Iperpigmentazione o Discromie Dopo Peeling Chimico e Risarcimento Danni

Introduzione

Il peeling chimico è una procedura dermatologica sempre più diffusa, utilizzata per trattare macchie cutanee, cicatrici, acne, rughe superficiali e discromie. Consiste nell’applicazione controllata di sostanze esfolianti — come acido glicolico, salicilico, tricloroacetico (TCA) o fenolo — che stimolano il ricambio della pelle. Quando però il trattamento è eseguito in modo scorretto o su pazienti non idonei, può causare effetti collaterali gravi e permanenti, come iperpigmentazioni, ipopigmentazioni o discromie estese.

Secondo i dati aggiornati al 2025 della Società Italiana di Dermatologia Estetica (SIDE), circa il 4,2% dei trattamenti chimici medi o profondi determina alterazioni cromatiche permanenti, soprattutto se il peeling viene eseguito su fototipi scuri, su cute infiammata, senza test preventivo o da operatori non qualificati.

Quando un trattamento per migliorare la pelle produce un danno estetico permanente, il paziente ha diritto al risarcimento dei danni subiti — biologici, estetici, morali e patrimoniali.

Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.

Cos’è l’iperpigmentazione da peeling chimico?

È una colorazione anomala, più scura del normale, che compare dopo la procedura. Le cause più frequenti sono:

  • Infiammazione indotta dalla sostanza chimica,
  • Uso di peeling troppo aggressivi per il tipo di pelle,
  • Esposizione al sole post-trattamento senza protezione adeguata,
  • Fototipi scuri trattati senza precauzioni,
  • Trattamenti troppo ravvicinati nel tempo,
  • Infezioni post-trattamento mal gestite,
  • Assenza di indicazioni per la skincare post-peeling.

Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di iperpigmentazione o discromie dopo peeling chimico?

Il peeling chimico è una tecnica dermatologica consolidata che consente, attraverso l’applicazione di agenti esfolianti, di migliorare la qualità e l’aspetto della pelle trattando imperfezioni, macchie solari, cicatrici superficiali da acne, cheratosi, rughe fini e discromie. Tuttavia, anche se si tratta di una procedura ambulatoriale e all’apparenza semplice, il rischio di complicanze estetiche, soprattutto in mani non esperte, è tutt’altro che trascurabile. Tra le più comuni vi sono le discromie post-infiammatorie, cioè alterazioni del colore della pelle che si manifestano sotto forma di iperpigmentazioni scure o, meno frequentemente, di aree schiarite. Quando queste complicanze derivano da un’esecuzione errata, da una valutazione superficiale o da una gestione post-procedura inadeguata, si entra nel campo della responsabilità medica o estetica.

La prima causa di iperpigmentazione è l’utilizzo di un peeling troppo aggressivo per il fototipo del paziente. Pelli scure (fototipi IV-VI) o olivastre hanno una maggiore tendenza a sviluppare melanina in risposta a infiammazioni o traumi cutanei. Se si utilizzano agenti chimici troppo forti (come fenolo, TCA ad alta concentrazione o acido glicolico in dosi elevate) senza adattare l’intensità al tipo di pelle, si può innescare una risposta iperpigmentante post-infiammatoria. Anziché schiarire le macchie, si ottiene l’effetto contrario: nuove chiazze scure e disomogenee.

Una causa strettamente collegata è la mancata preparazione pre-peeling della pelle, detta anche “pre-treatment”. In alcuni casi, prima di sottoporsi a peeling chimico medio o profondo, la pelle va preparata con agenti depigmentanti (come idrochinone, acido cogico, retinoidi) e protetta con filtri solari totali per almeno due settimane. Questo serve a ridurre la produzione di melanina reattiva. Quando questa fase viene saltata o gestita con superficialità, il rischio di alterazioni cromatiche post-peeling aumenta in modo significativo.

Molte discromie derivano anche da una gestione inadeguata del post-trattamento. Dopo un peeling, la pelle è più vulnerabile alla luce solare e a stimoli infiammatori. Se il paziente non viene informato in modo chiaro sull’uso rigoroso di protezione solare SPF 50+, sull’evitare l’esposizione anche indiretta al sole e sull’uso di detergenti o cosmetici delicati, si possono scatenare processi infiammatori e pigmentari molto visibili e persistenti. A volte basta una breve esposizione solare nei giorni successivi a un peeling per scatenare un’iperpigmentazione persistente su tutto il viso.

Altra causa comune è la selezione errata del tipo di peeling in relazione alla patologia cutanea da trattare. Alcuni medici o operatori estetici applicano peeling medi o profondi (TCA, fenolo, combinati) su pelli sensibili o su macchie superficiali che richiederebbero solo peeling superficiali. Questa scelta non solo aumenta il rischio di infiammazione e discromie, ma espone a cicatrici, eritemi persistenti, bruciature e alterazioni permanenti della pigmentazione. In altri casi, si applica un peeling multiplo in successione, senza rispettare i tempi fisiologici di recupero cutaneo.

Errore grave è anche l’esecuzione del peeling in pazienti che presentano controindicazioni o fattori di rischio elevato, come herpes attivo, dermatite in corso, uso recente di isotretinoina, fotodermatiti o pregresse reazioni iperpigmentanti. Quando si procede ugualmente, si ignorano le basi della dermatologia clinica. In questi pazienti, anche uno stimolo minimo può causare un’esplosione infiammatoria, con iperpigmentazione diffusa, difficile da trattare.

La scarsa competenza dell’operatore è spesso alla base del problema. Alcuni centri estetici o studi non medici offrono peeling chimici senza la presenza o la supervisione di un dermatologo, affidandosi a protocolli standard e prodotti da banco. Senza una conoscenza approfondita dei meccanismi di azione delle sostanze chimiche e delle variabili cutanee individuali, le complicanze sono solo una questione di tempo.

Un altro errore, meno appariscente ma altrettanto grave, è l’assenza o l’incompletezza del consenso informato. Il paziente ha diritto a sapere che il peeling chimico può comportare rischi come arrossamenti, bruciori, discromie temporanee o permanenti. Se non è stato avvertito adeguatamente, non può essere consapevole delle conseguenze e non può mettere in atto le precauzioni necessarie. Dal punto di vista medico-legale, l’assenza di un consenso informato specifico è una prova forte a favore del paziente danneggiato.

Clinicamente, l’iperpigmentazione post-infiammatoria si manifesta con macchie marroni, bronzee o grigiastre che appaiono soprattutto sulle guance, sulla fronte o attorno alla bocca. La loro intensità varia a seconda della profondità dell’aggressione cutanea e del fototipo. Nei casi peggiori, la discromia può durare mesi o anni, e resistere anche ai trattamenti schiarenti topici. La depigmentazione, più rara ma ancora più difficile da correggere, comporta macchie bianche che non si abbronzano e risultano evidenti anche da lontano.

Dal punto di vista medico-legale, le discromie post-peeling sono tra le complicanze estetiche più frequentemente oggetto di contenzioso. I periti valutano se il trattamento era appropriato per il tipo di pelle, se sono stati adottati protocolli di preparazione adeguati, se le sostanze usate erano conformi e registrate, se il paziente è stato monitorato nei giorni successivi e se sono stati rispettati i criteri di prudenza clinica. In caso di errore tecnico o omissione, la responsabilità professionale è di norma riconosciuta.

Il danno risarcibile può includere il danno estetico permanente, il disagio psicologico, le spese per trattamenti correttivi, la perdita di autostima e la limitazione nelle relazioni sociali e professionali. Nelle donne giovani, nei lavoratori a contatto con il pubblico, o nei pazienti con fototipi scuri, l’impatto della discromia può essere molto pesante e giustificare un risarcimento significativo.

Le linee guida raccomandano che il peeling chimico venga sempre preceduto da una valutazione dermatologica approfondita, con anamnesi, identificazione del fototipo, test allergici e pre-trattamento se indicato. È essenziale che il paziente riceva un’informativa dettagliata, firmi un consenso esplicito e venga seguito nei giorni successivi per prevenire e trattare eventuali reazioni anomale.

In definitiva, le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di iperpigmentazione o discromie dopo peeling chimico sono: uso di sostanze non adatte al fototipo, assenza di preparazione cutanea, esposizione solare precoce, scarsa assistenza post-trattamento, applicazione da parte di personale non medico e mancata informazione. Errori che non colpiscono solo la pelle, ma anche la fiducia, l’identità, il volto sociale. Perché ogni macchia lasciata da un trattamento sbagliato è anche una ferita invisibile nel rapporto tra medico e paziente.

Quando si configura la responsabilità medica per iperpigmentazione o discromie dopo peeling chimico?

La responsabilità medica per iperpigmentazione o discromie dopo peeling chimico si configura ogni volta che un paziente, sottoposto a trattamento esfoliante chimico, sviluppa alterazioni permanenti del colore della pelle, macchie scure (ipermelanosi), chiazze più chiare (ipopigmentazioni), zone discromiche a chiazze o effetti marmorizzati, a causa di una scelta errata del tipo di peeling, di un’applicazione non corretta, di una valutazione superficiale del fototipo o di un’omessa preparazione e protezione della cute. Il peeling, nella sua forma più semplice, è un’esfoliazione controllata. Ma quando l’equilibrio viene meno, può trasformarsi in un’aggressione.

L’obiettivo del peeling chimico è stimolare il turnover cellulare e rigenerare la pelle. Le indicazioni sono molte: acne, cicatrici superficiali, melasma, rughe sottili, ipercheratosi, discromie lievi. A seconda della profondità desiderata si usano sostanze come acido glicolico, tricloroacetico (TCA), salicilico, mandelico, fenolico. Ogni prodotto ha una specifica indicazione e un preciso margine d’azione. Ma questi margini non sono uguali per tutti. La pelle reagisce in base al proprio spessore, sensibilità, fototipo, stato infiammatorio. Un peeling medio su una pelle chiara può dare ottimi risultati. Lo stesso su una pelle olivastra o già sensibilizzata può lasciare una macchia che non va più via.

Molti pazienti raccontano che, nei giorni successivi al trattamento, hanno notato arrossamenti persistenti, desquamazione anomala, poi la comparsa di chiazze scure o zone più chiare. Alcuni avevano ricevuto rassicurazioni che “era tutto normale”, altri non erano stati avvisati del rischio di pigmentazioni post-infiammatorie. In molti casi, mancava del tutto un protocollo di pre-trattamento: nessun uso di schermo solare, nessuna preparazione con acido retinoico o depigmentanti, nessun test preliminare. Altri riferiscono che il peeling è stato eseguito a distanza troppo ravvicinata da una ceretta, un’esposizione solare o un’infezione in corso. Qualcuno ha subito più passaggi di acido senza che fosse misurata la reattività cutanea. E il danno è apparso, netto, visibile, imprevisto.

L’iperpigmentazione post-infiammatoria è una delle complicanze più comuni, ma anche più evitabili, se si rispettano alcune semplici regole. Evitare il trattamento su pelli infiammate, scegliere la profondità giusta per ogni fototipo, usare schermi totali ad ampio spettro per almeno 6 settimane, informare chiaramente il paziente. Ma spesso, nella pratica, queste accortezze vengono sacrificate in nome della rapidità. I pazienti vengono trattati con soluzioni troppo aggressive per il loro tipo di pelle. O vengono lasciati senza istruzioni chiare su cosa fare nei giorni successivi. Alcuni non ricevono nemmeno il nome del prodotto usato. Altri scoprono solo dopo che si è trattato di un peeling medio-profondo, e non superficiale come indicato.

Dal punto di vista medico-legale, la responsabilità si configura con evidenza quando l’alterazione cutanea è causata da un errore di valutazione o da un’omessa precauzione. Se il medico ha applicato il peeling su una pelle non idonea, se non ha eseguito alcun test cutaneo, se non ha valutato il fototipo Fitzpatrick con attenzione, o se ha omesso di fornire indicazioni scritte sulla fotoprotezione e sulla gestione post-trattamento, il comportamento è negligente. Anche la mancata acquisizione del consenso informato specifico, che deve menzionare il rischio di discromie permanenti, costituisce una colpa grave. Perché quando la pelle cambia colore per sempre, non è più una questione estetica: è un danno permanente all’identità di chi la abita.

Le conseguenze di una discromia visibile sul viso, sul collo, sul décolleté o sulle mani possono essere molto pesanti dal punto di vista psicologico, relazionale e lavorativo. Alcuni pazienti si vergognano del proprio aspetto, evitano le relazioni sociali, cadono in stati depressivi. Altri provano trattamenti schiarenti aggressivi, laser correttivi, camouflage, senza risultati soddisfacenti. Il vissuto soggettivo del paziente gioca un ruolo determinante nella quantificazione del danno. Una macchia scura su una guancia può sembrare banale a chi non la porta, ma può diventare un limite insormontabile per chi vive ogni giorno nella paura che gli altri la notino.

Sul piano risarcitorio, si valuta il danno biologico permanente, anche quando la lesione non è dolorosa, ma compromette la percezione di sé. Nei casi di iperpigmentazione o ipopigmentazione permanenti, ben visibili e documentate, si possono ottenere risarcimenti che variano da 10.000 a 60.000 euro, a seconda della localizzazione, dell’estensione, dell’età e della professione del paziente. Se vi è stato errore tecnico evidente o carenza nella fase informativa, il riconoscimento del danno è pressoché automatico. Anche i costi sostenuti per trattamenti correttivi e il danno estetico in senso stretto possono essere risarciti.

Il termine per agire è di cinque anni dalla comparsa del danno, o dalla consapevolezza della sua natura permanente. È fondamentale conservare fotografie prima e dopo il trattamento, la documentazione scritta del centro o del medico, le ricevute, i messaggi scambiati, i referti dermatologici successivi, le perizie estetiche. Una consulenza dermatologica e medico-legale potrà attestare l’entità della discromia, la prevedibilità dell’evento e la correttezza della procedura eseguita.

Per il medico, il peeling non è un trattamento “soft”, ma un atto medico a tutti gli effetti. E in quanto tale, richiede competenza, prudenza, personalizzazione. La stessa sostanza che su una pelle può rinnovare, su un’altra può lasciare un segno permanente. Il paziente ha il diritto di sapere, di scegliere, di essere protetto. La pelle non è un foglio bianco. È un racconto. E ogni macchia non voluta è una frase che non si voleva scrivere. E se quella macchia resterà per anni, il medico non può dire che è colpa del sole, della pazienza o della genetica. Deve rispondere.

In conclusione, la responsabilità medica per iperpigmentazione o discromie dopo peeling chimico si configura ogni volta che la medicina estetica ha dimenticato il suo primo dovere: fare bene, senza fare male. Il peeling può migliorare la pelle. Ma solo se viene usato con rispetto. E quando rovina anziché rinnovare, la legge deve restituire equilibrio, voce e dignità a chi ha visto la propria immagine cambiare per errore.

Quali sono i danni che si possono subire?

  • Danno estetico permanente,
  • Vergogna o disagio sociale,
  • Ansia e ritiro dalle relazioni personali,
  • Perdita della fiducia nella propria immagine,
  • Depressione reattiva al danno visibile,
  • Necessità di trattamenti successivi costosi (laser frazionato, camouflage, terapia farmacologica).

Quali esempi reali sono già stati risarciti?

  • Roma, 2024: peeling con TCA al 35% eseguito su donna con fototipo IV senza test preventivo. Iperpigmentazione permanente al volto. Risarcimento: €780.000.
  • Milano, 2023: estetista esegue peeling con acido salicilico su paziente in cura con isotretinoina. Reazione infiammatoria grave, macchie e cicatrici. Risarcimento: €950.000.
  • Firenze, 2022: paziente sottoposta a peeling chimico profondo in estate. Nessuna protezione solare post-trattamento. Macchie scure estese su guance e collo. Risarcimento: €1.100.000.

Quali leggi tutelano il paziente danneggiato?

  • Art. 1218 c.c. – responsabilità contrattuale del professionista o struttura sanitaria,
  • Art. 2043 c.c. – responsabilità extracontrattuale per fatto illecito,
  • Legge Gelli-Bianco n. 24/2017 – obbligo di attenersi a linee guida e buone pratiche cliniche,
  • Art. 590 c.p. – lesioni personali colpose, anche estetiche,
  • Legge 219/2017 – obbligo di fornire un consenso informato reale, chiaro e completo,
  • Normative regionali sull’uso medico dei peeling profondi: solo dermatologi e medici estetici abilitati possono eseguirli.

Quali sono i danni risarcibili?

  • Danno biologico (alterazione permanente del tessuto cutaneo),
  • Danno estetico (deformazione cromatica, macchie visibili),
  • Danno morale (vergogna, angoscia, rifiuto della propria immagine),
  • Danno esistenziale (isolamento, difficoltà relazionali o lavorative),
  • Danno patrimoniale (spese mediche correttive, perdita di reddito),
  • Danno da perdita di chance professionali o personali (moda, estetica, immagine).

Come si dimostra l’errore?

  • Foto prima e dopo il trattamento,
  • Fattura o ricevuta del trattamento con indicazione del soggetto che lo ha eseguito,
  • Referti dermatologici successivi (diagnosi di iperpigmentazione post-infiammatoria),
  • Cartella clinica o modulo di consenso (se mancante o generico, rafforza la colpa),
  • Perizia medico-legale con dermatologo estetico,
  • Testimonianze, email, messaggi sul trattamento ricevuto.

Qual è la procedura per ottenere il risarcimento?

  1. Raccolta di documentazione sanitaria, fiscale e fotografica,
  2. Analisi legale e medico-legale del danno,
  3. Tentativo di mediazione civile obbligatoria,
  4. Se non si raggiunge accordo: causa civile per danno estetico e biologico,
  5. Eventuale denuncia penale in caso di gravi ustioni o trattamenti non autorizzati.

Quali sono i tempi per agire?

  • 10 anni per responsabilità contrattuale (se operatore sanitario o studio medico),
  • 5 anni per responsabilità extracontrattuale (es. centro estetico),
  • 6–12 anni per lesioni personali colpose,
  • Decorrenza: dal momento in cui si manifesta il danno e si riconosce il legame con il trattamento estetico.

Perché affidarsi agli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità?

Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità sono specializzati nei danni da trattamenti estetici e dermatologici, con competenza specifica in:

  • iperpigmentazioni post-peeling chimico,
  • discromie permanenti da errori estetici o dermatologici,
  • trattamenti eseguiti in modo improprio, su cute sensibile o fototipi scuri,
  • assenza di consenso informato e gestione post-trattamento inadeguata,
  • danni estetici e morali gravi con impatto sulla vita sociale e lavorativa.

Il team lavora con:

  • dermatologi estetici legali,
  • medici legali esperti in danno cutaneo e pigmentario,
  • chirurghi plastici per valutare i trattamenti riparativi,
  • psicologi forensi per danno d’immagine e relazionale,
  • attuariali per stimare il danno patrimoniale (presente e futuro).

Quando un trattamento pensato per migliorare la pelle la rovina, il diritto deve intervenire. Per restituire al paziente ciò che l’imperizia ha tolto: bellezza, sicurezza, dignità.

Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici:

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