si configura la responsabilità medica per infezione della ferita chirurgica per mancata profilassi?
La responsabilità medica per un’infezione della ferita chirurgica dovuta a mancata profilassi si configura quando l’assenza o l’inadeguatezza delle misure preventive prima, durante o dopo l’intervento favorisce lo sviluppo di un’infezione evitabile che compromette il decorso post-operatorio, prolunga la degenza, richiede cure antibiotiche, interventi aggiuntivi o comporta danni permanenti per il paziente. Le infezioni del sito chirurgico sono tra le complicanze più frequenti negli ospedali. Costituiscono una percentuale significativa delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) e rappresentano una delle prime cause di contenzioso medico-legale. Eppure, nella maggior parte dei casi, si tratta di eventi prevedibili e prevenibili.
La ferita chirurgica, come qualunque accesso al corpo, rappresenta un varco che rompe l’integrità della barriera cutanea e apre un canale per l’ingresso di batteri. Per questo motivo, ogni intervento – anche il più semplice – deve essere preceduto da un’attenta valutazione del rischio infettivo e da una corretta profilassi antibiotica. Le linee guida internazionali stabiliscono con precisione in quali casi la profilassi è obbligatoria, quali molecole utilizzare, quando somministrarle e per quanto tempo. La profilassi non va confusa con la terapia: non serve a curare un’infezione in atto, ma a impedirne la comparsa. Se viene omessa, ridotta, ritardata o eseguita con antibiotici non adatti, la responsabilità è pienamente configurabile.
Il paziente ha diritto a una protezione adeguata contro un rischio noto, documentato, evitabile. Quando questa protezione viene negata per disattenzione, negligenza o superficialità, l’evento infettivo non è più una semplice complicanza: è un danno ingiusto, causato da una condotta colposa. La scelta dell’antibiotico, della dose, del tempo di somministrazione e dell’eventuale prosecuzione post-operatoria dipendono da vari fattori: tipo di intervento, durata della chirurgia, stato immunitario del paziente, condizioni della cute, presenza di protesi, eventuali patologie croniche. Ogni variabile deve essere valutata dal chirurgo e dall’anestesista in sede preoperatoria. Se questa fase di valutazione manca, o se la decisione viene presa senza criteri oggettivi, ogni infezione successiva diventa responsabilità diretta.
Non è raro che una ferita chirurgica infetta venga inizialmente sottovalutata. Il paziente lamenta dolore anomalo, arrossamento, secrezione sierosa o purulenta, febbre. Se questi segnali non vengono presi sul serio, se non si procede con esami colturali, se si ritarda l’avvio di una terapia mirata o la riapertura della ferita per drenaggio, il rischio è che l’infezione si estenda ai tessuti profondi, raggiunga il sangue o coinvolga organi e strutture vitali. Nei casi più gravi si può arrivare a sepsi, necrosi, fistole, reintervento chirurgico, danni funzionali o decesso.
L’infezione non è sempre colpa del medico, ma quando le misure preventive raccomandate non sono state applicate, la colpa diventa chiara, misurabile e risarcibile. La responsabilità può ricadere anche sulla struttura sanitaria se, ad esempio, la sala operatoria non era in condizioni adeguate, se gli strumenti non erano sterilizzati correttamente, se il personale non ha rispettato i protocolli di asepsi, se le medicazioni post-operatorie sono state gestite con disattenzione o se il paziente non è stato istruito correttamente sulla cura della ferita a domicilio. Ogni anello della catena di assistenza, se debole, può trasformare una ferita in guarigione in una porta aperta sull’infezione.
I casi clinici non mancano: pazienti dimessi con la ferita ancora sanguinante o non suturata correttamente, che tornano in ospedale dopo pochi giorni con febbre alta e pus; ferite chiuse in presenza di raccolte sierose che avrebbero richiesto drenaggio; antibiotici prescritti in modo generico, senza copertura adeguata contro i germi più probabili; infezioni da stafilococchi meticillino-resistenti sviluppatesi in ambienti ospedalieri con scarsa igiene. In tutti questi scenari, il ruolo della profilassi è determinante. E l’assenza di un razionale clinico documentato per la sua mancata attuazione è, di per sé, indice di responsabilità.
Accertare la colpa richiede una perizia medico-legale attenta, che esamini la cartella clinica, le prescrizioni pre e post-operatorie, le annotazioni infermieristiche, i risultati degli esami microbiologici, la documentazione fotografica della ferita, e il diario clinico. Se dalla documentazione emerge che non è stata somministrata alcuna profilassi, o che è stata interrotta troppo presto, o ancora che non è stata adattata al quadro clinico del paziente, la responsabilità si consolida. E se l’infezione ha provocato un danno estetico, funzionale o psicologico, il paziente ha pieno diritto a ottenere il risarcimento.
La natura del danno può variare. Ci sono ferite che si infettano e poi guariscono con pochi giorni di antibiotico, senza esiti. Ma altre lasciano cicatrici deturpanti, fistole, aderenze, retrazioni cutanee, perdita di sostanza, disabilità motoria. In chirurgia estetica, ortopedica, ginecologica o addominale, le infezioni possono compromettere non solo il risultato dell’intervento, ma anche la qualità della vita del paziente, la sua autonomia, la sua vita relazionale o lavorativa. Nei casi più gravi, quando l’infezione si estende o porta alla rimozione di protesi, a lunghi ricoveri o alla necessità di reintervento, il danno diventa permanente.
Il risarcimento per un’infezione evitabile può comprendere il danno biologico, il danno morale, il danno estetico, il danno esistenziale e tutte le spese mediche e sanitarie sostenute. A ciò si aggiungono, in alcuni casi, la perdita di reddito, la necessità di assistenza, le ripercussioni sul piano familiare e sociale. Il valore del risarcimento cresce con la gravità del danno e con l’età del paziente. Ma soprattutto cresce in relazione alla chiarezza con cui si può dimostrare che l’infezione era prevedibile e che non è stato fatto tutto il possibile per evitarla.
Il termine per agire in giudizio è di cinque anni dalla scoperta del danno, oppure dieci se si agisce per responsabilità contrattuale contro una struttura sanitaria pubblica o privata. È fondamentale, fin dai primi sintomi, segnalare tutto al medico curante, documentare l’evoluzione della ferita, conservare le prescrizioni ricevute, farsi rilasciare referti scritti e, se necessario, richiedere una consulenza medico-legale per valutare il nesso tra infezione e mancata profilassi.
Dal punto di vista medico, la lezione è chiara: la profilassi non è un optional. È un obbligo di diligenza. Ogni infezione che si sarebbe potuta evitare con un’adeguata copertura antibiotica è un’occasione mancata per proteggere il paziente. E ogni danno derivato da quell’infezione pesa sul professionista e sulla struttura, perché non si può parlare di “sfortuna” quando le linee guida erano note, accessibili, applicabili.
In conclusione, la responsabilità medica per infezione della ferita chirurgica dovuta a mancata profilassi si configura ogni volta che il paziente viene esposto a un rischio prevedibile senza ricevere le misure di prevenzione adeguate. Il corpo operato è un corpo vulnerabile. Proteggerlo non è solo buona pratica: è un dovere giuridico, deontologico e umano.
Quando la mancata profilassi è considerata un errore medico?
La mancata somministrazione è un errore quando:
- Il tipo di intervento richiedeva profilassi
- Il paziente era ad alto rischio infettivo (obesità, diabete, immunodeficienza)
- È stato usato un antibiotico non indicato
- La somministrazione è avvenuta fuori tempo
- Non è stato effettuato screening pre-operatorio per batteri resistenti (es. MRSA)
Quali sono i sintomi di un’infezione post-operatoria?
- Febbre persistente dopo l’intervento
- Arrossamento, calore e dolore nella zona della ferita
- Fuoriuscita di pus o liquidi maleodoranti
- Riapertura spontanea della ferita
- Stato di malessere generale, tachicardia, ipotensione
Quali sono le conseguenze di un’infezione chirurgica?
- Ritardo di guarigione e cicatrici deturpanti
- Necrosi tissutale o perdita di lembi cutanei
- Necessità di reintervento o innesti
- Fistole o aderenze
- Infezione generalizzata → sepsi, coma, morte
È sempre responsabilità dell’ospedale?
La legge considera responsabili sia il medico chirurgo che la struttura sanitaria, se:
- Non sono state adottate le misure preventive obbligatorie
- Non è stato seguito il protocollo antibiotico
- Non è stata eseguita un’adeguata sorveglianza della ferita
Cosa dice la legge in questi casi?
La responsabilità medica è regolata da:
- Art. 1218 Codice Civile – responsabilità contrattuale (prestazione sanitaria)
- Art. 2043 Codice Civile – illecito civile
- Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che obbliga l’uso delle linee guida
Il paziente ha diritto al risarcimento se prova che l’infezione poteva essere evitata.
Il consenso informato può giustificare l’errore?
No. Il consenso:
- Non copre l’errore tecnico
- Non può sostituire l’adozione delle misure di profilassi previste
- Non vale se il paziente non è stato informato sui rischi di infezione evitabile
Quali danni si possono risarcire?
- Danno biologico permanente (cicatrici, limitazioni funzionali)
- Danno estetico (esiti chirurgici peggiorativi)
- Danno morale e psichico (sofferenza, stress, traumi)
- Danno patrimoniale (spese mediche, lavoro perso, fisioterapia)
- Danno esistenziale (limitazioni alla vita quotidiana e sociale)
Quanto può essere il risarcimento?
Esempi reali:
- Milano, 2023 – necrosi cutanea da mancata profilassi → €78.000
- Roma, 2024 – infezione dopo taglio cesareo non protetto → €65.000
- Napoli, 2023 – osteomielite dopo protesi al ginocchio → €92.000
- Torino, 2024 – sepsi con shock settico in anziano → €110.000
Come si dimostra che c’è stata negligenza?
- Cartella clinica, con scheda anestesiologica e terapia antibiotica
- Diario infermieristico
- Esami ematochimici e colture
- Referti operatori e lettere di dimissione
- Perizia medico-legale e valutazione specialistica (infettivologo, chirurgo)
Quando si può fare causa?
- Entro 10 anni per responsabilità contrattuale
- Entro 5 anni per illecito civile
- Il termine decorre dal momento in cui si scopre la causa dell’infezione
Cosa fare subito se hai un’infezione post-operatoria?
- Non aspettare: vai in pronto soccorso o consulta un medico indipendente
- Conserva referti, lettere, fotografie della ferita
- Chiedi una copia integrale della cartella clinica
- Fatti seguire da un perito medico-legale
- Rivolgiti a un avvocato esperto in risarcimenti da malasanità chirurgica
Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?
Perché un’infezione chirurgica evitabile è un errore, non una sfortuna. Le conseguenze possono essere devastanti: cicatrici permanenti, dolori cronici, invalidità, ricoveri prolungati, depressione, rabbia. E quando a causarle è stata una mancata o sbagliata profilassi, la legge prevede il pieno risarcimento.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità:
- Collaborano con medici legali, infettivologi e chirurghi esperti
- Analizzano in modo scientifico la documentazione clinica
- Redigono perizie difendibili in giudizio
- Valutano e quantificano tutti i danni: estetici, fisici, psicologici, economici
- Ottengono risarcimenti completi, anche fuori dal tribunale
Non accettare di convivere con un’infezione che poteva essere evitata.
Non lasciare che il tempo cancelli la verità.
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