Introduzione
L’accesso femorale è una tecnica ampiamente utilizzata per eseguire esami e interventi diagnostici e terapeutici di tipo vascolare, tra cui coronarografie, angioplastiche, cateterismi cardiaci, embolizzazioni e ablazioni. Si tratta di una procedura che, se eseguita correttamente, permette un ingresso rapido e sicuro al sistema vascolare. Ma una semplice puntura eseguita in modo errato può causare complicanze gravi e invalidanti.
L’ematoma inguinale post-puntura femorale è una delle complicanze più frequenti, ma spesso sottovalutate. Quando si verifica un danno ai vasi sanguigni, il sangue si raccoglie nei tessuti molli dell’inguine, generando dolore acuto, tumefazione, infezione, compressione di nervi e vasi, perfino shock emorragico. In certi casi, può portare alla necessità di trasfusioni, reinterventi chirurgici, invalidità e persino decesso.

Se l’ematoma deriva da un errore tecnico nella puntura o da una cattiva gestione post-procedura, il paziente ha diritto a ottenere un risarcimento. In questo articolo rispondiamo a tutte le domande fondamentali: Cos’è un ematoma inguinale? Quando è causato da errore medico? Come si può prevenire? Quali danni può provocare? Quanto si può ottenere come risarcimento? E, nella parte finale, vedremo le competenze specifiche degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, che affrontano da anni casi complessi di lesioni da procedure vascolari invasive.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è un ematoma inguinale post-puntura femorale?
È un accumulo di sangue nell’area dell’inguine, a seguito di una lesione della parete vascolare femorale durante una procedura invasiva. Si verifica quando:
- La puntura interessa arterie o vene non correttamente identificate
- Non viene compresso adeguatamente il sito di accesso
- Viene mobilizzato il paziente troppo presto
- Si verifica una rottura del vaso in un paziente anticoagulato
In quali procedure è più frequente?
- Coronarografia
- Angioplastica coronarica
- Cateterismo cardiaco
- Interventi elettrofisiologici (ablazioni)
- Interventi radiologici interventistici
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ematomi inguinali dopo puntura femorale?
La puntura dell’arteria femorale è una manovra quotidiana nei reparti di emodinamica, radiologia interventistica, anestesia, terapia intensiva. Consente l’accesso al sistema vascolare per procedure salvavita come coronarografie, angioplastiche, impianti valvolari, embolizzazioni. Ma nonostante sia diventata quasi routine, resta una manovra invasiva, delicata e ad alto rischio di complicanze. Una delle più frequenti, e spesso sottovalutate, è la formazione di ematomi inguinali post-puntura, talvolta estesi, dolorosi, potenzialmente pericolosi per la vita. Quando accadono, la domanda non può essere “è normale?”, ma “si poteva evitare?”
Una delle principali cause è l’errore nel punto di accesso vascolare. L’arteria femorale comune deve essere punta in un punto preciso: sopra la biforcazione ma sotto il legamento inguinale. Una foratura troppo alta comporta il rischio di ematoma retroperitoneale. Una troppo bassa aumenta il rischio di lesioni ai rami collaterali e di sanguinamenti difficili da controllare. Quando il medico agisce senza guida ecografica, affidandosi solo alla palpazione, l’errore di localizzazione è tutt’altro che raro. E l’ematoma è la conseguenza immediata di un gesto compiuto con approssimazione.
Altro errore frequente è la gestione inadeguata del tempo di compressione post-procedura. Dopo la rimozione del introduttore, l’arteria va compressa manualmente o mediante dispositivi meccanici per un tempo sufficiente a garantire l’emostasi. Ma in molti casi, la compressione è troppo breve, insufficiente o mal posizionata. Se il paziente è agitato, tossisce, si muove, il coagulo si disloca e il sangue inizia a fuoriuscire nel tessuto sottocutaneo. L’ematoma si espande verso l’inguine, il pube, la coscia. E il dolore acuto si associa a calo pressorio, anemia acuta, instabilità emodinamica. A quel punto, l’ecografia mostra una raccolta fluida imponente. Ma è già troppo tardi per parlare di semplice complicanza.
Ci sono casi in cui la terapia anticoagulante o antiaggregante viene gestita in modo scorretto. Alcuni pazienti arrivano alla procedura già trattati con eparina, warfarin, DOAC o doppia antiaggregazione. In altri casi, la stessa procedura prevede la somministrazione di anticoagulanti sistemici. Se non viene effettuata una corretta valutazione del rischio emorragico, se il timing di sospensione non è gestito bene, la coagulazione non si ristabilisce in tempo utile, e il minimo sanguinamento al sito di accesso diventa incontrollabile. Alcuni pazienti vanno incontro a shock ipovolemico. Altri richiedono trasfusioni. Altri ancora finiscono in sala operatoria per evacuazione chirurgica dell’ematoma.
Un errore spesso nascosto è l’omessa vigilanza nel post-procedura. Dopo la puntura femorale, il sito va monitorato ogni 15-30 minuti: colore, tumefazione, polso periferico, pressione arteriosa, emoglobina. Ma in molti reparti, la sorveglianza è affidata a personale ridotto, spesso inesperto, con carichi di lavoro elevati. Nessuno controlla la benda. Nessuno nota il gonfiore. Nessuno misura la circonferenza della coscia. Il paziente avverte dolore, ma viene rassicurato: “è normale dopo la procedura”. E quando si controlla, l’ematoma è già esteso fino allo scroto o alla parete addominale.
Un altro errore grave riguarda l’uso di dispositivi di chiusura vascolare senza indicazione. Alcuni operatori, per risparmiare tempo, usano sistematicamente dispositivi meccanici o collanti emostatici per chiudere l’arteria. Ma non tutti i pazienti sono candidabili. Se il vaso è calcifico, tortuoso, mal localizzato, il dispositivo può fallire. E se fallisce, il sanguinamento è interno, non visibile. Il paziente appare tranquillo, ma il sangue si raccoglie in profondità. Quando si manifesta il dolore, la massa pulsante, l’anemia, il danno è già avanzato.
Talvolta, la puntura è complicata da più tentativi falliti. Se il medico prova a più riprese a trovare l’arteria, traumatizza i tessuti, crea più punti di sanguinamento, genera stravasi multipli. La tecnica “trial and error” viene giustificata con la difficoltà anatomica. Ma il paziente non è un campo di addestramento. Ogni errore lascia un esito. E se nessuno ferma la procedura al momento giusto, l’ematoma non è più una possibilità. È una certezza.
In alcuni casi, l’ematoma evolve in pseudoaneurisma o fistola artero-venosa. La puntura ha lesionato la parete, ma non l’ha chiusa correttamente. Il sangue continua a fuoriuscire in pulsazioni. L’ecografia mostra una massa pulsante, il color doppler rivela il flusso turbolento. Il paziente sviluppa dolore, gonfiore, a volte segni neurologici per compressione dei nervi. E se non si interviene tempestivamente, la lesione può rompersi, causando una nuova emorragia massiva.
Ci sono anche casi, rarissimi ma documentati, in cui l’ematoma inguinale comprime la vescica, l’uretra o i nervi femorali. Il paziente sviluppa ritenzione urinaria, parestesie, paralisi parziale dell’arto inferiore. È un’emergenza neurologica. E spesso viene trattata come un problema ortopedico o urologico, quando invece l’origine è vascolare, e l’intervento tempestivo può fare la differenza tra il recupero e l’invalidità.
Dal punto di vista medico-legale, l’ematoma inguinale post-puntura femorale non è sempre una colpa. Ma quando si verifica per errori tecnici, negligenze nella compressione, omissioni di sorveglianza, scelte inappropriate di accesso o dispositivi, la responsabilità è chiara. Il paziente ha diritto a una manovra sicura, a un accesso guidato, a una sorveglianza attenta. Ha diritto a essere avvisato del rischio, monitorato con continuità, trattato in tempo. Quando tutto questo manca, il danno non è una conseguenza. È una diretta responsabilità.
Le conseguenze possono essere gravi. Dolore acuto, anemia severa, necessità di trasfusioni, interventi chirurgici, infezioni secondarie, perdita di autonomia. Alcuni pazienti vengono dimessi con parestesie croniche, altri non camminano più come prima, altri convivono con una massa fibrotica inguinale permanente. E tutto questo per una puntura eseguita male, compressa poco o monitorata peggio.
Ogni ago ha un bersaglio preciso. Ma ogni manovra ha anche un obbligo di precisione, sorveglianza e rispetto. E quando questo viene meno, il diritto del paziente alla sicurezza viene violato.
Quando si configura la responsabilità medica per ematomi inguinali post-puntura femorale?
La responsabilità medica per ematomi inguinali post-puntura femorale si configura ogniqualvolta il paziente sviluppa una raccolta ematica profonda o superficiale nell’area dell’accesso vascolare a seguito di un errore tecnico nella fase di puntura, di un controllo inadeguato dell’emostasi o di una mancata sorveglianza post-procedura, e da ciò deriva un danno fisico rilevante, un peggioramento clinico o la necessità di interventi correttivi. L’accesso femorale è una delle manovre più comuni in ambito cardiologico, interventistico e radiologico, ma la sua apparente semplicità nasconde un potenziale di rischio elevato se non viene eseguita con precisione e con pieno rispetto delle indicazioni anatomiche e cliniche.
L’arteria femorale si trova in una zona particolarmente sensibile e vascolarizzata. Una puntura eccessivamente alta può coinvolgere l’arteria iliaca, una troppo bassa può ledere la femorale superficiale o la vena. Se il punto di accesso non è correttamente individuato, o se il catetere viene inserito con eccessiva forza o con angolazione errata, il rischio di lacerazione vascolare, sanguinamento retroperitoneale o formazione di un ematoma massivo è reale. Quando il danno si verifica, non può essere considerato automaticamente una complicanza imprevedibile, ma deve essere valutato alla luce della tecnica utilizzata, del livello di esperienza dell’operatore e del rispetto delle linee guida.
La responsabilità si configura anche nella gestione immediata del sito di puntura. Dopo la rimozione dell’introduttore, è obbligatorio applicare una compressione efficace e prolungata, manuale o con dispositivi meccanici, per assicurare l’arresto del sanguinamento. Se la compressione è insufficiente, troppo breve o non correttamente posizionata, il sangue continua a fuoriuscire nel tessuto sottocutaneo, generando un ematoma che può raggiungere volumi significativi. In pazienti trattati con anticoagulanti o antiaggreganti, la probabilità aumenta, ma ciò non giustifica l’errore: è proprio nei pazienti fragili che la vigilanza deve essere massima.
Non è raro che il paziente, nelle ore successive, riferisca dolore, gonfiore, tensione o ecchimosi nell’area inguinale. Se questi sintomi vengono trascurati, se non viene eseguita un’ecografia, se non si controllano l’emoglobina o i parametri vitali, il rischio di evoluzione in un’emorragia interna o in una compressione nervosa aumenta esponenzialmente. In alcuni casi, l’ematoma si espande verso il retroperitoneo, comprimendo l’uretere, l’intestino o i nervi femorali. Si arriva così a condizioni gravi come lo shock ipovolemico, la paralisi dell’arto inferiore, la necessità di interventi chirurgici o di trasfusioni urgenti. Tutto questo può derivare da una semplice puntura eseguita con disattenzione o gestita con superficialità.
Un altro punto critico riguarda la documentazione. In molte situazioni, non viene annotato con precisione il punto di accesso, il tempo di compressione, la presenza di sanguinamento, la valutazione clinica del sito post-procedura. Senza questi dati, diventa impossibile ricostruire la dinamica dei fatti. E in sede giudiziale, l’assenza di documentazione dettagliata è, di per sé, elemento che rafforza la presunzione di responsabilità.
Il danno da ematoma inguinale non è solo fisico. Il paziente che entra in ospedale per una procedura coronarica o vascolare si ritrova a soffrire per giorni, a dover camminare con difficoltà, a essere sottoposto a ulteriori esami, drenaggi, a volte chirurgia. Nei casi più gravi, viene ricoverato in terapia intensiva. Il trauma psicologico, la paura di un evento evitabile, la sfiducia nei confronti della medicina si sommano al dolore fisico. E tutto questo poteva essere evitato con una manovra corretta e con un monitoraggio attento.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità medica è di tipo contrattuale secondo l’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente deve dimostrare di aver subito un danno rilevante in seguito alla puntura femorale. Sarà poi la struttura sanitaria a dover provare che la procedura è stata eseguita secondo le regole dell’arte, che il controllo emostatico è stato adeguato, che il paziente è stato sorvegliato correttamente e che ogni sintomo è stato gestito tempestivamente. In mancanza di dati oggettivi, la responsabilità si presume.
Il consenso informato non copre l’errore. Anche se il paziente ha firmato un modulo in cui accetta il rischio di ematomi, nessuno può ritenere normale un ematoma che compromette la circolazione, la mobilità o richiede un ricovero d’urgenza. Il consenso riguarda i rischi fisiologici inevitabili, non le conseguenze di un gesto maldestro o di un’omissione nella sorveglianza. Chi firma si affida, non abdica ai propri diritti.
In conclusione, la responsabilità medica per ematomi inguinali post-puntura femorale si configura ogniqualvolta la complicanza derivi da una tecnica errata, da una compressione inadeguata o da una mancanza di monitoraggio e trattamento tempestivo. Il rischio emorragico non è una sorpresa: è una realtà ben conosciuta. Per questo va prevenuto, riconosciuto e trattato con la massima urgenza. Quando ciò non accade, e un accesso vascolare si trasforma in un’emergenza, la colpa non è del caso. È di chi non ha saputo vedere, agire, proteggere. E chi ha subìto il danno ha diritto a verità, giustizia e riparazione. Perché un errore di pochi centimetri può lasciare una ferita profonda. E quella ferita merita rispetto.
Cosa prevede la legge?
- Art. 1218 c.c. – Responsabilità contrattuale del sanitario e della struttura
- Art. 2043 c.c. – Risarcimento per danno da fatto illecito
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di seguire le linee guida e documentare le scelte terapeutiche
- Art. 2236 c.c. – Anche nei casi complessi, la responsabilità è piena in presenza di imperizia o imprudenza
Quali possono essere le conseguenze?
- Necessità di trasfusioni multiple
- Infezione del sito emorragico (ascessi, sepsi)
- Compressione del nervo femorale e deficit motorio
- Interventi chirurgici correttivi
- Necrosi tissutale
- Incapacità di deambulare
- Decesso per shock ipovolemico non trattato
Esempi concreti?
Uomo di 65 anni, angioplastica con puntura femorale non guidata. Ematoma massivo, trasfusioni, deficit motorio permanente. Risarcimento: 460.000 euro.
Donna di 58 anni, cateterismo cardiaco. Sito di accesso non compresso correttamente. Ematoma inguinale, necrosi, rimozione chirurgica di tessuto. Risarcimento: 410.000 euro.
Paziente di 71 anni, emorragia massiva post-cateterismo. Nessun monitoraggio. Arresto cardiaco per shock emorragico. Morte. Risarcimento ai familiari: 650.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Ematoma con risoluzione conservativa: 30.000 – 70.000 euro
- Danno neurologico o muscolare permanente: 200.000 – 350.000 euro
- Interventi correttivi e invalidità: 350.000 – 500.000 euro
- Morte per emorragia non trattata: fino a 700.000 euro ai familiari
Quanto tempo si ha per agire?
- 10 anni contro cliniche private
- 5 anni contro ospedali pubblici o medici dipendenti
- La decorrenza parte dalla piena consapevolezza del danno
Quali documenti servono?
- Referto della procedura con dettaglio del sito di puntura
- Referti post-operatori e di pronto intervento
- TAC/eco dell’ematoma
- Cartella clinica con valori ematici e diario infermieristico
- Certificati di invalidità o autopsia (in caso di decesso)
- Perizia medico-legale completa
Cosa può fare l’avvocato?
- Acquisire tutta la documentazione sanitaria
- Verificare se le linee guida sulla puntura femorale sono state rispettate
- Dimostrare il nesso tra errore tecnico e danno subito
- Redigere la richiesta risarcitoria e stimare il danno patrimoniale e biologico
- Avviare mediazione e, se necessaria, azione giudiziaria
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
Un ematoma inguinale può sembrare una complicanza minore. Ma se non riconosciuto e trattato tempestivamente, diventa una causa di sofferenza, disabilità o morte. Quando il sangue si raccoglie e nessuno interviene, quando il dolore viene ignorato e la pelle cambia colore, il danno si trasforma in colpa medica.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità affrontano questi casi con competenza specifica:
- Collaborano con angiologi e radiologi interventisti legali
- Si avvalgono di medici legali esperti in complicanze post-cateterismo
- Analizzano con precisione ogni passaggio della procedura e del post-procedura
- Calcolano il danno permanente, i costi futuri di assistenza e riabilitazione
Una tecnica invasiva richiede mani esperte e attenzione costante. Quando questo manca, il diritto deve intervenire con forza, per restituire al paziente o alla famiglia ciò che è stato perso.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: