Rottura Accidentale di un Organo Adiacente e Risarcimento Danni

Introduzione: quando un errore durante l’intervento danneggia un altro organo

Nel corso di un’operazione chirurgica, anche la più semplice, possono verificarsi complicanze. Tuttavia, ci sono errori che non dovrebbero accadere, soprattutto quando derivano da una manovra tecnica errata, da scarsa attenzione o da imperizia del chirurgo. Uno degli eventi più gravi è rappresentato dalla rottura accidentale di un organo adiacente, cioè il danneggiamento involontario di un organo che non doveva essere oggetto dell’intervento.

La casistica è ampia. Durante una colecistectomia (rimozione della cistifellea) può essere leso l’intestino tenue o il dotto biliare. In una isterectomia può essere perforata la vescica. In un’appendicectomia urgente può essere lacerato il colon. In un intervento per ernia inguinale può essere compromesso un nervo.

Questi errori, sebbene possano essere qualificati come “complicanze chirurgiche”, non sono giustificabili quando avvengono per negligenza, distrazione, uso scorretto degli strumenti chirurgici, mancato rispetto delle linee guida o gestione inappropriata del decorso post-operatorio.

Secondo i dati AGENAS 2024, in Italia si sono registrati oltre 1.100 casi di rottura accidentale di organi adiacenti durante interventi di routine, spesso con conseguenze gravi: emorragie interne, sepsi, danni neurologici, reinterventi, invalidità. Di questi, oltre 700 hanno dato origine a procedimenti legali, e il 61% delle cause si è concluso con un risarcimento a favore del paziente.

La legge prevede espressamente il diritto al risarcimento del danno per errore chirurgico evitabile. In questo articolo approfondiamo cosa accade quando viene lesionato un organo durante un intervento, quali sono le responsabilità, cosa dice la normativa aggiornata al 2025, come raccogliere le prove e in che modo gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità possono aiutare concretamente a ottenere giustizia.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze nella rottura accidentale di un organo adiacente durante un intervento chirurgico?

Durante ogni intervento chirurgico, indipendentemente dal distretto anatomico interessato, esiste un rischio potenziale di coinvolgimento involontario degli organi circostanti. In alcuni casi, nonostante la preparazione meticolosa dell’équipe, le competenze del chirurgo e le moderne tecnologie disponibili, si verificano eventi avversi gravi. Tra questi, uno dei più temuti è la rottura accidentale di un organo adiacente alla sede operativa. Si tratta di un evento che può avere conseguenze cliniche devastanti, anche quando inizialmente sottovalutato, e che nella maggior parte dei casi si sarebbe potuto prevenire con una gestione più accurata del campo operatorio e delle manovre chirurgiche. Comprendere quali sono le cause più frequenti di questo tipo di errore è essenziale per migliorare la sicurezza chirurgica e limitare il danno ai pazienti.

Una delle cause principali della rottura di un organo adiacente è la scarsa visibilità durante la procedura, una condizione che può derivare da molteplici fattori. Tra questi, l’emorragia intraoperatoria, l’edema dei tessuti, la presenza di aderenze post-operatorie o la conformazione anatomica atipica. Quando il campo operatorio è offuscato dal sangue o da tessuti infiammati, diventa difficile riconoscere i limiti reali delle strutture da trattare. Il rischio che uno strumento penetri accidentalmente in un organo vicino aumenta sensibilmente. In particolare, nella chirurgia addominale, la parete dell’intestino tenue o del colon, la vescica, la milza, il fegato o il duodeno possono trovarsi più vicini alla zona d’intervento del previsto. Un gesto di trazione, una dissezione condotta troppo in profondità, o l’utilizzo improprio di strumenti a energia termica possono causare una lacerazione o una perforazione che, se non immediatamente riconosciuta, darà luogo a infezioni, peritonite o fistole.

Un altro fattore critico è la presenza di aderenze post-chirurgiche o conseguenti a infiammazioni croniche, che alterano i normali rapporti anatomici tra gli organi. Nei pazienti già operati o che hanno subito infezioni addominali, la vescica può trovarsi aderente alla parete intestinale, o l’utero a stretto contatto con il sigma. Queste aderenze possono essere tenaci, difficili da sezionare e capaci di confondere anche il chirurgo più esperto. In questi casi, la dissezione degli organi può causare facilmente la rottura di una parete viscerale, con fuoriuscita di contenuto biologico e rischio di contaminazione del campo sterile. Anche la chirurgia laparoscopica, seppur meno invasiva, è esposta a questi rischi: l’insufflazione di gas per creare spazio visivo può distorcere le strutture e farle apparire più distanti di quanto non siano in realtà.

Una delle situazioni più pericolose si verifica quando l’intervento è complicato da una lesione preesistente, che può non essere stata riconosciuta prima dell’intervento. Un esempio classico è rappresentato dalle colecistiti acute gangrenose o dagli ascessi periappendicolari, in cui le strutture infiammate perdono la loro coerenza e si sfaldano facilmente sotto la manipolazione. La pressione esercitata da una pinza, la suzione troppo vigorosa o la semplice esposizione dell’organo possono determinare una lacerazione spontanea di un viscere già sofferente. Anche le lesioni da ischemia cronica, come quelle intestinali o renali, aumentano la fragilità del parenchima e rendono più probabile la rottura durante l’intervento.

Un errore tecnico molto grave, ma non infrequente, è l’uso eccessivo o maldestro di strumenti elettrochirurgici, come bisturi elettrici, laser, pinze bipolari o dispositivi ad ultrasuoni. Questi strumenti generano calore per sezionare e coagulare i tessuti. Se utilizzati in prossimità di organi cavi, o se mal calibrati, possono causare ustioni profonde e non visibili nell’immediato, che evolvono nelle ore successive in perforazioni vere e proprie. Il paziente si presenta con dolore crescente, febbre, distensione addominale, leucocitosi, e la diagnosi richiede una nuova esplorazione chirurgica. L’aspetto più critico è che, nella fase iniziale, la rottura può non essere riconosciuta e i sintomi possono comparire solo quando il danno è ormai evoluto in infezione o peritonite diffusa.

Una causa spesso sottovalutata è la distrazione o il calo di attenzione dell’équipe chirurgica durante le fasi finali dell’intervento. Dopo ore di operazione, quando si percepisce di essere “quasi alla fine”, la soglia di vigilanza si abbassa, i movimenti diventano più rapidi, i controlli meno accurati. È proprio in questi momenti che può verificarsi la perforazione accidentale di un organo adiacente, magari con uno strumento maneggiato con meno precisione, o nel tentativo di rimuovere una garza, un drenaggio o un tampone posizionato in profondità. Anche la semplice pressione esercitata nel chiudere il campo può causare lo sfaldamento di un viscere indebolito. Si tratta di un fenomeno ben noto in ambito chirurgico, ma ancora oggi responsabile di una quota rilevante di complicanze gravi.

Un’altra evenienza drammatica riguarda la lesione di organi vascolarizzati, come la milza o il fegato, durante interventi che non li coinvolgono direttamente. La milza, in particolare, è estremamente fragile e può essere lacerata anche da una semplice trazione eccessiva del colon sinistro o dello stomaco. La rottura splenica intraoperatoria è un evento potenzialmente letale, perché determina un’emorragia massiva e richiede spesso la splenectomia d’urgenza. In chirurgia ginecologica o bariatrica, è documentata anche la lesione accidentale del rene o della vescica, in particolare quando l’anatomia è alterata da fibrosi o obesità grave.

Molti casi di rottura di organi adiacenti avvengono durante il posizionamento degli accessi chirurgici, in particolare nella chirurgia laparoscopica. L’introduzione cieca del trocar, dell’ago di Veress o di altri strumenti percutanei può perforare accidentalmente l’intestino, lo stomaco, i grossi vasi, la vescica o l’utero. Questi incidenti sono più frequenti nei pazienti obesi, nei pazienti già operati, o in quelli con addome difficile da esplorare. La lesione può non essere evidente finché il paziente non presenta sintomi post-operatori gravi, come peritonite, emorragia o shock.

Dal punto di vista clinico, la rottura accidentale di un organo adiacente può avere conseguenze molto diverse a seconda della tempestività con cui viene riconosciuta. Se il danno è rilevato durante l’intervento, è spesso possibile effettuare una sutura, una resezione o un trattamento conservativo che limita le conseguenze. Ma se il danno non viene visto, o se viene sottovalutato, la contaminazione della cavità addominale può causare peritonite, ascessi multipli, fistole intestinali, sepsi, insufficienza multiorgano e morte. La gestione del paziente diventa complessa, richiede terapie intensive, nutrizione parenterale, drenaggi percutanei o reinterventi chirurgici. Le conseguenze sul piano fisico ed emotivo sono spesso devastanti, con ripercussioni anche durature sulla qualità della vita.

Dal punto di vista medico-legale, la rottura di un organo adiacente durante un intervento chirurgico è spesso al centro di contenziosi per responsabilità professionale. I pazienti, o i loro familiari, contestano la presenza di un danno non previsto e spesso irreversibile. La questione centrale è stabilire se la lesione era evitabile o se, invece, è stata una complicanza imprevedibile in un contesto clinico complesso. Nei casi in cui il danno non è stato riconosciuto intraoperatoriamente e ha portato a gravi conseguenze per effetto del ritardo diagnostico, la responsabilità dell’équipe chirurgica è frequentemente riconosciuta dai giudici. In particolare, se si dimostra che non sono stati rispettati i protocolli di controllo, che non sono state effettuate le ispezioni di sicurezza finali, o che non si è intervenuti tempestivamente alla comparsa dei sintomi post-operatori.

Le statistiche indicano che la rottura accidentale di organi adiacenti si verifica in circa l’1-3% degli interventi maggiori, con una variabilità molto ampia a seconda della tipologia di chirurgia, del contesto operatorio e della complessità del caso. Tuttavia, il peso di queste complicanze sul piano prognostico, economico e psicologico è elevatissimo. I costi sanitari aumentano in modo esponenziale per la necessità di terapie prolungate, reinterventi e ricoveri ripetuti. Il paziente subisce un trauma profondo, spesso non soltanto fisico ma anche relazionale e professionale.

In conclusione, gli errori e le complicanze legati alla rottura accidentale di organi adiacenti durante un intervento derivano da una combinazione di fattori: visibilità scarsa, condizioni anatomiche alterate, strumenti utilizzati in modo improprio, scarsa comunicazione tra operatori, stanchezza intraoperatoria, mancanza di controlli accurati e sottovalutazione dei segnali clinici post-operatori. Nessuna procedura chirurgica può considerarsi a rischio zero, ma ogni passaggio può essere eseguito con maggiore attenzione, prudenza e rispetto dei protocolli di sicurezza. È dovere dell’équipe chirurgica fare tutto il possibile per ridurre al minimo questi rischi, riconoscerli quando si presentano, affrontarli con tempestività e informare sempre il paziente in modo completo e onesto.

Affidarsi a professionisti esperti, a strutture organizzate, e a percorsi chirurgici certificati resta oggi la miglior garanzia per affrontare un intervento in sicurezza. Perché dietro ogni atto chirurgico c’è una vita da proteggere. E ogni vita merita il massimo dell’attenzione, fino all’ultima sutura.

Quando si configura la responsabilità medica per la rottura accidentale di un organo adiacente?

La responsabilità medica per la rottura accidentale di un organo adiacente si configura ogni volta che, durante un intervento chirurgico, viene leso un organo diverso da quello oggetto dell’operazione, in modo evitabile, con conseguenze dannose per il paziente e in assenza di circostanze eccezionali che rendano l’evento imprevedibile e inevitabile. Gli organi interni, per loro natura, sono vicini, complessi, mobili, e durante un intervento – soprattutto in chirurgia addominale, ginecologica, urologica o toracica – può accadere che la manovra su un’area coinvolga, per errore, un’altra. Ma il fatto che si tratti di una possibilità teorica non la rende automaticamente un evento privo di responsabilità. Esiste infatti una differenza precisa, dal punto di vista medico-legale, tra complicanza accettabile e errore tecnico. E la rottura di un organo adiacente, se evitabile con attenzione, esperienza e prudenza, ricade in quest’ultima categoria.

Nel corso di un intervento per colecistectomia, ad esempio, può essere lesionato il dotto biliare comune. Durante un’isterectomia, può essere danneggiata la vescica o l’uretere. In una resezione intestinale, può verificarsi una perforazione di una porzione non interessata dalla patologia. In un’appendicectomia urgente, può essere lesionata l’arteria epigastrica. Ogni caso ha una sua specificità, ma ciò che conta è la condotta del chirurgo: era esperto? Ha seguito le linee guida? Ha rispettato i tempi operatori? Ha prestato attenzione all’anatomia individuale del paziente? Ha riconosciuto subito la lesione o ha cercato di nasconderla?

La chirurgia è un atto invasivo, ma non può mai essere approssimativo. L’anatomia umana può presentare varianti, è vero. Alcuni pazienti hanno aderenze, cicatrici, anomalie vascolari. Ma proprio per questo, l’équipe chirurgica è tenuta a utilizzare tutte le tecniche e le cautele possibili per mappare e riconoscere le strutture prima di agire. L’impiego di apparecchiature di imaging intraoperatorio, la scelta di conversione dalla laparoscopia alla chirurgia aperta quando la visibilità è scarsa, la collaborazione con specialisti in casi complessi sono tutti strumenti che riducono il rischio. Quando non vengono utilizzati, la responsabilità non è legata al caso, ma a una scelta sbagliata.

La rottura di un organo adiacente può passare inosservata in sala operatoria, ma si manifesta in modo drammatico nelle ore o nei giorni successivi. Il paziente può presentare dolore intenso, febbre, addome acuto, sanguinamento, sepsi. Talvolta la diagnosi richiede esami di secondo livello: TAC con mezzo di contrasto, ecografie di controllo, esami endoscopici. In alcuni casi, è necessario riaprire chirurgicamente per scoprire la causa del peggioramento clinico. Quando si scopre che il problema è una perforazione, una lacerazione, una sezione incompleta o una bruciatura da elettrobisturi su un organo vicino a quello trattato, l’interrogativo è inevitabile: si poteva evitare?

Il paziente ha il diritto di ricevere spiegazioni chiare, dettagliate, tempestive. Troppo spesso, in questi casi, si assiste a un silenzio opaco, a risposte evasive, a scaricabarile tra i membri dell’équipe. Ma la legge, come la deontologia, richiedono trasparenza. Quando un danno si verifica, è obbligo del chirurgo comunicarlo, annotarlo nella cartella clinica, spiegare quali provvedimenti sono stati adottati per contenerne gli effetti. Omettere queste informazioni, tentare di nascondere l’evento o giustificarlo genericamente come “complicanza intraoperatoria” senza dettagli precisi può aggravare la posizione di chi ha agito.

Il danno da rottura accidentale di un organo adiacente può essere temporaneo, se corretto subito e senza sequele, ma può anche essere devastante. In alcuni casi si rende necessaria l’asportazione dell’organo lesionato: una resezione intestinale, una nefrectomia, una stomia definitiva, la ricostruzione plastica di una parete viscerale. Nei casi vascolari, si possono verificare ischemie con perdita di funzione dell’arto, emorragie gravi, necessità di trasfusioni. Non vanno trascurati neppure i danni estetici, le cicatrici, le aderenze, i dolori cronici, la compromissione della vita sessuale o della fertilità. Per il paziente, quel secondo danno chirurgico diventa spesso più invalidante della patologia per cui si era sottoposto all’intervento.

La responsabilità del chirurgo – e della struttura sanitaria – viene valutata da un consulente tecnico nominato dal giudice. Questo esperto analizza tutta la documentazione clinica: il consenso informato, il diario operatorio, la descrizione del gesto tecnico, i controlli post-operatori, le immagini diagnostiche, gli esiti degli eventuali reinterventi. Il punto centrale è stabilire se la lesione poteva essere evitata. Se la risposta è sì, la colpa è evidente. Se la risposta è no, occorre provare che ogni possibile precauzione è stata adottata. Quando mancano elementi oggettivi a sostegno di questa tesi, il principio del “più probabile che non” porta alla condanna.

Il consenso informato assume un ruolo importante ma non assolutorio. È vero che ogni intervento comporta rischi, e il paziente firma spesso moduli che menzionano genericamente “lesioni accidentali di organi contigui”. Tuttavia, questo non libera il medico dalla responsabilità se l’evento era concretamente evitabile. Il consenso non è una liberatoria. È un diritto del paziente, non uno scudo per il medico. Se le spiegazioni sono state frettolose, se il modulo era generico, se il paziente non ha avuto modo di comprendere veramente i rischi, il consenso è viziato. E un consenso viziato non protegge il professionista.

Il risarcimento del danno può essere molto rilevante. Esso comprende il danno biologico, calcolato in base all’invalidità temporanea e permanente, il danno morale per la sofferenza patita, il danno esistenziale per la compromissione della qualità della vita, il danno estetico se residuano cicatrici o deformità, il danno patrimoniale se il paziente ha perso capacità lavorativa o ha dovuto affrontare spese mediche. Nei casi più gravi, con perdita di un organo o disabilità permanente, il risarcimento può superare diverse centinaia di migliaia di euro.

Il termine per agire è di cinque anni dalla scoperta del danno, oppure dieci anni se si tratta di responsabilità contrattuale nei confronti di una struttura sanitaria. È fondamentale rivolgersi tempestivamente a un avvocato esperto in responsabilità medica, conservare tutta la documentazione clinica, ottenere una consulenza medico-legale e, se necessario, acquisire testimonianze o relazioni di specialisti. Più tempestiva è l’azione, maggiore è la possibilità di ottenere giustizia.

Dal punto di vista del chirurgo, la consapevolezza del rischio non deve mai trasformarsi in superficialità. Ogni strumento taglia, ogni gesto incide, ogni errore si imprime nel corpo del paziente. Non esistono organi “vicini” in senso irrilevante: esistono organi da proteggere, sempre. E ogni lesione evitabile è una violazione del dovere più sacro della medicina: non nuocere.

In conclusione, la responsabilità medica per la rottura accidentale di un organo adiacente si configura ogni volta che l’evento deriva da una manovra imprudente, affrettata, non necessaria, o mal gestita. La chirurgia richiede precisione, preparazione e umiltà. Ogni deviazione da questi principi, quando provoca un danno, non può essere archiviata come fatalità. Deve trovare risposta nelle aule della giustizia, perché il corpo del paziente non è un campo di prova, ma uno spazio sacro da trattare con massimo rispetto.

Quali sono le cause più frequenti di questi errori?

  • Imperizia del chirurgo o dell’équipe
  • Mancanza di esperienza specifica su quel tipo di intervento
  • Assenza di supporto radiologico o ecografico
  • Condizioni anatomiche difficili non valutate correttamente
  • Interventi d’urgenza eseguiti con strumentazione inadeguata
  • Disattenzione o cambi frequenti di équipe durante la procedura

È sempre colpa del medico?

No, ma quando la lesione è evitabile, la legge parla chiaro: il chirurgo risponde a titolo di colpa grave o colpa lieve, a seconda dei casi. Non si può giustificare una lesione d’organo con la generica “complicanza” se:

  • L’errore è contrario alle linee guida
  • Il medico non ha informato correttamente il paziente
  • La complicanza è stata gestita in ritardo o sottovalutata
  • La diagnosi del danno è arrivata troppo tardi, aggravando il quadro

Cosa prevede la legge in questi casi?

La responsabilità è regolata da:

  • Art. 1218 Codice Civile – responsabilità contrattuale del medico o struttura
  • Art. 2043 Codice Civile – responsabilità extracontrattuale
  • Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, che impone il rispetto delle linee guida mediche

In caso di danno da errore chirurgico, l’onere della prova si inverte: è il medico a dover dimostrare di aver operato correttamente.

Il consenso informato protegge il chirurgo?

No. Il consenso informato non copre errori tecnici gravi. È valido solo se:

  • Il paziente è stato informato di rischi reali e concreti
  • Il modulo è personalizzato, comprensibile e firmato dopo spiegazioni dettagliate
  • L’intervento è stato eseguito secondo standard riconosciuti

Quali sono le conseguenze più frequenti?

  • Emorragie interne
  • Shock settico
  • Lesioni neurologiche irreversibili
  • Perdita parziale o totale della funzione di un organo
  • Reinterventi chirurgici, stomie, trasfusioni
  • Invalidità permanente

Quali sono i danni risarcibili?

  • Danno biologico (invalidità, ridotta aspettativa di vita, dolori cronici)
  • Danno estetico (cicatrici, deformità)
  • Danno morale (sofferenza interiore, ansia, rabbia, sfiducia)
  • Danno patrimoniale (spese mediche, fisioterapia, mancanza di reddito)
  • Danno esistenziale (limitazione nella vita quotidiana, affettiva e lavorativa)

Quali risarcimenti sono stati riconosciuti in Italia?

  • Roma, 2023 – lesione uretere durante isterectomia → €114.000
  • Napoli, 2024 – perforazione intestino in colecistectomia laparoscopica → €135.000
  • Bologna, 2023 – milza lesionata in gastrectomia → €98.000
  • Milano, 2024 – sezione nervo femorale durante protesi d’anca → €123.000

Come si dimostra la responsabilità?

  1. Acquisizione della cartella clinica completa
  2. Referti post-operatori, lettere di dimissione, consulenze specialistiche
  3. Esami diagnostici (TAC, RMN, endoscopia)
  4. Relazione dettagliata del medico legale
  5. Documentazione di reinterventi o trattamenti successivi

Entro quanto tempo si può fare causa?

  • 10 anni in caso di responsabilità contrattuale (medico o ospedale)
  • 5 anni per responsabilità extracontrattuale
  • Il termine decorre dal momento in cui il danno è stato scoperto

Cosa fare subito se sospetti una lesione intraoperatoria?

  • Rivolgiti a un altro specialista per accertamenti
  • Richiedi copia completa della cartella clinica
  • Conserva ogni documento relativo a ricovero, dimissione, prescrizioni
  • Fatti assistere da un medico legale
  • Consulta un avvocato specializzato in errori chirurgici

Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Perché la rottura accidentale di un organo adiacente non è “sfortuna”: è un errore medico. Un errore che può cambiare radicalmente la qualità della tua vita e che non può restare impunito.

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità:

  • Collaborano con chirurghi legali, gastroenterologi, ginecologi, ortopedici e medici legali
  • Valutano ogni tipo di danno, visibile e invisibile
  • Raccolgono le prove mediche necessarie per ottenere giustizia
  • Gestiscono tutta la pratica, dalla consulenza alla mediazione, fino al giudizio

Se hai subito una lesione durante un intervento chirurgico, se un organo è stato rotto per errore, se il dolore non passa e nessuno ti ha dato risposte, non restare in silenzio.

Hai diritto alla verità. Hai diritto al risarcimento. Hai diritto alla dignità.

Affidati oggi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità. Perché la tua salute merita rispetto. Sempre.

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