Introduzione
Il bypass coronarico è uno degli interventi cardiochirurgici più comuni e importanti. Serve a ripristinare il flusso di sangue al cuore quando una o più arterie coronarie risultano occluse. Si tratta di un’operazione delicata, ma altamente efficace, eseguita ogni anno su migliaia di pazienti per prevenire infarti, angina e morte improvvisa.
L’obiettivo del bypass è creare un nuovo “ponte” (graft), tramite vene o arterie prelevate dal paziente stesso, per aggirare le zone ostruite e riportare ossigeno al muscolo cardiaco.

Quando però l’intervento viene eseguito male, il bypass può risultare subito occluso. In tal caso, il sangue non arriva a destinazione. Il cuore continua a soffrire, il paziente ha ancora dolore toracico, si stanca, va incontro a ischemie, e nei casi peggiori a un nuovo infarto.
L’ostruzione precoce di un bypass coronarico è una complicanza evitabile nella maggior parte dei casi. E quando avviene per errore tecnico del chirurgo, per scelta errata del vaso, per cattiva esecuzione dell’anastomosi o per mancanza di verifica del flusso, siamo di fronte a una responsabilità medica.
In questo articolo rispondiamo a tutte le domande: Cos’è un bypass coronarico? Come si può ostruire per colpa del chirurgo? Quali sono le conseguenze? Come si dimostra l’errore? Qual è il diritto del paziente? Quanto vale un risarcimento? E infine vedremo le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità, esperti nei danni da errori in cardiochirurgia.
Ma andiamo ora ad approfondire con gli avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità.
Cos’è un bypass coronarico?
Il bypass aorto-coronarico è un intervento chirurgico che consiste nel creare un percorso alternativo per il sangue, che aggiri un’ostruzione di una o più coronarie.
Si realizza prelevando:
- Vena safena (gamba)
- Arteria mammaria interna (torace)
- Arteria radiale (braccio)
Il nuovo vaso viene collegato all’aorta da un lato e alla coronaria dopo il punto occluso dall’altro. In questo modo, il sangue può continuare a irrorare il cuore.
Come può ostruirsi un bypass?
- Errore nel punto di sutura sull’arteria coronarica
- Torsione del graft durante il posizionamento
- Errata selezione del vaso da impiegare
- Eccessivo tensionamento o curvatura del bypass
- Cattiva qualità della vena/arteria utilizzata
- Assenza di verifica del flusso intraoperatorio (flussometria, ecografia)
Un bypass chiuso appena dopo l’intervento è quasi sempre segno di un errore tecnico.
Quali sono le cause più frequenti degli errori e delle complicanze in caso di ostruzione di bypass coronarico per errore chirurgico?
La cardiochirurgia è tra i settori della medicina che più si avvicinano a un lavoro d’orologeria: millimetri, suture finissime, tessuti fragili, mani ferme. Quando si esegue un bypass coronarico, si agisce sul cuore mentre batte o, in alcuni casi, lo si ferma, affidandosi a una macchina per la circolazione extracorporea. Il gesto tecnico è chirurgicamente raffinato, ma proprio per questo ogni errore ha conseguenze potenzialmente catastrofiche. In particolare, l’ostruzione di un bypass non è sempre il frutto di una complicanza fisiologica. In numerosi casi è la diretta conseguenza di un errore tecnico. Un errore che si compie in sala operatoria, spesso in modo silenzioso, ma che lascia il suo segno nel post-operatorio, sul paziente e sulla sua prognosi.
Il primo errore, e forse il più grave, è quello legato all’anastomosi imperfetta. Collegare un vaso arterioso o venoso a un’arteria coronaria richiede precisione assoluta: un’angolazione sbagliata, un punto di sutura troppo teso, una torsione del condotto possono impedire il flusso del sangue. In molti casi l’intervento viene considerato tecnicamente riuscito solo perché il flusso appare presente subito dopo la rivascolarizzazione. Ma ciò che conta è la tenuta a distanza di giorni o settimane. Se l’anastomosi non è perfetta, il punto di giunzione può trombizzare, il sangue può rallentare, la placca può formarsi proprio lì. E così il bypass si chiude, silenziosamente.
Un’altra causa frequente è la scelta sbagliata del condotto. Nella chirurgia di bypass si utilizzano solitamente vene safene o arterie mammarie. Ma non tutti i vasi del paziente sono uguali. Alcuni sono calcifici, altri troppo sottili, altri non sufficientemente elastici. Se il chirurgo utilizza un tratto di vena o di arteria inadatto, magari per mancanza di alternative o per una scelta troppo frettolosa, il rischio di occlusione è concreto. Alcuni tratti venosi si chiudono già nelle prime 24 ore, soprattutto se la parete non è stata trattata con attenzione, se il vaso è stato manipolato con eccessiva forza, o se durante la raccolta si sono formate microlesioni.
C’è poi l’errore nel posizionamento del bypass su un segmento coronarico non adatto. Non tutte le porzioni dell’arteria coronaria sono idonee a ricevere un innesto. Se il vaso ricevente è troppo piccolo, calcifico, tortuoso o con scarso flusso a valle, il bypass rischia di risultare inutile o addirittura dannoso. In alcuni casi viene posizionato troppo a monte o troppo a valle rispetto alla stenosi, oppure in un tratto già collassato o fibrotico. Il flusso non parte mai. Il paziente ha subìto ore di cardiochirurgia invasiva, ha affrontato la circolazione extracorporea, la sternotomia, la terapia intensiva, ma non ha alcun reale beneficio perché il bypass non funziona.
In molte situazioni, l’ostruzione deriva dalla mancata somministrazione o dal dosaggio errato della terapia anticoagulante. Dopo la chirurgia coronarica, il sangue deve essere mantenuto in una condizione fluida per evitare trombosi sul nuovo innesto. Ma se i farmaci vengono ritardati, sospesi, mal dosati, oppure se il paziente sviluppa un evento emorragico che spinge a sospendere gli anticoagulanti senza adeguate alternative, l’innesto si ostruisce. Alcuni pazienti vanno incontro a infarto miocardico già nei giorni successivi all’intervento. Viene eseguito un controllo angiografico e si scopre che il bypass è chiuso.
Talvolta, l’errore è anche nella gestione della pressione ematica e della portata durante il post-operatorio. Se il paziente non riceve un flusso ematico sufficiente, per ipotensione, per ridotto output cardiaco o per errori di gestione in terapia intensiva, il bypass resta inutilizzato, si formano stasi, il sangue coagula, il condotto si chiude. Il cuore, in condizioni di stress emodinamico, tende a scegliere la via di minor resistenza. Se l’innesto non è ben integrato, il flusso si riduce, fino a scomparire.
In alcuni casi, il bypass si chiude per un errore chirurgico ancora più grave: il danno diretto al vaso nativo. Può accadere che durante la manipolazione delle coronarie il vaso venga lesionato, schiacciato, bruciato da strumenti a radiofrequenza o da clip mal posizionate. In altri casi si verifica un’ischemia prolungata durante il clampaggio, che danneggia il tessuto. E anche se l’anastomosi sembra perfetta, la parte ricevente non ha più capacità funzionale. Il bypass è chiuso ancora prima di cominciare.
Tra gli errori più gravi c’è anche la mancata verifica del flusso intraoperatorio. Esistono tecnologie specifiche che permettono, durante l’intervento, di misurare la pervietà degli innesti: flussimetria transit-time, Doppler intraoperatorio, termodiluizione. Ma non tutti i centri le utilizzano. Alcuni interventi vengono chiusi senza sapere se il sangue scorre davvero. Il paziente viene portato in rianimazione, l’elettrocardiogramma mostra anomalie, si sospetta un infarto. A quel punto si esegue una nuova angiografia, e si scopre che il bypass non ha mai funzionato. E quel controllo che si poteva fare sul tavolo operatorio, non è mai stato fatto.
Molti pazienti, dopo l’intervento, riferiscono dolore toracico, dispnea, affaticamento precoce. Ma i sintomi vengono sottovalutati. Si dice che “è normale dopo l’intervento”, che “il cuore si sta adattando”. Nessuno pensa a una chiusura precoce del bypass. La terapia viene mantenuta invariata, i controlli rinviati. Solo dopo settimane, quando il quadro clinico peggiora, si scopre che il bypass si è chiuso già nei primi giorni. E allora l’intervento non ha più efficacia. O peggio, ha peggiorato il quadro.
Dal punto di vista medico-legale, l’ostruzione di un bypass coronarico non è sempre imputabile a un errore, ma lo è ogni volta che si dimostra una tecnica eseguita senza attenzione, una scelta chirurgica inadeguata, o una gestione post-operatoria carente. Il paziente ha diritto a un innesto funzionante, a un controllo accurato, a una terapia efficace. Quando tutto questo manca, quando il bypass si chiude per scelte sbagliate o per omissioni, la responsabilità è chiara.
Le conseguenze per il paziente sono pesanti. Non solo per il fallimento dell’intervento, ma per il rischio di nuovi infarti, di rivascolarizzazioni ripetute, di insufficienza cardiaca, di invalidità. Alcuni devono essere sottoposti a nuovo intervento chirurgico. Altri non possono più farlo. Altri ancora convivono con un cuore instabile, dipendente da farmaci, limitato nella sua autonomia. E tutto questo poteva essere evitato con un gesto più preciso, un controllo in più, una decisione più attenta.
Il bypass non è solo una sutura. È una promessa. E quando quella promessa si rompe per errore, il danno non è solo medico, è umano.
Quando si configura la responsabilità medica per ostruzione di bypass coronarico dovuta a errore chirurgico?
La responsabilità medica per ostruzione di bypass coronarico dovuta a errore chirurgico si configura ogniqualvolta il fallimento funzionale del ponte coronarico sia causato da un’imperizia tecnica del cardiochirurgo, da un’impostazione errata dell’anastomosi, da una scelta inadeguata del vaso utilizzato o da un difetto nel controllo della pervietà al termine dell’intervento. Il bypass aorto-coronarico è un’operazione salvavita, concepita per garantire un nuovo flusso sanguigno al miocardio nei pazienti colpiti da ischemia per occlusione delle arterie coronarie native. È un intervento complesso, che presuppone un livello tecnico elevato, una pianificazione precisa e una capacità chirurgica affinata. Quando il bypass si occlude precocemente, già nei giorni o nelle settimane successive all’intervento, è necessario chiedersi il perché. E se la risposta risiede in un gesto chirurgico maldestro, la responsabilità non è del destino, ma di chi ha operato.
Una corretta esecuzione del bypass implica la selezione di un vaso sano da prelevare (come l’arteria mammaria interna o la vena safena), un’anastomosi precisa tra il condotto e l’arteria coronaria bersaglio e un controllo rigoroso della pervietà immediata tramite test intraoperatori. Se il vaso viene scelto male – troppo corto, troppo sottile, mal prelevato – o se l’anastomosi viene cucita con tensione eccessiva, con angolazioni errate o con suture non stagne, il sangue non fluirà correttamente. Il coagulo, la torsione meccanica, lo spasmo vascolare o la dissezione sono complicanze ben note e assolutamente prevenibili. Il chirurgo ha l’obbligo di verificarne l’assenza prima di concludere l’intervento. Non si può chiudere il torace lasciando un bypass che non funziona.
In alcuni casi, l’errore nasce da una sottovalutazione preoperatoria. Se la coronaria ricevente è troppo calcificata o troppo sottile, non può essere collegata con successo a un condotto. Se la pianificazione è basata su esami datati o letti con superficialità, il rischio che il bypass venga eseguito su un vaso non adatto aumenta. La chirurgia coronarica richiede un’analisi millimetrica dell’anatomia, spesso con supporto intraoperatorio da parte di immagini angiografiche o ecografiche. Se queste valutazioni mancano, o vengono eseguite frettolosamente, l’intervento diventa un tentativo alla cieca. E in cardiochirurgia, tentare alla cieca è sinonimo di fallimento annunciato.
L’ostruzione del bypass può essere immediata o subacuta. Quando si verifica nei primi giorni, è solitamente legata a un errore tecnico: piega del vaso, strozzatura del punto di anastomosi, compressione da ematoma, coagulazione da ristagno. Se ciò avviene, e il paziente manifesta sintomi ischemici come dolore toracico, alterazioni elettrocardiografiche, rialzo degli enzimi o peggioramento emodinamico, la risposta della struttura deve essere immediata. Un ECG non basta. Serve un’angiografia di controllo, un ecocardiogramma transesofageo, una valutazione chirurgica urgente. Se l’équipe minimizza i segnali, attribuisce il dolore a “normale post-operatorio”, somministra morfina senza indagare, il paziente rischia un infarto massivo o una morte evitabile.
L’omessa diagnosi precoce dell’ostruzione è una colpa tanto quanto l’errore che l’ha causata. Alcuni pazienti, dopo essere stati operati, peggiorano ogni giorno e vengono trasferiti in terapia intensiva solo quando le condizioni sono compromesse. In quel momento, anche un nuovo intervento può risultare inutile. Se il bypass viene eseguito male, e non viene revisionato in tempo, il danno al miocardio può diventare definitivo. Insufficienza cardiaca, aritmie gravi, necessità di trapianto, oppure decesso. Tutto per un ponte cucito male.
Le conseguenze per il paziente sono spesso irreversibili. Un bypass che si occlude non è solo un intervento fallito: è un danno attivo. Il paziente affronta un’operazione invasiva, lunga, costosa, rischiosa. Affronta il dolore, la paura, la riabilitazione. E si ritrova, dopo giorni o settimane, con lo stesso problema – o con uno peggiore. Se sopravvive, vivrà con un cuore più debole, con una ridotta capacità di esercizio, con limitazioni lavorative e relazionali. Se non sopravvive, i familiari devono affrontare la morte di una persona che si era affidata alla chirurgia con fiducia. E la domanda sarà inevitabile: è stato fatto tutto il possibile? Spesso, la risposta è no.
Dal punto di vista giuridico, la responsabilità della struttura sanitaria è contrattuale ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile. Il paziente – o i suoi familiari – devono dimostrare che il bypass si è occluso precocemente e che ciò ha comportato un danno. Sarà poi la struttura o il chirurgo a dover dimostrare che l’intervento è stato eseguito secondo le regole dell’arte, che le verifiche intraoperatorie sono state compiute, che il vaso era adatto, che l’anastomosi era pervia, che i controlli post-operatori sono stati tempestivi. In assenza di queste prove documentate, la responsabilità si presume.
Il consenso informato non copre un errore tecnico. Nessun paziente firma un’autorizzazione a subire un bypass mal cucito. Anche se si è stati avvertiti dei rischi generici, il medico resta responsabile della correttezza tecnica del suo operato. Il consenso riguarda i rischi insiti nella procedura, non gli sbagli evitabili. Se il ponte si occlude perché è stato realizzato in modo scorretto, la colpa è di chi ha operato, non di chi ha firmato.
In conclusione, la responsabilità medica per ostruzione di bypass coronarico dovuta a errore chirurgico si configura ogniqualvolta la pervietà del ponte venga compromessa da un gesto tecnico inadeguato, da una pianificazione errata o da un’omessa verifica post-operatoria. Il cuore non dà seconde possibilità. Ogni punto di sutura, ogni angolazione, ogni vaso scelto può fare la differenza tra la vita e la morte. Chi opera ha il dovere di sapere, di prevedere, di controllare. E quando tutto questo manca, il danno che ne deriva non è solo chirurgico: è umano, è morale, è giuridicamente rilevante. Perché il paziente ha diritto a un intervento che lo salvi, non a uno che lo condanni.
Cosa dice la legge?
- Art. 1218 c.c. – Inadempimento contrattuale: la struttura risponde se l’intervento non ha prodotto il risultato atteso per colpa
- Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito
- Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) – Obbligo di seguire linee guida e protocolli
- Art. 2236 c.c. – Responsabilità anche per imperizia in interventi complessi se l’errore è grossolano
Quali sono le conseguenze di un bypass ostruito?
- Persistenza dei sintomi pre-operatori
- Nuovo infarto miocardico
- Necessità di re-intervento cardiochirurgico
- Ridotta aspettativa di vita
- Insufficienza cardiaca cronica
- Morte improvvisa
Esempi concreti?
Uomo di 58 anni, triplice bypass coronarico. Anastomosi su coronaria mal posizionata. Ostruzione immediata. Infarto dopo 48 ore. Risarcimento: 460.000 euro.
Donna di 65 anni, by-pass con vena safena. Nessuna verifica del flusso. Stent necessario dopo 6 giorni. Dolore cronico e invalidità. Risarcimento: 390.000 euro.
Paziente di 72 anni, errore tecnico su ramo marginale. Nuovo intervento cardiochirurgico in urgenza. Esiti neurologici da ischemia. Risarcimento: 510.000 euro.
Quanto può valere un risarcimento?
- Ostruzione con sintomi lievi: 50.000 – 100.000 euro
- Infarto post-bypass con esiti: 150.000 – 300.000 euro
- Reintervento con invalidità: 300.000 – 500.000 euro
- Morte: risarcimento ai familiari fino a 700.000 euro
Quanto tempo si ha per agire?
- 10 anni se la struttura è privata (responsabilità contrattuale)
- 5 anni se la struttura è pubblica o il medico è un dipendente (responsabilità extracontrattuale)
- Il termine decorre dal momento della consapevolezza del danno, non dall’intervento
Quali documenti sono fondamentali?
- Cartella cardiochirurgica completa
- Referto operatorio dettagliato
- Esami post-operatori (ecocardiogrammi, coronarografie, ECG)
- Documentazione clinica del peggioramento
- Referti di eventuale secondo intervento
- Certificati di invalidità e relazioni medico-legali
Cosa può fare l’avvocato?
- Acquisire e analizzare tutta la documentazione
- Collaborare con cardiochirurghi forensi
- Ricostruire l’errore tecnico e la catena causale
- Valutare il danno biologico, morale, patrimoniale
- Redigere la perizia medico-legale
- Promuovere mediazione e azione legale per ottenere il risarcimento
Le competenze degli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità
Un bypass coronarico ostruito per errore tecnico è una ferita doppia: al cuore e alla fiducia. Il paziente si sottopone a un intervento per vivere meglio, e si ritrova con gli stessi sintomi – o peggiori – di prima. Spesso non sa nemmeno che il bypass non ha mai funzionato.
Gli Avvocati di Risarcimenti Danni Malasanità affrontano questi casi con una metodologia rigorosa:
- Collaborano con cardiochirurghi esperti e medici legali specializzati in cardiochirurgia
- Analizzano i referti operatori e le immagini post-operatorie
- Ricostruiscono con precisione la dinamica dell’errore tecnico
- Dimostrano che la chiusura precoce del bypass era evitabile
- Calcolano il danno patrimoniale e biologico subito dal paziente
Ogni intervento chirurgico fallito per colpa medica merita una risposta forte, legale, giusta.
La salute cardiaca è troppo importante per essere gestita con superficialità. E ogni battito perso per colpa di altri, va risarcito.
Qui di seguito tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in risarcimento danni da errori medici: